Aprile 19th, 2016 Riccardo Fucile
QUESTA VOLTA LA SCENEGGIATA GLI E’ COSTATA 12.000 EURO PIU’ LA PUBBLICAZIONE DELLA SENTENZA A SUE SPESE
L’europarlamentare della Lega Nord e sindaco di Borgosesia Gianluca Buonanno è stato condannato
dal giudice civile del tribunale di Milano a causa di alcune dichiarazioni fatte il 2 marzo 2015 in una puntata di Piazzapulita su La7.
Nel corso del programma di Corrado Formigli, Buonanno aveva definito i rom “feccia della società “.
Dopo quelle parole, era stato denunciato dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione e dall’associazione Naga.
Secondo il giudice le parole di Buonanno non erano da considerarsi opinioni politiche, non riconoscendogli così l’immunità da europarlamentare.
Le sue dichiarazioni avevano “come unica finalità la denigrazione e l’offesa”.
Definire “feccia” i rom, secondo il tribunale, “non solo è grandemente offensivo e lesivo della dignità dei destinatari, ma assume altesì un’indubbia valenza discriminatoria”.
Buonanno è stato quindi condannato alla pubblicazione dell’ordinanza in “caratteri doppi del normale ed in formato idoneo a garantirne adeguata pubblicità ” sul Corriere della sera entro 30 giorni dalla sentenza.
In più dovrà pagare sei mila euro per ciascuna associazione che ha vinto la causa.
(da agenzie)
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Aprile 19th, 2016 Riccardo Fucile
IL MOVIMENTO “RIVOLUZIONE CRISTIANA” NON SARA’ A FIANCO DEL CITY MANAGER: “HANNO USATO BERLUSCONI COME UN TAXI”
Stavolta è toccato a lui essere fatto fuori.
“A Milano, Forza Italia e il Nuovo centrodestra hanno escluso la mia lista, Rivoluzione cristiana, da quelle che sosterranno la corsa a sindaco di Stefano Parisi”, dice a ilfattoquotidiano.it Gianfranco Rotondi, ex ministro per l’attuazione del programma dell’ultimo governo Berlusconi, da sempre molto vicino al Cavaliere.
“Il mio partito, erede legittimo della Democrazia cristiana, ha partecipato alla fondazione del Popolo della Libertà : ora gli stessi soggetti che hanno sfasciato il centrodestra lo stanno mettendo da parte — aggiunge —. Il motivo? Crea disturbo a forzisti e alfaniani. Sono sconcertato: vedo ex colleghi di partito cercare il taxi-Berlusconi per ritornare in Parlamento”.
Onorevole, lei ha definito il candidato sindaco di Milano del centrodestra come “un taxi per gli escursionisti di Ncd”. Cos’è successo?
Qualcuno mi ha comunicato l’impossibilità di apparentare la lista di Rivoluzione cristiana alle altre che sostengono la corsa di Stefano Parisi a primo cittadino del capoluogo lombardo.
Chi è questo qualcuno che gliel’ha comunicato?
Ho parlato con Mariastella Gelmini, la quale mi ha spiegato che non c’erano le condizioni politiche affinchè anche il mio movimento potesse appoggiare Parisi.
Quali sono stati i motivi di questa esclusione?
Mi hanno fatto fuori perchè, mi è stato detto, la mia lista avrebbe disturbato quella di ‘Milano popolare’, alias il Nuovo centrodestra, e addirittura quella di Forza Italia. Cause davvero singolari: sono rimasto sconcertato.
Ma lei con Parisi ha mai parlato?
Una sola volta. Poi è accaduto quanto ho appena spiegato. Perciò sono arrivato alla conclusione che se l’idea di questi ‘uomini del fare’ è quella di non disturbare i partiti allora è meglio andare da soli. Così noi sosterremo la candidatura dell’ex preside del liceo Parini, Carlo Arrigo Pedretti. Che è un milanese doc e non arriva dal quartiere Parioli di Roma.
Certo che l’hanno fatta proprio arrabbiare.
Reputo l’operazione Parisi come il trasferimento di una compagnia teatrale dal Teatro Olimpico di Roma a quello degli Arcimboldi di Milano.
Che vuol dire?
All’Olimpico, qualche anno fa, i futuri fondatori di Ncd incoronarono Mario Monti capo del centrodestra al posto di Silvio Berlusconi. Salvo poi tornare indietro per prendere i seggi da lui. I nomi? Fabrizio Cicchitto, per esempio. Che cancellarono i lealisti del Cavaliere dalle liste del Pdl addirittura dirottando me, un primo tempo, in Piemonte. Salvo poi, una volta eletti, andare al governo con il centrosinistra di Letta prima e Renzi poi. Ecco, il taxi è esattamente questo. Con Parisi sta avvenendo la stessa cosa
Solo che stavolta hanno fatto fuori lei.
Già . Anche perchè si stanno manifestando le medesime condizioni: il giro del governo sta finendo e quello del Parlamento sta tornando. Bisogna essere rieletti e serve chi ti porta. Malgrado tutto, pur ‘scassato’, Berlusconi c’è ancora, è il principale numero della smorfia del centrodestra. Quelli del Teatro Olimpico stanno cercando un nuovo taxi.
Con l’operazione Parisi.
Esattamente. Lui ha perfino creduto a chi gli ha detto che dopo la poltrona di sindaco di Milano c’è quella di Palazzo Chigi. Gli faccio i miei migliori auguri, ma Berlusconi mi deve spiegare se uno, per dettare la linea nel centrodestra, deve prima farsi un giro a sinistra.
Ha parlato con il leader di Forza Italia?
Credo ci sentiremo nelle prossime ore, ci siamo cercati a vicenda ma non ancora parlati. Approfitto però per far notare, a lui e a chi lo circonda, che da Frattini alla Meloni, da La Russa a Sacconi fino a Romano, io sono fra i pochi componenti del suo ultimo governo ad essergli rimasto al fianco nonostante le tante difficoltà . Se però stavolta tocca a me vado a farmi un giro a sinistra…
Sta dicendo che alla fine potrebbe appoggiare Giuseppe Sala?
Vuol dire che io al primo turno farò campagna elettorale per il mio candidato sindaco. Al secondo turno, visto che un pezzo del governo appoggerà Parisi, non mi meraviglierebbe il sostegno di un pezzo dell’opposizione a Sala. Credo di essermi spiegato.
C’è anche un altro episodio che recentemente l’ha fatta arrabbiare: l’esclusione dall’ultima direzione del Pdl. Non le hanno comunicato il motivo?
Un’altra bizzarria. Se il Pdl sta portando avanti delle procedure amministrative di scioglimento deve coinvolgere tutti i fondatori. Me compreso. Invece nessuno mi ha detto nulla. Fra l’altro, io in quel progetto ho investito dei soldi che non ho mai recuperato. Denari che si sono tenuti Forza Italia e Alleanza Nazionale. Mi sarei aspettando quantomeno una telefonata.
Invece il telefono non ha squillato. Nemmeno Berlusconi si è scusato?
Non si è fatto sentire nessuno. Quanto all’aspetto economico, Berlusconi mi ha detto che i soldi erano finiti e non c’era più niente da fare. Ora, quantomeno, mi aspetto che torni in campo e rifaccia grande il centrodestra.
Un nuovo ‘voto di fiducia’ nei suoi confronti?
Ma anche una critica.
Giorgio Velardi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 19th, 2016 Riccardo Fucile
DOPO LA NOMINA ALLA CORTE DEI CONTI LA CAMERA HA BLOCCATO L’EROGAZIONE DELLA PENSIONE PER INCOMPATIBILITA’ CON LO STIPENDIO DEL NUOVO INCARICO
Li rivuole tutti. Dal primo all’ultimo. 
Tanto da presentare un ricorso al Consiglio di giurisdizione della Camera dei deputati, l’organo al quale è affidata la risoluzione delle controversie fra gli eletti e l’amministrazione. Che si dovrebbe esprimere a breve dopo il rinvio della prima udienza fissata per il 6 aprile scorso.
A Enrico La Loggia, ex ministro per gli Affari regionali del secondo e terzo governo di Silvio Berlusconi, ma — soprattutto — parlamentare dal 1994 al 2013, non è andata giù la decisione di Montecitorio di sospendergli l’erogazione del vitalizio da ex deputato e senatore (circa 5 mila euro netti al mese) dopo la sua nomina a componente del consiglio di presidenza della Corte dei Conti (altri 6 mila euro mensili).
Arrivata il 15 ottobre 2013 per la durata di quattro anni.
Di più: il provvedimento, ora impugnato, ha ‘costretto’ l’ex esponente di Democrazia cristiana, Forza Italia e Popolo della Libertà a restituire le somme percepite nel periodo compreso fra ottobre 2013 e novembre 2014. Circostanza che ha dato il via alla battaglia a colpi di carte bollate.
FORZA NONNO
“Il ricorso si basa su un elemento estremamente semplice: non esiste una normativa ad hoc che preveda l’incompatibilità fra il vitalizio e l’indennità che percepisco per il ruolo che ricopro attualmente”, dice La Loggia contattato da ilfattoquotidiano.it. “Secondo la Camera si può applicare al consiglio di presidenza della Corte dei Conti, ‘per analogia’, la normativa che riguarda il Consiglio superiore della magistratura (Csm) dove, al contrario, è impossibile il cumulo degli assegni — aggiunge l’ex parlamentare —. È una vicenda che va avanti da due anni, ma sono convinto di non essere in errore”.
La vittoria è dunque a portata di mano?
“Assolutamente no — risponde La Loggia —. Noi sosteniamo una tesi, ma come mi ha insegnato mio nonno per conseguire un successo servono tre cose: avere ragione, avere un buon avvocato che la rappresenta e un giudice che la riconosca. A me, per adesso, manca quest’ultimo passaggio”.
E se il Consiglio di giurisdizione di Montecitorio dovesse bocciare il ricorso?
“Sono pronto a continuare a non prendere il vitalizio pur ritenendo che ciò sia sbagliato”, conclude.
CORSI E RICORSI
A discuterne, nei prossimi giorni, sarà dunque l’organismo della Camera presieduto da Alberto Losacco (Pd), del quale fanno parte Antonio Marotta (Area popolare) e Tancredi Turco (Alternativa Libera-Possibile).
Ma il verdetto non sarà immediato.
“Decideremo entro pochi giorni se accoglierlo o rigettarlo — spiega Turco —. Il problema vero è che le attuali regole del sistema pensionistico della Camera non funzionano, ma siccome nessuno le vuole realmente cambiare, fioccano i ricorsi. Io ho presentato una proposta di legge per equiparare il sistema previdenziale dei parlamentari a quello dell’Inps, anche con effetto retroattivo, ma la norma è impantanata in commissione da mesi”.
Oltre a quella depositata dal deputato ex Movimento 5 Stelle, le proposte per tagliare gli assegni degli ex parlamentari presentate a Montecitorio sono in effetti dieci (due costituzionali e otto ordinarie).
Tutte ancora al vaglio della commissione Affari costituzionali.
Giorgio Velardi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 19th, 2016 Riccardo Fucile
NEI GUAI SIMONETTA LICASTRO SCARDINO, VEDOVA DELL’ESPONENTE DC PINO LECCISI, INSIEME ALLE SORELLE… L’ACCUSA E’ DI CIRCONVENZIONE DI INCAPACE
L’indagine l’aveva fatta scattare lei, denunciando le sorelle. Ma alla fine anche l’ex parlamentare del Pdl Simonetta Licastro Scardino, 68 anni, vedova di un esponente di punta della Dc, Pino Leccisi, è finita nel registro degli indagati con l’accusa di aver sottratto ai genitori un patrimonio milionario.
La notizia è comparsa su alcuni giornali locali e secondo l’Ansa le tre sorelle avrebbero ricevuto un avviso di conclusione indagini.
Sarà ora compito delle tre indagate farsi sentire dal pm Carmen Ruggiero, titolare dell’inchiesta, o preparare una memoria in attesa che, alla scadenza dei termini, la Procura formuli una richiesta di rinvio a giudizio oppure di archiviazione.
Le tre sorelle, l’ex parlamentare Simonetta e le due sorelle Francesca e Valeria, di 65 e 57 anni, sarebbero indagate per circonvenzione di incapace.
Dagli accertamenti della Guardia di Finanza tra il 2009 e il 2011 l’esponente del Pdl avrebbe beneficiato di due bonifici per 670mila euro, mentre alle due sorelle sarebbero andati 451mila euro a testa.
Nel 2014 era arrivata la querela dell’ex parlamentare, ma secondo gli accertamenti della Procura di Lecce i genitori delle tre sorelle sarebbero stati incapaci di intendere e volere già in un periodo precedente alle donazioni.
(da agenzie)
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Aprile 19th, 2016 Riccardo Fucile
NOMINE E CLIENTELE ALL’ASL DI BENEVENTO
La deputata di Forza Italia Nunzia De Girolamo fu organizzatrice e promotrice di un “direttorio
politico-partitico” tramite il quale orientò nomine, appalti e clientele dell’Asl di Benevento secondo logiche di potere e di tornaconto elettorale, e per questo va processata per associazione a delinquere insieme ai suoi collaboratori e ai manager della sanità sannita in carica nell’estate del 2012.
E le registrazioni delle riunioni tra la de Girolamo e il direttorio nella villa del padre a San Nicola Manfredi, fatte di nascosto dall’ex direttore amministrativo dell’Asl Felice Pisapia, sono ‘salve’ e non verranno distrutte, come chiedevano gli avvocati della ex ministra, perchè “non rientrano nelle comunicazioni per le quali è necessario chiedere l’autorizzazione alla Camera e non violano la privacy del parlamentare”.
Lo ha deciso il Gip Flavio Cusani respingendo definitivamente una richiesta di archiviazione del pm Nicoletta Giammarino e disponendo per De Girolamo & Co l’imputazione coatta, rara nel procedimento penale, che evidenzia una profondissima differenza di vedute tra l’impostazione accusatoria della Procura e quella maturata dall’ufficio del giudice per le indagini preliminari.
Il Gip Cusani peraltro aveva già definito “associazione a delinquere” il ‘direttorio’ in un provvedimento di arresto per un indagato di un filone parallelo.
Vanno verso un probabile giudizio per il reato previsto dall’articolo 416 del codice penale anche Felice Pisapia (ritenuto organico al sistema che in seguito ha denunciato depositando le registrazioni), l’ex manager dell’Asl Michele Rossi, l’ex direttore sanitario Gelsomino Ventucci (poi commissario dell’Asl), l’avvocato e consulente legale Giacomo Papa, l’ex factotum della De Girolamo Luigi Barone, oggi componente del direttivo nazionale Ncd.
L’ordinanza del Gip stravolge il lavoro del pm, ordinando nuove indagini sui misteri dell’appalto del 118.
Un appalto del quale si parlò a lungo nelle riunioni registrate da Pisapia, che successivamente mise a verbale come la De Girolamo intendesse favorire un’impresa vicina al Pdl che aveva partecipato al tesseramento del congresso provinciale 2012. Pisapia affermò che allo scopo una ditta fu danneggiata ritardando ad arte i pagamenti. Il pm però aveva chiesto l’archiviazione sottolineando che l’impresa era stata retribuita secondo una tempistica regolare.
Ma il Gip non è stato convinto e ha disposto un supplemento di indagine di altri tre mesi, ordinando inoltre l’imputazione coatta per Pisapia e per una delle ‘gole profonde’ dell’inchiesta, Arnaldo Falato, un dirigente Asl di fede mastelliana caduto in disgrazia dopo la nomina di un manager designato dall’azzurra De Girolamo, per una concussione a un altro dirigente, Giovanni De Masi.
Una vicenda già contestata alla deputata e ai suoi collaboratori, per la quale pende una richiesta di rinvio a giudizio che si discuterà il 29 aprile.
Vincenzo Iurillo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 19th, 2016 Riccardo Fucile
E NEL GIORNO DEL NATALE DI ROMA SARANNO FIANCO A FIANCO
La resurrezione dovrebbe essere a Pasqua e invece Silvio Berlusconi fa rinascere Guido Bertolaso a Natale. O meglio: nel giorno del Natale di Roma.
Anche se i sondaggi non sono favorevoli il leader di Forza Italia continua a puntare su di lui.
“Il presidente mi ha rinnovato il suo appoggio incondizionato ribadendo che io sono il candidato migliore per governare Roma”, l’ex Capo della Protezione civile esce quindi trionfante da Palazzo Grazioli dopo mezz’ora di colloquio con l’ex Cavaliere, che a quanto pare non ha intenzione di rimescolare le carte e puntare su Giorgia Meloni o su Alfio Marchini.
Anzi, secondo quanto si apprende da fonti vicine al candidato primo cittadino della Capitale, già giovedì, festa del Natale di Roma, potrebbe esserci il grande debutto di Berlusconi al fianco di Bertolaso.
Nella speranza, forse, di mettere fine a tutte le polemiche di questi giorni e porre rimedio ai dissidi interni al partito.
La data scelta non è una qualunque. È la festa di Roma, ma anche il giorno in cui la candidata di Fratelli d’Italia e della Lega Nord dovrebbe depositare la sua candidatura, e Virginia Raggi, potrebbe approfittare della presenza di Beppe Grillo nella Capitale, per incontrarlo.
Berlusconi e Bertolaso invece dovrebbero fare un giro nelle periferie romane perchè è questo l’impegno che il candidato azzurro ha preso già da qualche giorno.
Nessun incontro in vista tra Berlusconi e Matteo Salvini. Tra loro, per adesso, c’è il gelo.
Il leader di Forza Italia dovrebbe invece vedere i big del partito per provare a spegnere le polemiche.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 19th, 2016 Riccardo Fucile
I DATI DI IPSOS, DEMOS E SWG … HA VOTATO UN TERZO DEGLI ELETTORI CHE SOLITAMENTE SI ASTENGONO
Il M5s è stata la forza politica che ha portato più gente a votare al referendum sulle trivelle, ma
almeno metà dell’elettorato dei Cinquestelle non si è presentato al seggio.
Lo stesso è accaduto per due terzi degli elettori che si definiscono di “sinistra“.
Tre elettori del Pd su 4 hanno dato retta a Renzi e hanno disertato i seggi.
Ma se si sommano il non voto all’area del no (che tra i democratici era rappresentata da personalità come Bersani e Prodi) chi ha seguito Michele Emiliano nella battaglia No Triv è stato un solo simpatizzante Pd su 5.
Sono gli aspetti principali dell’analisi del voto effettuata da diversi istituti di sondaggio pubblicata su Corriere della Sera, Repubblica e Messaggero.
In tutti i casi la premessa è che si tratta di rilevazioni fatte fino ai giorni immediatamente precedenti al voto del 17 aprile, anche perchè un’elaborazione di veri e propri flussi di voto non è possibile nel caso di un referendum.
Di contro c’è che sono rilevazioni sufficientemente attendibili perchè hanno basi solide nel numero di intervistati.
Da una parte la “Santa Alleanza” contro Renzi non ha sfondato e anzi è stata quasi snobbata dagli elettori dei presunti punti di forza del sì al referendum: la sinistra, la sinistra del Pd, la Lega Nord e in parte il Movimento Cinque Stelle.
Dall’altra c’è una parte dell’elettorato del Pd (all’incirca un quarto) che non ha seguito l’indicazione di voto di Matteo Renzi.
Una delle curiosità — tra le altre — è che il referendum, secondo Swg, ha richiamato il 16 per cento di chi non vota più per principio alle Politiche e un terzo di chi si dice indeciso su chi votare.
Nel sondaggio di Ipsos per il Corriere della Sera, per esempio, sono state intervistate circa 9mila persone dal 21 marzo al 7 aprile.
Gli elettori dei partiti della maggioranza che sostiene il governo Renzi si sono mossi nello stesso modo: sia tra coloro che si definiscono del Pd sia tra quelli che oggi voterebbero Area Popolare la quota di elettori al referendum è stata del 23 per cento.
Analogo il comportamento degli elettori di Forza Italia (ha deciso di votare il 29 per cento) e della Lega Nord (30), nonostante l’invito al voto del segretario del Carroccio Matteo Salvini.
Modesta la partecipazione — 36 per cento — anche tra chi si dice “di sinistra” (non è stata data una connotazione politica nel sondaggio Ipsos) dove sulla carta si dovrebbero trovare maggiormente le sensibilità ambientaliste. Chi ha portato più elettori alle urne è stato il M5s, ma meno della metà : il 49 per cento.
Nella rilevazione dell’istituto guidato da Nando Pagnoncelli è interessante vedere che — a dispetto di quello che ha dichiarato il presidente del Consiglio nell’intervento subito dopo la chiusura dei seggi — chi si è informato solo con la tv, è stato più volentieri lontano dai seggi (72 per cento di astensionismo).
Tra coloro che invece hanno usato internet come fonte di informazione per capire di più della consultazione sulle trivelle, la quota del non voto si abbassa al 66
Stesse tendenze, anche se con cifre differenti quelle dei dati di Demos per Repubblica. Qui gli intervistati sono circa mille.
Secondo l’istituto diretto da Ilvo Diamanti ha votato il 46 per cento di chi si dichiara elettore del M5s.
Leggermente più bassa (44) l’affluenza tra chi voterebbe l’area di sinistra (Sel, Sinistra Italiana e gli altri partiti al lato del Partito democratico).
Alle urne è andato un terzo degli elettori dei Fratelli d’Italia, mentre ancora una volta è simile la partecipazione al voto tra i votanti di Pd, Forza Italia e Lega (rispettivamente 27, 26 e 28 per cento).
Tuttavia Diamanti su Repubblica mette in luce un aspetto, anche in vista dei prossimi appuntamenti elettorali: “Lascia perplessi la traduzione direttamente politica e ‘personale’ che viene data al risultato del referendum. Non da una parte sola, peraltro. Perchè Renzi e, in modo ancora più esplicito, i ‘renziani’ hanno rovesciato, a proprio favore, questa impostazione. Con l’effetto, francamente paradossale, di trasformare l’astensione in consenso. Traducendo il dato della non partecipazione in una misura del sostegno al governo e al premier”.
Il sociologo la definisce una “deriva del dibattito politico” perchè “riassume la nostra vita politica in un lungo referendum pro o contro Renzi”.
Tutto questo, “con il contributo attivo del fronte anti-renziano” porterebbe sempre di più verso un “governo personale” del presidente del Consiglio, trasformando il nostro sistema attuale in un “premierato preterintenzionale“.
Altri spunti, infine, dal sondaggio di Swg per il Messaggero.
La tendenza sulla partecipazione al voto degli elettori dei vari partiti è simile a Ipsos e Demos: alle urne è andato il 41 per cento dei votanti M5s, il 33 per cento di quelli di Forza Italia, il 30 per cento di quelli che dichiarano di votare Pd, il 26 dei leghisti.
Come detto tra chi si è presentato alle urne è stato anche un terzo di quelli che sono indecisi (cioè non saprebbero oggi che partito scegliere) e il 16 per cento dei non votanti “cronici” alle elezioni vere e proprie.
L’ultimo dato interessante è quello delle fasce d’età . Più l’elettore è anziano e più si è abbassata la quota di partecipazione: dal 41 per cento degli studenti al 37 di coloro che hanno tra i 55 e i 64 anni.
(da agenzie)
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Aprile 19th, 2016 Riccardo Fucile
TUTTI I MALUMORI ALL’ASSEMBLEA DEL M5S
Il rito dell’assemblea congiunta di deputati e senatori del M5S si trascina dall’inizio della legislatura.
Quello che doveva essere il centro delle decisioni politiche del Movimento è diventato uno momento di sfogo per le frustrazioni, sempre meno rumorose, degli eletti tenuti ai margini verso quelli che occupano posizioni di rilievo, e di potere, nel nascente organigramma Cinquestelle.
A quella di stasera, come spesso accade, tanti temi e poche decisioni: l’avvio della raccolta firme per il referendum costituzionale, le strategie comunicative da osservare per tenere viva la fiamma di “trivellopoli”, l’analisi del voto di domenica.
Ma un piatto forte, nei toni e nelle rivendicazioni, c’è stato.
Una parte del gruppo di stanza al Senato crede, e lo fa sapere senza troppi complimenti, che la divisione dei compiti privilegi troppo i colleghi deputati.
Il tema non è nuovo, torna ciclicamente sotto forma di una richiesta continua, e continuamente respinta, di un allargamento ai membri di palazzo Madama del direttorio dei cinque alla guida, che invece vengono tutti da Montecitorio. E quattro su cinque dalla Campania.
I senatori M5S vorrebbero più deleghe, più voce in capitolo sulle decisioni e magari un po’ di quella che, almeno fuori dai Cinquestelle, si chiama agibilità politica: uno spazio di iniziativa personale che ai deputati è concesso con molta più libertà , mentre a loro, dalla vicenda del reato di immigrazione clandestina alle unioni civili, è spesso negato o ridotto al minimo.
E poi c’è la questione della cosiddetta “successione”.
L’accelerazione che ha impresso Luigi Di Maio candidandosi a guidare i Cinquestelle alle prossime politiche è piaciuta poco ai puristi del M5S delle origini. Formalmente, nessuno rimprovera al giovane presidente della Camera alcuna forzatura.
Ma Roberto Fico pare aver preso davvero male il colpo di reni del giovane collega.
E con lui tutta una fronda di “duri&puri” che poco c’entrano con lo spirito di pragmatismo che Di Maio sta imprimendo al “suo” M5S.
E se il vicepresidente della Camera s’è preso la testa del Movimento, sul ruolo di Davide Casaleggio tutti tengono a rimarcare la differenza tra la figura del padre, di garante e ispiratore, e quella del figlio, che avrà la responsabilità di coordinare lo staff di Milano che, in ogni caso, vedrà via via ridotti compiti e ruoli che aveva il fondatore in vita.
Lo spiega bene l’ex capogruppo al Senato Maurizio Buccarella uscendo dall’assemblea: «Con Gianroberto viene meno un garante e una guida con cui ci si consultava nei momenti delicati per le scelte comunicative. Viene meno la possibilità di confrontarsi se era il caso di attivare una consultazione online su un certo quesito o di sollecitare lo staff su una certa questione e tanto altro».
Francesco Maesano
(da “La Stampa”)
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Aprile 19th, 2016 Riccardo Fucile
“SIAMO IN UN SISTEMA POLITICO A DEMAGOGIA INCORPORATA CHE HA FATTO DEL POPULISMO UN TRATTO DI SISTEMA, NON PIU’ UNA DEVIANZA”
Professore di scienza politica e filosofia del diritto dell’università La Sapienza di Roma, Michele
Prospero non ha certo simpatia per Matteo Renzi, a cui ha dedicato un saggio, Il nuovismo realizzato, l’antipolitica dalla Bolognina alla Leopolda, molto letto a sinistra del premier e apprezzato dalla minoranza dem che pure finisce però bacchettata dal professore – che con Bersani segretario era un editorialista di punta de l’Unità – perchè dovrebbe, per Prospero, «assumere un dato di inconfutabile realtà : il Pd non ha più nulla di sinistra».
Prospero è uno a cui piace la «vecchia politica», con cui tanto se la prende il premier: «Non c’è nulla di più vecchio», precisa però il professore, «che stare al potere senza alcuna legittimazione, cercandone ogni giorno a posteriori, forzando forma e sostanza della democrazia, come ha fatto sulle trivelle e come farà sul referendum costituzionale».
In libreria con La scienza politica di Gramsci , ultimo saggio, l’Espresso ha chiesto a Prospero come leggere il risultato referendario, con la vittoria rivendicata da Renzi, con buone ragioni, e però anche da Michele Emiliano, contento di contare quasi 16 milioni di votanti.
Dunque Prospero, chi ha vinto?
«Il referendum è fallito, tecnicamente, per il mancato raggiungimento del quorum, e questo è innegabile. Ma io penso sia significativo, dal punto di vista politico, il fatto che oltre 15 milioni di cittadini siano andati alle urne sfidando una campagna a favore della diserzione che arrivava dall’alto, battente: è una mobilitazione che ha dello straordinario».
Dunque Renzi ha vinto formalmente, pur grazie all’escamotage dell’astensione, ma sbaglia a sottovalutare il dato della partecipazione, con i sì all’85,8 per cento?
Dovrebbe ricordarsi, Renzi, che l’esercizio del potere che gli è concesso in questa fase, questo dispotismo di minoranza, si basa su un numero di voti che è poco più della metà degli elettori che sono andati a votare contro il suo parere. Il Pd nel 2013 ha preso 8 milioni e 600mila voti e anche alle Europee, che per mesi sono stato il vanto del presidente del consiglio, la sua prima “legittimazione”, i voti furono 11 milioni, sempre meno dei soli sì di domenica».
Molto si è scritto dell’appello all’astensione del premier. Lei è però rimasto molto colpito dal comportamento di Sergio Mattarella….
«Quello di Mattarella è stato un comportamento francamente irrituale, mai si era visto un presidente della Repubblica che tenta di votare di nascosto, e che si reca al seggio nelle ore notturne, quando ormai è tardi perchè la sua immagine possa finire nei seguiti tg delle 20, spingendo magari altri elettori a votare. Mi ha impressionato un presidente della Repubblica così impegnato nel non scontentare il presidente del consiglio».
Mattarella aveva però il problema di non distanziarsi troppo dalla presa di posizione di Giorgio Napolitano, presidente emerito, che ha avallato la scelta dell’astensione.
«Opinione opposta a quella di Napolitano – che non è una vera figura istituzionale ma che si comporta come se lo fosse, dichiarando da palazzo Giustiniani – l’aveva data il presidente della Corte, Grossi. Quello che è successo, però, è che altre figure di garanzia hanno deciso di smentire la limpida posizione di Grossi, che era coerente con il messaggio della Costituzione».
Peraltro la stessa riforma della costituzione di Renzi interviene sul quorum, abbassandolo, per depotenziare il trucco a cui è ricorso lo stesso presidente del consiglio – ultimo di una tradizione bipartisan – con il fronte del no che invece di competere sul quesito, nei seggi, punta a non far partecipare al voto gli elettori, sommando gli indifferenti ai contrari. Pensa che il quorum andrebbe abolito?
«Durante il dibattito della Costituente il timore era quello di un possibile abuso del referendum che avrebbe potuto portare a forme di plebiscitarismo dal basso. Oggi il rischio è invece opposto, con i referendum che diventano sempre strumenti nelle mani di chi sta al governo. L’abbassamento del quorum previsto dalla riforma Boschi è così un raro aspetto positivo della riforma, che però non solo viene smentito ma convive con un discutibile alzamento delle firme necessarie per richiedere una consultazione, che passano a 800mila, molte».
Nel ’47, quando la commissione per la Costituzione discuteva proprio dello sbarramento da inserire per la validità di un referendum, Umberto Terracini disse: «Non si comprende perchè un deputato eletto col voto del trenta per cento degli elettori debba essere riconosciuto come capace di esprimere la volontà di un determinato raggruppamento della popolazione, mentre poi quando il trenta per cento di quel gruppo popolare esprime direttamente la sua volontà , questa non dovrebbe avere valore».
«Terracini coglieva pienamente la contraddizione del quorum, i limiti che sono ben evidenti anche in questa ultima consultazione. Il parere di 16 milioni di persone non vale nulla, mentre forze politiche che hanno ben meno voti, grazie a un premio elettorale peraltro incostituzionale, esercitano un illimitato potere legislativo».
Però lei non è certo un fan della democrazia diretta.
«Il punto è che le forme della partecipazione e della deliberazione collettiva possono essere molteplici. Ma se fino agli anni 70 il tema era al centro della cultura politica della sinistra, che tentava di conciliare Rousseau con Marx, con filosofi come Galvano della Volpe, oggi questo tema riemerge solo altrove, in forme primitive e ingenue, come ci ricorda il nome della piattaforma online del Movimento 5 Stelle, che è appunto Rousseau. Mi pare che Renzi, invece, evochi in continuazione un rapporto diretto con il popolo ma che poi viva con fastidio se questo pretende una cessione di sovranità ».
Il premier festeggiando ha detto che a perdere è stata «la vecchia politica». Vecchia politica che lei evoca, sovrapponendosi così perfettamente alla narrazione impostata da palazzo Chigi
«Il nuovismo di Renzi è in realtà l’utilizzazione del potere ottenuto dopo congiure, stai sereno, regolamenti di conti tutti interni ai palazzi del potere. A me pare quella, la vecchia politica, aiutata anche in questo caso, purtroppo, da alcuni giuristi come Sabino Cassese che ha coniato per Renzi una teoria costituzionale francamente surreale che ha chiamato “legittimazione popolare postiticipata”. Solo che in democrazia la legittimazione è preventiva: è questa l’anomalia che spinge il premier a cercare continuamente occasioni di conferma, sondaggi sulla sua persona, prove di forza, plebisciti».
Ora il gioco degli analisti e dei commentatori è capire se chi ha votato sulle trivelle contro l’indicazione del segretario del Pd e presidente del consiglio, darà un dispiacere a Renzi anche sul referendum costituzionale, dicendo no alla riforma Boschi
«È possibile che i quasi 16 milioni di elettori che sono andati a votare siano una massa critica capace di impedire il passaggio del disegno plebiscitario su cui saremo chiamati a esprimerci a ottobre. Se fosse così, la sconfitta di Renzi è probabile, perchè 16 milioni sono ad esempio più dei no che bocciarono la riforma di Berlusconi, nel 2006, e sono circa il 47 per cento dei votanti delle elezioni politiche del 2013».
Però così si ignora lo specifico del quesito sulle trivelle, che avrà avuto un suo peso, soprattutto in alcune regioni interessate dalle piattaforme, come la Basilicata. Lo stesso dovrebbe essere per la Costituzione.
«Dovrebbe ma non lo sarà , per due ragioni. Perchè Renzi e Boschi hanno sempre detto che la loro avventura a palazzo Chigi è legata all’esito del referendum d’autunno, e poi perchè una consultazione su un mega quesito omnicomprensivo, con dentro 47 articoli della Costituzione e sui temi più disparati, si presta perfettamente all’intento plebiscitario della consultazione. Non è un caso che la Consulta e la giurisprudenza europea abbiano più volte indicato la necessità di consultazioni su quesiti ragionevoli e coerenti».
Renzi ha peraltro avvisato che ricorrerà a argomenti «demagogici». Cosa che potremmo notare non è in realtà nuova, per il premier e non solo. Direi che la demagogia è una caratteristica del frangente politico.
«Siamo in un sistema politico a demagogia incorporata, potremmo dire, che ha fatto del populismo un tratto di sistema, e non più una devianza».
È chiaro a questo punto che il «ciaone» di Carbone era rivolto anche a lei.
«Ma quel “ciaone” è proprio la conferma che siamo immersi in un populismo senza popolo, che accarezza il mito della disintermediazione, del rapporto diretto con le persone, ma poi teme e insulta il popolo reale».
Non è che magari il più lo faccia la comunicazione. Anche la vecchia politica, forse, avendo Twitter avrebbe abbondato in sfottò.
«Non credo sia una questione di mezzi espressivi, ma di ciò che ci metti dentro, di cosa immetti nel canale di comunicazione. Carbone e gli altri sodali ci mettono quello che hanno in testa, e che tutti possiamo giudicare. E lo fanno nel deliberato proposito di rompere con ogni carattere riflessivo della politica, contenti di restare sulla superficie. Carbone ha fatto la parodia di Alberto Sordi, dimenticando che Sordi rimase senza benzina, rincorso dai lavoratori a cui ha fatto la pernacchia. E l’esito delle continue provocazioni potrebbe esser proprio lo stesso: lasciare senza benzina la Smart con cui Carbone accompagnava Renzi all’inizio della sua avventura romana, quando tramava per raggiungere il potere».
Luca Sappino
(da “L’Espresso”)
argomento: Partito Democratico | Commenta »