Ottobre 28th, 2017 Riccardo Fucile
LA SINDACA: “MI DISPIACE, PRIMA VIENE L’INTERESSE DELLA CITTA'”
Paolo Giordana capo di gabinetto della sindaca di Torino Chiara Appendino si è dimesso
dopo la pubblicazione delle intercettazioni delle telefonate in cui chiedeva al presidente di Gtt Ceresa di togliere una multa a un amico.
“Sono convinto della correttezza del mio operato e lo dimostrerò nelle sedi opportune. Mi preme, più che ogni altra cosa, tutelare la Città di Torino e l’Amministrazione. Per questa ragione ho prontamente rassegnato le dimissioni nelle mani della Sindaca” ha dichiarato Giordana.
Chiara Appendino ha replicato “Accetto le dimissioni di Paolo Giordana, sono umanamente dispiaciuta per la persona, lo ringrazio di aver messo al primo posto l’interesse della Città ” Interpellato a margine della marcia per le Regionali il leader M5s Luigi Di Maio ai cronisti risponde: “Le dimissioni di Giordana? Si commentano da sole”. Chi fa errori come questo va fuori.
In mattinata Giordana era stato interrogato per oltre tre ore dai magistrati della Procura di Torino per un altro scandalo in cui è coinvolto la vicenda del non inserimento di un debito nei confronti di una società la Ream nel bilancio del Comune di Torino per cui è indagato, insieme alla sindaca Chiara Appendino e all’assessore Sergio Rolando per concorso in falso in atto pubblico. Proprio nell’ambito di quello scandalo è stata intercettata la telefonata che ha portato alle sue dimissioni.
Dopo l’interrogatorio, in cui era assistito dall’avvocato Luigi Chiappero, Giordana è uscito da una porta laterale del Palazzo di Giustizia evitando i giornalisti
(da agenzie)
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Ottobre 28th, 2017 Riccardo Fucile
IN UNA INTERCETTAZIONE GIORDANA CHIEDE A CERESA DI INTERVENIRE PER UNA MULTA DA 90…. L’ALTRO ACCETTA ED ESEGUE
Nelle carte dell’inchiesta GTT c’è un’intercettazione che riguarda il capo di gabinetto della sindaca di Torino Chiara Appendino, ovvero Paolo Giordana.
Intercettato al telefono con l’amministratore delegato di Gtt, Walter Ceresa, Giordana gli chiede di togliere la multa fatta a un amico sul pullman.
La telefonata risale al 25 luglio 2017 e la conversazione si trova nelle carte dell’inchiesta per falso in bilancio: il capo di gabinetto, scrive il quotidiano, è intercettato.
La conversazione comincia con l’annuncio, da parte di Giordana, dell’approvazione della delibera straordinaria del piano di rientro dei debiti pregressi verso la società . Poi si arriva al clou:
Ma come gli stessi investigatori sottolineano, la reale ragione della telefonata era diversa. Mettere a conoscenza l’amministratore delegato di Gtt che un suo amico è stato multato sul pullman. Giordana chiede un favore, insomma, cosa si può fare per questa multa? «Senti, io ti chiamavo per una cosa molto più prosaica. C’è stato un increscioso, come dire, evento». Così il capo di gabinetto della sindaca Appendino cambia argomento durante la conversazione con l’amministratore delegato dell’azienda dei trasporti.
«Un mio amico. Per carità , i controllori sono tanto bravi però un po’ troppo, come dire, quadrati. Praticamente un mio amico era sul pullman che stava per timbrare il biglietto e il controllore l’ha fermato dicendogli “lo deve timbrare 5 minuti fa, 1 minuto fa, 30 secondi fa. Adesso le devo fare la multa”. Non è tanto carina come cosa. Cosa possiamo fare?».
L’ad di Gtt chiede cosa ha fatto l’amico e se ha la multa. E Giordana risponde che «ha la multa e il biglietto timbrato anche».
Paolo Giordana ha quindi telefonato per chiedere un favore approfittando evidentemente del suo ruolo di capo di gabinetto della sindaca.
L’altro acconsente e il giorno dopo conferma al capo di gabinetto della sindaca che l’amico è salvo:
Ceresa a questo punto dice: «Sì, manda. Posso… Me la puoi mandare? Che faccio io!» Tra i due uno scambio di battute per capire come passarsi il verbale.
Alla fine Giordana dice che gli invierà la multa via whatsapp perchè «è più comodo, ce l’ho sul telefonino». E poi i convenevoli di chiusura, con un grazie mille da parte del capo di gabinetto all’amministratore delegato di Gtt.
Il 26 luglio Ceresa chiama il capo di gabinetto. Anche per questa telefonata i finanzieri rimandano le considerazioni del caso all’autorità giudiziaria.
«Paolo, tutto a posto quella cosa che mi hai detto», dice Ceresa. Giordana risponde: «Quindi gli dico di stare tranquillo». La risposta di Ceresa è lapidaria: «Sì, sì, non gli arriverà la multa».
Questo il testo dell’intercettazione:
Giordana: «Senti ma io ti chiamavo per una cosa molto più prosaica: c’è stato un increscioso, come dire, evento. Un mio amico, per carità i controllori sono tanto bravi però sono un po’ troppo, come dire, quadrati. Praticamente un mio amico era sul pullman che stava per timbrare il biglietto e il controllore l’ha fermato dicendogli “no guardi lo doveva timbrare 5 minuti fa, 1 minuto fa, 30 secondi fa. Adesso le devo fare la multa” eh eh eh… come dire, non non è tanto carina come cosa. Ehm… Cosa possiamo fare?»
Ceresa: «Eh, ma lui cosa ha fatto? Ha la multa?»
Giordana: «Ha la multa e il biglietto timbrato anche».
Ceresa: «Si manda. Posso… Me lo puoi mandare? Che faccio io!».
Giordana: «Fai tu?
Ceresa: «Sì, sì
Giordana: «Cosa faccio? Mi faccio lasciare la multa e te la mando?».
Ceresa: «Si, si. Mandala pure a me». Giordana: «Guarda, io te la mando via whatsapp. Eh».”
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 28th, 2017 Riccardo Fucile
COSTRETTA A RITIRARE UN BANDO DA 500 MILIONI PER LA BOCCIATURA DELL’ANTITRUST… ORA RISCHIA DI PERDERE ANCHE DAVANTI AL TAR PER I RICORSI DELLE PMI ROMANE
Chi va piano va sano e va lontano, questo sembra essere il motto che illumina
l’accidentato percorso del MoVimento 5 Stelle alla guida di Roma Capitale.
O meglio, usando le parole della Sindaca Virginia Raggi: «seguire le procedure di legge richiede tempo» e che i tempi lunghi ci sono sì, ma «perchè facciamo le gare. Resistiamo alle minacce».
Preparare i bandi insomma affinchè siano all’altezza dello standard pentastellato richiede parecchio tempo. E ai 5 Stelle romani non piace l’idea di improvvisare soluzioni d’emergenza e pasticciati. Le cose si fanno secondo le regole, e serve tempo.La gara d’appalto Multiservizi bocciata dall’Antitrust
Il risultato è che i bandi non ci sono.
Ma non perchè non sono pronti o non sono stati pubblicati, il Comune si è messo d’impegno ed è riuscito a pubblicarne alcuni.
Uno era la famosa — e corposa — maxigara dall’importo di 475 milioni di euro bandita dal Dipartimento Scuola del Comune di Roma. Gara sospesa dal Comune dopo la bocciatura da parte dell’Antitrust il 18 ottobre.
Attualmente a gestire i servizi di manutenzione e gestione, di guardiania e pulizia delle scuole e del verde pubblico è la società Roma Multiservizi.
Una società partecipata dal Comune di Roma (51% Ama Spa e 49% Manutencoop) che Marino voleva dismettere. La Raggi (con Frongia, De Vito e Stefà no) quando era all’opposizione invece si oppose ad una eventuale dismissione dell’azienda auspicando una internalizzazione dei dipendenti.
Ed è grazie a quella battaglia che i 5 Stelle si sono garantiti un bacino elettorale.
Solo che come sempre, come per i tassisti o per i dipendenti di ATAC questo significa che il M5S deve ora restituire quella “cambiale” elettorale.
Il problema di Roma Multiservizi è che mano a mano che i contratti vanno a scadenza la società ha difficoltà a mantenere in servizio tutti i dipendenti. Quando ad agosto 2016 finì il contratto per la pulizia dei mezzi di ATAC la Raggi procedette con un affidamento diretto a Roma Multiservizi che però non riuscì ad aggiudicarsi tutti i lotti (ne vinse uno su otto) della successiva gara d’appalto indetta a fine 2016.
Il 6 giugno 2017 la Raggi ha pensato di risolvere il problema con la “gara a doppio oggetto“. In pratica l’idea era quella di dare vita ad una nuova società inizialmente pubblica dove far confluire Roma Multiservizi.
Successivamente la nuova società si sarebbe aperta alla partecipazione (minoritaria, tra il 30% e il 49%) di partner privati. Secondo la Raggi si trattava della “soluzione tecnicamente e giuridicamente migliore”.
Il Comune ritira il bando Multiservizi
Dopo la bocciatura dell’Antitrust il bando è stato sospeso. Nel frattempo per Confartigianato Roma ha presentato un esposto all’ANAC e diverse associazioni di categoria, in rappresentanza delle Pmi romane hanno fatto ricorso al Tar contro il bando da quasi cinquecento milioni di euro. Secondo i ricorrenti la gara predisposta dall’Amministrazione pentastellata viola i principi della libera concorrenza e di fatto avrebbe l’effetto di consolidare un monopolio milionario, quello di Roma Multiservizi che da anni ha in mano la gestione dei servizi capitolini.
Se è giusto salvare i lavoratori a rischio licenziamento non bisogna però dimenticare che dall’altra parte ci sono gli altrettanto numerosi (se non di più) dipendenti delle aziende che finirebbero escluse dalla gara a doppio oggetto).
Cosa succederà ora?
Il Comune riscriverà la gara secondo le indicazioni dell’Antitrust (ovvero secondo le regole) e lo ripubblicherà nella speranza di concludere la vicenda entro la fine del 2018. Perchè si sa, per fare le cose bene ci vuole tempo.
E poco importa se stiamo parlando di una situazione che si trascina da anni e che non è certo esplosa durante il mandato della Raggi.
Nel frattempo il Comune dovrà mettere mano ad altri bandi che riguardano altre commesse in scadenza di Roma Multiservizi: ad esempio quello per la rimozione dei veicoli.
Il bando per la manutenzione del verde pubblico ritirato a giugno
Non è la prima volta che la Raggi ha un problema con i bandi. Ad esempio un altro bando — anzi i bandi — per la manutenzione del verde pubblico a Roma. Ad aprile l’assessora Pinuccia Montanari dava notizia dell’apertura di due bandi di gara europei per la manutenzione del verde pubblico a Roma. Si tratta di due bandi attesi da tempo che però nel 2016 l’assessorato guidato all’epoca da Paola Muraro non aveva approntato.
Accade però che in seguito alla modifica del degli appalti (avvenuta circa una settimana prima della pubblicazione del bando) il Comune abbia dovuto rimettersi al lavoro per adeguare la gara d’appalto.
Risultato: quel bando al quale l’amministrazione capitolina aveva lavorato “per bene” per oltre otto mesi è stato sospeso “a data da destinarsi”.
Cose che capitano, in fondo la burocrazia italiana è un coacervo di norme che accavallano una sull’altra.
In fondo i 5 Stelle sono “nuovi” (anche se dopo un anno di amministrazione la scusa non tiene più) e devono mettere mano agli errori delle “precedenti amministrazioni”.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 28th, 2017 Riccardo Fucile
CENTRODESTRA SBANCA AL NORD, M5S AL SUD, I DEM TENGONO SOLO NELLE REGIONI DEL CENTRO… A SINISTRA DEL PD UN 7%
La legge elettorale è stata approvata con una larga e trasversale maggioranza composta da Pd, FI, Lega e Ap, oltre a Scelta civica e Svp.
Sappiamo quindi, dopo un lungo periodo di incertezza, con quali norme andremo a votare. È perciò utile tornare a valutare i possibili risultati che questa legge, alla luce dei sondaggi, potrebbe produrre.
Vediamo intanto le stime di voto.
Il panorama, rispetto agli ultimi dati pubblicati su questo giornale, che risalgono a fine luglio, segnala cambiamenti.
I Dem registrano un calo importante dei consensi, al 25,5% perdono 5 punti rispetto ai risultati migliori degli ultimi mesi. Il centrodestra gode di buona salute, malgrado le divisioni interne: FI cresce di tre punti in pochi mesi ed è a 16,1%, più o meno come la Lega (15,2%), mentre tiene bene Fdl (4,5%).
Anche il M55 subisce una pesante contrazione, di cinque punti ed è al 27,5%. Infine la sinistra, che si ferma, sommando tutte le aree, al di sotto del 7%.
Innanzitutto il Pd registra un calo importante dei consensi, con circa 5 punti in meno rispetto ai risultati migliori degli ultimi mesi. È il segnale delle difficoltà profonde che questo partito ha attraversato recentemente.
Se infatti, grazie anche all’insediamento di Gentiloni e allo stile del premier, il Pd mantiene una certa stabilità nei consensi sino a giugno, successivamente alcuni elementi provocano un progressivo allontanamento degli elettori.
Senza pretese di esaustività , possiamo ricordare lo slittamento dello ius soli, la questione del premierato, rivendicato da Renzi ma messo in dubbio da una parte del partito, le vicende della conferma di Visco a Banca d’Italia.
Quest’ultimo episodio evidenzia uno scontro tra segretario e presidente del Consiglio, che non produce i risultati sperati da Renzi con lo schierarsi dalla parte dei risparmiatori. Per almeno due ragioni: perchè gli elettori del Pd vedono davvero male gli scontri interni e perchè permane tra questi elettori un atteggiamento «istituzionale» non irrilevante. È probabile che se si ripeterà questa sensazione di diarchia e un orientamento a cavalcare temi che potremmo definire «populisti», non sarà semplice risalire la china.
M5S in pesante contrazione
Il centrodestra gode di buona salute. Nonostante le differenze anche marcate – ad esempio di Fratelli d’Italia sulla legge elettorale, o la freddezza degli elettori di Forza Italia in occasione dei referendum autonomisti, oppure ancora le posizioni distanti sull’Europa – gli elettorati non solo tengono ma si ampliano.
FI cresce di tre punti in pochi mesi, più o meno come la Lega, mentre tiene bene FdI. Come abbiamo più volte detto, si tratta di un elettorato capace di superare le divisioni e di compattarsi nella prospettiva di vincere, a differenza di quanto avviene nell’elettorato centrosinistra.
Anche il M5S subisce una pesante contrazione, di cinque punti. Pure in questo caso ci sono elementi evidenti. Le difficoltà di Roma cui si sono aggiunte quelle torinesi, con la sindaca Appendino indagata per falso in bilancio. La nomina di Di Maio, ratificata dalle primarie (con qualche incidente di percorso), a capo politico, con conseguenti frizioni interne.
Una certa distanza da parte di Grillo, nelle percezioni degli elettori, dalla separazione del blog avvenuta proprio in questi giorni. Tutto ciò dà conto dei malumori di un elettorato che si allontana .
Maggioranze difficili
Infine la sinistra, che si ferma, sommando tutte le aree, al di sotto del 7%. Il progetto federatore di Pisapia si è definitivamente arenato.
La sinistra non riesce a intercettare il voto in uscita (rifugiatosi nell’astensione o nei pentastellati), proprio perchè chi se ne è andato non riesce a individuare un progetto praticabile.
La stima dei seggi non fa che confermare le tendenze, con il centrodestra che arriverebbe a quota 248, il Pd, in calo, a 162, la sinistra con 25 seggi complessivi, ammesso che i diversi elettorati riescano davvero a sommarsi, i Cinquestelle a 178.
Anche in questo scenario le maggioranze sono davvero difficili. Se infine guardiamo ai collegi uninominali, stando alle prime stime basate su oltre 55.000 interviste distribuite sulle base dei collegi del Mattarellum per il Senato e in assenza delle candidature (due aspetti che potrebbero produrre cambiamenti), la parte del leone spetterebbe al centrodestra, con poco meno della metà dei seggi (109 su 231) che conquisterebbe in larga parte al Nord (non tutti, come qualcuno ha sostenuto nei giorni scorsi), seguito dal M5S con 71 scranni, concentrati al Sud, e da ultimo il Pd con 51 seggi, provenienti in gran parte dalle ex regioni rosse.
Larghe intese complesse
Molti ritengono che la nuova legge elettorale penalizzi i pentastellati sia per la loro indisponibilità a formare coalizioni sia per il profilo dei candidati nei collegi uninominali dove, presumibilmente, potrebbero esserci figure poco note o con limitata esperienza politica.
In realtà il divieto di voto disgiunto potrebbe attenuare questo fenomeno.
Dalle stime, quindi, emergono tre Italie, che esprimono esigenze diverse e sono rappresentate da forze politiche diverse, in un contesto nel quale stanno prendendo piede aspettative di autonomia regionale, e non solamente nel lombardo-veneto.
I soggetti vincitori nelle tre aree, per mantenere il consenso potrebbero essere tentati di accentuare le distanze anzichè di ridurle.
Pertanto, individuare una maggioranza post elettorale, di larghe intese, tra forze avversarie, potrebbe rivelarsi estremamente complesso per almeno tre ragioni: innanzitutto gli elettori si sentiranno espropriati del loro diritto di decidere chi governerà ; in secondo luogo è molto probabile che con una maggioranza trasversale l’azione dell’esecutivo possa assumere le caratteristiche di un «compromesso al ribasso» piuttosto che quelle di un governo di scopo; da ultimo, le divisioni presenti nel Paese e l’affievolimento del senso di identità nazionale potrebbero ostacolare la definizione di processi unitari.
Nando Pagnoncelli
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 28th, 2017 Riccardo Fucile
E IN SICILIA IL 26% DEGLI ELETTORI NON SA NEANCHE CHE SI VOTA PER LE REGIONALI
Euromedia research ha fatto un’analisi sulla situazione a sinistra del Partito democratico. 
Secondo il report, le forze politiche che fanno riferimento a Mdp, Campo Progressista, Sinistra italiana e Possibile raggiungono a ottobre 2017circa l’8 per cento. Rispettivamente: Mdp al 2,9 per cento, Sinistra italiana al 2,5%, Campo progressista all’1,5 per cento e Possibile allo 0,8%.
Per quanto riguarda l’ipotesi di leader, il gradimento tra gli elettori di sinistra premia Pier Luigi Bersani (27,5% delle preferenze).
Poi a seguire: Giuseppe Civati (25,9%); Anna Falcone (13,8%); Nicola Fratoianni (10,2%); Giuliano Pisapia (8,6%); Tommaso Montanari (5,2%).
In coda Massimo D’Alema (3,5%) e Roberto Speranza (1,8%).
Per quanto riguarda invece l’appuntamento elettorale delle Regionali in Sicilia, secondo un sondaggio dell’Istituto Demopolis, il 26% dei siciliani non sa che il 5 novembre si voterà per il presidente e per il rinnovo dell’ARS.
“A circa 10 giorni dall’apertura delle urne — spiega il direttore di Demopolis Pietro Vento — oltre un quarto dei cittadini siciliani non è ancora a conoscenza dell’appuntamento elettorale. È un dato che, accanto alla progressiva disaffezione dei cittadini nella politica regionale, pesa in modo significativo sulla partecipazione al voto”.
Secondo l’ultimo Barometro Politico dell’Istituto Demopolis per il programma Otto e Mezzo, la fiducia dei siciliani nell’istituzione “Regione” è crollata dal 33% del 2006 al 12% di oggi: un valore più basso di quasi 20 punti rispetto alla media nazionale.
(da agenzie)
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Ottobre 28th, 2017 Riccardo Fucile
MA IN ITALIA UNA DESTRA SENZA DIGNITA’ INNEGGIA ANCORA A UN CRIMINALE
Il rapporto ufficiale dell’Onu conferma le accuse a Bashar al-Assad: è stato il governo siriano a condurre l’attacco chimico a Khan Sheikhoun del 4 aprile scorso, costato la vita a 87 persone. Il rapporto del Comitato investigativo congiunto (Jim) delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) stabilisce che «la Repubblica araba siriana è responsabile del rilascio di gas sarin».
La rappresaglia
L’attacco sulla cittadina a Sud di Idlib scatenò la rappresaglia degli Stati Uniti. Una nave militare nel Mediterraneo lanciò 59 missili Tomahawk contro una base vicino a Homs, sospettata di aver fatto decollare l’aereo responsabile del bombardamento chimico.
Gli Usa
L’ambasciatore americano alle Nazioni Unite, Nikki Haley, ha chiesto che «il Consiglio di Sicurezza dell’Onu invii un chiaro messaggio che l’uso di armi chimiche da parte di chiunque non sarà tollerato e appoggi pienamente il lavoro degli investigatori imparziali».
Sanzioni
Anche la ong Human rights whatch ha chiesto azioni contro la Siria: «Il Consiglio di sicurezza dovrebbe agire rapidamente per garantire la responsabilità , imponendo sanzioni contro individui e soggetti responsabili di attacchi chimici».
Il rapporto stabilisce che anche l’Isis ha usato armi chimiche, gas mostarda, nella cittadina di Umm Hawsh il 15 e il 16 settembre 2016.
Il veto della Russia
Il Comitato investigativo congiunto (Jim) è stato creato dai 15 membri del Consiglio di Sicurezza nel 2016, e rinnovato nel 2016. A metà novembre scade il suo mandato ma la Russia ha messo il veto a una proposta per estenderlo di un altro anno.
Tanto per capire chi protegge un criminale.
(da “La Stampa”)
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Ottobre 28th, 2017 Riccardo Fucile
LE DOMANDE CHE SI PONE L’OPINIONE PUBBLICA INTERNAZIONALE
Che validità ha il voto del parlamento catalano? 
Dal punto di vista della legalità spagnola nessuna. La risoluzione si basa sui risultati di un referendum illegale e la stessa votazione sarà sicuramente annullata dal Tribunale costituzionale nelle prossime ore.
Puigdemont rischia il carcere?
Sì e non solo lui. Il capo della Generalitat (destituito) si potrebbe essere macchiato del reato di “ribellione”, pena massima 25 anni. Le procure sono già al lavoro. Rischiano anche i membri del suo governo e i parlamentari, anche se la mossa del voto segreto mette in difficoltà i giudici.
Come ha reagito Rajoy?
Il premier spagnolo ha destituito ieri sera Puigdemont e tutto il governo catalano. Sciolto anche il parlamento di Barcellona. La Catalogna tornerà al voto, secondo il governo, il prossimo 21 dicembre.
Quando dovrà lasciare l’incarico Puigdemont?
Non appena il decreto di rimozione sarà pubblicato sulla gazzetta ufficiale spagnola e se continuerà ad esercitare le sue funzioni sarà anche accusato di usurpazione di potere.
Si potranno presentare i partiti indipendentisti alle prossime elezioni?
La legge spagnola parla chiaro: solo i partiti che appoggiano il terrorismo sono considerati illegali. Quindi non c’è nessuna preclusione. Ma alcuni esponenti del partito di Rajoy dicono esplicitamente che dovranno partecipare solo i movimenti che riconoscono la costituzione. Un modo per escludere i secessionisti. Per farlo andrebbe cambiata la legge.
Quali sono i rischi maggiori per l’ordine pubblico?
Metà della popolazione catalana non riconosce lo scioglimento delle cariche della Generalitat operata da Madrid. Esiste il rischio di una doppia legittimità . I funzionari e i dirigenti non lasceranno di proposito i loro uffici. A Madrid si teme per la reazione della piazza davanti alla rimozione fisica di Puigdemont dal Palau della Generalitat (che ieri è stato circondato da indipendentisti in festa): «Come lo cacciamo?», ci si chiede nella capitale. L’ala dura del movimento lo ha già detto chiaramente: «Bisogna difendere le nostre istituzioni».
Come si gestirà l’ordine?
In Catalogna sono stati inviati, da un mese ormai, molte migliaia di poliziotti spagnoli. Per ora le manifestazioni sono state completamente pacifiche, ma il «ripristino della legalità costituzionale» sarà complicatissimo.
Quali altre cariche sono state destituite?
Il governo spagnolo ha cacciato anche il direttore generale dei Mossos, il maggiore dei Mossos Josep Lluàs Trapero, i delegati del governo catalano a Madrid e Bruxelles. Verranno chiuse anche le “ambasciate” catalane aperte in questi anni nel mondo, Roma compresa. Il governo spagnolo ha sempre criticate le attività politiche di questi uffici.
Da chi verrà sostituito Puigdemont?
A quanto pare non ci sarà un prefetto mandato a Barcellona, ma ogni ministero spagnolo dovrà guidare i rispettivi uffici che si troveranno senza vertici.
(da “La Stampa”)
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Ottobre 28th, 2017 Riccardo Fucile
IL PIU’ PROBABILE E’ CHE LA REGIONE REAGISCA CON LA DISOBBEDIENZA CIVILE, MA POTREBBE ANCHE ANDAR PEGGIO
Destituzione del presidente catalano Carles Puigdemont e di tutti i suoi consiglieri, convocazione di elezioni in tempi brevi, limiti all’azione del Parlament per evitare un eventuale dibattito sull’investitura di un nuovo presidente.
Sono queste le principali misure di commissariamento della Catalogna decise dal Senato su richiesta del premier Mariano Rajoy in base all’articolo 155 della Costituzione, oltre al controllo dei Mossos d’Esquadra, la polizia locale. Non è passata invece la richiesta di mettere sotto controllo la radio-tv pubblica catalana.
Intanto la Procura Generale dello Stato ha pronta la denuncia per il delitto di ribellione contro gli artefici della dichiarazione di indipendenza approvata ieri dal Parlament di Barcellona, un’azione penale che colpirà almeno i membri del governo e la dirigenza del Parlament che ha consentito il voto.
Il delitto di ribellione, previsto dagli articoli 472 e seguenti del Codice penale spagnolo, prevede pene fra i 15 e i 25 anni di reclusione per coloro che “incoraggiando i ribelli, abbiano promosso o sostenuto la ribellione” e per “i capi principali di questa”.
Coloro che esercitano un ruolo ‘subalterno’ rischiano fra i 10 e i 15 anni di carcere e per i meri partecipanti sono previste condanne fra i 5 e i dieci anni di detenzione. La pena più alta, 30 anni di carcere, si può comminare ai capi di una insurrezione armata che abbia provocato devastazioni o violenza.
Il delitto di ribellione è previsto per quelli che si sollevano in modo “pubblico e violento” perseguendo una serie di obiettivi come la violazione, la sospensione o la modifica della Costituzione o la dichiarazione di indipendenza di una parte del territorio nazionale.
Fu il reato per il quale furono puniti gli autori del colpo di Stato del 1981.
Oggi la Procura prepara una denuncia contro il presidente della Generalitat, Carles Puigdemont; la presidente del Parlament, Carme Forcadell, i membri del governo e i membri della Mesa che hanno permesso di votare la dichiarazione di indipendenza.
Ma non è stato ancora deciso se esercitare l’azione penale solo contro di loro e questa mattina la Procura ha ventilato l’ipotesi che si possa agire contro “tutti” quelli che hanno partecipato agli atti delittuosi.
Finora, la Procura Generale dello Stato non ha deciso quale sara’ il tribunale competente, che dipende dagli effetti e dagli scenari che si apriranno con l’applicazione dell’articolo 155.
Quattro sono gli scenari possibili per la vicenda che coinvolge Catalogna e Spagna.
Il più probabile è che alla sospensione del governo autonomo la regione reagisca con la disobbedienza civile, ovvero con scioperi e manifestazioni che metterebbero il governo spagnolo di fronte al dilemma di rischiare un intervento che prevederebbe la violenza nei confronti di cittadini spagnoli oppure di avventarsi in un lasciar passare che rischierebbe di mettere in ginocchio il paese.
Un altro scenario prevede la presa del potere da parte dei ministeri nazionali e la destituzione di chi si oppone all’amministrazione ordinaria; in questo caso non sarà facile piegare i funzionari pubblici già indipendentisti ma potrebbe essere più semplice da parte del governo centrale accettare un certo livello di disobbedienza senza usare la forza, puntando invece a isolare politicamente gli indipendentisti, facendo leva anche sul fattore economico
Il terzo scenario prevede invece uno scontro di potere con i sindaci che appoggiano oggi la nuova repubblica e potrebbero garantire i fondi per un governo secessionista: già da un anno c’è chi versa le tasse al fisco catalano, la prossima mossa potrebbe essere smettere di versare le tasse dei dipendenti comunali per attuare una costruzione “politica” di un contropotere che si potrebbe così organizzare per proclamare successivamente l’indipendenza.
L’ultimo scenario è quello peggiore: il conflitto che deflagra con la polizia catalana che si ribella a Madrid. I Mossos sono armati: finora si sono “semplicemente” rifiutati di eseguire gli ordini, adesso potrebbero muoversi per l’attuazione della rivoluzione.
Con la secessione dalla Spagna, la Catalogna vuole rilanciare il proprio sogno di trasformarsi in una sorta di “Svizzera del Mediterraneo”, uno Stato indipendente con una superficie e una popolazione (7,5 milioni di abitanti) simile alla ricca Confederazione elvetica.
Nella regione catalana vive il 16% della popolazione spagnola e si produce un quinto della ricchezza nazionale, grazie al fatto che è la roccaforte del sistema manifatturiero e ha in Barcellona, la seconda città del Paese, un formidabile brand di attrazione mondiale. Vi sono un forte senso identitario, una lingua molto diffusa e un territorio da cui passa una delle due grandi vie di comunicazione che uniscono la penisola iberica al resto d’Europa. Il traffico di El Prat, l’aeroporto di Barcellona, è paragonabile a quello di Barajas, lo scalo di Madrid.
L’economia catalana è indubbiamente forte. Secondo gli ultimi dati disponibili — riportati in un rapporto dell’Ispi — nel 2015 il Pil catalano ammontava a 204 miliardi di euro.
E’ una cifra equivalente al 19% del Pil spagnolo, il che significa che, se la Catalogna realizzasse davvero l’indipendenza, avrebbe dimensioni superiori a quelle di 15 altri paesi dell’Unione europea (superando per esempio Portogallo e Grecia).
La Catalogna costituisce dunque una parte rilevante dell’economia spagnola, con un’importanza all’incirca doppia rispetto a quella che la Scozia ha per il Regno Unito (10% del Pil nazionale).
E’ inoltre la quarta regione piu’ ricca della Spagna, con un Pil pro capite di circa 28.000 euro contro una media nazionale di poco più di 23.000 euro. E’ tuttavia superata sia dalla regione della capitale, Madrid (quasi 32.000 euro pro capite), sia dagli autonomisti Paesi Baschi (31.000 euro).
(da “NextQuotidiano”)
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