Ottobre 6th, 2017 Riccardo Fucile
A GIORNI I PRIMI 25 ARRIVI, POI GARASSINO PROMETTE “SE TROVO DEGLI ACCATTONI IN GIRO LI PRENDO A CALCI”… I MILITANTI RAZZISTI ALLORA DOVREBBERO STARE ATTENTI
Saranno inizialmente 25 e non 50 e arriveranno probabilmente la prossima settimana i profughi nell’ex-asilo Govone di Multedo, la struttura presa in gestione dall’Ufficio Migrantes della Curia.
La proposta è stata riportata oggi da don Giacomo Martino alla riunione a cui hanno partecipato il sindaco di Genova Marco Bucci, l’assessore alla sicurezza Stefano Garassino e il vice prefetto.
Di fronte alla fermezza della prefettura, la giunta padagna ha fatto un penoso dietrofront.
In primis lo stesso Garassino che, nei giorni scorsi, aveva definito pubblicamente don Giacomo Martino e chi come lui si occupa di accoglienza “i nemici numero uno”, aggiungendo che, a suo modo di vedere, quella della Chiesa “non è accoglienza ma business”.
Affermazioni che ora l’assessore si rimangia e anzi contraddice:“Era un’uscita così, per dire… in realtà penso che la Curia faccia un ottimo lavoro e ho piena fiducia in don Giacomo Martino”.
Cioè si fomenta la rivolta con certe affermazioni e poi si dice “ho scherzato”…
Non contento della brutta figura l’assessore ne anella un’altra : “Ma il primo accattone che vedo lo prendo a calci nel sedere”, ha voluto aggiungere al termine dell’incontro di mediazione.
Escludendo che si riferisse ai giovani profughi, visto che i ragazzi saranno da mattina a sera nel campus di Coronata per frequentare la scuola, dove seguono corsi di falegnameria, sartoria, agricoltura, edilizia, idraulica, informatica, gli unici altri accattoni in giro per Multedo sono “gli accattoni di voti” che fomentano divisioni e paure per guadagnare qualche voto razzista.
Quindi i militanti razzisti stiano attenti, Garassino si riferiva a loro.
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Ottobre 6th, 2017 Riccardo Fucile
SALVINI PREOCCUPATO: SE L’AFFLUENZA FOSSE BUONA IL MERITO SARA’ DEI SUOI AVVERSARI INTERNI (MARONI E ZAIA), SE FOSSE SCARSA IL DANNO DI IMMAGINE SAREBBE TUTTO SUO
La «spesa inutile» fa correre un brivido tra i leghisti. 
I referendum autonomisti indetti da Lombardia e Veneto rischiano infatti di non essere, proprio per la Lega che li ha voluti, una passeggiata.
Lo spettro è quello della bassa affluenza: in Veneto, dove il referendum ha addirittura un quorum.
Ma anche in Lombardia dove non è necessario raggiungere un tetto minimo. Indetti per il 22 ottobre dai governatori Roberto Maroni e Luca Zaia, non sono stati aiutati dalle vicende catalane.
La vicenda ingenera preoccupazione, si ammette in Lega. Non una buona compagna di strada: «Molti – osserva un leghista di prima fila – hanno appreso dei nostri referendum dopo i fatti di Barcellona. Questo, di certo, non ci aiuta».
Qualcuno già lo chiama il referendum «intempestivo», maturato quando la Lega salviniana ha compiuto la svolta nazionale e il grande momento delle tematiche autonomiste potrebbe essera tramontato
I referendum di Veneto e Lombardia rispettano la Costituzione?
Soprattutto, a non tranquillizzare è il sondaggio svolto per la Lega il 27 settembre da Swg.
La prima domanda è se si ritiene «giusto» l’aver indetto il voto.
E fin qui, siamo in zona di (relativa) tranquillità .
Nel nord est l’aver indetto il referendum è molto o abbastanza giusto per il 56% (contrari il 36%) e nel nord ovest è 51% a 37%, a fronte di una media nazionale di 41 favorevoli contro 44 sfavorevoli.
Sull’utilità del referendum già ci si muove in campo negativo: la consultazione sarà «utile» soltanto per il 45% degli intervistati (di opinione opposta il 48%) nel nord est.
Nel nord ovest, meno ancora: utile per il 41%, di parere diverso il 51%.
Ma le peggiori sono le risposte successive.
La prima riguarda la spesa.
La domanda è se l’intervistato sia d’accordo con chi sostiene che il voto sarà una spesa inutile. Condivide tale punto di vista il 56% degli intervistati nel nord ovest e il 52% nel nord est.
Infine, una questione di opportunità : dato che la Costituzione prevede già la possibilità di una trattativa tra Regioni e Stato per ottenere ulteriori competenze, non era forse meglio impegnarsi subito in tale trattativa?
La risposta è sì per il 49% nel nord ovest e, sorpresa, il nord est è ancora più scettico: meglio la trattativa diretta per il 53% degli intervistati.
Di qui, i tentativi di sostenere il referendum lasciando un po’ da parte il fairplay.
Per esempio, le lettere fatte spedire da parecchi Comuni leghisti. In cui si afferma che il Sì renderà la Lombardia «simile» alle Regioni a statuto speciale.
Il 22 ottobre preoccupa anche i salviniani di stretta osservanza.
Il ragionamento è più o meno il seguente: «Con una buona affluenza, gli avversari interni avrebbero buon gioco a tornare alla carica in nome del nordismo. Con un’affluenza scarsa, sarebbe una sconfitta della Lega. E dunque di Salvini».
Per giunta, la vicenda ha incendiato le polveri in casa sovranista.
Un editoriale di Giorgia Meloni dal titolo «Un oltraggio alla Patria inutile e pericoloso» apparso sul Tempo ha causato la veemente reazione dell’assessore leghista Gianni Fava. Che è tornato a parlare di Roma come di «capitale nordafricana».
E così, lo stato maggiore di Fratelli d’Italia in Lombardia ieri ha chiesto a Maroni: «Siamo curiosi di sapere che cosa ne pensi».
(da “Il Corriere della Sera”)
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Ottobre 6th, 2017 Riccardo Fucile
NON CONTENTO DI AVER SPUTTANATO 64 MILIONI DI EURO PER UN REFERENDUM INUTILE, IL DANDY VENETO RICOMINCIA CON LA MENATA DEI PROF SUDISTI… QUALCUNO GLI RICORDI CHE SE I VENETI HANNO ANCORA LE SCUOLE APERTE E’ GRAZIE AI MERIDIONALI, VISTO CHE I VENETI NON VOGLIONO INSEGNARE
Mentre Matteo Salvini cerca di convincere un sacco di gente che la Lega è un partito nazionale, Luca Zaia su Facebook per propagandare l’inutile referendum per l’autonomia di Veneto e Lombardia — che servirà a buttare 64 milioni di euro — se la prende con i docenti “reclutati dal Sud” che rinunciano al ruolo (come se succedesse soltanto al Sud che un docente rinunci al ruolo) e lasciano così le cattedre scoperte.
Dimenticando che se i veneti si dedicassero alla docenza non ci sarebbero cattedre scoperte e non sarebbe necessario rivolgersi ai “lavativi sudisti”.
Quello che i cittadini del lombardo-veneto andranno a votare è però un referendum consultivo senza quorum (in Lombardia) in base al quale i due presidenti poi potranno dire di avere il mandato popolare per andare ad intavolare con il Governo una trattativa sul contenuto degli articoli 116, 117 e 119, della Costituzione ovvero gli articoli che istituiscono l’autonomia amministrativa delle cinque regioni a statuto speciale.
Il governo sta spiegando da mesi ai due governatori che la scelta del referendum è soltanto uno spreco di soldi e di tempo: «I due referendum sfondano in realtà una porta aperta», ha detto qualche tempo fa il ministro De Vincenti al Messaggero, «ma va ricordato che per attivare, come chiedono i due quesiti referendari, la procedura prevista dall’articolo 116 della Costituzione in materia di “ulteriori forme di autonomia” c’è una strada, scelta dall’Emilia Romagna, più rapida e meno costosa: basta una lettera del presidente della Regione. E su questo il governo è del tutto aperto al confronto. Tant’è che comunque vadano i due referendum, da parte nostra c’è totale disponibilità al dialogo».
Ma vuoi mettere con il brivido di buttare 64 milioni di euro dei soldi dei cittadini del Nord?
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 6th, 2017 Riccardo Fucile
DOPO LA ERICSSON, ORA I 599 ESUBERI DELL’ILVA…TOTI E BUCCI SANNO SOLO FARE COMUNICATI STAMPA, INCAPACI DI QUALSIASI INIZIATIVA
È indirizzata alle organizzazioni dei lavoratori e ai ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico la
lettera che Am Investco, la nuova proprietà dell’Ilva, e la gestione commissariale hanno inviato come bozza di lavoro della trattativa che inizierà lunedì 9 ottobre.
Il documento contiene i dettagli sulla produzione che Am Investco intende realizzare, gli organici, i contratti che saranno applicati ai lavoratori che la nuova proprietà intende «selezionare».
Il documento recita: «I dipendenti saranno selezionati da Am Investco (….) come segue». Lo schema prevede un organico di 9.885 tra quadri, impiegati e operai:
7600 a Taranto (invece dei 10.500 attuali),
900 a Genova (invece dei 1.499 attuali, gli esuberi sarebbero dunque 599),
700 a Novi Ligure (54 esuberi)
a seguire Milano (160), Racconigi (125), Marghera (45).
Nel dettaglio, l’organico di Genova si prevede composto da 25 quadri, 165 impiegati e 710 operai.
Quello di Taranto da 130 quadri, 1.140 impiegati e 6.330 operai. Per Novi sono previsti 15 quadri, 135 impiegati e 550 operai. I dirigenti del gruppo sono 45. L’organico complessivo di gruppo – considerando anche Ism, Ilvaform e Taranto Energia – è di 9930 unità dirigenti compresi (di cui 9600 per i 3 stabilimenti).
Lunedì 9 inizia la trattativa sindacale. A Genova si prevedono manifestazioni di protesta.
Fiom: «I lavoratori verranno riassunti e perderanno anzianità e integrativo»
«Arcelor Mittal, per il rilancio di Ilva, assumerà ex novo 10.000 lavoratori che selezionerà previa accettazione delle condizioni imposte dall’azienda, con sottoscrizione di verbale di conciliazione tombale.
Si parla quindi di 4.000 esuberi, distribuiti in tutti i siti. Per gli assunti, attaccano i sindacati, ci sarà un nuovo contratto di lavoro, rinunciando quindi all’anzianità di servizio e all’integrativo aziendale e determinando in tal modo un taglio salariale consistente e inaccettabile.
Se questo è l’atteggiamento di Mittal nei confronti dei lavoratori diretti – denuncia la Fiom Cgil – il rischio è il massacro sociale dei lavoratori dell’indotto.
Per la Fiom, sulla base di quanto formalizzato da Arcelor Mittal, non ci sono le condizioni di aprire un tavolo negoziale. L’unica risposta possibile a tale provocazione è una forte azione conflittuale di tutte le lavoratrici e i lavoratori. Lunedì prossimo ci presenteremo all’incontro convocato al ministero dello Sviluppo economico unicamente per conoscere cosa vorrà fare il governo di fronte a questa inaccettabile posizione assunta da Arcelor Mittal».
Regione e Comune: «Perplessità sul piano»
«Regione Liguria e Comune di Genova esprimono perplessità per il piano di esuberi presentato prima ancora che parta il delicato confronto sul futuro industriale e societario di Ilva.
Fim Cisl: «Peggio non si poteva, mobilitazione lavoratori
«La trattativa per Ilva parte come peggio non poteva. Il piano di esuberi presentato nella lettera dei commissari dalla nuova proprietà Am InvestCo ci lascia stupefatti». Lo dice Alessandro Vella, segretario generale Fim Cisl Liguria. «La Fim Cisl rigetta con forza gli esuberi previsti su Cornigliano, con azioni di mobilitazione dei lavoratori» ha aggiunto Vella.
Non passa ormai giorno senza che a Genova chiudano aziende o altre annuncino licenziamenti: non solo i centinaia di Ericsson, ma uno stillicidio di aziende minori.
Ora i 600 di Ilva, nonostante l’accordo di programma sottoscritto a suo tempo prevedesse che lo stabilimento di Genova dovesse essere esentato da futuri tagli.
Dopo aver promesso 30.000 nuovi posti di lavoro, il sindaco Bucci, il governatore Toti e la loro compagnia di giro sono diventati i certificatori del servizio cimiteriale dell’economia della città .
Oltre a cedere quel poco di pubblico che funziona ai privati non sanno fare, incapaci di prendere iniziative a tutela del territorio e dell’occupazione.
Finiti gli spot, sistemate le truppe fameliche nel sottogoverno, il centrodestra a trazione leghista sta certificando il proprio falllimento.
(da agenzie)
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Ottobre 6th, 2017 Riccardo Fucile
IL RINVIO A GIUDIZIO DELLA RAGGI E QUELLO DEL SINDACO DI PAVIA
Avrete sentito che da qualche tempo il MoVimento 5 Stelle è garantista.
Precisamente, il M5S è diventato garantista nel momento preciso in cui i magistrati hanno cominciato ad indagare i suoi esponenti.
Ma se per caso avete pensato che quella del MoVimento 5 stelle fosse una ipocrisia furba, beh sappiate che invece è un’ipocrisia furbissima.
Per averne la conferma ecco il post pubblicato su Facebook da una delle menti M5S più brillanti, ovvero Danilo Toninelli.
Il quale, se c’è una richiesta di rinvio a giudizio per Virginia Raggi (e se c’è, significa che una procura ha indagato e ha ritenuto che ci fossero gli elementi per procedere per un reato, in questo caso il falso), trova tutto assolutamente normale.
Se invece arriva un avviso di garanzia a un altro sindaco — nella fattispecie Massimo Depaoli — automaticamente Pavia si trova con “il trasporto pubblico locale allo sbando” (per un’indagine sul sindaco?), con un “dirigente illegittimo” (ma non c’era un’indagine?) e con “un danno erariale da dover pagare” (ma non c’era un’indagine?).
Insomma, la differenza tra Raggi e Depaoli è chiarissima.
Si tratta di partiti diversi.
(da “NextQuotidiano“)
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Ottobre 6th, 2017 Riccardo Fucile
POLITICA SENZA VISIONE, SOCIETA’ CIVILE ABBANDONATA, SCENDE IL CONSENSO ALLA APPENDINO
Ma che cosa sta succedendo a Torino? Dove è finita quella retorica di una città che aveva saputo
allargare la sua vocazione manifatturiera al turismo e alla cultura, scoperta da turisti sorpresi e affascinati dalla sua bellezza, lanciata verso un futuro da protagonista nella competizione tra le metropoli del nuovo secolo?
Una narrazione, pubblica e privata, che, ripetuta ossessivamente dai leader di un centrosinistra che aveva governato 25 anni, aveva finito per suonare persino troppo propagandistica e rituale per soddisfare i suoi abitanti, ma che aveva indubbiamente cambiato l’immagine di Torino agli occhi degli italiani.
Perchè la sindaca dei «5 Stelle», Chiara Appendino, accolta con indici di gradimento altissimi nei sondaggi di inizio mandato, sta scendendo vertiginosamente nelle classifiche del consenso?
Perchè sulla città , delle cui sorti si discuteva appassionatamente, dentro e fuori dai suoi confini, sembra calata una cappa di silenzio e di indifferenza, rotta soltanto dalle cronache di fatti tragici e dolorosi come quelli della notte di piazza San Carlo o degli incidenti di chi contestava il G7?
Per avanzare qualche risposta a questi interrogativi, basta partire da un elenco dei fatti avvenuti in questi mesi, a partire dal più recente, l’annuncio, da parte della sindaca, di un taglio di 80 milioni al bilancio comunale, accusando i suoi predecessori di aver detto il falso sulla realtà finanziaria dei conti pubblici e attribuendo a loro la colpa di dover operare sanguinosi risparmi di servizi ai cittadini.
Un annuncio che, ricevendo la sferzante replica di Chiamparino, il primo imputato di questa grave denuncia, sanziona la fine di quella intesa istituzionale tra Comune e Regione, bollata dai critici dell’uomo ancora più popolare della sinistra torinese, come «un governo Chiappendino» sulle sorti delle due più importanti poltrone del Piemonte, che potrebbe avere conseguenze imprevedibili sul futuro della politica cittadina.
Ultimi mesi, poi, costellati dagli allarmi, ripetuti e insistenti, dei leader delle categorie più importanti del mondo produttivo, professionale, commerciale, culturale torinese, dai presidenti degli industriali a quello dei costruttori, dagli albergatori a chi, con finanziamenti ridotti al lumicino, deve mantenere le attività di importanti musei, gallerie, teatri.
Tutti sostanzialmente lamentando la mancanza di una chiara visione sul futuro della città , dovuta a una irrisolvibile contraddizione tra le due «anime» della maggioranza di governo «5 stelle», quella «movimentista» che fa capo al vicesindaco Montanari e quella «governativa», rappresentata da Appendino.
Un carosello di preoccupazioni e di critiche che domani, con la presentazione del rapporto Rota, annuale autorevole bollettino dello stato della città , dovrebbe aggiungere dati inquietanti sulle prospettive di una Torino che ha perso definitivamente la rincorsa a Milano, ma che, addirittura, è sconfitta dal confronto con Firenze e Bologna, fino a potersi paradossalmente definire, dal punto socioeconomico, come la capitale del Sud d’Italia.
In attesa, dopo 4 mesi, che i parenti della vittima, i tantissimi feriti, l’opinione pubblica conoscano i primi risultati dell’inchiesta sui fatti di piazza San Carlo, risultati che potrebbero creare pure qualche difficoltà alle principali cariche delle istituzioni torinesi, la politica della città pare preda di un languore propositivo imbarazzante.
La sindaca, come detto, cerca di destreggiarsi tra consiglieri che sfilano accanto ai movimenti radicali di contestazione «al sistema» e propensioni personali e familiari molto più istituzionali, ben lontane dalle tentazioni della cosiddetta «decrescita felice», ma senza concepire, o riuscire a comunicare, visioni convincenti di come ritenga possa delinearsi il futuro di Torino.
Il centrosinistra sembra non aver ancor «elaborato il lutto» di una sconfitta clamorosa e imprevista, più ripiegato in se stesso che capace di offrire alla città una proposta chiara e realistica, tale da rianimare un elettorato diviso, incerto e deluso da polemiche quotidiane con gli avversari, sterili e noiose, tali da perdersi nel disinteresse generale. La destra, ininfluente da decenni sulla vita pubblica della città e priva di personalità dotate del necessario carisma, si adegua al mediocre clima generale.
La società cittadina, infine, quel ceto di classe dirigente che, nella svolta impressa dal sindaco Castellani a cavallo del secolo, aveva contribuito grandemente, prima ad elaborare la strategia e, poi, a collaborare alla realizzazione di quella importante e inedita esperienza di sviluppo cittadino, si sente abbandonata da una politica che non sa più nè individuare un traguardo, nè avere la credibilità e l’autorevolezza per suscitare attenzione e attivare l’impegno civile.
Si salda così, in modo curioso e sconcertante, la sensazione di un «tradimento» collettivo che accomuna ceti molto diversi.
La borghesia, che in parte aveva votato Appendino al ballottaggio con Fassino, pur di scacciare il dominio «comunista» sulla città , è irritata da iniziative che colpiscono i suoi interessi, a partire dalla quadruplicata tariffa delle strisce blu per i residenti, ma e, soprattutto, dallo spettro di una città in declino, che non offre più opportunità di lavoro nel settore dell’edilizia pubblica e privata, ad esempio.
Gli abitanti delle periferie, speranzosi per gli impegni elettorali della sindaca, non avvertono neppure i primi passi della promessa riqualificazione dei loro quartieri.
I commercianti, vera base elettorale di Appendino, continuano a soffrire l’arrivo di nuovi supermercati e vedono inascoltati i loro allarmi sui piccoli, ma magari storici negozi, costretti a chiudere.
In una situazione che ricorda il vuoto dei partiti che favorì, appunto, l’avvento di Castellani nel 1993, forse toccherebbe proprio a quella società civile che si mobilitò, guidata da Salza, per supplire alla mancanza di leadership politica, prendere l’iniziativa di coordinare le tante e valide forze, produttive, professionali, le tante risorse intellettuali, tecnologiche, lavorative presenti in città per superare un momento così delicato per il futuro dei figli e dei nipoti di Torino.
(da “La Stampa”)
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Ottobre 6th, 2017 Riccardo Fucile
E ANNUNCIA QUERELA CONTRO “IL GIORNALE”
Già domenica mattina ho mandato una e-mail al mio avvocato per dirgli di predisporre una querela contro Il Giornale».
Quel giorno campeggiava un titolo un prima pagina: «Trame a 5 stelle – Ecco chi è il mandante dell’agguato a Berlusconi – Vertici segreti tra Grillo e Davigo dietro la legge per fare fuori il cavaliere dalla vita politica».
Che cosa c’era di sbagliato, dottor Davigo?
«Tutto. Non ho mai incontrato Grillo in vita mia, se non quarant’anni fa, lui sul palco e io spettatore di un suo spettacolo. Nè ho mai partecipato all’ideazione o alla stesura di qualsivoglia emendamento alla legge elettorale che punti a estromettere Berlusconi dalla vita politica».
E dopo domenica che cosa è successo?
«Lunedì ho telefonato allo stesso avvocato per raccomandargli di sbrigarsi a presentare la denuncia, senza aspettare come suo solito la scadenza dei novanta giorni di tempo, perchè tra tante diffamazioni questa mi da molto fastidio».
Risultato?
«Domani (oggi per chi legge, ndr) andrò nel suo studio a firmare la querela. E mi pare che questa cronologia contenga in sè la smentita attesa dal collega Galoppi».
Claudio Galoppi è il componente del Consiglio superiore della magistratura che ieri, in un’intervista a Il Foglio intitolata «Bordata dal Csm contro Davigo», ha detto, a proposito delle notizie riportate da Il Giornale: «Mi auguro che arrivi presto una smentita; se Davigo non smentirà , non potranno non esserci conseguenze».
Galoppi è un rappresentante di Magistratura indipendente, la corrente considerata più a destra nella classificazione politico-culturale delle toghe, da cui Piercamillo Davigo è uscito due anni fa insieme a un consistente numero di colleghi, fondando il gruppo chiamato Autonomia e indipendenza.
Tra i motivi della scissione da Mi c’era anche il dissenso con la posizione del leader Cosimo Ferri, che da quattro anni e mezzo occupa la poltrona di sottosegretario al ministero della Giustizia, inizialmente come tecnico in quota Forza Italia e poi, dopo l’uscita di Berlusconi dalla maggioranza del governo Letta, come tecnico e basta.
Nella sua intervista Galoppi s’è detto allibito se davvero lei avesse affermato che chi non rifiuta la prescrizione dovrebbe vergognarsi, perchè “non spetta a un magistrato esprimere valutazioni morali sulle scelte processuali”. Che cosa replica?
«Che io non stavo parlando della prescrizioni in generale nè delle scelte processuali di un cittadino comune, ma del caso specifico dell’ex presidente della provincia di Milano, Filippo Penati, cioè di una persona che ha svolto ruoli amministrativi. E non ho fatto valutazioni morali, bensì ho citato e interpretato l’articolo 54 della Costituzione, secondo il quale “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”. Non mi pare che chi evita una condanna grazie alla prescrizione possa rivendicare di aver svolto il suo compito con onore».
Dunque secondo lei un uomo politico deve sempre rinunciare alla prescrizione?
«Può fare quello che vuole, ma la Costituzione pone una netta distinzione tra i cittadini che esercitano funzioni pubbliche e tutti gli altri. Non sono uguali, perchè chi amministra ha doveri e obblighi in più, tra cui quello di adempiere al proprio ruolo con onore. Mi sembra strano che debba ricordare queste cose a un magistrato che siede al Csm»
L’altra sera in tv le hanno chiesto chi risarcisce le persone che escono innocenti dai processi, e lei s’è alterato. Perchè?
«Perchè nell’elenco avevano inserito Penati, che per un reato ha usufruito della prescrizione pur avendo dichiarato in passato che vi avrebbe rinunciato, e dunque non mi pare che ci sia nulla da risarcire. Io come magistrato svolgo funzioni pubbliche, e se in un procedimento penale vengo accusato di reati poi dichiarati prescritti, per quei fatti scatta l’azione disciplinare. Altro che risarcimento».
Dietro il dibattito che a intermittenza si riaccende sulle sue dichiarazioni c’è sempre il retropensiero che un giorno lei possa scendere in politica, e assumere una carica di governo.
«Sono 25 anni che rispondo che non mi interessa, e che non farò mai politica. E lo ribadisco, di più non posso fare».
Il prossimo anno si voterà per il Parlamento ma anche per il rinnovo del Csm. Lei si candiderà al Csm?
«A questa domanda non rispondo».
Questo significa che potrebbe farlo.
«Significa che non rispondo».
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 6th, 2017 Riccardo Fucile
UNA GOLA PROFONDA HA PASSATO LE CHAT DEI PARLAMENTARI SULLA RICHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO DELLA SINDACA
Qualche Gola Profonda ha passato le chat interne di deputati e senatori a 5 Stelle a Repubblica, che
oggi racconta, in un articolo a firma di Giovanna Vitale, chi è l’autore del post di Virginia Raggi pubblicato subito dopo la diffusione della notizia della richiesta di rinvio a giudizio per falso e quella di archiviazione per l’abuso d’ufficio. Si tratta ovviamente di Rocco Casalino: è lui che ha scritto il post in cui per sei paragrafi si parla dell’archiviazione e in 14 parole si liquida l’accusa di falso. Casalino, come di mostrano gli sms in possesso di Repubblica, impartisce istruzioni ai parlamentari, spiegando loro cosa dire per trasformare in un successo una delle pagine più brutte nella storia del Movimento.
Giovedì 28 settembre: è passato da poco mezzogiorno quando la procura di Roma rende noto il rinvio a giudizio della sindaca per falso ideologico e la doppia archiviazione per abuso d’ufficio in relazione alle promozioni di Salvatore Romeo e Renato Marra.
Raggi ha appena diffuso sui social la sua difesa. Tutta all’attacco: «Dopo mesi di fango mediatico su di me» sono cadute «le accuse più infamanti», resta solo quella più lieve «e sono convinta che presto sarà fatta chiarezza».
Appena 14 parole per liquidare la bugia pesantissima che la spedirà a processo, le altre 200 spese per insultare stampa e opposizioni, esaltando le due ipotesi di reato accantonate dai magistrati.
I deputati Cinquestelle leggono e quasi non riescono a crederci: possibile che sia questa la linea?
E infatti nella chat poco dopo compare il deputato Vittorio Ferraresi, eletto in Emilia Romagna ma soprattutto laureato in giurisprudenza, che risponde a Rocco Casalino.
Alle 13,49 il giovane Vittorio Ferraresi, eletto alla Camera in Emilia Romagna, scrive su una delle chat dedicata ai parlamentari: «Per comunicazione, state dicendo che sono cadute le accuse più gravi?».
Casalino si sente chiamato in causa e alle 13,50 risponde netto: «Sì».
E Ferraresi: «Ok per sapere… Perchè falso in atto pubblico è più grave», precisa il grillino, laureato in Giurisprudenza e dunque consapevole.
In tempo reale interviene Ilaria Taverna, sorella della senatrice Paola: senza aggiungere alcun commento linka il post di Raggi come a dire, “mandate a memoria”. Ma Casalino non si accontenta.
E per evitare equivoci, alle 13.51 puntualizza, con sintassi resa traballante dalla foga: «Le 2 accuse che riguardano Marra e Romeo di abuso di ufficio. Quelle per cui è stata massacrata. Resta il falso. Che può essere molto grave, ma in altri casi, non in questo».
L’eccezione ad Virginiam, appunto.
Teoria ribadita per tutto il giorno da Di Maio in giù. Ferraresi a questo punto si arrende: «Vabbè ci siamo capiti», inserendo una faccina che strizza l’occhio.
Per fortuna che almeno lui strizza l’occhio. Significa che almeno qualcuno ci fa, non ci è.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 6th, 2017 Riccardo Fucile
APERTO UN FASCICOLO PER DANNO ERARIALE SULLO STIPENDIO TRIPLICATO
La Corte dei Conti indaga sullo stipendio triplicato di Salvatore Romeo. Virginia Raggi ha detto che per l’attivista grillino e dipendente del Campidoglio “non c’è stato alcun ingiusto aumento di stipendio”: adesso sarà l’organo contabile a verificarlo, racconta il Corriere della Sera Roma in un articolo di Ilaria Sacchettoni.
L’ex braccio destro della sindaca passò infatti dai 39mila euro annuali guadagnati in quanto semplice dipendente del dipartimento alle Partecipate, ai 120mila (scesi a novantatrè dopo il parere dell’anticorruzione) ottenuti in seguito all’incarico dirigenziale.
Numeri e dettagli importanti perchè i magistrati, coordinati dal procuratore regionale Andrea Lupi, non puntano ovviamente a battaglie di principio ma a contrastare sperperi effettivi: quanto è durato, allora, l’impegno del fiduciario Romeo?
E a quanto ammonterebbe il danno causato dal salto di qualità retributivo alle casse capitoline?
Calcoli tutti da fare, tenendo presenti due fatti:
Il primo, fondamentale, è che Romeo, nominato ad agosto 2016 dalla neo sindaca grillina si dimise in seguito all’affaire polizze, quando cioè i pubblici ministeri di piazzale Clodio scoprirono che, poco prima della sua promozione, il fiduciario della Raggi le aveva intestato un’assicurazione dal premio significativo.
Ma c’è un secondo fatto che chi indaga sul danno amministrativo dovrà tenere presente.
Ossia il differenziale fra lo stipendio generalmente percepito dal funzionario (già dipendente capitolino) e quello successivamente ottenuto in qualità di numero uno della segreteria della sindaca. Un differenziale tutto da calcolare.
Nel frattempo si tratta di verificare da vicino la legittimità di quella delibera – la 19 dell’agosto 2016 – che promuoveva il funzionario delle partecipate.
Una delibera alla quale si oppose con forza l’ex capo di gabinetto, il magistrato milanese Carla Raineri che valutò la nomina di Romeo come il frutto malato del protagonismo di Raffaele Marra («Marra si comportava come se il sindaco fosse lui…»).
(da NextQuotidiano”)
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