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GLI INVISIBILI CHE NON CREDONO PIU’ AI LEADER: ECCO L’ITALIA CHE HA DETTO NO

Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile

HA VINTO LA GENTE CHE NON SI FIDA PIU’…SARA’ DIFFICILE PER QUALUNQUE LEADER TRASFORMARE LA PROTESTA IN CONSENSO

La vittoria c’è ma i vittoriosi dove sono?
Li si è cercati per tutto il giorno a Roma, e per il semplice gusto della conferma: non li si sarebbe trovati.
Non fino a notte, in nessuna piazza, non c’era una sede di comitato o di partito, non c’erano luoghi di fermento al Testaccio o alla Garbatella nè tantomeno in centro, già  festival di luminarie ed esultanze per il derby che uscivano dalle birrerie.
E invece – e non è nemmeno un paradosso – di sconfitti se ne trovavano, qua e là , dentro le loro trincee novecentesche, le stanze del Partito democratico al Nazareno, quelle del Comitato per il Sì a piazza Santi Apostoli, dove erano stati costruiti il successo e la breve vita dell’Unione di Romano Prodi; posti di attesa classica, dove a sera sarebbero arrivati i leader per i commenti all’impiedi a beneficio di questa o quella emittente televisiva, e il distacco è lì che appare in tutta evidenza.
È una rivoluzione – piccola o grande lo dirà  il tempo – senza manifestazioni oceaniche, senza popolo dietro a capopopolo, senza casematte attorno a cui radunarsi: e quanto aveva ragione Beppe Grillo quando anni fa, all’inizio dell’avventura a cinque stelle, lo chiamavano a casa cercando il segretario del Movimento e lui gli passava il figlioletto Ciro.
È la sostanza stessa che non è richiesta: ieri Roma e il resto d’Italia sono state percorse e scosse dal complotto delle matite, sequel del complotto delle lavatrici denunciato dal sindaco Virginia Raggi, e di tanti altri complotti delle banche, delle lobby, della finanza, della Nasa, di grandi mostri calati sulle nostre teste ad avvelenare i pozzi.
Le notizie infatti ci spingevano verso Castelnuovo di Porto, dove si tiene lo spoglio dei voti degli italiani all’estero, e dove quelli del Comitato per il No erano rimasti fuori, intanto che all’interno – spiegavano – si stavano consumando irregolarità  fino al broglio; e poi alla scuola Garrone di Ostia, dove un insegnante denunciava, centesimo o millesimo di giornata, la truffa delle matite copiative, i cui segni su un foglio bianco venivano via con una gomma.
E non c’era verso di spiegare che le matite copiative funzionano indelebilmente soltanto sulla carta delle schede elettorali.
Erano piccoli epicentri della grande rivolta dove, quando li si raggiungeva, non c’era più niente perchè intanto si erano spostati in un altro seggio, o in un altra città .
E l’imprevedibile ed effimero leader di giornata è diventato Piero Pelù, il cantante dei Litfiba che ai tempi d’oro cantava «dittatura e religione / fanno l’orgia sul balcone». Perfetto inno per i sentimenti di oggi: il post su Facebook di Piero Pelù sulla frode di Stato ha avuto 62 mila like, 10 mila commenti, più di 100 mila condivisioni, e quella è stata l’unica vera grande manifestazione fisica del popolo degli infuriati, diretto ai seggi armato di gomma e foglietto bianco per verificare che anche il loro voto fosse falsificabile dalla planetaria associazione per delinquere.
Inutile farci sopra dell’ironia.
Ha vinto la gente, il mare di gente che non si fida più, molto ben disposta verso l’inverosimile e diffidente verso il verosimile, per intima ed esasperante convinzione che là  fuori c’è qualcuno che lavora alla sua infelicità , perchè manca il lavoro, perchè si indeboliscono le garanzie, per invidia sociale, perchè l’investimento in banca è andato storto, perchè ci sono i poteri forti, perchè c’è l’Europa, perchè c’è una classe dirigente che in quanto tale campa sulla pelle delle periferie, fisiche o esistenziali. Ognuno è partecipe di quella massa per una ragione diversa, e col minimo comune denominatore del rifiuto feroce dell’establishment farabutto, una condizione che non riguarda soltanto l’Italia, come raccontano di recente la Brexit e Donald Trump.
Gli ultimi messaggi dell’unico vero tempio della rivolta – Internet – spiegavano le ragioni del No, e cioè per «mandare a casa il c… Renzi», perchè se Napolitano vota Sì io voto No», perchè «voglio un lavoro dopo anni di studio», perchè «mio marito è precario», perchè «le banche ricominceranno a essere dalla parte della gente», perchè la dittatura e il fascismo eccetera.
E tutto questo non ha bisogno di comitati e sale da trasformare in sale da ballo, non di leader perchè è difficile immaginare che alla sommità  della montagna siedano Massimo D’Alema o Pierluigi Bersani, o pure i più giovani e puri, come Matteo Salvini o Giorgia Meloni.
Sarà  probabilmente la vittoria di Beppe Grillo, il non capo del non partito che non ha sedi e nemmeno una struttura certa.
E non c’è niente di più lontano dal senso di questa ribellione del raduno del Comitato per il No romano a San Lorenzo, il comitato dell’Anpi, di Gustavo Zagrebelsky, di Stefano Rodotà , della Cgil, del residuo più cospicuo e pensoso del Novecento, dove alle 23 di ieri sera si vedeva, finalmente, la prima parvenza di raduno in attesa che si ufficializzassero le indiscrezioni di trionfo del pomeriggio.
C’erano Giovanni Russo Spena e Alfonso Gianni, volti che ai cornisti parlamentari raccontano di antiche stagioni dell’altro millennio.
Ecco, la storia di oggi sembra avere molto più a che fare con il sito del Consiglio regionale della Toscana, colpito ieri mattina dagli hacker di Anonymous: sulla home page è comparso un manifesto con la scritta Sì, e sullo sfondo Matteo Renzi, Maria Elena Boschi e Denis Verdini, e con la scritta No, e sullo sfondo un’immagine di partigiani della guerra civile.
Il volto della vittoria di oggi non è altro che il volto anonimo e digrignante di un uomo senza capi.

Mattia Feltri
(da “La Stampa“)

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TICKET SPERANZA-LETTA PER LA SFIDA AL CONGRESSO: LA CARTA DI BERSANI & C.

Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile

RESA DEI CONTI DOMANI IN DIREZIONE

Sfidare Renzi al congresso prossimo venturo (se sarà  convocato prima delle urne) magari con un ticket Roberto Speranza-Enrico Letta, uno per il partito e l’altro per palazzo Chigi; con un occhio a Michele Emiliano come candidato di governo se l’ex premier di stanza a Parigi non dovesse accettare la sfida; accettare di buon grado la scelta di Renzi di dimettersi, «perchè questo è un segnale politico troppo grosso e noi abbiamo interpretato un sentimento vero del paese».
Al contempo provare a sedare le conseguenze di questo cataclisma politico, dimostrando responsabilità  nelle prossime delicate fasi istituzionali.
Bersani e compagni giocheranno così le carte di questa partita, che avrà  inizio martedì in Direzione.
Una partita in cui allo stato non si vedono i contorni, perchè gira pure voce che Renzi si dimetta da segretario, prospettiva che terrorizza molti dei suoi ma che ad altri fa pensare ad una ripartenza da zero come quella della sconfitta alle primarie del 2012 prima della rivincita su Bersani nel 2013.
Ora nel Pd parte la resa dei conti vera, «la vuole la nostra gente che è incazzata nera e vedremo come si arriverà  alle politiche», sibila un big di stretta fede renziana.
Le due fazioni Pd sono già  in guerra, il terremoto è esploso e si propagherà  in periferia.
Bersani è rimasto tutto il giorno a Piacenza a godersi i messaggi di prevista vittoria, mentre i suoi, Miguele Gotor, Roberto Speranza, Nico Stumpo, si godevano gli exit poll a casa di Guglielmo Epifani a Roma.
La prima uscita di Speranza è all’insegna dell’avevamo detto: «Nel campo del No c’è stato un pezzo irrinunciabile del centrosinistra. Noi lo abbiamo rappresentato dentro il Pd. Il risultato che si preannuncia dimostra che eravamo nel giusto».
Dunque da oggi non è più «Matteo deve restare a Palazzo Chigi», perchè va garantita «la stabilizzazione immediata del paese». No: se si dimette fa bene.
Dietro le quinte, va in scena pure un altro film. Tanto per cominciare lo schiaffo pronto per esser rifilato in varie forme al premier suona più o meno così: «Dopo le comunali ti avevamo detto che c’era un problema tra i nostri, non hai fatto niente, se non chiamare i sindacati in zona Cesarini per i contratti, quindi è colpa tua».
Bersani dice chiaro e tondo che «tanti elettori alle urne vuol dire che la gente ha voglia di dire delle cose». E che queste cose vanno capite bene.
Tradotto, ci vuole una «forte politica sociale, bisogna cambiare musica». Subito. Dopo la vittoria e l’uscita dall’angolo, nessuno parla più di scissione, tutti alla riscossa. Con il rischio però di restare isolati nel partito.
I dissidenti Pd oggi si vedranno per fare il punto e si preparano ad una dura lotta nella resa dei conti che andrà  in scena di qui in avanti.
Uno schema influenzato dal timore di esser additati come i colpevoli del disastro, «anche se è meglio essere additati come dei Bertinotti da vincenti che da perdenti», scherza uno di quelli che ha ritrovato il sense of humour.
E dalla paura di aver a che fare con un avversario sempre forte.
Perchè con il 40% dei voti dalla sua, Renzi è un soggetto politico in campo, che ha perso questa battaglia ma che tenterà  la rivincita congressuale.
La centrifuga delle correnti potrebbe riservare sorprese, Bersani e compagni predicano cautela, non si illudono di averla vinta facile, sanno che un ruolo importante per moderare le intemperanze del leader lo giocherà  Franceschini, l’unico in grado di influenzare Renzi grazie al centinaio di parlamentari di cui dispone.

Carlo Bertini
(da “La Stampa“)

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COSI’ IL PD HA ROTTAMATO SE STESSO

Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile

LA VECCHIA GUARDIA HA OTTENUTO IL RISULTATO CHE INSEGUIVA DAL 2013: LA CADUTA DI CHI AVEVA SOTTRATTO LORO GUIDA DEL PAESE E DEL PARTITO

Il Centrosinistra ha vinto ancora.
Per la terza volta è riuscito, con una coraggiosa spallata, a buttare giù un governo di Centrosinistra. Era successo nel 1998 con Prodi. Era risuccesso nel 2008 sempre con Prodi.
Dal giorno stesso in cui Matteo Renzi si era insediato a Palazzo Chigi dopo la non vittoria di Bersani alle Politiche del 2013 e il conseguente governo Letta, gli sconfitti nel Pd, D’Alema e Bersani, hanno lavorato per ottenere il loro risultato: la caduta di chi aveva sottratto loro guida del Paese e del partito.
Risultato ottenuto. E infatti ieri notte brindavano, ridevano, si congratulavano.
Tutto un darsi pacche sulle spalle e ridere di fronte alle telecamere rivendicando la vittoria contro il segretario del loro partito, avendo almeno il buongusto di non nominare nemmeno la questione referendaria, la vittoria era su Renzi: «Voleva rottamarci, è stato rottamato» esultava garrulo D’Alema.
La sostanza è che il Partito Democratico, al di là  di ogni bizantinismo di palazzo, è definitivamente morto, sepolto sotto le macerie di un matrimonio mai veramente avvenuto tra le diverse anime del Centrosinistra.
Da subito è stato molto chiaro come il Referendum non fosse sulla Costituzione, ma un plebiscito pro o contro il presidente del Consiglio. Renzi ha giocato l’azzardo: e l’ha sontuosamente perso.
Naturale che le opposizioni gli votassero contro, un po’ meno (in un’ottica di sanità  mentale) che lo facesse parte del suo partito. Ma tant’è.
Del resto è sempre apparso molto chiaro come per una certa classe politica italiana-europea, diciamo, fosse molto più importante comandare nel partito che governare il Paese.
Al Pd servirà  probabilmente un ultimo congresso. Per decidere se avere un futuro o restare ai margini a godersi i ricordi delle sue grandi vittorie contro i governi di Centrosinistra.

Alberto Infelise
(da “La Stampa”)

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RENZI, DIMISSIONI STUDIATE PER RIMETTERSI IN CAMMINO VERSO LE ELEZIONI

Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile

NUOVO GOVERNO: IN POLE PADOAN E GRASSO

Il corposo voto di “sfiducia” degli italiani lo ha spinto fuori da palazzo Chigi e ora il piano di Matteo Renzi è quello di trasformare la sconfitta al referendum nella sua vittoria alla prossime elezioni Politiche.
Certo, non sarà  facile, ma il progetto è lineare: anzitutto indicare al Capo dello Stato il candidato più gradito per palazzo Chigi e subito dopo, fatto il nuovo governo, Renzi intende «rimettersi in cammino», come ha detto ieri sera nel suo commosso commiato,
Questo significa restare alla guida del Pd, provare ad anticipare il congresso, vincere le Primarie e proiettarsi verso le prossime elezioni come leader del Pd.
Certo, non sarà  una passeggiata, ora nel Pd il boccino passa al nuovo “centro”, formato dagli ex Ppi di Dario Franceschini e gli ex Ds di Andrea Orlando, Maurizio Martina, Matteo Orfini. Proveranno a spodestare il segretario?
Operazione non semplice quella di Renzi, ma proprio a questo tragitto prelude l’uscita da “statista” del premier: mollando senza indugio la sua poltrona, il segretario del Pd intende ricostruirsi una sua “verginità ”.
Esattamente come fece nel 2012, quando fu sconfitto da Pier Luigi Bersani alle Primarie del Partito democratico. E proprio sul discorso di “accettazione della sconfitta”, Renzi costruì la sua rivincita alle Primarie poi vinte contro Gianni Cuperlo. Ecco, perchè ieri notte Renzi ha risparmiato qualsiasi recriminazione nei confronti dei suoi avversari, a cominciare dai suoi compagni di partito.
E alla costruzione del “nuovo” Renzi può contribuire anche quel frammento di commozione che il premier uscente ha manifestato, mentre ringraziava e salutava moglie e figli.
Commozione sicuramente autentica, ma che colma uno dei deficit di immagine di Matteo Renzi, leader senza anima, che in questi mesi ha provato ad affettare emozione in circostanze drammatiche. Ma senza mai riuscire a restituire l’immagine di leader “umano”, come invece gli suggerivano i suoi consiglieri.
Matteo Renzi questo pomeriggio si dimetterà  e probabilmente indicherà  al Capo dello Stato le preferenze sue e del Pd per il prossimo inquilino di palazzo Chigi.
Senza terremoti finanziari, il favorito resta il presidente del Senato Pietro Grasso, soluzione “naturale” in quanto seconda carica dello Stato.
Un’altra incognita riguarda la squadra di governo. Un esecutivo-fotocopia verrebbe vissuto da Renzi come un affronto: ecco perchè è possibile che si vada verso qualche ricambio: Dario Franceschini potrebbe assumere il decisivo dicastero delle Riforme, mentre un avvicendamento potrebbe investire il ministero dell’Interno e dell’Università .

Fabio Martini
(da “La Stampa”)

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I SOCIAL RUSSI ESULTANO: “IN ITALIA HA VINTO PUTIN”

Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile

IL POPOLO DEL WEB CREDE CHE IL PRESIDENTE POSSA INFLUENZARE LE ELEZIONI IN EUROPA E IN AMERICA… E FESTEGGIA

Il senatore Alexey Pushkov è il primo a twittare quello che in molti si chiedono: «La sconfitta del governo Renzi può portare all’Italexit o all’uscita dall’euro, l’Ue sta vivendo tempi difficili».
I giornali e le agenzie principali mantengono un tono distaccato, limitandosi al massimo a dare parecchio risalto alle critiche della Lega e di Forza Italia.
L’agenzia governativa Ria Novosti nella cronaca del referendum, per esempio, cita tutte le accuse di «scandalose» irregolarità , inclusa la storia delle matite copiative, e arriva alla conclusione che in Italia si respira «una grande tensione politica».
Sui social impazza una tifoseria da calcio: «Putin ha vinto in Italia», «Un calcio agli europei».
Il popolo del web russo sembra credere per primo all’idea che il presidente russo manipola l’esito del voto in Europa e America, e i pochi appassionati di politica che nel cuore della notte seguono le notizie sperano che ora l’Italia abolirà  le sanzioni contro Mosca e riconoscerà  l’annessione della Crimea.
Fantapolitica da tastiera, che però è sintomatica di un clima, mentre la sortita di Pushkov – giornalista televisivo di spicco e presidente della Commissione del Senato russo per la politica delle informazioni – viene letta da molti osservatori come un’anticipazione delle strategie del Cremlino.
Dall’inizio della crisi ucraina, ormai tre anni fa, la diplomazia russa ha cercato l’anello debole in Europa, scommettendo ora sulla Grecia, ora sull’Ungheria, ora sugli ambienti tradizionalmente filorussi del grande business tedesco.
Ma nè Tsipras, nè Orban hanno osato andare contro Bruxelles, pur stringendo rapporti privilegiati con Mosca.
Matteo Renzi in Russia non era visto affatto come un leader ostile, e c’è chi racconta che la sua apparizione al Forum economico di Pietroburgo avesse impressionato molto favorevolmente l’èlite russa, «giovane, dinamico, brillante e parlava a braccio», racconta uno dei partecipanti.
E il realismo della diplomazia di Mosca non le concede troppe speranze su una drastica svolta filorussa dell’Italia in seguito alla risalita delle quotazioni di Lega e dei berlusconiani.
Ancora prima di contare eventuali guadagni e perdite, le fazioni conservatrici che gravitano intorno al Cremlino preferiscono incassare un altro punto a favore della loro narrativa su un’Europa ipocrita e manipolata dai poteri forti e dagli americani, con il popolo che si ribella all’oppressione.
Che poi è il vero tratto che accomuna il Front National, la Lega e i fautori del Brexit, e Izvestia due giorni fa ha pubblicato un articolo sulla «svolta a destra» imminente dell’Europa flagellata dalla globalizzazione, con interviste a Salvini, il leader xenofobo olandese Geert Wilders e la deputata di Alternative fur Deutshland Beatrix von Storch.
Una (anti) Internazionale eterogenea, i cui emissari sono spesso ospiti graditi a Mosca, che però nello stesso tempo si mostra abbastanza preoccupata da uno scenario di caos europeo che metterebbe a rischio molti rapporti consolidati, diplomatici e imprenditoriali, della Russia.

Anna Zafesova
(da “La Stampa“)

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LE DUE STRADE PER MATTARELLA: UN BIS DI RENZI O ALTRO GOVERNO SUPPORTATO DAL PD

Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile

TUTTO DIPENDE DALLE INTENZIONI DEL PREMIER USCENTE

Al Quirinale Sergio Mattarella riceverà  Renzi, dopo il Consiglio dei ministri, con l’idea innanzitutto di capire le sue reali intenzioni.
Perchè il discorso delle dimissioni pronunciato a palazzo Chigi lascia parecchi margini di ambiguità . E prefigura una situazione inedita, che ha già  “rottamato” l’ipotesi di scuola, quella cioè di rinviare il premier alle Camere per verificare se c’è una maggioranza.
Le dimissioni scandite dal premier sono evidentemente “irrevocabili”, frutto di una botta superiore alle aspettative, di Renzi ma anche del capo dello Stato.
Il premier non ha chiarito, nel suo discorso a caldo, nè come ha intenzione di garantire una stabilità  del Paese di fronte alla delicata crisi che si apre – limitandosi a dire che sarà  approvata la legge di bilancio, ma non facendo cenno a un nuovo governo – e sulla legge elettorale ha sfidato i vincitori su cui grava “l’onere della proposta”. Capire le reali intenzioni del premier significa, per il capo dello Stato, capire in primo luogo se è disposto ad accettare un secondo mandato, in nome di quella stabilità  che al Colle viene ritenuta un’esigenza primaria.
È il leader del partito di maggioranza, ha una maggioranza in entrambi i rami del Parlamento: contro Renzi è impossibile dar vita a un nuovo governo, per numeri e logica, quindi se il premier evitasse di drammatizzare e accettasse di proseguire renderebbe tutto più facile sul Colle più alto.
Se non accettasse comunque spetterebbe al segretario del Pd l’onore della proposta. Chi ha raccolto gli umori del capo dello Stato la mette così: “Mattarella pensa che o si va avanti con Renzi o comunque col Pd”.
Questa crisi inedita è anche la prima vera verifica del rapporto tra Mattarella e Renzi, tra lo stile discreto e notarile di un capo dello Stato che non ha mai vissuto il suo mandato come “regista” e il premier che, dopo la botta, ha fatto il discorso di chi si sottrae, quasi non avesse l’onore della proposta: di governo, di legge elettorale.
Si sottrae al punto che nel palazzo rimbalza la domanda su cosa vorrà  fare martedì, se dimettersi anche da segretario del partito o meno. Ecco.
Se al Colle si preparano a gestire le prime consultazioni del settennato, è avvolta da una nuvola di incertezza come vorrà  affrontarle Renzi. E se, appunto, alle consultazioni salirà  Renzi.
Da parte del capo dello Stato, di fronte alla gestione irrituale dell’attuale inquilino di palazzo Chigi, vietato attendersi colpi di teatro.
Il protagonismo imposto dalle circostanze si esprimerà  in un rispetto notarile della prassi che prevede un rapporto col Parlamento. Il che significa che al Quirinale escludono “governi del presidente”, intesi come soluzioni nate sotto la regia del Colle e in un certo qual modo calate dall’alto:
“Andare avanti col Pd – prosegue la fonte – significa che il governo deve essere un governo che il Pd sostiene. Padoan? Uno del Pd? Deve essere sostenuto dal Pd, in modo organico”.
E qui finiscono le certezze di questa crisi inedita e con due linguaggi, quello di Renzi e quello di Mattarella. In attesa del colloquio nel pomeriggio di oggi

(da “Huffingtonpost“)

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UN NO PIÙ GRANDE DI RENZI, OGGI A LUI, MA DOMANI A CHI CI SARA’ AL SUO POSTO

Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile

E’ SCONTENTO, E’ AMAREZZA, E’ VOGLIA DI ROVESCIARE IL TAVOLO. E’ UN NO APPUNTO

Matteo Renzi ha lasciato Palazzo Chigi. È il primo effetto visibile della massiccia ondata di voto popolare contro la sua riforma costituzionale.
Parleremo tanto nelle prossime ore di queste dimissioni, del ruolo che l’ex Premier giocherà  o meno dentro o fuori il Pd, con o senza il Pd.
Eppure, per quanto rilevante sia stato e sarà , il destino di Matteo Renzi non è il centro di quel che è successo.
Il voto uscito dalla urne fa cambiare pagina all’intero paese, è un avvertimento lanciato all’intera classe dirigente, e continuerà  a risuonare anche al netto della presenza a Palazzo Chigi di Renzi.
I numeri sono espliciti. È andato a votare quasi il 70 per cento degli elettori, una percentuale che ci fa tornare indietro alle elezioni politiche del 2013, quando votò il 75 per cento. Infatti, una voglia politica come quella del 2013 ha spinto l’affluenza – tanti elettori, troppi, per bocciare una riforma.
Il No è troppo numeroso, troppo consistente, per essere semplicemente una rivolta contro il governo o contro un uomo solo al comando.
Certo, questo massiccio rifiuto schianta la gioiosa macchina da guerra di Palazzo Chigi, la meravigliosa narrativa del governo che funziona si rivela una fragile bolla bucata dall’amarezza dello scontento di chi invece non pensa affatto che le cose vadano bene.
Matteo Renzi paga quello che molti gli avevano ripetutamente indicato come il tallone d’Achille del suo governo: la mancanza di un rapporto forte con il paese, con gli strati sociali più umili, con la vita reale.
Ma questa mancanza di rapporto fra governo e politica, rimane lì anche ora che Renzi lascia Palazzo Chigi.
Dentro il risultato elettorale, il primo con carature nazionali e politiche dal 2013, come si diceva, c’è una pressione per tutta la classe politica.
Se quel 60 per cento di No fosse solo la somma di tutti i partiti e le organizzazioni confluite nel fronte antiriforma, i risultati sul territorio avrebbero avuto variazioni interne, coloriture diverse là  dove passano le linee partitiche.
È stato invece un rifiuto la cui latitudine comprende Nord e Sud , Est ed Ovest del paese, classi sociali diverse.
In questa sua omogeneità  rende evidente che il filo conduttore identicamente vincente in tutte le regioni d’Italia, è scontento, è amarezza, è voglia di rovesciare il tavolo, è un No, appunto.
A Renzi oggi, ma anche a chi ci sarà  domani al suo posto.
In questo senso il voto italiano somiglia quasi esattamente al voto di rivolta dei ceti sociali dimenticati contro la Brexit e contro la Clinton.
Vi lavora dentro la stessa sfiducia, lo stesso distacco che opera dentro tutte le altre democrazie occidentali.
Matteo Renzi sapeva, capiva bene l’esistenza di questo malessere. Da qui la sua campagna contro la casta, contro il passato, contro i vecchi e contro la politica che non cambia mai; ma nemmeno lui ha saputo intercettare questa rivolta silenziosa ed è finito respinto come altri leader in altri paesi.
La conclusione (almeno per il momento) del suo percorso, tuttavia non mette fine al malessere. E se i partiti, incluso il Pd, si illuderanno che la caduta del Premier è il ritorno alle cose come erano prima dell’arrivo sulla scena del sindaco di Firenze, sono destinati a una pessima, e ancora più accelerata, fine.
Dentro il No c’è una richiesta a tutti di tornare con i piedi per terra. Di far camminare quei piedi, di riprendere ad ascoltare, di prestare attenzione, di rimettere al centro della gestione della cosa pubblica il popolo e non le sue rappresentazioni immaginarie.
Un invito che vale anche per il M5s che nel suo programma vuole il rovesciamento delle relazioni fra politica e cittadino, ma che in pratica finora non è mai riuscito ad uscire dalla vaghezza.
Si tratta di ricostruire la politica nell’era del suo rifiuto. Un compito enorme, che, fuori di paradosso, solo la politica può portare a termine.
A patto che comprenda e accetti e attraversi il suo rifiuto.

Lucia Annunziata
(da “Huffingtonpost”)

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CACCIARI: “RENZI E’ UN ANIMALE POLITICO, FARA’ UN SUO PARTITO E SI PREPARERA’ ALLE ELEZIONI DEL 2017”

Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile

“HA SBAGLIATO A PERSONALIZZARE, E’ STATO UN MEGALOMANE, COSI’ HA COALIZZATO TUTTE LE OPPOSIZIONI”

È netto e impietoso il giudizio di Massimo Cacciari sul successo del No al referendum .”La responsabilità  di questo risultato – dice in una intervista a a Repubblica – è al 99 per cento del presidente del consiglio Renzi e della sua scriteriata presunzione. Ha creduto che il referendum sulla riforma costituzionale fosse il terreno buono su cui porre la propria egemonia. Ha perso la scommessa, ma ha così condotto il paese in una situazione di grande difficoltà “.
Professor Cacciari, dimissioni inevitabili per Renzi
«Renzi non ha più in alcun modo l’autorevolezza per essere la guida del paese, ma nel senso che occorre approvare la legge di stabilità , quindi fare la legge elettorale e trovare il consenso presso le attuali opposizioni. E non credo che Grillo sia disposto a concedere un’unghia… ».
Quale è il suo stato d’animo?
«Sono preoccupato, preoccupatissimo, perciò dicevo di votare Sì al referendum. Ma con le “capre pazze” è impossibile ragionare. E la prima è il presidente del consiglio che ha condotto questa battaglia referendaria con istinti suicidi ».
Non doveva personalizzare?
«Personalizzando come ha fatto, ha coalizzato tutte le opposizioni trasformando il referendum sulla Carta in un referendum su di sè. Se l’avesse condotta pacatamente questa campagna, senza la propaganda faraonica su tutte le reti della tv di Stato, il risultato sarebbe stato diverso».
Quanto al futuro del presidente del Consiglio, Cacciari non reputa finita la sua carriera politica
“È un animale politico, non rinuncerà  alla lotta politica. Si preparerà  a sua volta per le prossime elezioni. Farà  il partito di Renzi. In Italia c’è stata una legge sul divorzio e nel Pd lo capiranno: Renzi si farà  il suo partito, gli altri il loro e potrebbe essere la soluzione ragionevole per rilanciare il centro sinistra: da un lato il patto di centro con Renzi e Ncd, all’altro la sinistra. La profezia è per una legge proporzionale con sbarramento del 3%, e debolissimo premio di coalizione. Un paese che s’impegna va a votare e dice che questo premier non va”.

(da “Huffingtonpost”)

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I COMMENTI DELLA STAMPA ESTERA

Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile

FT: “PROBLEMA BANCHE, MPS IN PRIMIS”…LE FIGARO: “L’ITALIA RIPIOMBA IN UN PERIODO DI INCERTEZZA”

La notizia della sconfitta del Sì al referendum con le successive dimissioni di Matteo Renzi campeggia su tutte le principali prime pagine e homepage dei giornali di tutta Europa.
I leader dell’Ue non hanno dormito stanotte, si legge in una analisi della Bbc sulle preoccupazioni di Bruxelles dopo le dimissioni dell’ultimo premier di sinistra in Europa. Angela Merkel in Germania è troppo preoccupata a gestire la crisi, mentre la Francia è in balia degli euroscettici del Front National.
L’Italia invece “si sveglia stamani sotto le minacce di una crisi bancaria, disordini politici, e un gruppo di populisti anti-sistema pronto a bussare alle porte del governo. Eurozona e Ue sono avvertiti”.
Anche l’analisi del Guardian punta sui venti di populismo nel nostro Paese. Il quotidiano britannico evidenzia la reazione sui social del segretario della Lega Matteo Salvini, che scrive “Viva Trump, viva Putin, viva Le Pen e viva la Lega!”.
Il Guardian esprime preoccupazione, perchè le dimissioni di Renzi arrivano in un momento in cui il Paese “sta gestendo una serie di grandi questioni che non erano sulla scheda elettorale: la crisi migratoria in cui si sente abbandonata dall’Europa, una crisi bancaria non risolta, la disoccupazione, il debito al 132% del Pil, con nessuna soluzione in vista”.
“La più immediata e concreta preoccupazione – avverte Tony Barber sul Financial Times – riguarda il settore bancario. Il risultato del referendum mette in discussione la possibilità  che Monte die Paschi, la terza e più fragile bbanca italiana, possa portare a termine l’aumento di capitale da 5 miliardi programmato per dopo il voto”
“Ora è tempo di Italexit”. Titola così il tabloid Daily Mail nell’apertura del suo sito dedicata al risultato del referendum costituzionale, che domina tutti i media britannici. I giornali, in particolare quelli popolari, fanno un parallelismo col voto sulla Brexit che ha sancito lo scorso giugno l’uscita del Regno Unito dall’Ue ipotizzando ora un addio dell’Italia all’euro.
Ironico è invece il Sun di Rupert Murdoch, che esordisce con un secco “Ciao Matteo”, rivolto al dimissionario presidente del Consiglio Matteo Renzi. Tutte le testate puntano sulle conseguenze a livello europeo della crisi di governo innescata in Italia e l’avanzata, che pare ormai difficilmente arrestabile, dei movimenti populisti.
I giornali francesci: spettacolare rottamazione di Renzi.
“Spettacolare rottamazione per il presidente del Consiglio italiano sulla riforma costituzionale”. Così il sito di Liberation commenta la sconfitta di Matteo Renzi al referendum costituzionale sottolineando che “l’Italia ripiomba in un periodo di incertezza”.
Per Le Monde, “Renzi aveva fatto del referendum sulla riforma costituzionale un fatto personale. E’ stato costretto a riconoscere la propria sconfitta dopo la bocciatura massiccia del suo progetto da parte degli elettori italiani”.
“Matteo Renzi si dimette dopo la bocciatura della sua riforma costituzionale”, scrive Le Figaro sul suo sito. “Le dimissioni aprono un periodo di incertezza sia politica sia economica in Italia – sottolinea il quotidiano francese – Dopo lo shock della Brexit e la crescita dei movimenti populisti, una nuova fase di instabilità  nella terza economia della zona euro è possibile. Un governo tecnico, come l’Italia ha conosciuto diverse volte, dovrebbe essere rapidamente nominato. Diversi nomi già  circolano per assumere la guida di questo governo, fra questi quello del ministro delle Finanze, Pier Carlo Padoan, allo scopo di rassicurare i mercati”.
Media tedeschi
Italia nuovo stress test per la Ue. È soprattutto sulle edizioni online dei quotidiani che si sviluppa in Germania il dibattito sull’esito del referendum in Italia, dati gli orari di chiusura tradizionalmente anticipati delle edizioni cartacee rispetto al resto d’Europa. “Renzi regala all’Europa il prossimo stress test” è il titolo della Frankfurter Allgemeine Zeitung online, che nota come “il fallimento del tentativo del premier e le sue dimissioni possono dare spinta ai populisti anti-Ue”.
“Con il voto non è solo fallita in maniera spettacolare la riforma della Costituzione ma l’intero progetto politico di Renzi”, scrive la Zeit online, sottolineando come le annunciate dimissioni del premier ne siano l’inevitabile conseguenza.
Di “nuovo, grave shock per la statica dell’Europa” parla anche Die Welt che teme l’ascesa dei 5 Stelle e il loro desiderio di voler proporre “un referendum sull’uscita dell’Italia dall’euro”. Ma il giornale conservatore critica anche l’Europa:
“Matteo Renzi era un motore di cui il continente aveva più che mai bisogno dopo la Brexit, ma l’Europa lo ha lasciato appeso”, scrive la Welt.
Anche la Bild online si chiede se “l’Europa può sopportare lo shock italiano” o se per il continente si apre “una nuova prova”, ma il tabloid osserva come per il momento “non ci sia stato alcun terremoto sui mercati finanziari”.
Per lo Spiegel online “l’Italia e l’Ue sono di fronte a tempi tempestosi”, e osserva che “il risultato del referendum e l’alta partecipazione al voto dimostrano che gli italiani sono estremamente insoddisfatti del loro Stato e delle loro èlite”, mentre “la lunga crisi ha divorato il ceto medio”.

(da agenzie)

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