Settembre 2nd, 2016 Riccardo Fucile
LA CRISI DI RIGETTO STA AVVELENANDO I GRILLINI DILANIATI DA UNA LOTTA INTERNA PER IL POTERE
Se Roma è lo “stress test” che misura la capacità di governo del Movimento 5 Stelle, i segnali che
arrivano dalla Capitale non sono confortanti per il Paese.
Diciamo la verità , nessuno poteva pretendere che la giunta guidata da Virginia Raggi, in poco più di un mese, potesse ripulire la città eterna di tutti i suoi atavici mali: mafia e monnezza, buche e pantegane.
Ma allo stesso modo nessuno poteva immaginare che il Campidoglio pentastellato, dopo appena settanta giorni, facesse saltare cinque poltrone in un colpo solo. E non poltrone qualsiasi.
Un capo di gabinetto, i tre manager che guidano Atac e Ama (le due municipalizzate più disastrate d’Italia) e soprattutto un super-assessore al Bilancio che era il vero (e forse unico) fiore all’occhiello di questa giunta: quel Marcello Minenna, trasferito a forza dalla Consob, che aveva in mano il portafoglio e il patrimonio di Roma, gravato da un debito monstre di quasi 13 miliardi.
Un fatto grave. Anche al di là delle ovvie invettive del Pd, che farebbe bene a non maramaldeggiare troppo sulla Capitale, visto che ha allegramente e colpevolmente contribuito a ridurla com’è.
Ma se persino Paola Taverna parla di “perdita gigante”, vuol dire che qualche ingranaggio più “strutturale”, nella macchina del potere pentastellato, si è rotto davvero.
E se non piangessimo i morti di un terremoto vero, che ha distrutto vite e destini, dovremmo parlare di un sisma politico, che squassa il movimento e apre una faglia profonda proprio nel luogo simbolo in cui Grillo tenta di dimostrare quello che, finora, rimane indimostrabile e indimostrato: e cioè che il Movimento, elaborato il lutto di Gianroberto Casaleggio, è ormai entrato nell’età adulta, ed è ormai pronto a guidare l’Italia.
Purtroppo, per un Paese ormai “tripolare” che avrebbe un urgente bisogno di alternative politiche tutte ugualmente credibili e spendibili, le cose non stanno affatto così.
L’alternativa non esiste più a destra, perchè tra le macerie del berlusconismo si vedono avanzare solo fantasmi. Ma non esiste ancora nei 5 Stelle, perchè tra le “anime” del grillismo si vedono crescere solo miasmi.
Cosa è successo, infatti, a Roma? E perchè queste cinque dimissioni in un solo giorno sono inquietanti?
Per due ragioni di fondo.
La prima ragione è di merito. Questa “rottura” multipla, che indebolisce drammaticamente una squadra già di per sè non eccelsa (almeno rispetto alle attese), non avviene su temi concreti, che riguardano la vita di tutti i giorni di quattro milioni di cittadini.
Raineri o Minenna non se ne vanno perchè non c’è accordo con la Raggi o con gli altri assessori su come risolvere il problema dei rifiuti, o su come rendere più efficiente il trasporto urbano, o sui lavori che sarebbero necessari se si accettasse la candidatura alle Olimpiadi.
Dal poco che trapela dalle “segrete stanze” del Movimento (e già questa formula obbligata ne tradisce la vocazione originaria), i due dimissionari pagano una “crisi di rigetto” che, fin dalla vittoria elettorale alle amministrative di giugno, sta avvelenando l’organismo pentastellato.
È in corso, dicono, un regolamento di conti: da una parte c’è la sindaca e i suoi fedelissimi, sempre più chiusi dentro al “raggio magico”, dall’altra ci sono gli “esterni” e i “tecnici”, sempre più esclusi e scontenti.
Perchè litigano? I cittadini romani, e noi tutti, vorremmo saperlo.
E invece non lo sappiamo. Perchè nessuno spiega niente.
E quello che vediamo e abbiamo visto finora non è un dibattito serrato e concreto su come si abbatte il debito, su come si riduce l’addizionale Irpef, su come si migliora il decoro urbano, ma l’ennesima, estenuante querelle sulle nomine e sugli stipendi degli amministratori.
Come avrebbero fatto i dorotei o i craxiani di una volta. E com’era già successo agli stessi parlamentari grillini dopo il successo elettorale del 2013, quando sprecarono il primo anno a Montecitorio non a illustrare agli italiani come si finanzia davvero il reddito di cittadinanza, ma a sbranarsi tra loro sugli scontrini e le ricevute del ristorante.
E qui emerge la seconda ragione, che invece è di metodo.
I Cinquestelle hanno avuto un merito oggettivo: hanno cambiato i modi e i tempi della comunicazione politica, anche attraverso l’uso “orizzontale” della Rete.
Ora, quello che è appena accaduto nella Capitale ha una portata politica evidente. E dunque dovrebbe essere raccontato con assoluta chiarezza all’opinione pubblica. Non può bastare un post sulla pagina Facebook della sindaca, pubblicato alle quattro del mattino, in cui la Raggi si limita a dare una lettura banalmente burocratica delle dimissioni del suo capo di gabinetto, senza dire nulla di quelle del super assessore al Bilancio.
Salvo poi parlare del dovere della “trasparenza”.
Gestito così, il Campidoglio non è una casa di vetro. Diventa una corte di Bisanzio. Un concentrato di veleni e di arcana imperii di cui nessuno sa e capisce nulla.
Una guerriglia sotterranea tra un maxi e un mini direttorio, un conflitto permanente tra correnti palesi e occulte, che in qualche caso fanno rimpiangere i partiti vecchi e rissosi della Prima Repubblica.
Dov’è finita la “diversità ” pentastellata?
Dove sono finite l'”innocenza” e la “purezza” del Movimento, il “non partito” con il “non statuto”, che nasce e cresce dal basso e che in virtù dei sacri principi fondativi (“uno vale uno”, “i leader non esistono”) rivoluziona la politica e rifonda la democrazia?
Per adesso, il “grillismo reale” precipita in un vortice di impreparazione e di presunzione. Si avvita in una spirale di velleitarismi e di personalismi.
Ribellarsi alle èlite è giusto. E il Movimento, con i suoi quasi 9 milioni di elettori alle politiche del 2013, ha dato corpo esattamente a questa legittima istanza di “ribellione democratica”.
Ma governare è un’altra cosa. Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista lo sanno bene. Quando in gioco c’è non solo il Campidoglio, ma in prospettiva addirittura Palazzo Chigi, il motto “meglio inesperti che disonesti”, per quanto rassicurante, non può più bastare.
Massimo Giannini
(da “La Repubblica”)
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Settembre 2nd, 2016 Riccardo Fucile
MARCO RETTIGHIERI: “HO SEGNALATO ALLA MAGISTRATURA TUTTE LE ANOMALIE”
“Sono stato spietato ma giusto, come mi hanno insegnato in Ferrovie. E ho segnalato alla magistratura tutte le anomalie che ho riscontrato”, “era un nostro dovere farlo e certo non ci siamo divertiti. Anche se, sinceramente, tante cose erano risapute. Non siamo i geni della lampada. Ci siamo solo comportati in modo trasparente e onesto. Forse però abbiamo colpito zone intoccabili”.
Lo afferma – in un’intervista al Messaggero – Marco Rettighieri, dimessosi ieri dalla carica di direttore generale dell’Atac.
“Il potere di sindacati e politica in Atac – dice – è molto forte. Noi abbiamo cercato di arginare quel sistema di cordate e clientele. E in parte ci siamo anche riusciti, cercando di riportare questa azienda colabrodo alla normalità . Poi alcuni si sono rivoltati contro”.
Crede che le sigle di cui ha toccato gli interessi abbiano trovato sponde nell’attuale amministrazione M5s?
“Sì – risponde -, diciamo che posso avere avuto questa percezione. Ma sono un tecnico, non un politico. E ho lavorato fino all’ultimo per fare il bene di Atac e di chi usufruisce i mezzi pubblici di Roma. Alcuni sindacalisti ieri mi hanno ringraziato”.
Rettighieri parla di “vere e proprie intromissioni” da parte della giunta.
Il riferimento alla ‘visione preventiva’ degli spostamenti dei dirigenti: “Ma questa cosa è impensabile, anche dal punto di vista legale, oltre che del buonsenso”.
“Pensi anche ai fondi per la metropolitana – aggiunge -, che non sono mai arrivati sul nostro conto corrente. I lavori dovevano partire a giugno, poi entro Ferragosto”.
(da agenzie)
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Settembre 2nd, 2016 Riccardo Fucile
SOLO DI MAIO LA DIFENDE, MA PER PAURA DI VEDERE COMPROMESSA LA SUA AMBIZIONE DA LEADER
Mentre cerca di spiegare perchè ha scelto ancora una volta di difendere i suoi fedelissimi e
abbandonare il lavoro di persone come il capo di gabinetto Carla Raineri e l’assessore al Bilancio e alle Partecipate Marcello Minenna, le labbra di Virginia Raggi hanno un fremito.
Un’incertezza nella voce che si fa acuta, poi scompare. Arrivano le lacrime. Il crollo. È in riunione in Campidoglio con quel che rimane della giunta e con la sua maggioranza, la sindaca.
“Quelli che teme di più – raccontano ai vertici del Movimento – sono proprio i consiglieri comunali. Sono loro che possono toglierle la fiducia. Non il minidirettorio. Non lo staff, che avrebbe dovuto supportarla e che ora è tutto contro di lei”.
Le più furiose sono le parlamentari romane Carla Ruocco, Paola Taverna, Roberta Lombardi.
Convinte che il lavoro comune fosse riuscito a trovare le persone giuste per amministrare Roma e che il “raggio magico” non stia facendo altro che sabotare quel lavoro.
“Non ci sono correnti o correntine – si sfoga la Lombardi con un deputato – da noi esistono solo due parti: chi lavora con il metodo del Movimento 5 stelle e chi no”.
Nel mirino ci sono il vicesindaco Daniele Frongia; il vicecapo di gabinetto – ex braccio destro di Gianni Alemanno e Renata Polverini – Raffaele Marra; il dipendente del Campidoglio promosso a capo della segreteria politica Salvatore Romeo.
È ancora una volta da loro che bisogna partire per capire quel che è successo nelle ultime 24 ore.
Perchè è stato proprio Raffaele Marra a stilare la richiesta di parere all’Anac sul contratto del capo di gabinetto Carla Raineri. Richiesta poi inoltrata da Virginia Raggi, insieme a tutte le altre.
Era stata la sua risposta alle polemiche di agosto contro lo stipendio di Salvatore Romeo. “Dite che quella nomina è irregolare? Che un dipendente del comune non può andare in aspettativa ed essere assunto al triplo dello stipendio? – aveva chiesto la sindaca a chi la criticava – Chiediamo all’Anac di controllare tutte le delibere e vediamo che succede”.
Sulla nomina di Raineri, sull’articolo in base al quale farla e sul suo stipendio, erano già stati chiesti dei pareri all’avvocatura del comune, che aveva dato il via libera. L’Anac l’ha invece considerata illegittima.
Ma anzichè riproporre la giudice sulla base di una procedura corretta, Virginia Raggi decide di mandarla via. “Siamo allucinati”, dice più d’uno nello staff romano. “I pareri non si chiedono dopo, come si può defenestrare una giudice anticorruzione del calibro di Carla Raineri con un post su Facebook alle cinque del mattino? Com’è possibile che noi siamo tutti da una parte, e che lei vada sempre dalla parte opposta?”.
“Il problema vero sono Marra e Romeo”, dicono sia in ambienti romani che in quelli vicini alla Casaleggio Associati.
Senza avere il coraggio di parlare in chiaro, però. Perchè Luigi Di Maio ha deciso che Virginia Raggi va difesa. Che non c’è altra strada. Anche se al mattino, quando ne parla coi suoi collaboratori più stretti, sa già di doversi preparare a quello che definisce “un effetto domino”.
Carla Raineri non si fidava del suo vice Raffaele Marra. E aveva cercato di contrastare lui e Romeo proprio con l’aiuto dell’assessore Marcello Minenna.
I due volevano mettere becco sulle partecipate e il supertecnico non intendeva accettarlo. Per questo, una volta mandata via la Raineri, ha deciso di lasciare anche lui. Seguito dalle persone che aveva scelto, come il presidente dell’Ama Alessandro Solidoro.
Ma mentre – ai vertici dei 5 stelle – Roberto Fico si guarda bene dal rispondere al telefono, Alessandro Di Battista continua il suo tour per il no al referendum tacendo di Roma e Beppe Grillo (in vacanza a Olbia) diserta un appuntamento a Sassari cui pure era atteso, Luigi Di Maio non ha esitazioni.
Dal primo momento, è stato lui a dover difendere l’operato della sindaca. Un ruolo in cui i suoi oppositori interni lo hanno schiacciato volentieri. Ma che ritiene obbligato. Se si fallisce a Roma, fallisce l’idea di un Movimento 5 stelle pronto a governare.
Per questo, a Sassari, risponde secco alla domanda che sulla sua pagina Facebook ha avuto più like: “Cosa sta succedendo a Roma?”. “Io dico soltanto una cosa – ha risposto il candidato premier in pectore – questo è solo l’inizio, chi pensa che governare Roma sia una cosa semplice ha sbagliato totalmente. Abbiamo tutti contro, tutte le lobby. Domani nominiamo il nuovo assessore, il nuovo capo di gabinetto, i nuovi vertici delle aziende e andiamo avanti. Noi a Roma vogliamo cambiare tutto, e lo faremo”.
Perchè è vero, era stato lui stesso a siglare l’accordo definitivo con Minenna, ai tempi della sua nomina. Ma poi ha capito che l’assessore pensava di poter guidare la giunta più di quanto fosse chiamato a fare.
“Il sindaco è Virginia”, continua a ripetere il vicepresidente della Camera. Nessuno deve dimenticarlo.
(da “La Repubblica”)
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