Ottobre 19th, 2017 Riccardo Fucile
TRA I PARTITI PD AVANTI AL M5S, E’ TESTA A TESTA
Come ogni mese abbiamo fatto il punto dell’Opinione Pubblica.
Il nostro Barometro comincia con una domanda riguardante la nuova legge elettorale approvata in una settimana, cioè in un tempo molto ridotto, sia dalla Camera dei Deputati che dal Senato della Repubblica.
Il Rosatellum piace poco o per nulla al 59% degli elettori, molto o abbastanza sol,o al 27%, gli altri non si esprimono.
La legge elettorale entrata in vigore ha un pregio inestimabile: fa sì che Camera e Senato abbiano pressochè la stessa possibilità di avere una maggioranza o di destra, o di centro, o di sinistra. Si tratta dunque di una legge che unifica i due rami del Parlamento (anche se ci sono differenze marginali, la sostanza è questa).
Tuttavia l’Opinione Pubblica non si è accorta del grande pregio di questa legge, si è accorta invece dei suoi evidenti difetti, che cioè sarebbe stata generata da un accordo sottobanco da alcuni partiti che presumibilmente saranno i «figli favoriti» della legge stessa, e quindi non ha accettato questo tipo di messaggio, bocciandolo clamorosamente.
Seguono le intenzioni di voto che risultano essere molto stabili nei confronti delle precedenti rilevazioni: il Pd conferma per un soffio la sua leadership CON IL 29%. Anche il Movimento 5 Stelle si conferma partito di massa, a un soffio dai democratici CON IL 28,5% . I 5 Stelle sono ben distribuiti nel corpo sociale e in tutto il territorio nazionale.
Il centrodestra si dimostra tonico ed è vincente in termini numerici ma non in termini di seggi, date le attuali divisioni interne che probabilmente non colmeranno i buchi prima delle votazioni della prossima primavera. La Lega è al 14%, Forxza Italia al 13%, Fdi al 4,5%.
Per quanto riguarda i singoli protagonisti, cominciamo dai «due grandi» della vita pubblica nazionale: il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. Entrambi hanno perso qualche punto rispetto ai mesi passati e, in ogni caso, hanno entrambi mantenuto una posizione egregia. Entrambi distanziano significativamente tutti gli altri leader sia governativi, sia contrari al governo.
Quanto agli altri leader c’è chi sale e c’è chi scende. Tra coloro che sono tonici ci sono Luigi Di Maio e Silvio Berlusconi, mentre sono meno in forma Matteo Renzi, Beppe Grillo e Matteo Salvini.
Quali tra questi leader potrebbero aspirare a essere Presidente del Consiglio? Nel centrodestra si fanno luce Matteo Salvini e Silvio Berlusconi ma non sfigura Giorgia Meloni; nel centrosinistra sono ovviamente in rilievo Matteo Renzi e Paolo Gentiloni che lasciano un po’ in ombra la «seconda forza» dell’area rappresentata da Giuliano Pisapia. Sulla figura di Giuliano Pisapia abbiamo rivolto all’Opinione Pubblica una domanda in particolare riguardante la sua dichiarazione interpretabile come potenziale appoggio al Pd. Questa idea è stata interpretata dall’opinione di centrosinistra nel suo senso più vitale, cioè «noi del centro sinistra siamo un’unica forza quindi in qualche maniera dobbiamo aggregarci, pur mantenendo le rispettive identità ».
Un ultimo punto non descritto nell’esposizione numerica allegata riguarda cosa pensano i popoli della Lombardia e del Veneto sul loro prossimo referendum che concerne il miglioramento dell’autonomia delle due Regioni: su questi referendum, in cui saranno sperimentati nuovi sistemi elettronici di voto, il popolo del Veneto risulta essere più vicino di quello della Lombardia sia al concetto di autonomia, sia all’idea di partecipare direttamente al referendum di domenica.
Quindi andrà a votare percentualmente più il Veneto che la Lombardia. Quanto ai “sì” dati nel Veneto, questi saranno superiori in percentuale ai “sì” dati dai Lombardi. Ovviamente si tratta di informazioni in fase di costruzione e quindi discutibili solo e soltanto dopo il voto.
(da “La Stampa”)
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Ottobre 19th, 2017 Riccardo Fucile
QUANDO ERANO ALL’OPPOSIZIONE NON VOLEVANO CENTRI COMMERCIALI NELL’AREA WESTINGHOUSE
La difesa di Chiara Appendino nella vicenda ex-Westinghouse punta il dito sui revisori
dei conti.
Herri Fenoglio, Maria Maddalena De Finis e Nadia Rosso, sostiene la sindaca nella sua difesa, hanno dato l’ok al posticipo dell’iscrizione del debito nel 2018 e quindi è tutto in regola.
Ma c’è molto da discutere riguardo quanto sostengono la sindaca e l’assessore al bilancio Sergio Rolando nelle dichiarazioni ai pubblici ministeri e alla stampa
Perchè la difesa di Chiara Appendino non regge
Tutto sta nella cronologia degli eventi qui riepilogata nelle tappe della vicenda. Chiara Appendino ha appena deciso che l’area ex-Westinghouse non andrà alla REAM perchè è arrivata un’offerta migliore per trasformare la zona in un centro commerciale.
La sindaca, decidendo di avallare la decisione di costruire un centro commerciale al posto dell’ex-Westinghouse aveva giustificato la decisione spiegando che il Comune potrà così incassare 19,6 milioni di euro che potranno essere così messi a bilancio e utilizzati per sostenere il capitolo cultura e altre iniziative del Comune.
Peccato che nella effettiva disponibilità del Comune ce ne fossero “solo” 14 e che i 5 milioni in più avrebbero dovuto essere resi a Ream (con gli interessi).
E non è l’unico “voltafaccia” del M5S di governo: perchè la Appendino in campagna elettorale si era impegnata a non utilizzare gli oneri urbanistici per finanziare la spesa corrente, ma quella è un’altra storia.
Nel bilancio 2016 i 5 Stelle hanno iscritto i crediti per l’operazione Westinghouse ma non i debiti, ovvero quei famosi 5 milioni.
Ma a parte la coerenza con le promesse elettorali, che non è una prerogativa del M5S come sappiamo riguardo Roma, guardiamo la cronologia degli eventi.
In sede di redazione del bilancio il 27 aprile 2017 i revisori integrano il parere che hanno dato la settimana precedente e includono il debito REAM, che deve essere iscritto.
Rolando e Appendino sostengono per iscritto che non ci sono i tempi per riconoscere quel debito, che sarà inserito nella prossima variazione di bilancio. I revisori nella notte del 28 aprile approvano la scelta di inserire il debito fuori bilancio ma negli emendamenti i revisori hanno inserito il debito nel 2017
I revisori di bilancio inguaiano la sindaca?
Qui succede qualcosa di misterioso e inspiegabile. Il 3 maggio il Consiglio comunale si riunisce per votare il bilancio. Le votazioni vanno avanti per ore e in piena notte il presidente dei revisori, Fenoglio, viene portato in una stanza.
Gli dicono che ci sono dei refusi e che deve correggere a penna: la data 2017 cambia in 2018 e la stessa cosa fanno gli altri due. Il giorno dopo però i revisori cambiano idea: scrivono alla sindaca, al presidente del Consiglio comunale e segretario generale: “Per mero errore di trascrizione è stato corretto manualmente ma l’anno di riferimento da intendersi è 2017”. Quando verranno a sapere dell’esposto di Morano e Lo Russo, anche i revisori scriveranno alla Procura.
La difesa dei revisori contabili è curiosa: sostengono di essere stati messi sotto pressione e di essersi comunque corretti a 24 ore di distanza. La procura deve averli giudicati credibili visto che non li ha iscritti nel registro degli indagati. Ma qui il punto è un altro. Se i revisori invece fossero in malafede, cosa cambierebbe nella posizione della sindaca
La fuga della sindaca Appendino
La risposta è semplice: niente. Sostenere che c’era l’ok dei revisori dei conti alla posticipazione di un debito non salva la posizione della sindaca e dell’assessore al bilancio ma semmai aggrava quella dei revisori (stiamo parlando in via teorica, visto che la procura non li ha indagati e loro si sono smentiti il giorno successivo). La loro versione, raccolta da Repubblica Torino, è questa:
È l’1 di notte quando il presidente racconta di essere stato portato in una stanza, forse quella di Fabio Versaci. E il suo parere gli viene messo sotto gli occhi «solo per correggere un paio di refusi». «Ero stanchissimo e non mi sono accorto di cosa facevo – ha raccontato Fenoglio – uno era davvero un errore da correggere ma l’altro no, quella era la data su cui ci eravamo tanto battuti. Ho cancellato 2017 e ho sostituito con 2018». E il debito è di nuovo scomparso. Inutile scrivere il giorno dopo alla sindaca e poi ai consiglieri di aver commesso un errore. Le email sono tutte respinte al mittente. Il bilancio così è passato e non si cambia. Resta solo un esposto in procura, anche per salvarsi.
Nella memoria difensiva consegnata martedì dalla sindaca alla Procura si sostiene: “L’indicazione ‘2018’, frutto di correzione manuale da parte dei revisori, è coerente”con le comunicazioni con la Ream nelle quali, ancora nell’aprile 2017, il presidente della società Giovanni Quaglia, presidente della Fondazione Crt che controlla la Ream, offre la sua disponibilità al pagamento della somma nel 2018, accordo che viene perfezionato una settimana dopo quando propone due alternative per rateizzare in tre anni la somma a partire dal prossimo anno.
Perciò, secondo la difesa, il debito non era affatto da saldare nel 2017. L’assessore Rolando spiega che viene usato il principio di “competenza finanziaria potenziata”: “Una entrata e una uscita si iscrivonoquando il debito o il credito diventano esigibili. Tutto quello che abbiamo fatto nel bilancio segue questa regola e lo abbiamo sempre detto e scritto in tutte le delibere”.
E qui c’è invece la contraddizione che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati per falso ideologico.
Scrive, infatti, il pm: “Non vi era alcuna trattativa in corso”.
Anzi, REAM aveva “rinnovato la richiesta di restituzione della somma maggiorata degli interessi a gennaio 2017”.
Di nuovo su Appendino: “In sede di approvazione del bilancio di previsione 2017-2019 (la sindaca, ndr) afferma che il Collegio dei revisori aveva espresso parere favorevole allo stanziamento dei 5 milioni nel 2018”. E che lo stesso aveva fatto Ream con una lettera del 21 aprile. Falso anche questo, secondo gli investigatori. Con una lettera del 28 aprile 2017, infatti, REAM aveva detto proprio il contrario. Aveva proposto una rateizzazione, ma preteso la restituzione almeno della prima tranche nel 2017.
La parte più curiosa della vicenda è che se la Appendino avesse dato seguito alle promesse della campagna elettorale non sarebbe finita in questo guaio.
Vedi tu a volte l’ironia della sorte.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 19th, 2017 Riccardo Fucile
SOSTIENE CHE LA SINDACA “E’ INDAGATA PER UN DEBITO FATTO DA FASSINO”: BALLE, SI TRATTA DI UNA CAPARRA E LA APPENDINO E’ INDAGATA PER FALSO IN BILANCIO
C’era una volta Marco Travaglio, feroce cronista di cronaca giudiziaria che da qualche tempo veste i panni dell’avvocato d’ufficio del MoVimento 5 Stelle. –
Quando deve parlare di vicende che riguardano esponenti politici del M5S Travaglio ha dei vistosi cali di lucidità e onestà intellettuale.
È successo quando ha cercato di farci credere che l’avviso di garanzia nei confronti di Virginia Raggi in realtà fosse strumentale a farla dimettere e a fare in modo che Roma rientrasse in corsa per le Olimpiadi del 2024. Peccato che all’epoca la Capitale fosse già uscita definitivamente dai giochi senza possibilità di ripescaggio.
Nei giorni scorsi Chiara Appendino è stata raggiunta da un avviso di garanzia per una vicenda legata alla costruzione di un centro commerciale nell’area della ex Westinghouse.
Il fatto che la Appendino sia indagata non significa che sia colpevole, ma questo per giornalisti come Travaglio, che ad ogni avviso di garanzia hanno una vistosa erezione, rappresenta un problema.
Il garantismo infatti non è nelle corde del giornalista più manettaro d’Italia. Urge trovare una soluzione per giustificare la Appendino e salvare il buon nome dei 5 Stelle.
Non potendo raccontare che in realtà la sindaca è stata indagata dal PD, come hanno fatto i 5 Stelle, Travaglio sceglie una strategia più subdola: raccontare una menzogna che non solo non ha senso se si conoscono i fatti ma non sta in piedi nemmeno dal punto di vista giudiziario.
Ieri Travaglio, in collegamento con di Martedì su La 7 ha spiegato che il debito per cui la sindaca è indagata l’ha fatto Fassino ma i PM hanno deciso di mandare l’avviso di garanzia all’Appendino.
Un’ingiustizia bella e buona, direte voi.
Se non fosse che la Appendino non è indagata per aver fatto un debito ma per aver fatto sparire 5 milioni dal bilancio cittadino.
Appendino non è indagata per “debito” ma per falso in bilancio.
È vero, la Appendino quei soldi non li ha rubati, ma nessuno l’ha accusata di averlo fatto.
Ma c’è di più, Travaglio spiega che «nel caso dell’Appendino si tratta del rinvio di un anno di un pagamento di un debito che il Comune aveva con un’azienda».
In realtà non si tratta nemmeno di un debito ma della restituzione di una caparra che in base agli accordi presi dalla precedente amministrazione avrebbe dovuto essere restituito nel 2017.
La Appendino non ha deciso di rinviare di un anno la restituzione della caparra, perchè dal documento dei revisori dei conti traspare che la Appendino non aveva preso nessun accordo con REAM, la società che nel 2012 aveva versato al Comune la caparra da 5 milioni di euro.
Insomma prendendo per buona la versione di Travaglio ne consegue la Appendino ha deciso di rinviare il debito ad insaputa dei creditori.
Contestualmente però la sindaca ha iscritto a bilancio l’entrata di 19.6 milioni di euro, derivanti dalla cessione dei diritti di superficie della ex Westinghouse alla società vincitrice della gara.
Se avesse voluto rinviare di un anno il pagamento del debito come sostiene Travaglio avrebbe messo a bilancio 14.6 milioni di euro in entrata e i 5 milioni di euro in uscita, specificandolo.
Di questo però non c’è traccia nel bilancio approvato dalla giunta pentastellata.
In questo modo, ritengono i revisori dei conti e i magistrati, la Appendino ha fatto figurare alla voce entrate soldi che in realtà il Comune avrebbe dovuto restituire. Anzi: i revisori dei conti scrivono nella loro relazione che “il debito per la restituzione della caparra a Ream debba essere riconosciuto e finanziato nel bilancio dell’esercizio 2017, ai sensi dell’art. 194 del TUEL, e questo a prescindere dall’effettivo versamento dilazionato concesso per il 2018“.
In poche parole anche volendo rinviare il debito di un anno la Appendino avrebbe dovuto iscriverlo a bilancio.
Non è la prima volta che il Fatto Quotidiano viene in soccorso della Appendino su questa vicenda. La linea del giornale di Travaglio è stata chiara fin da subito.
Non solo il Fatto ha scritto che quei 5 milioni sono un debito contratto dall’amministrazione Fassino ma anche che “quei soldi, secondo gli accordi, dovevano essere restituiti nel 2017, visto che poi il progetto in questione è stato accantonato. Nel bilancio 2016, però, quella cifra non è mai comparsa”.
E questo è falso perchè il progetto non è stato affatto accantonato. O meglio, lo era fino a che non si è insediata la Appendino e ha stipulato un accordo con Amteco per la cessione dell’area.
Inoltre la Sindaca Appendino, aveva giustificato la decisione spiegando che il Comune avrebbe potuto incassare 19,6 milioni di euro che potranno essere così messi a bilancio e utilizzati per sostenere il capitolo cultura e altre iniziative del Comune. Ma come è noto il Comune avrebbe potuto utilizzarne solo 14,6 dal momento che 5 erano da restituire a Ream.
Paradossalmente se i 5 Stelle avessero mantenuto le promesse fatte in campagna elettorale, e la linea seguita durante la scorsa consiliatura quando si erano opposti tenacemente all’operazione sulla ex Westinghouse la Appendino non si sarebbe trovata in questa situazione.
I 5 Stelle infatti, spinti dal desiderio di fare cassa, hanno deciso di utilizzare gli oneri di urbanizzazione della ex Westinghouse per finanziare la spesa corrente e “salvare la città ”. Peccato che prima delle elezioni la Appendino avesse dichiarato di non volerlo fare.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 19th, 2017 Riccardo Fucile
MONS. MICCICHE’ INDAGATO PER APPROPRIAZIONE INDEBITA E MALVERSAZIONE… 800.000 EURO SOTTRATTI A UN ENTE MORALE PER UN ATTICO
Monsignor Francesco Miccichè è di nuovo nei guai. 
Sollevato dall’incarico da Papa Benedetto XVI nel 2012 in seguito a un’inchiesta della Procura di Trapani sulla gestione di due Fondazioni gestite dalla Curia trapanese, l’alto prelato indagato per appropriazione indebita e malversazione per la distrazione dei fondi dell’8 per mille avrebbe utilizzato ottocentomila euro, sottratti ad un ente morale, la Fondazione Campanile, una delle più importanti realtà socio-assistenziali della Sicilia, per acquistare un attico con dependance da 210 metri quadrati a Roma.
La storia è raccontata da Alessandra Ziniti su Repubblica e parla di un attico al quarto piano di un antico palazzo nobiliare al numero 50 di via San Nicola di Tolentino alle spalle di piazza Barberini. Cinque finestre su un unico balcone in uno stabile di pregio che ospita anche un paio di residence di lusso e un’accademia di moda. Acquistato nel 2008 dal vescovo di Trapani ad un prezzo decisamente sottostimato per i prezzi del centro di Roma: 760.000 euro più 30.000 di spese notarili, per di più dichiarandone l’utilizzo ai fini di culto (dunque equiparato ad una chiesa) per non pagare l’imposta di registro, l’appartamento è stato intestato alla Curia di Trapani
Come ha confermato ai pm monsignor Alessandro Plotti, inviato dal Vaticano come nunzio apostolico a Trapani dopo la rimozione di Miccichè.
Quello dell’alto prelato (scomparso qualche tempo fa) è un durissimo atto d’accusa: «Io ho rilevato l’anomalia dell’acquisto di una casa privata intestata alla diocesi con soldi che avrebbero dovuto essere destinati alla cura dei bambini e alle finalità della Fondazione Campanile. Non è accettabile che siano stati buttati via 500.000 euro per l’acquisto di una casa privata a Roma in pieno centro storico sottraendo quella somma alla possibilità di destinarli alla cura di bambini con problemi psichici».
Monsignor Plotti parla ai pm di 500.000 euro perchè la casa risulta essere stata pagata con cinque assegni da 100.000 girati dal conto della fondazione Auxilium (che aveva incorporato la Campanile) e 300.000 euro in contanti. Quando Plotti aveva chiesto conto a Miccichè di quale fosse la provenienza di quella somma così grossa in contanti, raccontano che il vescovo gli avrebbe risposto con un sorrisetto ironico: «Li ho trovati nel cassetto».
In totale monsignor Francesco Miccichè avrebbe sottratto tre milioni di euro dai fondi dell’8 per mille a quelli della Fondazione Campanile attraverso una fusione per incorporazione che gli ha permesso di tirare fuori i 500mila euro necessari per coprire parte del prezzo dell’immobile.
E non solo: sotto la lente ci sono anche le cessioni in comodato gratuito di immobili reimpiegati in strutture alberghiere.
E non c’è solo questo nel curriculum del vescovo: nel 2015 la polizia trovò foto osè con minori nel suo PC sequestrato. Un vero e proprio album fotografico che ritraeva in pose inequivocabili dei minori, alcuni molto piccoli.
Nel PC si ritrovarono all’epoca anche documenti che certificavano che Miccichè avrebbe messo da parte un ingente patrimonio appropriandosi dei fondi dell’8 per mille e gestendo, grazie ai suoi buoni agganci con il mondo della politica, dell’imprenditoria e della burocrazia, diversi business portati avanti da un sistema di cooperative che ruotava attorno alla Caritas diocesana e dalla Fondazione Auxilium. All’esame degli inquirenti c’era una nutrita corrispondenza con la quale Miccichè avrebbe caldeggiato l’assunzione in vari enti, imprese e società di alcune persone a lui vicine.
Il 15 settembre è infine cominciato un processo a suo carico per calunnia aggravata. Secondo l’accusa, Miccichè avrebbe accusato di appropriazione indebita e falso don Ninni Treppiedi, ex direttore dell’ufficio amministrativo della Curia, in alcune interviste rilasciate a un settimanale locale. Gli articoli ricostruivano le vicissitudini della Curia trapanese e ovviamente facevano di lui l’unico innocente in mezzo a un mondo di lupi.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 19th, 2017 Riccardo Fucile
A MULTEDO IN SCENA IL TEATRO DELL’ASSURDO: ACCOGLIERE 12 PROFUGHI E’ DIVENTATO UN AFFARE DI STATO… VE LI SIETE ALLEVATI I RAZZISTELLI? ORA GODETEVELI
“Sicuramente a qualcuno alla fine le decisioni che si prendono possono non piacere. Ma tutti hanno il diritto di dissentire…”, mette le mani avanti il sindaco Marco Bucci. Parla davanti a quello che sembra un plotone di esecuzione, cioè una sala stracolma di cittadini di Multedo, arrabbiatissimi e tra loro solidali, uniti nella lotta: contro l’arrivo di alcuni migranti che verranno piazzati in un ex asilo.
Sembra un po’ la legge del contrappasso: il centrodestra a trazione Lega che da anni cavalca la questione – no all’immigrazione, riassumendo – si ritrova tra le mani la patata bollente di cittadini che si autodefiniscono “esasperati”.
Perchè è vero che la rabbia incanalata contro rifugiati e richiedenti asilo porta voti e ti porta al governo, ma poi una volta al governo tocca – se ci si riesce – calmare ciò che si era fomentato.
“Vorrei essere il sindaco che sposta la Carmagnani e la Superba…”, le due aziende chimiche del quartiere, la sala risponde infastidita, come a dire sì certo come no, le solite chiacchiere
È una serata dura, quella che tocca al sindaco. Parla del compromesso raggiunto con la prefettura, arriveranno dodici (12) migranti, “possono diventare anche una risorsa”, prova a dire Bucci; anche lì, la risposta è un “buuu”.
I cittadini di Multedo – il fronte degli esasperati dall’emergenza causata dal possibile arrivo degli uomini neri – non vogliono sentir parlare della parola compromesso.
“Ma si sono fatti dei passi avanti, non bisogna dare l’impressione di avere posizioni rigide”, ribatte il sindaco. Un po’ amico del comitato, un po’ nella scomoda situazione di dover esercitare il realismo, “e chi governa deve decidere e sono qui per metterci la faccia”.
È grande la preoccupazione dell’assemblea: chi ci assicura che alla fine saranno solo dodici? “La sicurezza io non ce l’ho”, spiega il sindaco, e di nuovo la situazione si scalda. “Ma se ci saranno comportamenti non accettabili da parte di queste persone l’edificio verrà chiuso”, continua. Altra domanda: “Eh, ma per quanto tempo si può chiudere?!”. E poi: “Quali sono questi comportamenti?”
Insomma, sono mille le obiezioni, le cosiddette paure, la sostanza è una: i dodici ospiti non sono graditi.
Allora Bucci rassicura che in suo potere c’è quello di fare ordinanze per garantire la sicurezza, se mai alla fine i dodici decidessero di mettere a ferro e fuoco il quartiere.
Quindi il Comune promette alcune opere compensative al quartiere in cambio del lasciapassare del comitato ai dodici. La mediazione (im)possibile di Bucci è questa in sostanza
Il sindaco assiste attento alla sequela di recriminazioni, con una dose di pazienza non indifferente. “Chi ci garantisce che i dodici non fanno parte dell’Isis?”, è il grido disperato di una signora.
Bucci fa una smorfia, questa sembra troppo anche per lui: fare il sindaco eletto coi voti dei fomentati dalla sua stessa maggioranza, un mestiere usurante.
(da “La Repubblica“)
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