Ottobre 13th, 2017 Riccardo Fucile
A GENOVA INVECE DI SISTEMARE DEI WC PUBBLICI NEL CENTRO STORICO, L’ASSESSORE AL RIDICOLO VUOLE SPRUZZARE LA VERNICE CHE FA RIMBALZARE LA PIPI’
La soluzione viene dal mare. Una vernice trasparente idrorepellente che viene applicata
per proteggere gli scafi delle barche: chi fa pipì contro i muri, rischia di macchiarsi scarpe e vestiti, perchè rimbalza letteralmente in aria.
Il Comune si affida alle nanotecnologie per fermare i “pisciatori pazzi”.
Stefano Garassino, assessore alla (si fa per dire) Sicurezza, ne aveva parlato dal palco della festa della Lega in piazza della Vittoria. Sembrava una boutade per scaldare gli animi del popolo del Carroccio al convegno “Sicurezza nelle città “, invece il progetto per disincentivare chi urina per i vicoli del centro storico è andato avanti.
«Abbiamo inviato i campioni di vernice agli uffici tecnici della Soprintendenza per verificarne la compatibilità con tutte le superfici. È un prodotto chimico ed è necessario escludere che possa danneggiarle».
Risolvere la questione della pipì per strada è un chiodo fisso della giunta Bucci.
Ecco la vernice, mentre d’estate era stata annunciata un’altra mossa a sorpresa per mettere alla berlina i colpevoli: cartelli vicino alle telecamere che avvertono che chi sarà filmato mentre orina, si ritroverà in un video su You Tube.
«Nel quartiere St. Pauli di Amburgo, riferimento del divertimento notturno come la nostra movida, la birra scorre a fiumi e di conseguenza sono molte le persone che hanno la cattiva abitudine di espletare i propri bisogni per strada. La vernice è un ostacolo per fermare gli incivili».
La parola ora è passata alla Soprintendenza. I vigili hanno già mappato le zone da verniciare con questo prodotto.
Peccato che nessuno si sia informato sulle movide che avvengono in molte altre decine di metropoli europee: avrebbe scoperto che nessuno piscia per strada per il semplice motivo che esistono i servizi pubblici, ben tenuti e monitorati dalle pubbliche amministrazioni.
E vi sono capitali europei dove ne trovi a decine, oltre ad esercizi commerciali che accolgono senza problemi e senza obbligo di consumazione chi ha “urgenze”.
A Genova se togli le due stazioni ferroviarie non c’è un servizio igienico pubblico degno di questo nome in tutto il centro città (per non parlare delle periferie).
Dato che “incontinente” significa “incapace di moderarsi, di porsi un limite”, ne deriva che l’unico che può definirsi tale in città è l’assessore Garassino.
Faccia rimbalzare il cervello invece che la pipì, Genova ne trarrebbe maggiore giovamento.
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Ottobre 13th, 2017 Riccardo Fucile
I NOMI DI CHI HA FATTO I BONIFICI: C’E’ ANCHE L’AVV. SAMMARCO… MA I FONDI PIU’ COSPICUI RESTANO ANONIMI, ESSENDO IN CONTANTI
I più generosi? Due esponenti del Movimento 5 Stelle che, poi, si sono ritrovati in maniera più o meno esplicita in rotta con Virginia Raggi.
Il primo è l’europarlamentare Fabio Massimo Castaldo, che per la campagna elettorale della sindaca di Roma aveva versato 1.200 euro; la seconda è la senatrice Paola Taverna, considerata la pasionaria del Movimento 5 Stelle, che sul conto corrente aperto per le donazioni in vista del voto del 2016 aveva effettuato un bonifico da 1.000 euro.
E gli altri big del partito? Poco presenti.
Ci sono Alessandro Di Battista, con una versamento da 200 euro fatto a inizio giugno, a pochi giorni dal primo turno, e il deputato Stefano Vignaroli, compagno della Taverna, che aveva donato 500 euro.
Mancano invece alcuni dei volti più conosciuti, come Roberta Lombardi, candidata alle regionali del Lazio, che è sempre stata tra i critici più accesi di Virginia Raggi, e Luigi Di Maio, oggi candidato premier del Movimento fondato da Beppe Grillo.
L’inchiesta di copertina di questo numero, dal titolo “Miracolati”, racconta, tra consulenze e favori, la vita quotidiana del Campidoglio nell’era Raggi.
Sono queste le prime curiosità che balzano agli occhi leggendo l’estratto del conto corrente Banco Posta numero 001032456288, aperto appositamente per raccogliere le risorse necessarie per pagare le spese della vittoriosa campagna elettorale del 2016.
Il rapporto, che L’Espresso ha potuto consultare per la prima volta, parte con saldo zero il 25 aprile e viene chiuso il 31 agosto, quando ormai vi erano rimasti soltanto 6,90 euro.
I primi, decisivi contributi arrivano dal quartier generale del Movimento, con un bonifico da 10.000 euro dal Comitato promotore per la candidatura della futura sindaca, datato 27 aprile, seguito un mese più tardi da ulteriori 5.000 euro.
Nel mezzo, numerose piccole donazioni da attivisti e semplici simpatizzanti, oltre alla voce più cospicua: i versamenti in contanti, legati probabilmente alle raccolte fondi organizzate durante la campagna.
Partiamo dagli elettori.
Al di là di qualche caso sporadico, le donazioni a Virginia Raggi sono spesso piccoli contributi. Nello spazio della mascherina del bonifico destinato alla causale, però, scrivono frasi che danno idea di quanto fossero motivati.
«Daje Virginia», scrive Giampaolo C. il 3 maggio 2016, quando il primo turno è ancora lontano e lui aveva deciso di deciso di donare 10 euro. «Nel mio piccolo vorrei contribuire W M5S», spiega Angelino P., versando 2 euro, mentre Riccardo R., con il suo bonifico da 50 euro sognava in grande: «Virginia Raggi sindaco di Roma, prima tappa della rivoluzione».
Numerosi privati cittadini utilizzano Paypal, il sistema di pagamento web che, successivamente, farà affluire oltre 81 mila euro sul conto BancoPosta.
In mezzo ai tanti contributi che arrivano attraverso le Poste e via Internet c’è qualche personaggio di spicco.
Ad esempio dà il suo sostegno versando 300 euro Pieremilio Sammarco, l’avvocato da cui Virginia Raggi ha lavorato in passato e il cui fratello Alessandro ha difeso l’ex ministro berlusconiano Cesare Previti in diversi processi.
Un contributo ancor più significativo, 500 euro, perviene a nome del celebre musicologo Paolo Isotta, mentre il più generoso è probabilmente l’attore Claudio Gioè, che il 25 maggio effettua un versamento da 1.000 euro.
Tra i tanti vip dello spettacolo che avevano pubblicamente dato il loro sostegno alla candidata Cinque Stelle, per la verità , l’interprete di numerose serie televisive e di film come “La mafia uccide solo d’estate” è uno dei pochi che alle parole faranno seguire un bonifico.
Non manca pure qualche giornalista, con cifre però modeste.
La più elevata è probabilmente quella donata dal vicedirettore del quotidiano “Libero”, Franco Bechis, che in passato era emerso tra i contributori di Matteo Renzi. «Mi piace verificare di persona come funzionano i meccanismi di finanziamento della politica, per poi scriverne dal punto di vista giornalistico», spiega lui.
Quindi aveva finanziato anche Roberto Giachetti, lo sconfitto al ballottaggio?
§«No, perchè non aveva predisposto un sistema di raccolta fondi diverso dal solito», racconta Bechis. Pochissime le aziende: l’unico bonifico di un qualche rilievo, 1.000 euro, arriva dalla Società Immobiliare Ostiense.
Al di là delle operazioni tracciate attraverso i pagamenti, un altro aspetto che emerge sono gli ingenti quantitativi di contanti versati presso gli uffici postali.
I primi risalgono al 5 maggio, gli ultimi affluiscono il 24 agosto, più di due mesi dopo il secondo turno.
Il primo afflusso consistente avviene il 6 maggio, con tre differenti versamenti da 2.800, 1.330 e 620 euro, effettuati tutti nello stesso giorno e nello stesso ufficio, Roma Granai.
Una scelta logistica forse non casuale, visto che si trova non lontano dall’abitazione di Salvatore Romeo, uno dei più attivi collaboratori di Virginia Raggi già nel corso della campagna elettorale.
La stessa modalità si ripete il 20 maggio, anche qui con tre depositi frazionati, da 880, 392 e 140 euro, sempre a Roma Granai.
Difficile dire il motivo che spinge chi effettua i depositi a non fare un versamento unico.
Sopra la soglia dei 3.000 euro, in effetti, scattano le segnalazioni che le banche fanno per la normativa anti-riciclaggio. Ma in altre occasioni, questo limite è stato superato tranquillamente.
Il 4 giugno, a poche ore dalla kermesse della sera prima con tutti i big in Piazza del Popolo, nell’ufficio di Casal Palocco vengono depositati 27.395 euro, frutto evidentemente della raccolta effettuata tra i sostenitori.
Una bella prova di efficienza da parte del responsabile della raccolta e mandatario del conto Andrea Mazzillo, in seguito assunto come collaboratore della sindaca e poi promosso assessore al Bilancio, fino al licenziamento arrivato nell’agosto scorso per contrasti legati alla crisi dell’Atac.
Gli ultimi versamenti arrivano il 28 giugno, a ballottaggio già superato da nove giorni, con 9.260 euro depositati — questa volta in unica soluzione — sempre a Roma Granai. Nello stesso ufficio, l’8 luglio vengono prelevati 4.810 euro attraverso il Postamat, seguiti da altri 3.000 euro il 13 luglio.
Nelle settimane successive, Mazzillo finisce di pagare i fornitori.
Le spese sono quelle solite delle campagne elettorali: pubblicità , stand, catering, affitto degli uffici, polizze assicurative, nettezza urbana.
Ci sono anche due fatture di avvocati.
La prima è del primo luglio, 1.027 euro per il saldo di una fattura dell’avvocato Alessandro Mancori, che difenderà Virginia Raggi anche nei mesi successivi, quando scoppierà il putiferio dei “Quattro amici al bar”. L’altra è di 3.244 euro, saldati il 16 luglio all’avvocato Edoardo Mobrici.
Che cosa c’entrano le spese di difesa legale con i fondi elettorali?
Mobrici, che aveva rappresentato esponenti dei Cinque Stelle di Roma anche prima della candidatura di Virginia Raggi, spiega di essere stato chiamato per le denunce ricevute dalla futura sindaca dopo alcune sue affermazioni, che in Borsa avevano fatto crollare i titoli dell’Acea.
Anche Mancori dice di aver difeso Virginia Raggi per attività legate alla campagna, che preferisce mantenere riservate.
(da “L’Espresso”)
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Ottobre 13th, 2017 Riccardo Fucile
DUE GIORNI FA IL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE HA PRESO IL POTERE, OGGI HA FATTO SALTARE LA TESTA DEL SEGRETARIO REGIONALE DELLA CAMPANIA
La rivoluzione d’ottobre dell’ex generale Antonio Pappalardo è già entrata in quella
che potremmo definire fase del Terrore. Sarà che è autunno, sarà che gli arresti dei parlamentari abusivi non sono ancora iniziati, ma nel Movimento Liberazione Italia sono già iniziate a cadere le prime teste.
L’ex parlamentare Pappalardo infatti ha scoperto l’ennesimo traditore: nientemeno che il Segretario della Regione Campania nonchè legale del MLI avvocato Mario Brigante Stanzione che è stato espulso oggi “essendosi reso moralmente indegno di far parte del Movimento”
Il segretario della Campania espulso “per indegnità ”
Non è la prima volta che Pappalardo litiga con qualcuno. In passato è capitato con i Forconi di Danilo Calvani e con Alfonso Luigi Marra e segnò la rottura della triplice alleanza dei rivoluzionari in assetto permanente per la difesa della democrazia dal signoraggio bancario.
Questa volta però le mele marce sono proprio all’interno del suo Movimento. Non sono, come è già successo nelle scorse settimane, miserabboli al soldo della Digos. Perchè Stanzione rivestiva un ruolo di una certa importanza e perchè si è venduto al nemico.
I fatti: Mario Stanzione ha pubblicato ieri sul suo profilo Facebook un file audio di un colloquio con il Pappalardo. Non essendoci un video l’unica cosa che consente di identificare l’ex generale dei Carabinieri è la voce il tono dell’eloquio. Ed in effetti è un modo di parlare che è tipicamente pappalardiano.
Potrebbe essere un imitatore, ma non risulta che il generale abbia smentito di aver avuto quella conversazione durante la quale Stanzione gli tende una trappola e gli fa rivelare che è lui l’unico ad avere il controllo assoluto del Movimento Liberazione Italia. Stanzione fa sapere, dopo aver ricevuto notifica della sua espulsione, che lui si era peraltro già dimesso dal MLI due giorni prima.
La risposta del MLI non si è fatta attendere ed è stata affidata al Commissario Giuseppe Pino in un video con l’audio fuori sincrono in stile mirabilmente ghezziano.
A brigante, brigante e mezzo
Non solo: Pappalardo in quanto dominus del MLI afferma di avere (dal momento che è Presidente del Comitato dei Saggi) i poteri per far addirittura cadere il Governo. Non quello presieduto da Gentiloni ma quello “legittimo” votato in piazza del Popolo dal Popolo Sovrano la mattina del 10 ottobre.
Antonio Pappalardo dice che i suoi collaboratori “non sono all’altezza” e che lui “non si immischia nelle porcate” e che quindi si è riservato il ruolo di manovrare da dietro il MLI anche tramite il Presidente Giuseppe Pino.
La registrazione è stata pubblicata anche dalla pagina dei Forconi del 9 dicembre che hanno ancora un conto aperto con Pappalardo.
Anche perchè l’ex parlamentare con Stanzione parla anche di soldi. Addirittura 3 milioni di euro che un misterioso “gruppo bancario” si era reso disponibile a donare al MLI.
Ma Pappalardo ha altri interessi: ad esempio l’esecuzione della sua American Symphony nientepopòdimenchè davanti al Presidente degli United States of America Mr. Donald Trump.
Non tutti i rivoluzionari sono convinti che l’audio provi la malafede di Pappalardo.
In fondo il Popolo Sovrano è con lui! Eppure c’è qualcuno che trova il coraggio di far notare che c’erano alcuni aspetti poco chiari della visione politica pappalardiana.
Ad esempio il fatto che l’Abruzzo non fosse stato inserito con le altre regioni duosiciliane nello schema di suddivisione del territorio nazionale in stati federati.
Il generale ha probabilmente qualche problema a contenere le richieste dei “briganti”, una delle tante anime del suo Movimento.
Ma a quanto pare di capire nel MLI già da qualche tempo — per non dire da sempre — stanno volando gli stracci.
Il Generale però, guidato dallo spirito del Popolo, ritiene di essere l’unico in grado di condurre il Popolo Sovrano alla vittoria.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 13th, 2017 Riccardo Fucile
A ROMA GRILLINI E LEGHISTI LITIGANO SUL ROSATELLUM, AL NORD LA COCCA SUL REFERENDUM PATACCA, NELLA CAPITALE CONTRO GLI SPRECHI, AL NORD PER SPUTTANARE 64 MILIONI
Il M5S in Parlamento e in piazza è contro l’inciucio tra PD e Lega Nord sulla legge elettorale. Ma in Lombardia e in Veneto ha deciso di sostenere, così come il Partito Democratico, la campagna referendaria della Lega Nord per l’autonomia delle due regioni del Nord.
Un referendum che nessuno sa bene a cosa serva, la Lega ha iniziato col dire che l’obiettivo era quello di far rimanere il residuo fiscale in Veneto e in Lombardia ma il quesito è così vago che gli elettori andranno a votare sul nulla.
Senza contare che più si avvicina la scadenza più l’autonomia viene presentata come la panacea di tutti i mali del Nord
Il grande spot elettorale della Lega Nord
Il referendum del 22 ottobre — consultivo e senza quorum — è inutile ai fini pratici. Le Regioni hanno già la possibilità , garantita dalla Costituzione, di poter aprire una trattativa con il Governo per chiedere maggiori forme di autonomia.
Per poter discutere con il Governo sia Roberto Maroni che Luca Zaia non devono far altro che scrivere a Roma.
I due Presidenti hanno già il mandato popolare, essendo stati eletti dai propri concittadini ed essendo quella dell’autonomia di Veneto e Lombardia una delle storiche promesse della Lega Nord.
In caso di vittoria del Sì Veneto e Lombardia non otterranno alcuna forma particolare di autonomia. Sarà il governo prima, e il Parlamento poi, a concederla.
Paradossalmente anche in caso di vittoria del No nulla vieta a Zaia e a Maroni di iniziare le manovre per far approvare dal Parlamento la concessione dell’autonomia alle rispettive regioni.
È abbastanza evidente che in questa Legislatura il Parlamento non potrà fare alcuna legge di modifica della Costituzione (l’articolo 116 richiede che l’intesa tra lo Stato e la Regione venga approvata dalla maggioranza assoluta in entrambe le Camere), ed è da vedere se nel prossimo la maggioranza avrà i numeri e la capacità di trovare un accordo. Se dovessimo guardare ai partiti schierati oggi per il Sì in Lombardia e in Veneto non sembra possibile che possano votare assieme alla Camera e al Senato.
Lega Nord e Partito Democratico hanno trovato un accordo precario sulla legge elettorale. Il M5S è per natura contrario a qualsiasi forma di accordo con “i vecchi partiti”.
Che cosa voteranno i parlamentari pentastellati?
A leggere quello che ha scritto Beppe Grillo poco fa non sembra possibile un accordo tra Lega Nord e M5S. Grillo ha definito Matteo Salvini un traditore politico che dopo il voto sul Rosatellum ha gettato definitivamente la maschera alleandosi con Berlusconi, Renzi, Alfano, Verdini, Casini . Nel post sul Blog si rinfacciano a Salvini i suoi “tradimenti” ed è scritto che “Salvini fa piu schifo di Renzi e Berlusconi messi insieme”.
Per il M5S il Popolo ha sempre ragione
Nel frattempo però in Veneto e in Lombardia il M5S fa campagna a favore del Sì. I consiglieri 5 Stelle lombardi due anni fa cantavano vittoria per essere riusciti a far introdurre il voto elettronico nella futura consultazione referendaria.
Anzi, per i pentastellati lombardi anche il testo del quesito referendario è merito loro e non della Lega Nord. In un video si spiega ad esempio che è stato il M5S ad aver voluto il referendum sull’autonomia della Lombardia.
Un successo ricordato qualche giorno fa dal consigliere pentastellato Andrea Fiasconaro orgoglioso del fatto che grazie ad una legge voluta dal MoVimento 5 Stelle si potrà finalmente sperimentare il voto elettronico.
Costo della sperimentazione: 23 milioni di euro (di soldi pubblici) per 24 mila tablet che saranno utilizzati nei circa 8.000 seggi.
I tablet poi dovrebbero essere dati alle scuole ma c’è chi dice che difficilmente quelle voting machine — proprio a causa delle caratteristiche che le rendono affidabili per il voto elettronico — potranno essere di qualche utilità in ambito scolastico.
Ci sono due ragioni che spiegano come mai il M5S sta dando sostegno — anche con banchetti organizzati dagli attivisti — al referendum per l’autonomia.
La prima è la stessa del PD: non si vuole lasciare che la consultazione diventi un’arma in mano alla Lega Nord.
Se anche gli elettori del M5S andranno a votare e voteranno sì sarà più difficile per la Lega intestarsi il merito della vittoria.
Così facendo però sia il PD che il M5S avallano un referendum dove anche per la Corte Costituzionale (che ha giudicato legittima la consultazione) «manca nel quesito qualsiasi precisazione in merito agli ambiti di ampliamento dell’autonomia regionale su cui si intende interrogare gli elettori».
Il secondo motivo è che il MoVimento è in un certo senso “costretto” dal suo modo di intendere la politica sostenere l’importanza delle forme di consultazione popolare.
In Veneto non tutti i 5 Stelle sono d’accordo con il sostegno dato al referendum
Se in Liguria il pentastellato Fabio Tosi chiede che venga al più presto “indetto il referendum consultivo regionale con l’obiettivo di attribuire all’ente ulteriori forme e condizioni di autonomia” in Veneto le cose vanno diversamente.
Il MoVimento 5 Stelle di Este (lo stesso della “dissidente” Patriza Bartelle) ha criticato la scelta dei consiglieri regionali di sostenere il referendum per l’autonomia del Veneto. Secondo il Meetup di Este il referendum del 22 non è una cosa seria ed è solo «un mezzo di propaganda politica per la Lega Nord ed in particolare per Luca Zaia, fatto passare come referendum “ad personam».
Si legge nel post che «mentre a Roma la Lega contribuisce a seppellire democrazia e M5S con la porcata del Rosatellum, in Veneto un gruppo di portavoce M5S con dei seri problemi di lucidità e identità politica vorrebbe convincerci a votare chi ci sta seppellendo. C’è qualcosa che non va nel M5S veneto».
E visto quello che ha scritto Beppe Grillo questa mattina probabilmente c’è qualcosa che non va anche nel M5S in Lombardia e in Liguria.
Non bisogna trascurare un aspetto importante per un partito politico: in Veneto e in Lombardia si vince anche e soprattutto lisciando il pelo agli autonomisti. In questo il M5S si comporta proprio come tutti gli altri partiti.
La demagogia dei 5 Stelle sullo spreco di soldi pubblici
Ma i guai non finiscono qui: perchè a Roma il MoVimento 5 Stelle non è solo contro il Rosatellum, è anche contro i vitalizi. Cosa c’entrano? Per il MoVimento 5 Stelle è anche una questione di spreco di fondi pubblici e di risparmio per le casse dello Stato. In un’audizione alla Camera del maggio 2016 il Presidente dell’Inps Tito Boeri aveva detto che con la legge Richetti e l’applicazione retroattiva a tutti gli ex parlamentari del sistema contributivo attualmente in vigore ci sarebbe stato un risparmio di 79 milioni di euro per il 2016 e di 83,2 milioni per il 2017, pari a circa il 40% della spesa che è intorno ai duecento milioni di euro l’anno.
A Roma il M5S ha fatto una sceneggiata clamorosa, quasi che quello dei vitalizi fosse un problema per la democrazia.
In Veneto e in Lombardia invece il M5S sembra ben contento che per un referendum inutile, ancorchè legittimo, si siano spesi fino ad ora oltre 64 milioni di euro per fare una cosa per la quale bastava una lettera.
Grillo scherza sempre sul fatto che lo definiscono un demagogo e un populista. Ma come mai per i 5 Stelle non c’è nessun problema a bruciare 64 milioni di euro per far fare propaganda alla Lega Nord mentre i vitalizi (che costano appena dieci milioni di euro in più) sono uno spreco di proporzioni galattiche?
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 13th, 2017 Riccardo Fucile
L’ULTIMO POST E’ STATO PUBBLICATO CON UNA BESTEMMIA NEL TESTO, POI E’ STATA RIMOSSA
Il post parla, ironicamente, della ritrovata concordia delle forze politiche intorno al
voto sul Rosatellum Bis:
I cittadini tutti, oggi, celebrano un miracolo italiano che si pensava appartenere oramai solo ad una azzardata e folle speranza (Dio cane). Così si realizza l’impossibile, così oggi è divenuto realtà . Forze politiche da sempre avverse si sono unite, concentrando tutti i loro sforzi e le loro capacità di mediazione, per raggiungere un obiettivo primario e realizzare la volontà dei cittadini.
Accantonati inutili rancori, dicotomie ormai desuete quali maggioranza/opposizione: Pd, Lega, Forza Italia, verdiniani et similia, convergono magicamente ed approvano una legge perfetta, inappuntabile, impermeabile a qualsiasi critica, proprio perchè frutto di lunghe e condivise intese e prodotto della volontà granitica di donare ai cittadini lo strumento migliore per volare sicuri verso i seggi e scegliere il meglio per il Bel Paese.
La parte divertente della vicenda, come ha notato Mauro Favale di Repubblica, è che le agenzie di stampa hanno riportato la bestemmia nei lanci subito dopo la pubblicazione del post.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 13th, 2017 Riccardo Fucile
IL GRANDE ASSENTE E’ IL NO, L’UNICA INCOGNITA E’ QUANTI ANDRANNO A VOTARE PER IL NULLA
L’autonomia? «Una stupidata», ha sentenziato l’imprenditore trevigiano Luciano Benetton.
Una cosa seria, serissima, nelle intenzioni dei governatori Roberto Maroni e Luca Zaia desiderosi di battere cassa a Roma dopo i referendum del 22 ottobre.
Mancano nove giorni e, con l’eco delle vicende catalane nelle orecchie, Lombardia e Veneto si interrogano: quanti andranno a votare? Le due consultazioni si muovono in un limbo, tra la serietà di un voto istituzionale e il faceto delle iniziative elettorali.
Merita, allora, citare qualche esempio.
A cavallo tra le province di Padova e Vicenza, una fronda di sindaci si è detta pronta a concedere colloqui solo ai cittadini che, dopo il 23 ottobre, si presenteranno con il certificato di voto.
La vera scomunica clericale, però, è arrivata dal pulpito di Miane, nel Trevigiano, dove il parroco ha definito «vigliacchi» quelli che non si recheranno alle urne.
Maurizio Dassie non è un arciprete qualsiasi: tra i suoi allievi, alla scuola enologica di Conegliano, ha avuto proprio un giovane Luca Zaia.
Non contento, il prelato ha ribadito il concetto nel bollettino parrocchiale. «Sono morte delle persone per consentire il voto», la predica.
Lo sconto per il funerale
Nella terra del Carnevale veneziano, sacro e profano s’intrecciano. E così due amici, Roberto Agirmo e Samuel Guiotto, hanno realizzato una campagna di marketing ad hoc. «In ogni caso… buon viaggio», recita il volantino che promette sconti agli elettori che andranno a votare: il 20 per cento per chi opta per una vacanza «tailor-made» (fatta su misura) e il 10 per cento sui «servizi funebri completi».
Misura tendente al macabro anche per uno dei video elettorali lanciati sull’altra sponda del Garda.
Un uomo (per la cronaca Ignazio Albanese, fratello dell’attore e regista Antonio) viene ripreso in un bara. Il morto, che rappresenta la Lombardia, si risveglia dal sonno eterno per sgridare le donne piangenti al suo capezzale. Il messaggio è chiaro: l’ha ucciso l’astensione.
Il viadotto crollato
Ma a tenere banco, dopo la questione tablet (23 milioni di euro per 24 mila device, che tra l’altro non consentono neppure di votare scheda nulla) è stato un altro spot televisivo, rigorosamente in dialetto.
Un uomo in bicicletta si dirige verso il ponte crollato di Annone Brianza mentre una donna gli grida che è meglio fermarsi. Il montaggio lascia intendere che l’attore venga inghiottito dalla voragine e che con l’autonomia fatti di questo tipo non sarebbero accaduti. Il crollo di quel ponte costò la vita a un automobilista e altri cinque rimasero feriti: il viadotto non c’è più, ma anche l’umorismo è dato per disperso.
Nessun contrario
In questo campionario mancano, e fa pensare, le campagne per il no all’autonomia.
Anche perchè, eccezion fatta per certi ambienti del clero lombardo, alle classi dirigenti locali è convenuto dirsi favorevoli al referendum.
Le formule prevedono però la virgola: si va dal «sì, consapevole» della Confartigianato veneta al «sì, ma diverso» del sindaco Pd di Bergamo Giorgio Gori, pronto a sfidare Maroni alle Regionali del 2018.
Da ultima anche l’Anci veneta, l’associazione dei comuni, ha parlato dell’opportunità dell’autonomia. Proprio nella regione della Liga Veneta, la madre di tutte le leghe, il sì sembra poter raggiungere un consenso maggioritario.
E Zaia, in lizza per una poltrona in un ipotetico governo di centrodestra nazionale, non vede l’ora di intestarsi la vittoria. Raccontata a mo’ di zibaldone la richiesta di autonomia potrebbe sembrare stupida.
Se non fosse che rischia di avere esiti politici seri, serissimi.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 13th, 2017 Riccardo Fucile
ALLEANZE, VIA ALLE INTESE… EVITATA LA FORMALIZZAZIONE DELLA CRISI DEL SISTEMA
La fiducia posta dal governo sulla legge elettorale aveva certificato la crisi dei partiti.
La bocciatura della legge elettorale avrebbe formalizzato la crisi del sistema. L’onda sismica non avrebbe terremotato solo il premier e il suo governo, il Pd e il suo segretario, Forza Italia e il suo leader, avrebbe spianato il Parlamento e scosso il Quirinale, cioè – per dirla con il centrista Cesa – «tutti coloro i quali hanno apparecchiato il tavolo della trattativa sul Rosatellum».
Perciò un diccì come Rotondi, che ha vissuto la fine della prima Repubblica, nelle ore di vigilia sosteneva che l’affossamento della riforma sarebbe stato «peggio del ’92. Piuttosto che affannarci alle urne, faremmo prima a dare le chiavi del Palazzo a Grillo».
Complicato scoprire i renitenti
Ecco quale era la posta in gioco. Ecco perchè Gentiloni invitava a mettere «l’Italia al primo posto», siccome «non è il tempo dell’irresponsabilità ».
Ecco perchè Renzi e Berlusconi si erano approssimati all’appuntamento rinnovando l’appello ai rispettivi deputati.
Ognuno con il proprio stile. E se al telefono il Cavaliere firmava pagherò a tutti gli azzurri con un «garantisco io per te», il segretario democratico faceva diffondere messaggi nemmeno da decrittare: «Capisco che qualcuno, con questa legge, possa temere di non essere ricandidato. Ma se questa legge non passa, è certo che nessuno sarà ricandidato».
In effetti sarebbe stato complicato scoprire i renitenti: i forzisti del Sud che temono di essere gabbati o quelli del Centro che nelle proiezioni non prenderebbero un collegio? E i democrat settentrionali davvero sarebbero più penalizzati di quelli meridionali? Per tutta la giornata si è inutilmente tentato di dare un volto ai franchi tiratori, militi ignoti destinati ad esser ricordati come «traditori» o «liberatori» a seconda della parte presa.
Quale fosse il loro ruolo per Bersani era chiaro, avendo incoraggiato in Aula al dissenso i suoi ex compagni del Pd, «anche perchè non sarebbe il caos come si va dicendo».
Fine del discorso, vivi applausi dei fittiani e corsa preoccupata verso quei banchi di un gruppo di forzisti e democratici.
Accordi lasciati a metà
«Ma tanto non succederà nulla», aveva pronosticato il leader di Mdp lasciando l’Emiciclo. E in effetti l’atmosfera in Transatlantico, rispetto ai tempi dell’accordo sul tedesco, non era quella dell’imboscata.
La presenza di Ap (e l’assenza dei grillini) nel patto aveva contribuito a stabilizzare l’alleanza e aveva consentito di usare la fiducia.
Eppoi che fosse cambiato il clima lo si capiva dal modo esagitato in cui parlava al cellulare Portas, detentore di un pacchetto di voti in Piemonte portati finora in dote al Pd: «Scusa, ma se lì ci sono 23 collegi…». Non si sa con chi stesse parlando e nemmeno come sia terminata la trattativa. Ma è da giorni che si imbastiscono accordi lasciati a metà in attesa del voto segreto.
«Salvinizzazione del centro-destra»
Un voto che – fosse andato male – non avrebbe avuto un seguito. Gianni Letta, che fino a lunedì sperava in un «terzo tempo» sulla legge elettorale, dopo la fiducia si è arreso.
Sul merito la pensava pressappoco come Bersani, secondo il quale «bocciando il Rosatellum c’è sempre il Consultellum da aggiustare per arrivare a un proporzionale. E a quel punto si chiederebbe agli italiani da chi e in che modo farsi governare».
Ma il braccio destro di Berlusconi era consapevole che l’atto «tecnico» del governo aveva cambiato il quadro politico. Perciò ha cambiato approccio nelle conversazioni. «Bisognerà lavorare per la riduzione del danno», ripete ora agli interlocutori: «Andrà posta attenzione sulle candidature nei collegi», temendo che la riforma inneschi un processo di «salvinizzazione» del centro-destra. Fuochino.
«Al Nord abbiamo quanto abbiamo, al Sud – secondo i sondaggi – siamo davanti a FdI in tutte le regioni tranne una…», sorrideva ieri il vicesegretario della Lega Giorgetti, come si preparasse a un lauto pranzo.
Per garantire le elezioni il 4 marzo, il Rosatellum arriverà al Senato blindato.
L’ex ministro delle Riforme Quagliariello sa che non ci sarà spazio per modifiche e cerca di addolcire la cosa con ironia: «Tanto a me, più del capolista bloccato interessa la capolista bloccata».
E forza Napoli…
(da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 13th, 2017 Riccardo Fucile
SONO QUATTRO MILIONI E PER LA LORO ASSISTENZA RICEVONO APPENA 500 EURO AL MESE… DOPO LA DENUNCIA DI BERTOCCO, ECCO IL LORO CALVARIO
Un atto d’accusa che colpisce al cuore. Perchè dice con chiarezza che essere disabili gravi in Italia vuol dire diventare “ultimi”.
Privi di assistenza, privi di sostegni, privati soprattutto della sfida di essere autonomi. Lasciati soli con la propria propria malattia.
A meno di non avere molti soldi e una famiglia (giovane) che possa prendersi cura di persone che dolorosamente dipendono in tutto e per tutto da chi li assiste.
Alzarsi, vestirsi, lavarsi, essere imboccati, lavati, girati, medicati, giorno e notte, notte e giorno.
Il “testamento” pubblico di Loris Bertocco, paralizzato da quando aveva 19 anni per un incidente stradale, la sua scelta di andare a morire in Svizzera denunciando l’abbandono da parte delle istituzioni, è la fotografia impietosa della condizione di vita dei non autosufficienti in Italia.
Tra tagli e giungle burocratiche, buone leggi disattese, la disabilità è sempre di più una questione di famiglia.
Affidata nella latenza dello Stato a genitori e fratelli stremati che spesso possono contare unicamente sui 500euro mensili dell’assegno di accompagno.
“Ossia una goccia nel mare, per assistere un uomo nelle condizioni di Loris Bertocco ci sarebbero volute almeno tre persone… “, denuncia Pietro Barbieri, oggi coordinatore scientifico dell’Osservatorio sulla disabilità del ministero del Lavoro.
“La sua storia mi tocca nel profondo – aggiunge Barbieri – perchè anche io sono tetraplegico, dunque so cosa vuol dire questo tipo di vita, accettabile soltanto se si hanno gli aiuti necessari a garantire la nostra dignità di esseri umani “.
Ossia tutto quello che negli ultimi anni Bertocco, ormai senza soldi e affidato “soltanto” alle cure dello Stato non aveva più. Ecco allora dalla A di assistenza, alla S di scuola, la vita ad ostacoli dei disabili gravi nel nostro paese
L’ASSISTENZA NEGATA
Le voci sono fondamentalmente due: assegno di accompagno e pensione di invalidità . Poco più di 500 euro il primo, 279 euro la seconda.
L’assegno viene erogato sulla base della patologia, a prescindere dal reddito, ma la condizione è che la persona disabile non viene assistita in una struttura pubblica.
La pensione invece è destinata a chi ha un reddito al di sotto dei ventimila euro. Insomma quasi nulla.
A cui si devono sommare alcuni aiuti erogati dai Comuni, che riescono però a coprire un numero esiguo di casi.
“La verità – dice Barbieri – è che negli ultimi anni le politiche di welfare si sono occupate quasi unicamente della povertà , dimenticando la disabilità . Il risultato è il fenomeno tutto italiano del “badantato”. Ma sapete quanto costa assistere una persona come Bertocco o come me? Tremila euro al mese… “.
I PARENTI ABBANDONATI
Ossia Caregiver. Nome inglese che vuol dire colui o colei (nel 90% dei casi la declinazione è femminile) che si prende cura. È il centro del dramma italiano.
Spiega Pietro Barbieri: “Nell’assenza dello Stato l’intero peso dell’assistenza è sulle spalle delle famiglie. Peso che diventa insostenibile quando i genitori invecchiano o si ammalano. Basta leggere quello che scrive nella sua lettera Loris Bertocco, raccontando l’abnegazione della madre che però ad un certo punto non riusciva più ad alzarlo. Per questo le associazioni hanno chiesto, con forza, una legge che tutelasse queste figure che nell’ombra si dedicano anima e corpo a chi non può farcela da solo, spesso abbandonando il loro lavoro. Ma dopo anni oggi è in discussione al Senato una legge che le associazioni bocciano senza appello.
“Il testo prodotto non riconosce alcuna tutela, ad esempio i contributi figurativi, nè alcun ruolo decisionale ai caregiver “. Quindi i pochi aiuti restano quelli della legge 104, ad esempio i permessi lavorativi destinati a chi si prende cura di un familiare malato.
RISORSE COL CONTAGOCCE
I conti sono impietosi. Per gli assegni di accompagno lo Stato spende ogni anno circa 13 miliardi euro. Altri 6 miliardi vengono stanziati da regioni e comuni.
Racconta Barbieri: “Se dividiamo questa cifra per il numero dei disabili gravi, vediamo che per l’assistenza le famiglie ricevono non più di 700 euro al mese. Ma sapete quanto costa una badante? Novecento euro di stipendio base, più tutti gli straordinari. Per un disabile come me, o come Bertocco, con la necessità di essere assistito giorno e notte ci vogliono minimo due persone, più spesso tre”. Come fanno le famiglie? Ci sono madri, padri e fratelli che si dedicano senza respiro al familiare disabile. Con il risultato che spesso, però, è tutta la famiglia che si ammala…
IL SOGNO DELL’AUTONOMIA
L’alternativa a tutto questo è il ricovero in un istituto. “Ma anche il ricovero ha costi alti e in alcune regioni i posti sono limitatissimi. E poi vuol dire abdicare all’autonomia che è invece la sfida di noi non autosufficienti. Muoverci, vivere, avere delle relazioni, lavorare. Perchè ospedalizzarci? La Convenzione Onu sulla disabilità dice che l’autonomia è un diritto. Ma senza un’assistenza domiciliare adeguata un disabile diventa un prigioniero in casa”.
CHE FATICA A SCUOLA
Sulla carta avremmo una delle leggi “di inclusione” migliori del mondo. La legge 517 del 1977 che compie quest’anno mezzo secolo e ha sancito la fine delle classi “differenziali”. I bambini disabili che vanno a scuola sono oggi oltre 200mila.
“Grazie a quella legge abbiamo il record di studenti disabili gravi iscritti all’università “, dice Barbieri. Ma anche qui l’eccellenza italiana rischia di sgretolarsi.
“Nonostante la crescita smisurata del numero di insegnanti di sostegno passati da 30mila a 130mila, spesso i bambini in classe vengono lasciati a se stessi. Nel senso che gli insegnanti vengono utilizzati per altri compiti, il loro ruolo è stato snaturato, ma soprattutto mancano figure come gli assistenti educativi e materiali.
Insomma a meno che non ci siano dei bidelli disponibili, non c’è una figura che porti, ad esempio, il bambino disabile al bagno “.
E il paradosso è che spesso sono le mamme a dover entrare a scuola per aiutare i loro bambini “speciali” nelle esigenze primarie…
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 13th, 2017 Riccardo Fucile
DOPO L’ANNUNCIO DELLE SUE DIMISSIONI DALLA GIUNTA RAGGI, L’EX ASSESSORE VOLUTO DA GRILLO ESPRIME LE PROPRIE PERPLESSITA’
«Non mi farete parlare male della Raggi», premette Massimo Colomban nell’intervista
rilasciata oggi a Giovanna Vitale su Repubblica dopo l’annuncio delle sue dimissioni e della nomina al suo posto di Alessandro Gennaro, componente del suo staff.
Però forse il veneto ex assessore alle partecipate dovrebbe rivedere il suo concetto di “parlare male”:
Per quel che ha potuto vedere, ritiene la classe dirigente 5S all’altezza?
«Probabilmente no, ma visto il livello nel quale è stata ridotta l’economia locale e nazionale, se ascoltassero farebbero addirittura meglio!»
All’interno del M5S esiste un problema di selezione dei gruppi dirigenti?
«Come tutti i movimenti giovani che vanno al potere, devono maturare e crescere al loro interno. Sono senza dubbio una forza politica irruente e innovatrice, che però deve evolvere verso la indispensabile professionalità e capacità governativa. Specie sull’economia, alcune loro idee mi spaventano perchè forse c’è chi spera nel tanto peggio per l’Italia (e per Roma) tanto meglio per il Movimento, che è l’opposto di ciò che un operatore pubblico o politico dovrebbe pensare e fare».
Colomban infatti spiega che attualmente al M5S Roma manca la professionalità e la capacità governativa
Calando questo ragionamento nella realtà cittadina, lei era per l’ingresso dei privati in Atac ma la giunta Raggi ha deciso che resterà tutta pubblica e di proseguire l’affidamento in house.
«A mio parere le aziende di servizi, come appunto Atac e Ama, devono essere per prima cosa efficienti e dare il miglior servizio al cittadino al minor costo, indipendentemente che siano al 100% pubbliche o in JV pubblico-privato. È di fondamentale importanza che il servizio sia messo a gara ogni tot anni, e che vinca il migliore: se il migliore è una società al 100% del Comune bene, altrimenti via libera ad una sana ed onesta concorrenza. Il mantra “tutto pubblico” non funziona».
Il M5S ha preferito tener fede alle promesse elettorali anzichè darle retta…
«L’ingresso dei privati poteva essere un primo passo, anche se la situazione che ho trovato in Campidoglio e nelle sue partecipate era, e purtroppo in alcune aree ancora permane, molto difficile e compromessa. Non si può avere la qualità dei servizi di Milano quando le risorse pro capite sono la metà ed il territorio da servire sette volte più esteso. Perciò, fintantochè Roma non avrà almeno un miliardo (ma per essere alla pari con Milano ne servirebbero due) di maggiori risorse per infrastrutture e servizi non riuscirà a fare miracoli».
(da “NextQuotidiano”)
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