I DUBBI DELLA CONSULTA SUL BALLOTTAGGIO E DUE SISTEMI DI VOTO INCOMPATIBILI
I GIUDICI POTREBBERO RITENERE ECCESSIVO IL PREMIO DI MAGGIORANZA AL PRIMO PARTITO
Dopo il rinvio deciso a settembre in attesa del referendum, la nuova scadenza è arrivata: il 24 gennaio la Corte costituzionale deciderà il destino dell’Italicum, la legge elettorale per la Camera dei deputati.
Quel giorno 14 giudici (uno s’è dimesso un mese fa, Giuseppe Frigo di nomina parlamentare, ma non c’è aria che i partiti scelgano il successore in tempi brevi) si riuniranno al palazzo della Consulta e stabiliranno se la riforma è compatibile con la Costituzione.
Quella in vigore dal 1948, non quella del 2016 per la quale era stata pensata, approvata dalla maggioranza del governo Renzi ma bocciata nella consultazione popolare.
Non è una differenza da poco, poichè tra le eccezioni di incostituzionalità denunciate dai giudici ordinari c’è pure la presunta incoerenza tra il sistema scelto per eleggere i deputati e quello utilizzato per designare i senatori, in un ordinamento in cui le due Camere fanno le stesse cose, rimasto intatto dopo la vittoria del No.
Le due differenti leggi elettorali – l’Italicum per Montecitorio e il cosiddetto Consultellum per palazzo Madama, frutto della bocciatura del precedente sistema decretato dalla stessa Corte – potrebbero infatti dare vita a due maggioranze diverse nei due rami del Parlamento che hanno conservato gli stessi compiti; a cominciare dal voto di fiducia al governo.
Con possibili effetti di irrazionalità , che possono diventare sinonimo di incostituzionalità . Perchè, come è scritto nella sentenza numero 1 del 2014 che eliminò il cosiddetto Porcellum, «si rischia di compromettere sia il funzionamento della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, sia l’esercizio della funzione legislativa, che l’articolo 70 attribuisce collettivamente alla Camera e al Senato. In definitiva, si rischia di vanificare il risultato che si intende conseguire con un’adeguata stabilità della maggioranza parlamentare e del governo».
Queste considerazioni hanno un peso non solo sul verdetto che dovrà emettere la Consulta, ma anche sui calcoli politici per un possibile appuntamento elettorale che qualche leader vorrebbe fissare già a febbraio: difficile, se non impossibile, giacchè qualunque sarà la decisione dei giudici costituzionali, dovrebbe essere necessaria una legge, sia pure di poche righe, che renda omogenei i due sistemi. Solo dopo avrebbe un senso chiamare gli italiani alle urne.
Il relatore Nicolò Zanon ha già studiato a fondo le questioni, era pronto a discutere fin da ottobre, ma nel frattempo è arrivata un’altra ordinanza di rimessione dal tribunale di Genova, dove si ribadiscono gli argomenti a sostegno dell’ipotetica incostituzionalità dell’Italicum.
Il più rilevante resta quello del ballottaggio, denunciato come una stortura che viola i principi di uguaglianza del voto e di sovranità popolare.
Anticipazioni non ce ne sono, ma è considerata la parte più in bilico della legge da giudicare; quella che potrebbe saltare con maggiore probabilità .
La Corte infatti non si pronuncerà solo sulla base degli articoli della Costituzione, ma anche delle sue precedenti sentenze in materia.
E sempre la numero 1 del 2014 ha stabilito dei principi dai quali non si può discostare. Per esempio che la governabilità del Paese è un obiettivo che può essere legittimamente perseguito da leggi elettorali che attribuiscano premi di maggioranza, a patto però che non violino troppo o del tutto l’altro principio (di pari rilievo costituzionale) da salvaguardare: «La rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento».
Il ballottaggio previsto dall’Italicum, al quale si accede senza soglie minime, può attribuire la maggioranza assoluta dei seggi a una lista che nel primo turno è arrivata seconda con il solo 25 per cento dei consensi, realizzando una sproporzione che non verrebbe sanata dalla partecipazione popolare al secondo turno.
«Il voto dei cittadini che avessero scelto la lista di minoranza al primo turno – si legge nell’ultima istanza arrivata da Genova – finirebbe, con l’esito del secondo turno, per esprimere un voto di valore più che doppio rispetto a quello espresso dai cittadini che avessero, invece, votato altre liste».
È un’eccezione che i giudici ordinari hanno desunto dalla sentenza della Corte a cui si sono rivolti, e se venisse accolta restituirebbe al Paese un sistema proporzionale pressochè puro.
Dal quale difficilmente si potrebbe ricavare una maggioranza parlamentare in grado di governare.
Questo però non è un metro di giudizio della Corte, bensì della politica.
Giovanni Bianconi
(da “il Corriere della Sera”)
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