Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile
EVITANDO DI INDIRIZZARE LE POCHE RISORSE VERSO UN SOLO OBIETTIVO HA CEDUTO AL RITO REDISTRIBUTIVO E CONSOCIATIVO
Oltre tre quarti della manovra da 20 miliardi varata ieri dal Consiglio dei ministri
finiscono per sterilizzare l’aumento dell’Iva che altrimenti sarebbe scattato dal 2018.
Altri due miliardi se ne vanno in aumenti per gli statali.
Per questo, scrive oggi Francesco Manacorda su Repubblica, il governo pare aver rinunciato a fare politica: ha evitato di indirizzare con decisione le (scarsissime) risorse verso un solo obiettivo e ha preferito una versione ridotta del solito rito redistributivo-consociativo.
Pressato dai vincoli, certo, come del resto tutti gli ultimi governi di questi anni. Ma anche in difficoltà a causa di una maggioranza sempre più fragile che sta andando in frantumi con la legge elettorale e che non garantirebbe nulla in caso di operazioni più acrobatiche.
Per questo alla fine Gentiloni, dopo aver portato avanti una trattativa per un anno sull’aumento-adeguamento dell’età pensionabile ai parametri dell’ISTAT che riguarda 60mila persone, ieri ha gettato la spugna e deciso di lasciare tutto com’è anche se i sindacati hanno promesso battaglia.
Sul lato delle entrate c’è il sempreverde capitolo della lotta all’evasione e una ennesima rottamazione delle cartelle esattoriali, che somiglia molto a un condono.
Sulla spesa capitoli frammentati e di entità risibile, per coprire esigenze che vanno dall’occupazione giovanile alle politiche per il Sud, dalla lotta alla povertà agli ammortamenti per chi investe in macchinari; fino agli sgravi per la ristrutturazione di terrazzi e giardini che innescheranno l’ola dei florovivaisti ma che non paiono destinati a risolvere i mali italiani.
Gli sgravi per i neoassunti richiesti dalla Confindustria alla fine non sono arrivati, e questo nonostante il governo abbia indicato come priorità combattere la disoccupazione giovanile.
Il governo Gentiloni ha invece scelto di non scegliere.
Per i forti vincoli esterni, ma anche per non turbare gli equilibri di una maggioranza instabile che in contemporanea alla legge di Bilancio dovrà far passare anche la nuova legge elettorale.
Così, mentre il microcosmo alfaniano gioisce per l’assenza di nuove tasse, i dissidenti di Mdp protestano, ma sperano anche che nella discussione parlamentare ci sia spazio per una misura che sostengono come l’abolizione dei superticket.
Un po’ per uno, poco per tutti.
Padoan può ben dire di aver sventato assalti alla diligenza, ma perchè la diligenza è un carretto che non può fare molta strada nè sopportare carichi pesanti, come quello di un rilancio della ripresa.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile
NEL SIMBOLO DEL PARTITO “BERLUSCONI PRESIDENTE”
Nel corpo a corpo con la Lega di Salvini ogni arma torna utile.
E ora che Forza Italia si ritrova a inseguire pur di un soffio l’alleato-competitor (vedi il sondaggio Demos ieri su Repubblica), allora nel partito hanno deciso di ricorrere all’arma finale.
Il brand Berlusconi campeggerà comunque nella scheda elettorale.
Come se il capo ci fosse davvero, come se corresse al pari degli altri candidati, perfino come se potesse tornare a Palazzo Chigi.
Anche se così non è, non è più possibile dopo la condanna definitiva del 2013 e gli effetti della Severino.
Legge che tuttavia non contempla alcun divieto per il nome del condannato non candidabile. E allora eccolo “Berlusconi presidente”, farà da cornice al nome e al simbolo Forza Italia che comparirà su ognuna delle liste del proporzionale nelle 28 circoscrizioni della Camera e nelle 20 del Senato, accanto al nome del candidato di centrodestra nei 231 collegi uninominali per Montecitorio.
“Berlusconi presidente lo è a tutti gli effetti, nel nostro partito, non c’è alcuna anomalia”, taglia corto con soddisfazione chi lavora al marketing elettorale.
“Se Forza Italia viaggia attorno al 15%, il brand Berlusconi vale da solo almeno la metà ” spiega il professor Nicola Piepoli. “Se vogliamo essere più precisi circa 2,5 milioni di voti vengono ancora spostati da quel cognome”, è la sua stima.
La trovata – alla quale da Arcore hanno sempre fatto ricorso anche alle ultime politiche – stavolta acquista dunque un significato particolare.
Va a colmare almeno in parte la voragine: niente posto da capolista al proporzionale per il leader in tutte le circoscrizioni come ai tempi d’oro, addio alla corsa “uno contro uno” in un collegio milanese.
Bisogna far ricorso all’escamotage salva-partito. Del resto, lo stesso ex premier ormai tiene acceso solo un barlume di speranza rispetto al pronunciamento della Corte di Strasburgo sui diritti dell’uomo sul suo caso.
“Il 22 novembre si riuniranno per due ore ma la sentenza mi dicono che arriverà dopo sei mesi, al momento resto incandidabile: non posso essere eletto, per ora, ma sono a disposizione “, allargava le braccia Berlusconi lo scorso fine settimana alla manifestazione dei suoi a Ischia.
Andrà in Sicilia nei prossimi giorni per un paio di tappe per sostenere Nello Musumeci. Poi farà campagna battente per le politiche. Da leader ma, appunto, “incandidabile”.
Questo non gli impedirà di completare la riabilitazione politica già ampiamente avviata in seno alla famiglia del Ppe.
Dopo la “benedizione” impartitagli due settimane fa a Roma dal presidente Joseph Daul – che lo ha indicato come baluardo del centrodestra contro i populisti in Italia giovedì il Cavaliere dovrebbe far ritorno a Bruxelles dopo 5 anni.
Per partecipare proprio al pre vertice del Ppe. Pranzo con gli altri capi di Stato e di governo del partito, al quale parteciperà Angela Merkel, fresca del successo in Germania.
“La vittoria in Austria del Partito popolare conferma la forza trascinante della linea moderata”, ha commentato ieri Berlusconi dopo il successo del giovane Kurz.
I moderati, non i “ribellisti” amici della Lega, è il sottinteso.
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile
PARTE “DESTINAZIONE ITALIA”, TAPPE DI 90 MINUTI PER “RECUPERARE IL DIALOGO CON L’ITALIA PROFONDA”… A BORDO MILLENNIALS, DIRIGENTI E OSPITI
Matteo Renzi, segretario del Partito Democratico, abbandonato il camper da rottamatore
con cui ha girato l’Italia nel 2012, questa volta andrà “avanti” a bordo di un intercity, preso in affitto da Trenitalia.
Martedì a Roma, dalla stazione Tiburtina, alle 9 e 55 partirà il treno che per 8 settimane toccherà 107 province italiane.
Il giro si chiama “Destinazione Italia” e il personale a bordo sarà composto principalmente da Millennials, giovani volontari del Pd, nati tutti dopo il 1999, definiti dai democratici il “cuore pulsante” del tour
Rimasto fermo nel deposito del parco Prenestino, dopo i rinvii della partenza, inizialmente prevista per il 25 settembre, è stato allestito per ospitare militanti, rappresentanti delle istituzioni e amministratori dei territori.
Cento posti a sedere, cinque carrozze e un vagone dedicato agli incontri che si terranno durante gli spostamenti da una tappa all’altra.
Sulla livrea del treno nessuna scritta in rosso e blu con il nome di Renzi, solo paesaggi italiani, alpini e marittimi.
Per iniziare la campagna elettorale sono stati scelti i luoghi segnati dal terremoto che versano in maggiore difficoltà , dove la destra negli ultimi anni ha guadagnato terreno. Il primo giorno l’intercity farà tappa in provincia di Rieti per poi proseguire nelle Marche con una sosta ad Arquata del Tronto, e in Abruzzo.
Quella che dai democratici è definita una “sede itinerante” del partito ha l’obiettivo di “dialogare con l’Italia profonda, il famoso Paese reale che non cattura l’attenzione di giornali e tv”.
Il treno arriverà poi in Puglia, feudo del governatore dem dissidente Michele Emiliano bacino elettorale del rivale Massimo D’Alema, con una sosta a Taranto per poi ripartire diretto a Napoli.
Qui dal 27 al 29 ottobre, al Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa si terrà la Conferenza programmatica nazionale del partito.
Alla vigilia della partenza, un messaggio a Renzi è arrivato dal primo segretario del partito Walter Veltroni, uno dei triumviri salito sul palco del teatro Eliseo di Roma insieme a Renzi e Gentiloni per il decennale del Pd. “Mi auguro che si ritrovi il più possibile il dialogo con quella parte della sinistra che è molto grande nel Paese” ha commentato l’ex sindaco di Roma, all’indomani dell’ulteriore strappo con Articolo
1-Mdp sulla legge elettorale e con il Campo Progressista di Giuliano Pisapia, non disposto a fare da “maggiordomo” alla coalizione di centrosinistra disegnata da Renzi. “Mi auguro che sul treno ci siano ago e filo a sufficienza per una ricucitura” ha concluso Veltroni.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile
POLEMICHE NEL PD PER COME E’ STATA GESTITA LA CASSA INTEGRAZIONE… BONIFAZI LATITANTE DURANTE LE TRATTATIVE
La cassa integrazione è iniziata il 1 settembre, ma siamo già alle ondate polemiche e alle lotte intestine.
Insomma il Partito democratico, come nella più solida delle sue tradizioni, si arma contro se stesso.
Un pezzo in polemica con l’altro: stavolta, addirittura, i lavoratori versus i datori di lavoro, roba notevole visto che parliamo degli eredi del Partito comunista.
L’ultima è la lettera sottoscritta da una sessantina di dipendenti, la metà di quelli entrati in cassa integrazione (che sono 121, mentre altri 63 ora distaccati si aggiungeranno a fine legislatura), nella quale si chiede al partito
di «cambiare rotta». In pratica: i vertici ci mettano la faccia in modo «corale formale e pubblico”, si racconti quale è il piano di rientro, si avvii «un reale coinvolgimento dei lavoratori». Tutta roba che, a quanto pare, non c’è stata.
Nel mirino c’è Francesco Bonifazi, 41 anni, renziano da sempre e tesoriere del partito, accusato di assoluto disinteresse per la questione. Raccontano che quest’estate
alla trattativa non ci fosse, tanto addirittura da provocare stupore al ministero del Lavoro («è la prima volta, in casi così, che il tesoriere manca»), la sua firma nemmeno figura sull’accordo.
Naturalmente Bonifazi controargomenta di aver fatto il necessario, che sbagliano gli altri. Ma l’aria che tira, mescolata alla tendenza renziana (via via più spiccata) di appaltare all’esterno – società , consulenze e altri contenitori – pezzi anche importanti dell’attività , come nella comunicazione, fanno temere a taluni che il licenziamento dei dipendenti sia dietro la porta.
Senza troppi complimenti.
(da “L’Espresso“)
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Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile
RIGUARDA L’OSCURA VICENDA WESTINGHOUSE, AVVISO ANCHE ALL’ASSESSORE ROLANDO: ALTERATE LE CIFRE UFFICIALI DEL BILANCIO, UN DEBITO DI 5 MILIONI POSTICIPATO DI UN ANNO
Scivola sul primo bilancio di Torino firmato Cinquestelle la sindaca Chiara Appendino
ufficialmente indagata dalla procura con l’accusa di falso in atto pubblico.
Un’inchiesta partita su impulso di alcuni esponenti dell’opposizione la vede ora in buona compagnia sul registro degli indagati per il caso ex Westinghouse.
Ed è la seconda volta dopo i drammatici fatti di piazza San Carlo.
Con Appendino è sotto accusa anche Sergio Rolando, l’assessore al Bilancio. Questa mattina sono stati notificati gli avvisi di garanzia.
Una postilla al documento che riassume i conti della città , e uno scambio di email riservate, sequestrato dagli uomini della Guardia di Finanza del Nucleo di polizia tributaria, inchiodano la parte più importante della giunta torinese a una causa non molto diversa da quella che, a Roma, vedrà imputata per la nomina di Renato Marra al dipartimento dello Sport, l’altra prima cittadina del Movimento 5Stelle, Virginia Raggi.
Qui, a Torino, è un debito da 5 milioni di euro depennato dal bilancio della città , a mettere in difficoltà la sindaca e i suoi fedelissimi.
Un debito che era stato contratto dalla precedente giunta con la società Ream della Fondazione Crt, che aveva anticipato la somma per ottenere un diritto di prelazione sulla realizzazione di un grande centro commerciale sull’area ex Westinghouse, e che doveva essere restituito nel 2017.
Un pagherò che gli aveva lasciato in eredità Piero Fassino, e che si è aggiunto alle difficoltà finanziarie del Comune, costretto quest’anno a imporre pesanti tagli per evitare di chiudere dichiarando il dissesto.
Complice la difficoltà di far tornare i conti, nelle concitate settimane di preparazione dei documenti, Paolo Giordana, d’accordo con Appendino e con l’assessore al Bilancio, come risulta dalle carte in possesso della procura, ha chiesto ai dirigenti di alterare le cifre ufficiali, posticipando di un anno il debito da 5 milioni con Ream.
Un’operazione illegittima secondo i due più agguerriti avversari ai Appendino in Consiglio comunale: Stefano Lo Russo capogruppo del Pd, e Alberto Morano, del centrodestra, che hanno presentato un esposto in procura, seguito da quello dei revisori dei conti, ottenendo l’apertura dell’inchiesta coordinata dal pm, Marco Gianoglio.
“Ti pregherei di rifare la nota evidenziando solo le poste per le quali possono essere usati i 19,6 milioni di Westinghouse – scriveva il capo di gabinetto, Paolo Giordana, alla dirigente del settore Finanza, Paola Tornoni, il 22 novembre 2016 – Per quanto riguarda il debito con Ream lo escluderei al momento dal ragionamento, in quanto con quel soggetto sono aperti altri tavoli di confronto”.
Il messaggio dalla posta di Giordana veniva inviato, per conoscenza, all’assessore Sergio Rolando e all’indirizzo email personale di Chiara Appendino.
Destinataria principale era la dirigente che da molti anni si occupava di preparare il bilancio della città , Anna Tornoni, la quale per molti giorni ha tentato di scoraggiare Giordana nel suo intento di modificare la somma dei debiti e che, conclusa la disputa, è stata sollevata dall’incarico.
A un certo punto è intervenuta anche Chiara Appendino personalmente, con una lettera nella quale dichiarava di aver aperto un tavolo con Ream per aggiustare i conti.
Ma nessuna trattativa avviata per posticipare eventualmente la restituzione del debito, sollevava il Comune dall’obbligo di indicare i 5 milioni sul bilancio.
Ne era convinta Tornoni, teste chiave dell’accusa, e lo sapevano bene i revisori dei conti che in più occasioni avevano chiarito pubblicamente che l’operazione pensata da Giordana non era fattibile.
Nella notte tra il 3 e il 4 maggio, al termine della maratona che si è chiusa con l’approvazione definitiva del bilancio, i revisori si sono, a sorpresa, smentiti da soli, e hanno firmato un parere che autorizzava la discussa posticipazione del debito al 2018 (data modificata a penna su un testo stampato).
Una correzione ottenuta a tradimento se è vero quello che hanno raccontato mesi dopo i revisori. ”Era la fine di una giornata campale con una tensione che si tagliava col coltello – ha spiegato a Repubblica il presidente del Collegio, Herri Fenoglio -. Il consiglio era cominciato alle 10 del mattino, mi hanno chiamato all’improvviso, all’una di notte, perchè servivano delle correzioni, mi stavano intorno in cinque, io ero letteralmente fuso. Mi hanno messo sotto il naso il documento dicendo che c’erano dei refusi da correggere. Uno, in effetti, lo era. L’altro, invece, era quella maledetta data. In quel momento non ero lucido, ero stanchissimo, e ho pensato davvero di essermi sbagliato. Così ho corretto e ho siglato”.
La versione è stata confermata dagli altri due.
E l’indagine è già quasi chiusa: tra lettere ufficiali e mail riservate i passaggi sembrano ben ricostruiti, uno dopo l’altro.
(da “La Repubblica”)
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