Novembre 12th, 2017 Riccardo Fucile
LONTANO L’OBIETTIVO DELL’ACCOGLIENZA DIFFUSA, PREVALGONO ANCORA I CENTRI EMERGENZIALI CON SERVIZI MINIMI… SOLO 1017 COMUNI SU 7978 HANNO SCELTO LO SPRAR
L’accoglienza diffusa nei Comuni dei migranti?
Nel 2016 ha aderito al progetto solo un comune su otto in Italia e quasi sempre al Sud. Quasi un anno dopo la firma dell’Intesa tra ministero dell’Interno ed Anci per rilanciare il progetto Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati) sono 1017 su 7978 le amministrazioni che hanno aderito al sistema che secondo un decreto legislativo di due anni fa (145/15) sarebbe dovuto ormai diventare l’unico in Italia.
I numeri raccontano una realtà in crescita (l’anno scorso erano circa 35mila i posti, mentre nel 2015 28mila), ma non abbastanza perchè le strutture che agiscono nell’emergenza e offrono “servizi minimi” non siano da considerare ancora la via privilegiata.
Secondo Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), “è un fallimento” e tra i principali problemi c’è il fatto che tutto funzioni ancora su base “volontaria”. Ma soprattutto è una scelta “politica”.
Diversa la posizione dell’Anci che parla invece di “maratona” e di risultati che arriveranno presto.
Sotto accusa il Viminale: i dati parlano di una migliore integrazione di chi entra negli Sprar, e quindi usufruisce di stage, tirocini e corsi di lingua, rispetto a chi viene accolto nelle strutture di emergenza. Ma ancora ad essere favoriti sono i centri di grandi dimensioni.
Che cos’è e come funziona
Il Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati è la rete comunale dell’accoglienza, coordinata dal Servizio centrale, che il ministero dell’Interno ha affidati all’Anci (Associazione nazionale comuni italiani), che a sua volta si avvale anche della collaborazione della Fondazione Cittalia per la gestione del Sistema.
Che nel concreto significa: il Comune dà la sua disponibilità per ricevere una quota di migranti, diventa “ente capofila del progetto” e riceve finanziamenti standard (35 euro a persona) che possono aumentare sulla base dei servizi per l’integrazione offerti. L’alternativa “d’emergenza” sono i Cas, Centri di accoglienza straordinaria, che per legge sono dotati solo dei “servizi minimi”: in altri termini una branda, un’infermeria e qualcosa da mangiare. Per legge.
Poi qualcuno si spinge oltre, ma sono casi rari. Sempre stando alla norma, i Cas dovrebbero essere soluzioni temporanee in attesa che si liberi un posto Sprar. Peccato però che ad oggi i richiedenti asilo quasi in otto casi su dieci siano in un Cas.
Il 14 dicembre dell’anno scorso, Marco Minniti, fresco di nomina a capo del Viminale, siglava un accordo con Anci per potenziare la rete dell’accoglienza dei Comuni, introducendo soprattutto la “clausola di salvaguardia”: in sostanza, se un Comune entra in un progetto Sprar, non è obbligato ad accogliere anche un centro di accoglienza straordinaria (Cas).
“Molte città , tra Sprar, Cas e Cara, rispettano la loro quota, e realizzano il piano Anci-Viminale. Capisco che è non è semplice, ma l’accoglienza va dirottata su quei territori che non fanno accoglienza, secondo quanto prevede l’accordo. Proprio alla luce di questa situazione la stessa Anci ha già chiesto più volte e ufficialmente, anche ai tempi del prefetto Gabrielli, di concentrarsi sui Comuni con zero presenze”. Lo diceva il 20 giugno 2017 il presidente dell’Anci e sindaco di Bari Antonio Decaro.
“Non conviene, è fallimento”. “No stanno aumentando le disponibilità ”
Le opinioni sul sistema sono contrastanti. Chi è molto critico è Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e presidente del Consorzio italiano di solidarietà -Ufficio rifugiati onlus di Trieste.
“Il problema è che il governo sostiene lo Sprar a parole, ma nei fatti l’amministratore medio non trova convenienza nell’entrare nel sistema ordinario”.
Secondo Schiavone il problema è che l’ingresso nel programma avviene solo su base volontaria. “Non credo che così lo Sprar possa diventare l’unico sistema nel Paese, ma nemmeno il maggioritario”.
Quindi ha concluso: “Il sistema, nella pratica, disattende il disegno normativo. È un fallimento ed era pure annunciato: è impossibile da applicare, se voglio un sistema unico, nel momento in cui lo metto à la carte, che uno può scegliere se starci o anche no”.
E i numeri, mai come quest’anno, inducono a pensare che non ci sia un’emergenza: questo ormai è evidente. Il Dossier statistico sull’immigrazione curato dal centro studi Idos e dalla rivista Confronti indica che solo lo 0,4% della popolazione italiana è composto da richiedenti asilo.
Dall’Anci, Associazione nazionale comuni italiania, la posizione è totalmente diversa. Matteo Biffoni, sindaco di Prato e delegato immigrazione per l’Anci: “Il ministero ha dato una grossa mano a sviluppare il progetto. Lo Sprar non è un centometrista, ma un maratona: ci vorrà del tempo ma ci arriveremo”.
Biffoni si basa sui numeri che comunque negli anni sono cresciuti: lo Sprar oggi conta circa 35mila posti, mentre nel 2015 erano circa 28mila. E anche per questo, ha dichiarato il primo cittadino, è necessario che l’adesione resti su base volontaria: “Se non fosse così, il sistema crollerebbe: lo Sprar funziona se sono dei progetti dei Comuni e i Comuni ci devono credere. I sindaci ci hanno messo la faccia e continuano a farlo, quando hanno deciso di sottoscrivere l’accordo per l’equa distribuzione dei migranti sul territorio. Oggi la situazione è migliorata, le clausole di salvaguardia sono preservate. Il ministero è stato pronto ad intervenire, quando necessario”.
Tuttavia, non tutto va ancora liscio e le reazioni sono diverse a seconda della Prefettura.
Italia spaccata in due: pochi centri Sprar al Nord
Quello che però non si può discutere è il fatto che il “travaso”, previsto dal decreto due anni fa, ancora non è avvenuto. Non solo, stando ai numeri l’Italia dell’accoglienza si è spaccata in due.
A Sud sono nati molti più centri Sprar di quanti non ce ne siano a Nord.
In Calabria il 10% dei centri sono Sprar, in Sicilia e Lazio il 19%, ma escluse Piemonte e Lombardia le altre regioni del Nord sono sotto il 3,5%.
Perchè? Secondo Schiavone dell’Asgi, è una questione politica: “A Nord il motivo del no allo Sprar è principalmente politico: i sindaci non vogliono i richiedenti asilo e se sono costretti ad aprire un Cas possono scaricare la responsabilità sulle prefetture. Al Sud invece si accetta perchè c’è un contributo economico e perchè comunque è uno strumento che dà uno stimolo all’economia locale”.
Tra gli incentivi promossi dall’intesa Anci-Viminale infatti, come evidenziato dal rappresentante Asgi, ci sono 700 euro all’anno per ogni richiedente accolto nello Sprar. Anche per i Cas c’è una quota: 500 euro.
La proposta entrerà molto probabilmente nella prossima Legge Finanziaria. Il contributo non ha vincoli d’investimento: ogni sindaco potrà usarlo come riterrà opportuno.
“Il sistema in questo modo”, ha concluso Schiavone, “incentiva il trattamento dell’accoglienza come un puro fattore economico”.
Secondo Biffoni dell’Anci invece, non basta parlare di una divisione tra Nord e Sud ed è invece necessario andare oltre i numeri e valutare anche la qualità dei progetti: “È un problema di diffusione dei numeri”, ha commentato, “al Nord ci sono comunque alcuni dei progetti più avanzati in assoluto, come quello della Città metropolitana di Bologna”.
Le regole che favoriscono i grandi centri
Se il sistema dello Sprar dovrebbe essere quello principalmente incentivato dal Viminale, nei fatti però succede diversamente. Ad esempio risale a maggio la decisione del ministero dell’Interno di introdurre il nuovo schema per il capitolato d’appalto dei centri di accoglienza straordinaria.
“Un capolavoro per mettere i bastoni fra le ruote agli Sprar”, ha attaccato Schiavone. Tre gli obiettivi sbandierati dal ministro Minniti: “Il superamento del gestore unico, la tracciabilità dei servizi, i poteri di ispezione da parte del ministero dell’Interno che vengono significativamente rafforzati”.
Il primo punto, però, vale solo per i centri sopra i 300 posti e il criterio di scelta di un appalto è “quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa”, che inevitabilmente favorisce le grandi concentrazioni dove è possibile fare economia di scala. L’esatto contrario dell’accoglienza diffusa.
Così la vede il rappresentante Asgi: “Tutto quell’incredibile capitolato è pensato per centri di grandi dimensioni che non possono essere assorbiti all’interno dello Sprar. La prima volta che l’ho letta ho pensato che dovesse esserci una seconda parte. Per fortuna qualche Prefettura con il buon senso ha aggiunto dei correttivi, ma sua sponte: ha aggiunto correttivi che non sfavorissero troppo i progetti simili agli Sprar e con standard simili a Sprar”. Dall’Anci sminuiscono il problema: “È necessario tutelarsi anche in caso di emergenza, capisco il punto di vista del ministero”, ha replicato Biffoni.
Ma l’accoglienza Sprar resta la più efficace per l’integrazione
Un’altra differenza fondamentale tra Cas e Sprar riguarda l’efficacia del percorso d’accoglienza. A parte gli esempi di Trieste e Torino citati da Schiavone, nella maggior parte dei Cas italiani, chi riceve l’asilo politico esce dalle strutture, concepite solo per richiedenti.
“Se è fortunato, a quel punto trova posto in una struttura Sprar altrimenti non gli resta altro che la strada”, ha detto Schiavone. Gli Sprar, invece, hanno una durata minima di sei mesi dopo l’ottenimento dell’asilo politico o della protezione internazionale. Quel lasso di tempo serve per fare tirocini, stage, inserimenti lavorativi, per poter diventare indipendenti.
“Il tempo però è troppo poco, così spesso chi entra nello Sprar alla fine del percorso deve essere seguito ancora dai servizi sociali del Comune”, ha concluso Schiavone.
Per alcuni amministratori è questo un disincentivo all’accoglienza diffusa.
I dati del Dossier immigrazione di Idos e Confronti sull’efficacia del sistema lasciano comunque spiragli di fiducia: nel 2016 il 41% delle persone uscite dai centro Sprar era autonoma, con un lavoro e una casa, pienamente integrata, il 6% in più del 2013. Però il 54% ha lasciato volontariamente prima della scadenza dei termini (di questi il 25% “ha acquisito gli strumenti utili all’integrazione”).
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 12th, 2017 Riccardo Fucile
“QUANDO ARRIVANO HANNO SOLO PATOLOGIE LIEVI, QUANDO SBARCANO SUBENTRA LO STRESS POST-TRAUMATICO E DISTURBI LEGATI A CONDIZIONI IGIENICHE NELLE NOSTRE STRUTTURE”
La quasi totalità dei migranti sbarcati sulle coste italiane nel 2016 non risulta portatrice
di malattie infettive e gode di condizioni di salute migliori rispetto alla media dei Paesi di arrivo.
Semmai, il pericolo di ammalarsi queste persone lo corrono in Italia a causa delle scarse condizioni di igiene, malnutrizione e alla difficoltà di accesso al sistema sanitario.
Lo si legge nell’ultima relazione sulla tutela della salute dei migranti e della popolazione residente redatta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema d’accoglienza, identificazione ed espulsione.
“Dagli studi e dal monitoraggio portati avanti per tutto il 2016 — spiega a ilfattoquotidiano.it Federico Gelli, relatore del documento — risulta evidente che la cosiddetta Sindrome di Salgari, ossia lo stereotipo del migrante ‘untore’, pericolosa fonte di malattie, specie di tipo infettivo, non è oggi supportata da alcuna evidenza scientifica. Si tratta di un falso mito”.
Lo studio svolto dalla Commissione prende in esame un campione di 17.989 persone, la totalità di quelle sbarcate nel porto di Catania nel 2016. Dalle analisi effettuate su ognuno dei migranti, il numero di casi più alto riguarda semplici sindromi febbrili (510) o febbre e tosse (191).
Rarissimi i casi di malattie infettive: 19 casi di tubercolosi polmonare, 4 casi di tubercolosi extrapolmonare, 11 polmoniti batteriche, 11 gastroenteriti, 8 episodi di varicella, 3 di schistosomiasi, 2 infezioni da Hiv, un episodio di pielonefrite e uno di spondilodiscite.
“Questi giovani, nella maggior parte dei casi di sesso maschile, — continua Gelli — hanno condizioni di salute che non esito a definire invidiabili. La quasi totalità dei casi ravvisati sono semplici stati febbrili o infezioni dermatologiche, da contatto, infezioni dovute anche alle ferite dovute alle violenze subite durante il viaggio o la presenza di parassiti esterni come pulci. I casi di malattie infettive si riducono a una percentuale quasi nulla, molto più bassa rispetto a quella presente nei Paesi d’origine. Questo è dovuto a due diversi fattori. Il primo riguarda la selezione fatta prima della loro partenza, con le famiglie che, investendo i propri risparmi per mandare un proprio membro in Europa, scelgono quello con una condizione di salute che gli permetta di affrontare la traversata nel deserto e quella nel Mediterraneo. Il secondo fattore, più triste, è legato al fatto che molte delle persone malate che affrontano un viaggio simile muoiono prima di poter arrivare a destinazione. Questi due elementi creano quello che abbiamo definito ‘effetto del migrante sano’ e che abbiamo attribuito alle persone prese in esame nel 2016”.
La Sindrome di Salgari, tornata in voga negli ultimi anni con l’aumento dei flussi migratori diretti verso l’Europa, è quindi un’illusione.
“Semmai è vero il contrario. Questi giovani arrivano nel nostro Paese in ottime condizioni di salute e tendono ad ammalarsi qui, in Italia. Lo abbiamo chiamato ‘effetto del migrante esausto’, ossia quella condizione di malessere prolungata che porta un giovane in buona salute, ma provato da una lunga traversata, a contrarre malattie che non presentava al momento del suo ingresso nel Paese. Questo è dovuto alle condizioni di vita nelle quali questi ragazzi sono spesso costretti all’interno dei nostri centri d’accoglienza: malnutrizione, scarse condizioni igienico-sanitarie, difficoltà di accesso al sistema sanitario, carenza di personale specializzato. Non dimentichiamoci che, spesso, queste persone sono costrette a rimanere all’interno delle strutture per mesi, se non anni”.
Ai pericoli legati allo sviluppo di malattie una volta arrivati in Italia, la relazione affianca il timore per lo sviluppo di disturbi psicologici che possono andare da semplici stati d’ansia post-traumatica a vere e proprie patologie psichiche.
“Un terreno ancora inesplorato quando si parla di migranti — continua Gelli — è quello che studia le condizioni psicologiche di queste persone. Abbiamo verificato che molti di loro arrivano nel nostro Paese con sintomi da disturbo post-traumatico da stress, dovuto alle violenze e ai soprusi subiti. Riteniamo che il numero dei casi di questo tipo sia sottostimato e che questi rappresentino una potenziale minaccia non solo per la salute psichica di queste persone, ma anche per il loro processo d’integrazione e per la sicurezza di tutta la comunità . Alcuni di questi casi, infatti, rischiano di trasformarsi in veri e propri disturbi psichici”.
Proprio per limitare questo tipo di problemi, nel documento sono state inserite anche una serie di proposte operative.
“Le più importanti — conclude Gelli — riguardano la creazione di un passaporto sanitario per ogni migrante che permetterà agli operatori di ricostruire rapidamente e senza sprechi di denaro il quadro di salute del soggetto; la creazione di un archivio delle criticità che non si limiti a contenere i dati relativi allo stato di salute, ma anche i risultati di test psicologici, informazioni sulla cultura e l’appartenenza etnica e il livello di inclusione sociale di ogni migrante; infine, l’avvio di un processo di sburocratizzazione per una più rapida iscrizione di queste persone al servizio sanitario nazionale”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 12th, 2017 Riccardo Fucile
APPELLO DEL FONDATORE DEL PD: “SERVE UMILTA’: RENZI APRA SU IUS SOLI E BIOTESTAMENTO E GLI ALTRI LA SMETTANO CON L’ACRIMONIA VERSO DI LUI”
“Non fate una cosa che la storia ricorderà : perchè della divisione della sinistra la storia se ne ricorderà “.
A lanciare un appello accorato al centrosinistra a “Mezz’ora in più” è Walter Veltroni, fondatore del Partito democratico, alla vigilia di una delicatissima Direzione Pd e nel pieno dello scontro fra le diverse anime.
“La prima cosa che mi piacerebbe che Renzi facesse domani è dire: concludiamo la legislatura con Ius Soli e Biotestamento. Questo sarebbe un gesto di apertura” sottolinea Veltroni, “e poi inventiamo politiche sociali nuove per dare risposte alla precarietà ” aprendo un tavolo di confronto con tutti.
Ed ancora: Renzi “deve includere, accogliere e saper accettare le critiche”, mentre gli altri “dovrebbero smetterla con l’acrimonia esagerata e sbagliata” nei confronti di Renzi.
Serve “umiltà responsabile” dice Veltroni, “sono persone che sono state insieme per tanti anni, hanno fatto scelte comuni. Il rischio è di tornare a Ds e Margherita in versione bonsai, mentre avevamo fatto il Pd non attraverso una scissione, ma attraverso una fusione. Il rischio è che nei prossimi mesi apra una guerra all’interno della sinistra il cui risultato sarà la vittoria della destra”.
Il rischio, però, secondo Walter Veltroni, è molto più grande. Ha valenza storica.
“La Sinistra europea non capisce la responsabilità che ha in questo momento storico, ho l’impressione che la Sinistra in Europa non veda l’effetto Anni 30 che si respira. Non ho paura a usare questa espressione. Il vero tema oggi è la messa in discussione degli architravi della democrazia come forma di governo. La cosa che più mi ha colpito in questi giorni è il corteo della destra in Polonia. Tre chilometri di manifestazione, pieno di gente, all’insegna di slogan come “via gli ebrei”, “cacciamo gli immigrati”.
Ma non è solo la Polonia” spiega Veltroni, che si dice “angosciato del rischio che, a un certo punto, e la storia lo dimostra, quando si saldano crisi sociale e crisi della democrazia, i rischi sono elevatissimi”.
Problemi che Veltroni vede anche in Italia. “Questi movimenti li abbiamo visti a Ostia. Oppure il caso di cronaca di Torino, che il tipo che dice alla ragazza di colore che è inutile che studi perchè finirà a lavorare per strada, è il segno che ormai si sta facendo strada una semplificazione di tipo populistico-demagogico di destra, intollerante, base attorno a cui si sta ricostruendo la destra europea”.
Quella destra che “è un fenomeno gigantesco” e ha dalla sua anche il presidente americano Donald Trump che “cavalca molte di queste posizioni. Basta vedere il tweet su Kim, ma dove siamo arrivati…”.
Secondo Veltroni, “il vero tema di oggi è cosa sarà della democrazia, che è una parentesi nella storia umana. Se appare un ferrovecchio, un peso, un inutile orpello, faremo i conti con questo. Arrivano nuove forme di autoritarismo che forse non impediscono di votare, ma semplificano tutti i processi decisionali”.
In questo quadro europeo, “la Sinistra corre il rischio di fare esattamente quello che ha fatto in altri momenti. dividersi, spaccare il capello, odiarsi gli uni con gli altri. Se c’è un momento in cui la Sinistra avrebbe invece il dovere di comporre le sue divergenze, ripeto il dovere, è questo. Altrimenti si aprono autostrade alla destra, con tutte le ambiguità che abbiamo detto. Sarebbe una divisione irresponsabile in un momento storico delicatissimo”.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 12th, 2017 Riccardo Fucile
LA PRESIDENTE DELLA CAMERA CHIUDE LA PORTA LASCIATA APERTA DA PISAPIA, MA IL NO SEMBRA PIU TATTICO CHE STRATEGICO
«Non ci sono le condizioni per un’alleanza con il Partito Democratico»: la presidente
della Camera Laura Boldrini interviene in una delle sue rare sortite pubbliche di partito a Diversa, l’assemblea di Campo Progressista, per annunciare che il raggruppamento di Giuliano Pisapia non vede la possibilità di allearsi con il PD.
«Sono qui per far dialogare le varie anime progressiste: sarebbe imperativo stare assieme, tante persone chiedono risposte», ha premesso la Boldrini all’inizio del suo intervento, per poi lanciare l’affondo: «Dobbiamo prendere atto che presupposti per coalizione di centrosinistra con il partito democratico, purtroppo, non sembrano esserci».
E ancora: «Campo Progressista ha cercato un dialogo costruttivo con il Pd. L’obiettivo non era un’alleanza purchessia. Questo non basta. E non basta neanche fare le alleanze contro, per non far vincere qualcun altro».
Per fare un’alleanza che funziona significa leggere lo stato della società , “condividere” un programma di governo e un programma che parli agli italiani.
E fare “immaginare alle persone che stare meglio è possibile”, ha aggiunto per poi andare all’attacco del Jobs Act: «Non è stato creato nuovo lavoro, ma nuovi lavoretti, ma con questi nuovi lavoretti non si pagano i mutui, non si riesce a vivere»
Un no tattico o strategico?
L’intervento di Laura Boldrini è arrivato dopo quello di Pisapia, che si era rivolto al Partito democratico: «Voglio dirgli che l’idea dell’autosufficienza rischia di essere un suicidio politico. I nostri avversari sono le destre e i populisti e non possiamo regalare il paese a chi l’ha distrutto più volte».
Pisapia, a differenza della Boldrini, sembra voler lasciare uno spiraglio aperto all’alleanza: «Agli amici del Pd dobbiamo dire con forza che c’è bisogno di unità perchè senza unità non si vince, ma anche di discontinuità perchè senza la discontinuità è il Paese che perde».
«Discontinuità — ha proseguito Pisapia — significa che nella legge bilancio c’è bisogno sin da subito di segnali forti partendo da “un intervento importante sui superticket e da misure per la lotta alla povertà ». Pisapia ha poi sollecitato “un impegno forte su ius soli e bio testamento, due dei nostri obiettivi”.
Quella di Pisapia e Boldrini sembra una strategia dei due forni: mentre l’ex sindaco di Milano continua a lasciare una porta aperta all’alleanza con il partito di Renzi, la presidente della Camera sollecita a chiuderla, allo scopo di accelerare i tempi di una decisione che per il PD è attesa lunedì nel confronto in direzione.
La legge elettorale però, per come è stata concepita e per l’invito implicito al voto utile, potrebbe penalizzare molto una sinistra che si presenti da sola senza l’alleanza con il Partito Democratico. Ecco perchè più che un no strategico, quello di Laura Boldrini sembra un no tattico.
Che potrebbe trasformarsi in un sì con l’avvicinarsi delle urne.
(da agenzie)
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Novembre 12th, 2017 Riccardo Fucile
PRIMA VISITA DEL PREMIER DOPO LA DESTITUZIONE DELLE AUTORITA’ CATALANE
Ritorno in Catalogna per Mariano Rajoy.
Per la prima volta da quando la regione è stata commissariata da Madrid, il premier spagnolo ha visitato Barcellona. L’occasione è il lancio ufficiale della campagna elettorale del Partito Popolare della Catalogna in vista del voto del 21 dicembre indetto per scegliere il nuovo presidente della Generalitat, dopo la destituzione di Carles Puigdemont, ora in auto-esilio a Bruxelles.
La visita arriva all’indomani della grande manifestazione degli indipendentisti, scesi in piazza in 750mila contro le decisioni del governo spagnolo.
Rajoy, hanno ammonito i sostenitori pro-indipendenza, che non potrà mai far “tacere” il Partito popolare della Catalogna (PPC), un partito che è la voce della “coraggiosa Catalogna”.
Il premier ha partecipato alla cerimonia ufficiale di presentazione di Xavier Garcìa Albiol che sarà candidato alla Generalitat.
Durante l’intervento il primo ministro ha sottolineato come la decisione di applicare l’articolo 155 della Costituzione sia nata dopo aver “esaurito tutte le vie”. Rajoy ha difeso questa misura per porre fine al “delirio” dei separatisti “e ha osservato che la decisione è arrivata dopo aver esaurito tutti gli inviti” e i possibili mezzi “per frenare l’aggressione alla coesistenza”.
“Abbiamo dovuto recuperare il rispetto per la libertà e la convivenza ed è stato urgente ripristinare l’autogoverno e l’interesse generale”, ha sottolineato il premier.
Secondo Rajoy era anche “impossibile restituire la legalità alle istituzioni in Catalogna”. “Ecco perchè l’abbiamo fatto e non per un altro motivo”, ha aggiunto. Il primo ministro ha poi insistito sul fatto che il l’articolo 155 della Costituzione (che permette al governo spagnolo di obbligare una comunità autonoma di rispettare determinate disposizioni costituzionali o di legge) è un “eccezionale, ma non esclusivo meccanismo di Spagna” e ha insistito sul fatto che i Paesi come la Francia e la Germania avrebbero fatto lo stesso se una delle loro regioni avesse detto che la Costituzione non si applicava in quel territorio.
(da agenzie)
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Novembre 12th, 2017 Riccardo Fucile
GENITORI “INCREDULI” … MA SE SORVEGLIASSERO MEGLIO I FIGLI MINORENNI CHE ALLE 3,30 DI NOTTE SONO LIBERAMENTE IN GIRO FORSE SAREBBERO MENO STUPITI
Con l’accusa di tentativo di omicidio sono stati arrestati due diciassettenni dalla polizia
stradale.
Sono stati sorpresi a lanciare sassi da un cavalcavia sulla A20 Palermo-Messina, all’altezza di Milazzo nel messinese, intorno alle 03.30.
I minorenni avevano già colpito un’auto in transito, raggiunta sul parabrezza da un pezzo di lastra di cemento utilizzata generalmente per la copertura dei canali di scolo delle acque piovane. Il pezzo di cemento ha frantumato il parabrezza, ammaccato il cofano e sfondato la mascherina anteriore destinata all’areazione nel paraurti, dove è rimasto in parte incastrato. I detriti prodotti dall’impatto hanno danneggiato altre vetture in transito ma, fortunatamente, nessuno ha riportato lesioni.
I due diciassettenni, su disposizione dell’Autorità Giudiziaria, sono stati trasferiti in un centro di prima accoglienza per minori. I poliziotti stanno esaminando le immagini di alcune telecamere, ritengono che i giovani siano entrati in azione anche in altre occasioni.
I genitori dei due studenti di Milazzo arrestati sono increduli.
I due ragazzi di 17 anni sono incensurati e “insospettabili”, in nessun modo legati ad ambienti criminali.
Sono i due rintracciati dalla Polstrada di Barcellona Pozzo di Gotto, ma il gruppo che stanotte lanciava pezzi di cemento dal cavalcavia pare fosse più folto. “I genitori sono profondamente sorpresi e vogliono capire con attenzione cosa e perchè è successo”, spiega Giovanni Pino, difensore di uno dei due ragazzi: “Non è chiarissimo se ci sia stata flagranza – ha continuato – o se li abbiano soltanto rintracciati sul cavalcavia”.
Era da tre sabati che la Polstrada monitorava l’area, erano arrivate infatti diverse segnalazioni che avevano allarmato gli agenti. Stanotte sono stati colti in flagranti i due studenti mentre nei pressi dell’ospedale di Milazzo, nella frazione Grazia, lanciavano sassi. Alle 3.30 sono stati avvistati mentre con un pezzo di lastra di cemento tipico delle coperture dei canali di scolo, colpivano un’auto in transito sotto il cavalcavia numero 8, sulla A20. Il pezzo di cemento ha frantumato il parabrezza, danneggiato il cofano e sfondato una mascherina per l’areazione nel paraurti dell’autovettura.
I due diciasettenni sono stati arrestati dalla Polstrada e trasferiti in un centro di accoglienza per minori a Messina, su disposizione del pm, Andrea Pagano. Sono difesi dagli avvocati, Giovanni Pino e Diego Lanza. Restono in attesa del responso del gip del tribunale dei minori che dovrà decidere tra domani e dopodomani se convalidare l’arresto.
(da agenzie)
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Novembre 12th, 2017 Riccardo Fucile
IL COMMENTO DI DARIO COLOGGI SULLA PAGINA DI SPADA FATTO SPARIRE… L’IMBARAZZO DEL PARTITO DELLA MELONI: “SARA’ ESPULSO”
L’agenzia di stampa ANSA ha segnalato che un candidato di Fratelli d’Italia al municipio X di Ostia nella lista per Monica Picca presidente, Dario Cologgi, il 6 giugno rispondeva ad un commento di Roberto Spada, arrestato per l’aggressione ad un giornalista, sul suo profilo Fb “Ottobre è vicino…riprendiamoci Ostia…e quanto vorrei che fosse comune a sè”.
Il commento non sembra essere più visibile nello status di Spada, che scriveva “Grazie per la morte di Ostia” lamentandosi per l’assenza di bagnanti nel 2017 mentre negli altri anni “si era fortunati a trovare uno spazietto”.
Cologgi, secondo quanto racconta l’ANSA, commenta in romanesco: “#onestà tacciloro”. Spada gli risponde: “Onestà spiaggia sporca…e te pijano per culo con video e operazioni finte”.
A questo punto, Cologgi replica: “Se pijano per culo da soli…ottobre è vicino… riprendiamoci Ostia…e quanto vorrei che fosse comune a sè”.
Lo scambio nei commenti non è più visibile nello status di Spada, mentre c’è ancora lo scambio con Carlotta Chiaraluce, candidata di Casapound nel municipio:
Massimo Milani, commissario romano di FdI, fa sapere che per Cologgi è partita una richiesta di espulsione.
“Dario Cologgi è stato deferito alla commissione di disciplina di FdI con richiesta di espulsione appena alcuni nostri elettori ci hanno segnalato uno scambio di battute sui social con Roberto Spada”.
“Ribadiamo di non aver mai avuto, diversamente dal M5S e da CasaPound, rapporti, dichiarazioni di voto, richieste di candidatura da questo clan. FdI giorni fa ha preventivamente e radicalmente risolto il problema di un suo candidato, di cui non convinceva la confidenzialità che era emersa da un commento social. Spero che i 5 stelle facciano altrettanta chiarezza su questa vicenda torbida della palestra di via Antonio Forni e rispondano efficacemente alle accuse di avere un rapporto con la famiglia Spada come denunciato dal commissario del Pd Orfini in una recente intervista — si legge in una nota -. Ribadiamo di non avere nulla a che vedere con gli Spada e non vogliamo i loro voti”.
Lo scaricabarile tra i partiti continua.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 12th, 2017 Riccardo Fucile
CI SONO DAVVERO TUTTI AL GRAN BANCHETTO
C’è un episodio fulminante, a scartabellare tra le tantissime inchieste sulla criminalità
organizzata che portano la firma del procuratore Giuseppe Pignatone e dell’aggiunto Michele Prestipino, che racconta tutto della nuova mafiosità declinata alla romana. Accade nel 2015, ai tempi del funerale sfarzoso e pacchiano per il capostipite dei Casamonica, Vittorio.
Salvatore Casamonica pretende il pizzo dagli esercizi commerciali del Tuscolano e al titolare di un pub fa il seguente discorso: «Voi con ‘sta movida avete rotto. La gente fa rumore, così in piazza passano di continuo i carabinieri e i miei non possono più lavorare».
Sottinteso, con la droga. «Ora, siccome io non ci voglio rimettere… Me dovete dare ‘sti sordi. So’ 500 euro a settimana».
Così la criminalità va all’assalto di Roma. La città è ai loro occhi una ricca, grande, indifesa riserva d’oro. E c’è spazio per tutti.
Secondo l’ultimo monitoraggio della Direzione nazionale antimafia sarebbero 75 i clan grandi o piccoli che si sono insediati all’ombra del Cupolone. O che sono nati qui.
Per dirla con le parole del procuratore Pignatone: «Non si può certo affermare che Roma sia una città mafiosa nel senso in cui lo sono molte città del Sud, dove un’unica organizzazione esercita il controllo quasi militare del territorio. Ma è sicuramente un errore anche più grave negare l’esistenza di significative presenze mafiose, anche autoctone, e la necessità di contrastarle».
Ci sono davvero tutti, al gran banchetto. I siciliani. I calabresi. I napoletani. I camorristi ostentano nomi dal lugubre pedigree criminale: Femia, Moccia, Mallardo, Iovine, Alfieri, Sarno.
Molti continuano a presidiare anche gli antichi radicamenti in Campania; alcuni si trasferiscono in blocco.
Quando i Moccia da Afragola decidono di piazzare a Roma i loro prodotti caseari, si spalancano loro le porte di tanti ristoranti già nelle mani della camorra, ma anche della Conad.
Il metodo di imporsi sul mercato si scopre da un’intercettazione: «Lui quando dice il cognome suo, si sa che è, chi sono, chi non sono… si mettono sugli attenti e lui… basta che fa il cognome, giusto no?».
Michele Senese – condannato due giorni fa dalla Cassazione a 30 anni per l’omicidio di uno degli ultimi boss della Banda della Magliana – è uno dei capi. Era stato protagonista della mattanza di camorra, alleato di Carmine Alfieri e nemico di Cutolo. È poi finito a Roma dove si ritiene che controlli tutta l’area del Tuscolano assieme al suo alleato, il temibile Pagnozzi Domenico, «noto negli ambienti malavitosi come “Mimì o’ professore” o “occhi di ghiaccio”, già elemento di spicco dell’omonima famiglia camorristica di stanza a San Martino Valle Caudina (Avellino)».
In un’intercettazione, uno del gruppo si vanta: «A noi ci chiamano “I napoletani della Tuscolana”. Questa è tutta roba nostra».
Scrive il gip nel 2015: «La consorteria ha basi operative nel rione Monti, al Pigneto mentre organizza, su vasta scala, lo spaccio e il traffico di stupefacenti sulle piazze del Quarticciolo, Centocelle, Tuscolana, Quadraro. L’organizzazione opera anche nei settori dell’usura e dell’estorsione arrivando, spesso, ad estromettere le vittime dei delitti dalle proprie attività ».
Quanto fossero cattivi questi napoletani, se ne sono accorti per primi proprio i Casamonica, il clan di zingari che si è insediato tra Cinecittà , Tor Bella Monaca e la Romanina.
Per una partita di droga non pagata, stava per finire malissimo. Poi però Pagnozzi e i suoi finiscono in carcere e il gruppo di zingari prende ad espandersi. E con loro altri due clan rom, i Di Silvio, «padroni» di Ciampino, e gli Spada, all’onore delle cronache di Ostia.
Ma la storia noir di Roma è una continua altalena di equilibri.
A Ostia, per dire, i siciliani Triassi, imparentati con i Cuntrera-Caruana (due latitanti li arrestarono nel 1998 proprio a Ostia: quell’operazione porta la firma dell’indimenticato Nicola Calipari e del colonnello dei carabinieri Mario Parente, capo dei servizi segreti esteri) entrarono in conflitto con i Fasciani.
Vito Triassi viene gambizzato una prima volta nel 2006. Una seconda, l’anno dopo. Infine è incendiata l’autovettura del genero. Uno sgarbo terribile.
Prima che si scateni la guerra, interviene Senese e grazie al suo carisma criminale viene stipulata una pax mafiosa che sul litorale regge da 10 anni.
Vi ha fatto riferimento di recente anche Pignatone: «Tra i capi dei gruppi più importanti operanti nell’area romana sono stati accertati contatti diretti a risolvere i contrasti senza ricorrere alle armi».
Non sono mafie queste? La procura ordina decine di arresti e moltiplica la pressione anche sui patrimoni. Sono stati sequestrati (in parte confiscati) alcuni miliardi di euro. Ma la guerra sarà lunga.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 12th, 2017 Riccardo Fucile
“HA AGGREDITO PER RIAFFERMARE IL SUO POTERE CRIMINALE”… “SFRUTTA LO STATO DI ASSOGETTAMENTO DELLA POPOLAZIONE E L’IMPUNITA’ CHE DERIVA DALL’OMERTA'”
Roberto Spada era stato sovrastato dialetticamente da Daniele Piervincenzi, il giornalista di Nemo.
Non aveva avuto la capacità di esprimere concetti “seri e sostenibili secondo criteri di ordinaria intelligenza” che potessero replicare alle domande incalzanti del cronista della Rai.
Una “sconfitta inaccettabile” per un “capo”, nel suo territorio, sfidato e — in qualche modo — ridicolizzato da uno sconosciuto di fronte a persone che avrebbero dovuto avere timore di lui.
E’ per questo motivo che avrebbe aggredito la troupe Rai in quella maniera: per riaffermare il suo “potere criminale”, sfruttando lo “stato di assoggettamento in cui versa la popolazione di quel territorio” e la “garanzia di impunità che deriva dalla loro omertà ”.
Un “agire delittuoso” che “rafforza” questo potere “dandone prova di esistenza ed efficacia”.
Segnali inequivocabili, tipici di quel “metodo mafioso” richiamato prima dai pm Giovanni Musarò e Ilaria Calò e poi confermati dallo stesso gip.
L’aggravante mafiosa è il punto cardine dell’ordinanza firmata sabato dal gip Anna Maria Fattori, la quale — pur non convalidando formalmente il fermo — ha prolungato la carcerazione per l’esponente del clan sinti che domina sul litorale romano, sul quale alla luce delle considerazioni del giudice vigono pesanti rischi di reiterazione del reato.
Il prossimo passaggio sarà quello del tribunale del Riesame.
(da agenzie)
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