Dicembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
TREDICI MILIONI E MEZZO DI VOTI TRA ELETTORI DEL PD E “OBIETTORI” DI ALTRI PARTITI: NON TUTTI VOTERANNO RENZI, MA E’ UNA FORTE BASE DI PARTENZA… E NON E’ ESCLUSO CHE POSSA RECUPERARE VOTI TRA ELETTORI DI SINISTRA CHI HANNO VOTATO NO
Ripartire da un numero magico. Da quel 41 per cento (40,89 per la precisione) che, associato all’esito referendario, è sconfitta, ma traslato in un’elezione politica può trasformarsi magicamente in una vittoria.
Le ambizioni di Luca Lotti, braccio destro di Matteo Renzi, sono concentrate in quella cifra.
Ma devono passare al vaglio di un paio di domande: chi sono quei 13 milioni 432 mila cittadini che hanno votato Sì?
E perchè hanno messo la crocetta sul Sì?
«Renzi ha ragione a pensare di ripartire da quel dato – sostiene Roberto Weber, di Ixè –. Perchè il fronte del No è composto da diverse famiglie politiche, che finiranno per dividersi dopo il voto. Invece il fronte del Sì condivideva un progetto, un’istanza di modernizzazione. Se da una parte c’è stato un voto fortemente antirenziano, più che anti-riforma, dall’altra forse non si può parlare di voto renziano, ma filo renziano sì».
Weber avvalora la sensazione con un dato: «La fiducia in Renzi, nel 41 per cento di Sì, è pari all’80 per cento. Mentre nel No era al 7 per cento. Da qui a traghettare quei voti ce ne passa, ma è un buon punto di ripartenza».
Ce ne vuole, a traghettare quei voti, perchè le variabili in campo sono tante: quando si andrà al voto, con quale legge elettorale e con quali alleanze.
Ma intanto, nel disastro della sconfitta, si può provare a vedere il bicchiere mezzo pieno. Anche se gli avversari di Renzi non concedono un millimetro.
Massimo D’Alema, per esempio, giudica «folle» pensare che quella cifra si possa identificare con un Pd a trazione renziana.
E fa un esempio: «Nel referendum della scala mobile, il Pci prese il 45,7 per cento. Alle Politiche, poi, prese il 27 per cento».
Lo stesso esempio ripreso ieri da Pier Luigi Bersani. Parallelo calzante, ma fino a un certo punto.
Perchè nel Sì del 1985 c’era il Pci ma c’erano altri partiti che valevano un 10 per cento elettorale (Democrazia proletaria, Verdi e Msi, a proposito di «accozzaglie»).
E soprattutto perchè le Politiche si tennero ben due anni dopo, nel giugno 1987, con la sconfitta di Alessandro Natta (contro quel Ciriaco De Mita che oggi, paradossi della storia, era al fianco di D’Alema nel No).
Nicola Piepoli è cauto nell’analisi: «Renzi non si può intestare tutti quegli elettori. La realtà è che il Pd ha guadagnato qualcosa e contemporaneamente ha perso le elezioni. Ma Renzi mantiene uno zoccolo duro: di quel 41 per cento, almeno il 25 per cento è del Pd».
Più scettico Pietro Vento, di Demopolis: «Il voto è stato trasversale, una parte degli elettori non ha seguito le indicazioni dei leader».
Anche per Demopolis tre elettori del Pd su quattro hanno votato Sì.
Ma l’istituto ha indagato anche le ragioni di questo voto: il 34 per cento di loro motiva il Sì con l’apprezzamento della riforma, il 25 per dare continuità al governo Renzi, il 41 per entrambe le ragioni.
C’è un ultimo dato utile: «Se si votasse ora per la Camera – secondo l’ultimo Barometro politico – il Pd otterrebbe il 32 per cento dei voti. In voti reali, avrebbe circa 10 milioni di voti».
Dati da prendere sempre con l’inevitabile contrappeso della cautela, causa troppe variabili in gioco.
Alessandra Ghisleri mette in fila qualche cifra sui leader del Pd: «Veltroni nel 2008 prese 12 milioni di voti; Bersani, alle Politiche del 2013 scese a otto milioni e mezzo. E Renzi alle Europee superò gli undici milioni di voti».
Ora, il punto è proprio capire quanti dei 13 milioni e rotti di Sì si possono associare a Renzi. Sicuramente dalla quota Pd vanno detratti i voti di Alfano, Casini, dei forzisti disobbedienti e persino di un 10 per cento di 5 Stelle.
Ma resta un gruzzolo considerevole: «I voti non sono mai di proprietà di nessuno – sostiene Ghisleri –. E in tempi di volatilità come questi, ancora meno. Però è vero che Renzi si è giocato il tutto per tutto. E molto consenso era personale».
Quindi, sarebbe giusto ripartire da qui? «Più che ripartire, direi, capitalizzare questi voti. Fidelizzare questi elettori a un progetto»
Anche perchè occorre capire se dopo la sconfitta, si vorrà ancora dar credito a Renzi. Weber aggiunge un elemento: «In questo referendum, molti No erano motivati con la ragione di difendere la Costituzione, con una retorica molto di sinistra. Ma quel clima non ci sarà alle Politiche. E quindi una parte del No potrebbe riaggregarsi a un Pd a guida renziana. È un’operazione rischiosissima. Ma Renzi è incredibile: un vero giocatore d’azzardo».
Il 5 dicembre ha perso l’azzardo, ma la partita potrebbe non essere finita.
Alessandro Trocino
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
METODI DEMOCRISTIANI PER CERCARE DI RINVIARE IL VOTO
Il fuoco della crisi si è acceso. E sarà un fuoco lento, molto lento, per far maturare elementi di novità nel pentolone del Pd.
E anche nel pentolone degli altri partiti, soprattutto in Forza Italia.
Con quell’idea di scongiurare le elezioni “immediate” e di portare il paese al voto in modo ordinato, e non con due leggi elettorali diverse per Camera e Senato, di cui una sub judice della Corte.
È questo l’approccio con cui Sergio Mattarella si appresta a gestire la sua prima crisi di governo al Colle. “Far maturare elementi di novità ” nei partiti.
Colloquio breve con Renzi, in cui il premier ha parlato poco. Consultazioni lunghe, con 25 sigle che saliranno al Colle fino a sabato.
E chissà se è un caso ma, proprio oggi, MPs, il cui primo azionista è il Tesoro, ha chiesto alla Bce una proroga per l’aumento di capitale fino al 20 gennaio, perchè il fatto che non ci sia un governo complica i piani.
Una richiesta che certifica la sensazione che l’incertezza da assenza di governo possa prolungarsi a lungo, appunto.
Ed è una consultazione nella quale sarà presa molto sul serio quell’invito a un “governo di responsabilità ” di cui ha parlato il premier.
Con l’idea però di realizzarlo, non di farlo fallire. Un ormai ex ministro spiega, a microfoni spenti: “Renzi scommette sul fallimento delle larghe intese, per dire: resto io dimissionario e vado al voto. O mettere Gentiloni e andare al voto gestendo ancora palazzo Chigi. Mattarella auspica un governo, sia pur senza forzare e nel rispetto delle volontà dei partiti”.
Il tempo serve a favorire che, nel frattempo, nel Pd maturi una discussione facendo emergere il malessere, o i distinguo rispetto alla linea di Renzi che ci sono.
Perchè, al netto dei fedelissimi serpeggiano dubbi tra i turchi se, ad esempio, Orlando considera un’avventura le elezioni anticipate.
O se c’è inquietudine anche nel gruppo cattolico di Delrio.
“Far maturare” significa che, magari, al termine del “primo giro di consultazioni” sarà dato un incarico a un esploratore. E poi si farà un primo punto. E c’è una grande attenzione, al Quirinale ma non solo per quel che farà Berlusconi.
Perchè è chiaro che è lui l’unico, vero, possibile elemento di novità per rendere possibile il tentativo, dal momento che Salvini e Meloni da un lato, Grillo dall’altro già chiedono “elezioni subito”.
E c’è un motivo se Silvio Berlusconi si presenterà assieme ai capigruppo alle consultazioni, almeno così ha fatto sapere, proprio quando il vulcanico Brunetta ha iniziato a dichiarare “mai un governo”.
Mai è una parola che nel vocabolario dell’ex Cavaliere non esiste.
Esiste il “dipende” dall’offerta anche perchè l’ex premier considera le elezioni anticipate con Salvini e la Meloni una calamità , che lo mette di fronte a tutti i nodi irrisolti del centrodestra, dalla questione delle primarie alla leadership.
E l’offerta su cui andare a vedere è la legge elettorale proporzionale. Legge che, anche nel Pd, ha parecchi estimatori. E che, a livello parlamentare, può piacere anche ai Cinque Stelle.
Ecco, “far maturare”.
Nell’antica sapienza democristiana, ciò che è impossibile oggi, non lo è per sempre. Attenzione però. Sarebbe sbagliato leggere questa manovra come una manovra contro Renzi, per archiviarne la stagione.
È un tentativo per favorire una stabilità che consenta di rendere coerente il sistema di voto, dopodichè nulla vieta di andare a votare in primavera.
Il che significa che se maturasse, nell’animo del premier, la volontà di accettare un incarico, sarebbe una ottima soluzione.
Ma così, al momento, non pare proprio.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
SOLO BOCCIA SFIDA LA BASE RENZIANA E SI PRENDE UNA SCARICA DI URLA E FISCHI
“Monetine? No, non lanciamo monetine anche perchè non le abbiamo. Ma Renzi deve mandare
via la minoranza”.
Una renziana della prima ora, appostata sotto la sede del Pd prima dell’inizio della Direzione, aspetta il premier dimissionario per applaudirlo e per chiedergli di restare segretario del Pd.
Nello stesso tempo però una cinquantina di persone si sono radunate per contestare i democratici “che hanno voltato le spalle al partito” votando No alla riforma costituzionale.
Sono pronti a farsi sentire, ma la gran parte della minoranza dem entra dall’ingresso secondario e non si fa vedere.
Pier Luigi Bersani a bordo della sua auto dribbla i manifestanti appostati a largo Nazareno. Stessa mossa viene messa in atto da Roberto Speranza e Guglielmo Epifani che evitano l’entrata principale.
Anche Davide Zoggia, presente alla riunione della Direzione, riesce ad evitare i fischi. Solo il presidente della commissione Bilancio Francesco Boccia non si sottrae alle proteste: “Andate via, andate via, a casa, vergogna”, urla la folla mentre si sente anche qualche fischio.
Proteste anche al passaggio del bersaniano Nico Stumpo. “Elezioni, elezioni”, è invece il grido che si leva – con qualche applauso – al passaggio di Gianni Cuperlo, che nelle ultime settimane si è allineato al partito e al quale qualcuno ha detto: “Continua cosi'”.
Poco prima era stato invece l’esponente della maggioranza Emanuele Fiano a intrattenersi con alcuni militanti che gli chiedevano di andare subito alle urne: “Noi dimostriamo al Paese che abbiamo senso della responsabilità , adesso vediamo gli altri”.
Boccia tuttavia replica a chi poco prima lo ha contestato: “Io ci metto sempre la faccia e non intendo iniziare adesso a passare da una porta secondaria per entrare nella sede del mio partito a causa di ultrà che non vogliono il congresso. È lesa maestà ? Pazienza, ce ne faremo una ragione. Io voglio solo il congresso come tanti altri democratici”.
Ma i peones continuano ad esporre cartelli con su scritto: “Renzi resta segretario”.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
PECCATO CHE SU EUROPA, EURO, IMMIGRAZIONE, DIFESA E RELAZIONI INTERNAZIONALI IL M5S NON ABBIA UNO STRACCIO DI POSIZIONE… MA ORMAI I VOTI SI PRENDONO SENZA AVERE IDEE PRECISE, COSI’ NON SI SCONTENTA NESSUNO
Barra a destra. Beppe Grillo è un uomo perfettamente adeguato al disordine che gli sta attorno. Lo capisce più degli altri e ci si trova decisamente a suo agio.
Non è un caso se nel secondo giorno del velenoso dibattito sulla vittoria del No, decide di aprire il suo blog con una analisi sul Vecchio Continente prodotta dal «Social Justice Index»: «118 milioni di europei sulle soglie della povertà ».
Il tema è destinato a diventare il tormentone della campagna elettorale
Che cosa dice il Social Justice Index? Questo: «È in costante crescita il numero di cittadini europei che, nonostante abbiano un impiego a tempo pieno, sono a rischio povertà . Specie nell’Europa del Sud».
Per vivere non è più sufficiente trovare un impiego. E se i datori di lavoro impongono salari sempre più bassi è perchè le norme lo consentono. Il sistema ha messo la retromarcia.
Dibattito che dovrebbe essere particolarmente caro alla sinistra europeista e che invece è diventato territorio di pascolo delle destre pseudo-sovraniste, in un ribaltamento insensato che Grillo ha intuito con largo anticipo.
Se hai capito il problema non è detto che le tue ricette per risolverlo siano giuste, ma per lo meno puoi recapitare un messaggio chiaro agli elettori: io vi ho visto. La Brexit e l’elezione di Donald Trump sono nate così.
E così si spiegano, in parte, anche le dichiarazioni, poi rettificate, del pentastellato bolognese Max Bugani, che aveva alluso a un’alleanza parlamentare con Lega Nord e Forza Italia, o quantomeno alla richiesta di un appoggio esterno, per dare una spallata definitiva al sistema e andare al voto di gran carriera.
Anche Luigi Di Maio si è preso la briga di negare l’eventualità – «non ci alleiamo con nessuno» – però Bugani non è un 5 Stelle qualunque, ma uno degli uomini più vicini a Davide Casaleggio e forse non ne interpreta letteralmente il pensiero, ma certamente ne conosce gli umori.
Sin dall’inizio il Movimento cerca una complicata sintesi tra la spinta alla globalizzazione imposta da quelle tecnologie che sono alla base del suo successo e la possibilità di rivendicare il diritto alla diversità , con il rafforzamento di spinte di tipo particolaristico.
Il livello teorico è complesso, quello pratico un po’ meno: le fasce sociali più deboli si sentono più tutelate a destra. Chiariamo che siamo là anche noi. Come farlo senza perdere tutta quella parte di sostenitori che alle origini del movimento erano stati attratti dalle battaglie sull’acqua pubblica o sul consumo del suolo (vale a dire sinistra ultra classica)? Ad esempio mettendo l’energia al primo punto del nascituro programma.
Un tocco verde da Austria Felix su un quadro identitario indefinibile.
Dopo tre anni in Parlamento non è ancora chiaro che cosa voglia il M5S dal futuro. Europa, euro, immigrazione, difesa, relazioni internazionali. Buio totale.
Ma per governare sarà necessario dirlo.
Il post di Grillo si conclude ricordando che: «In Grecia, Italia, Spagna e Portogallo un bambino su tre è a rischio di povertà ». Sotto testo: voi da che parte state, con i buoni o con i cattivi?
E se la riga successiva non dicesse: «Fai una donazione a Rousseau», cioè al sito, sarebbe tutto un filo più elegante.
Ma siamo ai dettagli, perchè dalla parte opposta c’è il Pd, ovvero un partito abituato a ringraziare senza gratitudine e a soffermarsi sui problemi degli altri con uno sguardo tutto intelletto e niente sentimento.
Giocare con loro è facile. E i 5 Stelle si limiteranno ad aspettare la fine della direzione di oggi prima di riunirsi per imbastire una strategia di riflesso.
Una strategia che, al di là dei proclami, sarebbe più facile da preparare se le urne si aprissero dopo l’estate.
Ipotesi non peregrina considerato che il 15 settembre del 2017 scatterebbe la pensione per 608 onorevoli e senatori, vale a dire i due terzi del parlamento.
Così se anche Berlusconi, Salvini e Renzi, che nel Palazzo non ci sono, volessero il voto subito, come lo spiegherebbero ai loro peones?
Andrea Malaguti
(da “La Stampa”)
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Dicembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
CON FICO STANNO GLI ORTODOSSI, FEDELI ALLA ORIGINI DEL MOVIMENTO… CON IL “DEMOCRISTIANO” DI MAIO I PRAGMATICI CHE PUNTANO AL POTERE
L’ipotesi del voto anticipato ha riacceso le braci nel Movimento 5 Stelle, che tre anni dopo il suo
ingresso in Parlamento all’urlo di “uno vale uno” ora si trova a fare i conti con divisioni interne esplose nei momenti cruciali della vita dei 5Stelle.
Se lo stesso Beppe Grillo, il giorno dopo la vittoria al referendum, ha chiamato i suoi per raccomandare di rimanere uniti un motivo c’è.
Così come è significativo il post apparso sul blog in cui chiarisce, per stoppare cordate e artitri di chi pensa che la squadra sarà imposta dai vertici, che sarà invece la Rete a scegliere il programma e il candidato premier.
Le modalità di voto tuttavia sono ancora in fase di studio.
Il clima rovente che si è creato dall’elezione a Roma di Virginia Raggi fino ad arrivare al caso delle firme false di Palermo non aiuta la corsa 5Stelle verso Palazzo Chigi.
È in queste circostanze, in particolare, che sono venute fuori almeno due correnti: “Non sono fazioni vere e proprie, cioè non c’è una maggioranza e una minoranza, ma sicuramente modi di pensare e di agire differenti”, spiega un deputato molto addentro alle vicende pentastellate.
Tradotto: da una parte c’è l’ala governativa-pragmatica guidata da Luigi Di Maio che punta dritto a Palazzo Chigi e che già sta tracciando la mappa delle poltrone; dall’altra c’è l’ala ortodossa capeggiata da Roberto Fico, fedele al regolamento pentastellato, duro e puro, refrattario a ogni tipo di tattica politica.
Non a caso Fico ha precisato: “Per me quel che conta è smetterla di parlare di singole persone, perchè non sono loro i temi e i programmi del Movimento”.
In sostanza tornare a parlare di “uno vale uno” e non solo di Luigi Di Maio candidato premier anche perchè, lo stesso Fico, non ha escluso una sua discesa in campo.
E la mobilitazione sui territori, in vista del voto della Rete, se ci sarà , è già iniziata.
Sotto accusa, ormai da tempo, c’è l’eccessivo protagonismo e le troppe apparizioni in tv di Di Maio e Di Battista a scapito degli altri parlamentari.
La spaccatura all’interno del Movimento è emersa in modo plastico durante la festa “Italia 5Stelle” a Palermo quando il Direttorio (formato da Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Roberto Fico, Carlo Sibilia e Carla Ruocco) nei fatti non esisteva più, anzi era esattamente spaccato in due parti.
Da un lato Di Maio e Di Battista e dall’altro Fico, Sibilia e Ruocco, questi ultimi tre hanno anche rimproverato al vicepresidente della Camera, durante una riunione fiume che si è tenuta i primi giorni di settembre, un comportamento scorretto nella gestione del caso Roma.
Ovvero l’aver tenuto nascosto al resto del Direttorio una mail in cui gli veniva comunicato che l’assessore Paola Muraro era iscritta nel registro degli indagati.
All’interno del Movimento sono anche i social a dire chi sta con chi.
Ad esempio, senza andare troppo lontano nel tempo, Fico aveva pubblicato su Facebook, nei giorni clou del caso Roma, una sorta di appello a non derogare ai principi base del Movimento.
“Il M5s nasce con uno scopo preciso, non accetta compromessi, non si accomoda per strada. Il M5S è una rivoluzione. E una rivoluzione deve andare fino in fondo, non può essere a metà , perchè le rivoluzioni a metà sono peggio dei partiti politici”.
Un appello che nel giro di poche ore ha ottenuto la “condivisione” di una serie di parlamentari definiti ‘ortodossi’.
Il post del presidente della Commissione di Vigilanza Rai è stato infatti condiviso, tra gli altri, dall’altro componente del direttorio Carla Ruocco, dai senatori Nicola Morra e Paola Taverna, dai deputati Roberta Lombardi e Mimmo Pisano.
Al fianco di Fico ci sono anche, tra gli altri, le senatrici Elisa Bulgarelli e Paola Taverna, e l’ex capogruppo alla Camera Federico D’Incà .
Qualcuno di loro però ha avuto da ridire sull’annuncio di Fico considerato troppo affrettato, dal momento che non si sa ancora quando si andrà a votare.
Comunque sia il leader pentastellato ha più volte provato a ricucire lo strappo e ad accorciare la distanza politica tra Fico e Di Maio, quest’ultimo il favorito come candidato premier e incoronato dallo stesso Grillo e dai vertici di Milano.
Vito Crimi oggi è uscito allo scoperto dicendo che punta su di lui come candidato premier.
Tanti i deputati attorno al leader in pectore da Riccardo Fraccaro ad Alfonso Bonafede passando per coloro che ricoprono incarichi all’interno dell’associazione Rousseau. In questo caos pentastellato c’è Alessandro Di Battista, l’unico considerato in grado di battere Di Maio se i due si dovessero confrontare sul blog a colpi di click.
In questi giorni i vertici, tra Genova e Milano, stanno studiando un metodo per evitare insidie e il trionfo delle correnti.
(da “La Stampa”)
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Dicembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
IL CASO BERDINI E LA DOPPIA MORALE GRILLINA… E STIAMO SEMPRE ASPETTANDO CHE LA RAGGI, CAMPIONESSA DELLA TRASPARENZA, CI SPIEGHI COME HA AVUTO LA CONSULENZA DALLA ASL DI CIVITAVECCHIA SENZA FAR PARTE DEL REGISTRO DEI LEGALI CERTIFICATI
Esautorato. Privato del “dossier stadio”, sul quale l’amministrazione grillina è impantanata da mesi.
Avvisato di sfratto a mezzo stampa: se non fai come diciamo noi, ti cacciamo.
Una velina diffusa ad arte per far capire al diretto interessato che i giochi sono finiti
«L’assessore all’Urbanistica Paolo Berdini potrebbe presto lasciare la giunta Raggi», batte a mezzogiorno l’Adnkronos. Un’indiscrezione senza fonte nè firma, ma con una provenienza certa: il Campidoglio.
«La decisione sarebbe stata presa – prosegue il take – nel corso di una riunione tenuta lunedì sera, alla quale hanno partecipato la sindaca e i suoi più stretti collaboratori».
Rilanciata a stretto giro dall’Ansa, secondo cui «l’assessore sarebbe in bilico, rumors di palazzo Senatorio lo darebbero in uscita»
Un avvertimento chiaro, che suona come un aut aut: o l’esponente meno organico e più indipendente dell’esecutivo grillino la pianta di far sempre di testa sua e si adegua alle indicazioni del Movimento, oppure può già considerarsi un ex.
Lui, al lavoro nei suoi uffici all’Eur, cade dalle nuvole: «Non ne so niente e non me ne vado. Sì, ci sono stati dei dissidi, ma nulla che non si possa risolvere», taglia corto al telefono.
Butta giù, furibondo: «Smentite subito o vi sputtano», intima al capo ufficio stampa della Raggi.
La sindaca capisce che butta male, si consulta coi fedelissimi e frena. Il putsch fallisce. Ma non tramonta. Ci vorrà ancora qualche giorno, pare
La crisi di giunta – la seconda in cinque mesi dopo le dimissioni a catena rassegnate a settembre dal capo di gabinetto Raineri, dall’assessore al Bilancio Minenna e dai vertici di Ama e Atac – è dunque solo rinviata.
Avviata però con modalità che la dicono lunga sul clima che si respira sul colle della politica romana
Il blitz matura nella notte tra lunedì e martedì.
Nella piccola Protomoteca si è appena concluso l’incontro dei consiglieri con il Raggio Magico: oltre a Virginia, il vice Frongia, il caposegreteria Romeo, il responsabile del Bilancio Mazzillo; manca solo Marra, ancora in ferie.
Piatto forte: lo stadio della Roma a Tor di Valle. Sono tutti irritati con Berdini (lasciato di proposito all’oscuro del summit), lo accusano di essere troppo autonomo, «decide sempre tutto da solo».
Dallo stop alla riqualificazione delle torri dell’Eur alla prosecuzione della metro C verso Corviale. Ma soprattutto di voler imporre la sua idea sull’impianto giallorosso. Che ha finito per spaccare in due la maggioranza.
Da un lato i supporter dell’assessore, che vorrebbero stravolgere il progetto, autorizzando solo 350mila metri cubi di cemento rispetto ai 650mila previsti; dall’altro, Frongia e i suoi seguaci che, temendo penali, suggeriscono di apportare solo qualche modifica, lasciando sostanzialmente tutto com’è.
Una discussione accesa, alla quale partecipano due avvocati esterni, presentati come amici di Mazzillo: in punto di diritto – spiegano – il via libera dato a suo tempo dall’amministrazione Marino si può revocare.
Lo stesso film delle Olimpiadi. La sindaca ascolta, poi sollecita ai legali un parere scritto, chiedendo di raccordarsi con l’avvocatura capitolina. La quale però ha finora sostenuto il contrario: sullo stadio non si può più tornare indietro.
L’incontro finisce. Raggi si ritira coi fedelissimi. Decide di avocare a sè il dossier: tratterà personalmente con la Roma.
E mette al punto il piano per far fuori l’assessore. Poi sfumato.
Per ora.
Giovanna Vitale
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
I GIUDICI POTREBBERO RITENERE ECCESSIVO IL PREMIO DI MAGGIORANZA AL PRIMO PARTITO
Dopo il rinvio deciso a settembre in attesa del referendum, la nuova scadenza è arrivata: il 24
gennaio la Corte costituzionale deciderà il destino dell’Italicum, la legge elettorale per la Camera dei deputati.
Quel giorno 14 giudici (uno s’è dimesso un mese fa, Giuseppe Frigo di nomina parlamentare, ma non c’è aria che i partiti scelgano il successore in tempi brevi) si riuniranno al palazzo della Consulta e stabiliranno se la riforma è compatibile con la Costituzione.
Quella in vigore dal 1948, non quella del 2016 per la quale era stata pensata, approvata dalla maggioranza del governo Renzi ma bocciata nella consultazione popolare.
Non è una differenza da poco, poichè tra le eccezioni di incostituzionalità denunciate dai giudici ordinari c’è pure la presunta incoerenza tra il sistema scelto per eleggere i deputati e quello utilizzato per designare i senatori, in un ordinamento in cui le due Camere fanno le stesse cose, rimasto intatto dopo la vittoria del No.
Le due differenti leggi elettorali – l’Italicum per Montecitorio e il cosiddetto Consultellum per palazzo Madama, frutto della bocciatura del precedente sistema decretato dalla stessa Corte – potrebbero infatti dare vita a due maggioranze diverse nei due rami del Parlamento che hanno conservato gli stessi compiti; a cominciare dal voto di fiducia al governo.
Con possibili effetti di irrazionalità , che possono diventare sinonimo di incostituzionalità . Perchè, come è scritto nella sentenza numero 1 del 2014 che eliminò il cosiddetto Porcellum, «si rischia di compromettere sia il funzionamento della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, sia l’esercizio della funzione legislativa, che l’articolo 70 attribuisce collettivamente alla Camera e al Senato. In definitiva, si rischia di vanificare il risultato che si intende conseguire con un’adeguata stabilità della maggioranza parlamentare e del governo».
Queste considerazioni hanno un peso non solo sul verdetto che dovrà emettere la Consulta, ma anche sui calcoli politici per un possibile appuntamento elettorale che qualche leader vorrebbe fissare già a febbraio: difficile, se non impossibile, giacchè qualunque sarà la decisione dei giudici costituzionali, dovrebbe essere necessaria una legge, sia pure di poche righe, che renda omogenei i due sistemi. Solo dopo avrebbe un senso chiamare gli italiani alle urne.
Il relatore Nicolò Zanon ha già studiato a fondo le questioni, era pronto a discutere fin da ottobre, ma nel frattempo è arrivata un’altra ordinanza di rimessione dal tribunale di Genova, dove si ribadiscono gli argomenti a sostegno dell’ipotetica incostituzionalità dell’Italicum.
Il più rilevante resta quello del ballottaggio, denunciato come una stortura che viola i principi di uguaglianza del voto e di sovranità popolare.
Anticipazioni non ce ne sono, ma è considerata la parte più in bilico della legge da giudicare; quella che potrebbe saltare con maggiore probabilità .
La Corte infatti non si pronuncerà solo sulla base degli articoli della Costituzione, ma anche delle sue precedenti sentenze in materia.
E sempre la numero 1 del 2014 ha stabilito dei principi dai quali non si può discostare. Per esempio che la governabilità del Paese è un obiettivo che può essere legittimamente perseguito da leggi elettorali che attribuiscano premi di maggioranza, a patto però che non violino troppo o del tutto l’altro principio (di pari rilievo costituzionale) da salvaguardare: «La rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento».
Il ballottaggio previsto dall’Italicum, al quale si accede senza soglie minime, può attribuire la maggioranza assoluta dei seggi a una lista che nel primo turno è arrivata seconda con il solo 25 per cento dei consensi, realizzando una sproporzione che non verrebbe sanata dalla partecipazione popolare al secondo turno.
«Il voto dei cittadini che avessero scelto la lista di minoranza al primo turno – si legge nell’ultima istanza arrivata da Genova – finirebbe, con l’esito del secondo turno, per esprimere un voto di valore più che doppio rispetto a quello espresso dai cittadini che avessero, invece, votato altre liste».
È un’eccezione che i giudici ordinari hanno desunto dalla sentenza della Corte a cui si sono rivolti, e se venisse accolta restituirebbe al Paese un sistema proporzionale pressochè puro.
Dal quale difficilmente si potrebbe ricavare una maggioranza parlamentare in grado di governare.
Questo però non è un metro di giudizio della Corte, bensì della politica.
Giovanni Bianconi
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
LA CORTE POTREBBE DICHIARARE INCOSTITUZIONALI IL BALLOTTAGGIO E I CAPILISTA BLOCCATI, APRENDO UNA FASE ULTERIORE… PRIMA DI MAGGIO NON SI POTRA’ VOTARE
Oggi con quale legge elettorale si voterebbe?
È uno dei problemi aperti. Al momento convivono due leggi elettorali molto diverse tra loro.
Per la Camera, l’Italicum, che prevede un premio al partito che supera il 40% dei voti o vince il ballottaggio.
Per il Senato, il Consultellum, ovvero un Porcellum come fu emendato dalla Corte costituzionale nel 2013.
Quest’ultimo è di fatto una legge proporzionale con le preferenze e con uno sbarramento dell’8%, insormontabile per i piccoli partiti.
Le simulazioni dimostrano che la distribuzione dei seggi favorirebbe il primo partito; una sorta di premio di maggioranza non dichiarato.
Incombe però un nuovo intervento della Corte costituzionale che il 24 gennaio prossimo esaminerà l’Italicum.
Quanto peserà la Corte costituzionale?
Moltissimo. Secondo indiscrezioni, la Consulta si orienterebbe a dichiarare incostituzionale nell’Italicum il sistema del ballottaggio e i capilista bloccati.
Se davvero così fosse, bisognerebbe poi attendere qualche settimana per leggere sulla Gazzetta Ufficiale le motivazioni.
Nel caso del Porcellum, fu necessario attendere un mese. Dopodichè si apre un percorso non facile: secondo alcuni giuristi basterebbe un decreto attuativo per recepire la sentenza; secondo altri, dalle parti di Forza Italia e non solo, sarebbe invece indispensabile una legge vera e propria, con i tempi lunghi che ciò comporta.
È ipotizzabile votare per Camera e Senato con due leggi diverse?
Sì, perchè è la Costituzione stessa a stabilire che si vota con sistemi diversi: per circoscrizioni elettorali o su base regionale. I grillini ipotizzano di fare una leggina per estendere al Senato l’Italicum che verrà .
In conclusione, quando andremo al seggio?
Se anche il Capo dello Stato accettasse di sciogliere le Camere, considerando che le elezioni vanno celebrate nel periodo che va dai 45 ai 70 giorni seguenti, non si riuscirebbe prima di aprile/maggio 2017.
E il 26 maggio si apre il G7 a Taormina.
(da “La Stampa“)
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Dicembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
SUPERATA QUOTA 2.148.000 LETTORI, 29.700 ARTICOLI PUBBLICATI, CENTINAIA DI VISUALIZZAZIONI OGNI GIORNO, 500 FOLLOWERS SU TWITTER, COPERTURA DI 20 GRUPPI SU FB PER CIRCA 300.000 UTENTI… UN BLOG CHE DA NOVE ANNI E TRE MESI FA INFORMAZIONE SENZA PADRONI
Lanciamo, come ogni fine anno, un appello ai nostri lettori, con la premessa che potrebbe essere
l’ultimo, in mancanza di un vostro sostegno concreto.
Nove anni e tre mesi fa abbiamo creato un blog dalla forma “professionale” che copre 18 ore al giorno, sette giorni su sette, con circa 15 articoli ogni 24 ore: tutto questo è garantito solo dal sacrificio personale di pochi che, oltre che a collaborare gratuitamente, devono pure fare fronte alle spese vive per acquisto quotidiani, abbonamenti, manutenzione del sito e rinnovo materiali (circa 5.000 euro l’anno).
Abbiamo raggiunto un successo impensabile, diventando uno dei siti di area più seguiti in Italia e con decine di lettori ogni giorno anche dall’estero, fornendo un servizio gratuito di approfondimento attraverso una linea editoriale coerente.
Se volete metterci nelle condizioni di continuare anche per il 2017, vi chiediamo di darci una mano con un contributo libero per le spese che dobbiamo affrontare ogni mese, non avendo partiti o padrini alle spalle.
Versamenti su ns. postpay potete farli velocemente sia da ufficio postale che da tabaccherie autorizzate ricariche indicando semplicemente:
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Riccardo Fucile
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argomento: destradipopolo | Commenta »