Dicembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
“CAMPAGNA ELETTORALE CON NOTIZIE FALSE, I BRITANNICI MERITANO UNA NUOVA CHANCE”… I LABOUR AL MASSIMO STORICO NEI SONDAGGI
Torna in campo Tony Blair per riportare la Gran Bretagna nella Ue. 
In una intervista a Bbc Radio, l’ex premier laburista afferma che “i britannici si meritano un secondo referendum perchè è ormai chiaro che la promessa dei sostenitori del ‘leave’ che, senza la Ue, il Servizio Sanitario Nazionale avrebbe avuto 350 milioni di sterline in più ogni settimana è chiaramente falsa”
“Quando i fatti cambiano – ha affermato Blair – i cittadini hanno il diritto di cambiare idea. La volontà delle persone non è qualcosa di immutabile. Se le circostanze cambiano, le persone possono cambiare idea”.
E vola nei consensi il Labour di Jeremy Corby, accreditato di un record storico del 45% di voti potenziali (meglio del miglior risultato elettorale mai ottenuto da Blair) da un sondaggio realizzato per il Mail on Sunday da Survation: l’unico istituto che ‘indovinò’ il risultato delle elezioni politiche dell’8 giugno scorso.
Il maggior partito di opposizione, spostato nettamente a sinistra da Corbyn, precede ora di ben 8 punti, stando a questa rilevazione, i Conservatori della premier Theresa May, che arrancano al 37%.
E questo a dispetto della persistente polemica interna dell’ala moderata, che denuncia ‘epurazioni’ di candidati locali non fedeli alla linea ‘corbynista’, accusando proprio oggi per bocca di un grande vecchio del partito, l’85enne lord Roy Hattersley, il movimento giovanile radicale Momentum e il sindacato Union di voler ‘sequestrare’ il Labour.
Il sondaggio Survation conferma poi a livelli residuali i LibDem, il partito britannico più europeista, ma indica comunque che un 50% di elettori del Regno chiede di avere l’ultima parola – attraverso un referendum bis o una qualche forma di voto popolare – sull’esito dei negoziati sulla Brexit.
Cosa che il governo May al momento non prevede di concedere.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
GLI AMBULANTI NON VOGLIONO ACCOLLARSI I COSTI DELLA SICUREZZA E DEL PRESEPE
Ci sono 450mila buone ragioni per ritenere che la Festa della Befana di Piazza Navona sia a rischio nonostante il bando che ha portato al trionfo dei Tredicine.
Più altre centomila, visto che gli ambulanti che hanno vinto il bando non hanno ancora ritirato il titolo perchè si sono accorti che a loro, secondo il decreto Minniti, spetta garantire la sicurezza della piazza in merito all’attuazione e alla copertura dei costi del piano di sicurezza oltre che il conto dell’allestimento del presepe che dovrà allietare (?) la festa.
Al netto delle interviste di Adriano Meloni al Messaggero e delle loro rettifiche con tante scuse ad Andrea Coia, quindi, la situazione di stallo per la festa della Befana a Piazza Navona non si sblocca.
E infatti gli ambulanti, che avrebbero dovuto cominciare ad allestire dal primo dicembre per rendere tutto operativo per sabato, sono invece sul piede di guerra.
E c’è chi non nasconde di avere l’intenzione di lasciar perdere, rinunciando al diritto nonostante la vittoria del bando.
Loro sono disposti a spendere non più di duemila euro, mentre secondo i conti fatti questa settimana c’è chi dovrebbe arrivare a metterne fino a 14mila per la sicurezza e il presepe.
Certo, la rinuncia da un lato potrebbe non essere del tutto sgradita al Comune di Roma, visto che le polemiche sui presunti legami tra il MoVimento 5 Stelle e i Tredicine — ben enucleate dal neologismo “Coidicine” — scatenate dall’intervista di Meloni al Messaggero possono fare male al M5S soprattutto a livello nazionale.
Ma dopo la difesa a spada tratta del bando da parte dello stesso assessore e le tante indiscrezioni sul suo posto a rischio per le tante assenze in Giunta, ciò costituirebbe comunque un grave smacco per l’amministrazione comunale.
Oltre a rappresentare una dichiarazione di guerra nei confronti degli ambulanti e di quella frangia che d’altro canto Luigi Di Maio aveva accostato a Mafia Capitale.
Ma ci vuole comunque una bella dose di coraggio per salutare l’assessore Meloni, visto che quest’ultimo, oltre ad essere stato suggerito all’epoca della formazione della Giunta dalla Casaleggio Associati, è anche un importante teste a discarico di Virginia Raggi nel processo che sta per iniziare a carico della sindaca di Roma per la nomina del fratello di Marra.
Una questione che non sembra toccare molto lo stesso Coia, che ieri sulla sua pagina Facebook ha finalmente detto la sua sulla vicenda minacciando querele probabilmente nei confronti dello stesso Meloni.
Ciò che ho letto ieri sui principali quotidiani è falso, grave e insopportabile sia per quanto riguarda la mia persona che per tutto il Movimento 5 Stelle. Darò mandato al mio avvocato di valutare se e contro chi sporgere querela.
Significativamente, a corredare l’annuncio c’era una foto che ritraeva Virginia Raggi, Beppe Grillo, Marcello De Vito e Daniele Frongia con i consiglieri capitolini del MoVimento 5 Stelle ma senza gli esponenti della Giunta, a sottolineare che gli eletti del M5S sono compatti sulla vicenda e stanno tutti con Coia.
Ma dovranno fare i conti con quanto ricorda oggi Lorenzo D’Albergo su Repubblica Roma: dopo aver spiegato in un’intervista a Repubblica di non conoscere Renato Marra, suggeritogli dall’ex capo del Personale Raffaele e solo dopo nominato alla direzione Turismo, ha ritrattato: «È vero, ho scelto io Renato Marra alla guida della direzione Turismo perchè poteva fare un buon lavoro. E infatti lo stava facendo. Venendo dalle forze dell’ordine. Raffaele Marra? Era defilato, non è che ha sollecitato la promozione del fratello». Ecco, se Adriano Meloni dovesse ripetere queste parole in aula, alla sindaca Virginia Raggi e ai suoi avvocati non dispiacerebbe affatto.
Intanto si vocifera che il Comune di Roma potrebbe avere un piano B che eviterebbe il rischio di trovarsi con Piazza Navona vuota per la festa della Befana.
Se gli ambulanti dovessero continuare con la loro posizione rigida, e tenendo anche conto del fatto che il bando assicurava una postazione per i prossimi nove anni, il Campidoglio potrebbe ospitare a piazza Navona una fiera di prodotti tipici dai territori terremotati al posto delle solite bancarelle dei Tredicine e degli altri.
L’amministrazione 5S proverà a mettere i commercianti spalle al muro: offrirà loro il progetto studiato da Zètema per la sicurezza, poi gli assegnatari potranno decidere se pagare la somma al Comune o se rivolgersi al mercato cercando un privato in grado di allestire lo stesso dispositivo a un prezzo inferiore.
Se non si troverà l’intesa e la festa della Befana dovesse saltare, c’è sempre l’exit strategy: rubrica alla mano, cornette roventi, la sindaca potrebbe trovarsi a chiamare i colleghi dei comuni terremotati. Da Sergio Pirozzi in giù per salvare l’appuntamento di piazza Navona e dargli un’impronta solidale.
L’idea potrebbe salvare la festa e anche dare un segnale ben preciso nella polemica sui Tredicine a livello nazionale. Ma potrebbe avere ripercussioni interne non gradite a livello locale. Senza contare i rischi di ricorsi al TAR e alla Corte dei Conti che già paventava Meloni in caso di contributo del Comune alla gestione della sicurezza.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
UNA PROPOSTA ANACRONISTICA, I REDDITI PIU’ ELEVATI SONO SPESSO FRUTTO DI POSIZIONI DI MONOPOLIO E DI RENDITE
Di Flat Tax si inizia a parlare negli Usa a inizio anni 80: l’imposta personale sul
reddito era caratterizzata da enormi erosioni della base imponibile, ampie possibilità di elusione e complicazioni normative.
Fu quindi proposto di eliminare ogni agevolazione, esclusione o incentivazione e mantenere il gettito allargando la base imponibile e prevedendo un’unica aliquota (proporzionale) su tutti i redditi accompagnata da un sistema di detrazioni personali per ridurre la tassazione sui redditi inferiori, assicurando una moderata progressività .
L’accento era quindi soprattutto sulle potenzialità di gettito aggiuntivo derivante dalla eliminazione di ogni trattamento di favore.
Il modello “puro” rimase una proposta teorica, ma contribuì a favorire in tutti i Paesi un generale “appiattimento” delle aliquote, con una riduzione del loro numero e del livello di quelle più elevate che raggiungevano allora livelli del 70-80 per cento.
In Italia l’Irpef aveva allora 32 scaglioni e un’aliquota massima del 72%. L’idea della Flat Tax si inseriva nel clima della nuova ortodossia liberista che si andava affermando.
Il modello Flat Tax poneva in discussione la logica della imposizione personale progressiva, risultato di un dibattito etico-politico millenario.
Il principio che il sistema fiscale possa e debba penalizzare maggiormente i “ricchi” risale addirittura al Vecchio Testamento. E numerosi sono gli esempi di imposte progressive nella storia, dalle riforme di Solone ad Atene, alla “decima scalata” a Firenze al tempo dei Medici, ai tributi a livello comunale nel Rinascimento.
Si nota uno stretto nesso tra principio di progressività e assetti democratici del potere che si fonda sulla distinzione tra consumi necessari (quelli dei poveri da proteggere) e superflui (da tassare in quanto tipici dei ceti abbienti).
Lo stesso Adam Smith, che pure era favorevole alla imposizione proporzionale a condizione che fossero escluse le “necessities” (e cioè alla Flat Tax), nella Ricchezza della Nazioni contempla la possibilità di una imposizione progressiva: “Non è irragionevole che un ricco dovrebbe contribuire in misura alquanto superiore alla semplice proporzionalità rispetto al reddito”.
Nella versione moderna la giustificazione di una imposta ”piatta” si basa sul fatto che le imposte hanno effetti distorsivi che è bene attenuare, si sostiene che le aliquote basse favoriscono l’impegno individuale nel lavoro e incentivano il risparmio con benefici per tutti.
Tuttavia a livello scientifico la dimostrazione di tali benefici è piuttosto incerta.
Anzi, i risultati più recenti della teoria della tassazione ottimale sono a favore di una progressività delle aliquote.
Inoltre non è corretto limitarsi a esaminare gli effetti distorsivi delle imposte senza considerare al tempo stesso che la spesa pubblica (finanziata dalle imposte) ha spesso la funzione di ridurre numerose distorsioni che esistono in sistemi economici non perfettamente concorrenziali e che vengono sistematicamente ignorate nelle analisi.
Il contenuto ideologico della proposta è evidente dal momento che essa ipotizza implicitamente che i redditi più elevati sono sempre meritati, frutto di capacità e impegno individuali, mentre la realtà ci mostra ogni giorno che gli alti guadagni di una minoranza sono spesso il frutto di posizioni di monopolio, di rendite, o di estrazione artificiale di valore. In un mondo in cui i livelli e la crescita della diseguaglianza sono un problema riconosciuto ormai da tutti, introdurre una Flat Tax sarebbe anacronistico.
L’imposta “piatta” favorisce ovviamente i percettori di redditi più elevati e, al margine, tratta nella stesso modo tutti i redditi: il prelievo su un reddito aggiuntivo, sia esso di 1.000 euro o di un milione, avverrebbe con la stessa (unica) aliquota.
Un’ora di straordinario o una stock option sarebbero tassati nella stessa misura, cosa di difficile comprensione per molti.
Una certa progressività ci sarebbe anche in presenza di Flat Tax: le deduzioni o detrazioni previste esenterebbero i redditi minimi e ridurrebbero il prelievo per quelli più bassi.
Inoltre, nella proposta dell’Istituto Bruno Leoni, le detrazioni si tradurrebbero in un sussidio in caso di incapienza (imposta negativa).
Tuttavia, al tempo stesso, verrebbero eliminate numerose misure di sostegno ai redditi più bassi e ci sarebbero robusti tagli alla spesa pubblica, con una (parziale) privatizzazione della sanità . Gli effetti distributivi della proposta sono quindi evidenti.
La caratteristica delle imposte “piatte” (con unica o poche aliquote) è quella di porre un “tetto” alle aliquote più elevate, e quindi al prelievo sui ricchi (nella proposta Bruno Leoni, 25 per cento invece di 43-44 per cento).
Ciò significa che, a parità di gettito, rispetto a una tradizionale imposta a scaglioni risultano penalizzate le classi medie.
Sul piano politico la proposta tende quindi a promuovere un’alleanza tra ricchi e poveri (inconsapevoli e manipolabili) invece della tradizionale alleanza socialdemocratica tra poveri e classi medie prevalente nei trent’anni anni successivi alla seconda guerra mondiali.
Siamo quindi nel cuore della contrapposizione ideologica tra liberisti e keynesian-socialisti.
E ognuno si schiererà a seconda della propria visione del mondo e della società .
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
UNA PATACCA, CREEREBBE UN BUCO DI 90 MILIARDI NELLA FINANZA PUBBLICA… SI FONDA SULL’IDEA CHE ABBASSANDO LA PERCENTUALE DELLE TASSE RIENTREREBBE TUTTA L’EVASIONE: IN NESSUN PAESE CHE L’HA APPLICATA E’ MAI SUCCESSO
La tassa ad aliquota unica che sia Forza Italia sia la Lega vorrebbero introdurre sarà un tema della campagna elettorale, l’unica ricetta di politica economica che unisce le due anime della destra.
L’idea dell’imposta “piatta” affonda le radici nei lavori degli economisti di Stanford, Robert Hall e Alvin Rabushka agli inizi degli anni Ottanta, il decennio in cui i Paesi anglosassoni hanno sperimentato massicci tagli delle tasse a beneficio delle classi più ricche.
Berlusconi ha lanciato l’idea di una flat tax per persone (con reddito sopra i 12 mila euro) e imprese che adotti lo schema del Negative income tax (al di sotto di una certa soglia di reddito, l’imposta si trasforma in un sussidio) ma senza mai dettagliarla.
Matteo Salvini punta a un’aliquota al 15% per la stessa platea di contribuenti (con fascia esente a 3 mila euro) come propone il suo consigliere economico Armando Siri. Entrambe le proposte non hanno coperture finanziarie.
O meglio: si coprirebbero da sole grazie all’ipotetico aumento del gettito dovuto al taglio fiscale, molti contribuenti che oggi evadono saranno spinti a pagare.
Un evento che non si è mai verificato in nessuno dei Paesi che ha sperimentato modelli di flat tax studiati dal Fondo monetario internazionale.
La realtà è che si aprirebbe una voragine nei conti pubblici.
Per questo l’Istituto Bruno Leoni, un think tank di impostazione liberista, il 25 giugno scorso ha lanciato una proposta organica (“#25pertutti”), a cura dell’economista Nicola Rossi, che da settimane è oggetto di dibattito: una flat tax al 25% che verrebbe estesa all’Ires e all’Iva con soglia di esenzione a 7mila euro (a salire in base a composizione e tipologia del nucleo familiare).
La proposta modifica tutta la struttura del sistema fiscale: via l’Imu, l’Irap e la Tasi; arriverebbe l’Imposta per i Servizi Urbani (Isu).
La proposta introduce anche un “minimo vitale”, una sorta di reddito garantito che colmerebbe il divario tra i redditi più poveri e una soglia minima calcolata in base alla Regione di residenza e al nucleo familiare.
Una misura universale di lotta alla povertà che sostituirebbe i 60 miliardi spesi oggi per le prestazioni socio-assistenziali che verrebbero tagliati per finanziare la riforma.
Per l’Ibl la proposta aprirebbe infatti un buco di 90 miliardi: il saldo negativo di 30 miliardi verrebbe colmato da tagli alla spesa pubblica.
La proposta ha ricevuto diverse adesioni e molte critiche, ma è indubbio che la flat tax sarà il primo punto delle proposte fiscali della destra, e può fare breccia in un elettorato bipartisan anche grazie alla crisi dell’Irpef.
Secondo un rapporto dell’Ufficio valutazione impatto del Senato, oggi la flat tax in parte già esiste: oltre i 28mila euro di reddito, l’aliquota marginale totale per le persone fisiche, grazie ad addizionali, bonus, assegni e detrazioni, smette di crescere, con buona pace della progressività imposta dalla Costituzione.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
L’ITALIA MIGLIORE: LA 27ENNE DI CHATILLON E’ DOTTORESSA IN SCIENZE DELL’EDUCAZIONE
Coraggio e determinazione non le mancano. Eloisa Giachino di Chà¢tillon, 27 anni
condivisi con una grave forma di disabilità , si è laureata in Scienze dell’Educazione all’Università della Valle d’Aosta con 110 e lode e una tesi dal titolo «Promuovere la vita indipendente in situazioni di disabilità : analisi di un progetto in Valle d’Aosta».
Lei stessa è un esempio di forza di volontà che mira all’indipendenza.
«Terminato il liceo mi sono trovata di fronte al classico bivio: inserirmi nel mondo del lavoro o continuare gli studi – spiega Eloisa Giachino -. La prima ipotesi mi appariva ardua da realizzare e avevo ancora desiderio di studiare, e in particolare le materie relative al mondo della disabilità . Data la mia situazione ho cercato di investire sulla mia integrità cognitiva anche nella speranza che una migliore formazione possa aiutarmi a trovare un’occupazione lavorativa che mi consenta una realizzazione personale e un reddito che è una condizione importante per rendermi il più possibile indipendente dalla mia famiglia».
L’Università è andata incontro alle esigenze della studentessa.
«I primi contatti li ho avuti con il docente delegato dal Rettore per la disabilità , la professoressa Serenella Besio, che ha preso atto delle mie necessità e si è attivata per rispondervi. Durante il primo anno di frequenza, infatti, alcune aule sono state rese accessibili eliminando dislivelli all’ingresso e creando un apposito spazio per la carrozzina tra i banchi. Ho sempre frequentato le lezioni: per andare da casa ad Aosta ho utilizzato il servizio regionale di trasporto per le persone con disabilità . Ad Aosta mi attendeva un tutor, fornito dall’Università , che mi accompagnava a lezione, mi prendeva gli appunti, mi registrava le lezioni e mi affiancava durante gli esami per supportare i docenti nella comprensione del mio eloquio. Agli esami ho portato lo stesso programma dei miei compagni: ci tengo a precisare che non ho avuto “sconti” e comunque non li avrei accettati. Tutti i docenti sono stati molto disponibili e attenti alle mie necessità ».
Nonostante le attenzioni, Eloisa Giachino ritiene che la strada per garantire il diritto allo studio a tutti sia ancora lunga.
«Le opportunità non sono del tutto paritarie a quelle delle persone senza disabilità . Per esempio nella scelta di un percorso universitario in una città lontana da casa, la persona con disabilità e la sua famiglia si possono sentire sole, inadeguate nel dover gestire, per alcuni anni, i molteplici aspetti logistici. Il rischio è l’abbandono degli studi. Inoltre sono ben consapevole che non avrei potuto portare a compimento questo percorso di studi senza il sostegno dei miei genitori che si è esplicato, in particolare, nell’affiancamento costante di mia madre nello studio».
Con l’inizio degli studi universitari, è incominciata anche un’altra avventura, il coinvolgimento nelle attività teatrali dell’associazione Monelli dell’Arte.
«È stata una mia iniziativa contattare la regista Mariuccia Allera per capire se poteva essere un’opportunità per il mio tempo libero e per stabilire nuove relazioni e amicizie. Mi sono sentita accolta in quanto tutti si sforzano di trovare le modalità per farmi partecipare attivamente all’azione scenica, nonostante le mie 4 ruote e la mia disartria. Inoltre ho avuto la grande soddisfazione di scrivere alcuni testi che sono stati apprezzati e quindi inseriti nei nostri spettacoli. Ho potuto allacciare nuove relazioni e voglio ricordare, in particolare, quella con il presidente dell’associazione Orfeo Cout che purtroppo ci ha lasciati e mi manca molto in quanto ha sempre dimostrato nei miei confronti un affetto sincero, attenzioni spontanee e grande sensibilità ».
(da “La Stampa”)
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Dicembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
L’ITALIA E’ IL SECONDO PAESE PRODUTTORE AL MONDO DI POMODORI E CONSERVE… MA QUELLO CHE VIENE VENDUTO COME ITALIANO A VOLTE NON LO E’
“Rosso marcio” (Edizioni Piemme) è il titolo di un libro di Jean-Baptiste Malet, che negli ultimi due anni ha inseguito pomodori dalla Cina all’Italia, passando per l’Africa e gli Usa, e racconta con chiarezza tutti i lati oscuri di un business da dieci miliardi di euro l’anno.
La Cina è la prima esportatrice al mondo di concentrato industriale di pomodoro
È da qui che gli stabilimenti cinesi tirano fuori il concentrato che esportano in barili in tutto il mondo. E tantissimo in Italia. Dove, racconta Malet, spesso «viene riconfezionato da operai e macchine in scatolette “prodotte in Italia”».
Significa che il pomodoro italiano, spesso, in realtà è cinese. In un mese al porto di Salerno, hub di tutte le aziende di trasformazioni campane leader nel mondo, arrivano fino a 10mila tonnellate di concentrato dalla Cina.
Prodotto che, in alcuni casi, viene “ritrasformato” e mischiato con gli scarti del pomodoro raccolto in Italia e inviato sulle tavole di mezzo mondo
L’Italia resta la seconda produttrice al mondo di pomodori (5,1 milioni di tonnellate come la Cina, la metà della California) e realizza il 77 per cento delle esportazioni mondiali di conserve.
Il concentrato mischia prodotti dello Xinjiang e della Mongolia interna per un proprietario di marchio indiano.
Da qualche tempo, scrive Malet, il pomodoro ha cominciato a fare anche il giro inverso: dall’Africa all’Italia. La Cina ha delocalizzato la produzione, per esempio in Ghana.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
CAFIERO DE RAHO: “CONTRARIO ALLE TOGHE IN POLITICA, MA QUELLA DI GRASSO E’ UNA SCELTA LEGITTIMA”
“La legge sulle intercettazioni va modificata in alcuni punti perchè così possono
essere di ostacolo allo sviluppo delle indagini”.
È il pensiero di Federico Cafiero De Raho, il procuratore nazionale antimafia ospite di Lucia Annunziata a Mezz’ora in più su Raitre.
Per il magistrato, poi, occorre trovare il modo di proteggere ulteriormente il testimone di giustizia: “È sbagliato che chi collabori con lo Stato abbandoni poi il suo territorio. È la criminalità che deve andare via, non il testimone di giustizia – ha spiegato Cafiero de Raho – Ultimamente in Calabria abbiamo riportato sul territorio diversi testimoni di giustizia, consentendo loro di lavorare mettendo presidi dell’esercito davanti alle loro aziende”.
“Contrario alle toghe in politica, prioritaria una legge”.
“Io da sempre sostengo che chi eserciti una delle funzioni dello Stato così importante come quella giurisdizionale non debba poi entrare in politica, passando da un potere all’altro”, ha detto Cafiero de Raho.
“Ovviamente occorre fare delle distinzioni, esaminando caso per caso – ha aggiunto l’ex capo della Procura di Reggio Calabria – perchè un determinato magistrato che abbia concluso per limiti di età l’attività giurisdizionale potrebbe dare ancora un contributo valido e utile alla società civile dandosi alla politica. So che la politica ha i suoi tempi ma per me sarebbe prioritario fissare subito delle regole con una legge”.
Grasso, scelta legittima.
“Penso che è certamente legittimo che qualunque cittadino possa contribuire al miglioramento della società “, ha detto rispondendo a una domanda sul passaggio in politica di Piero Grasso. Detto questo, la legge in discussione sulla candidabilità dei magistrati resta “una priorità “.
“Gomorra? non vedo nessuna di queste serie. Ma credo che evidenziare i rapporti umani come se la camorra fosse un’associazione come tante altre non corrisponda a quello che è realmente la camorra, che è fatta soprattutto di violenza”, ha commentato il procuratore nazionale antimafia, interpellato sulla nota serie televisiva.
De Raho si è poi detto favorevole a “un tagliando al 416 bis nei limiti in cui la corruzione possa costituire un’aggravante dell’associazione mafiosa”.
“Nessuno mette in dubbio – ha detto – che il nucleo centrale dell’associazione mafiosa vada mantenuto. Ma ci si è resi conto che la mafia ancora prima dell’intimidazione utilizza la corruzione e la collusione. Ci sono forme di infiltrazione che finiscono per inquinare le pubbliche amministrazioni”.
E ancora: “La corruzione che dilaga è uno degli elementi che più di tutti inquina il nostro sistema”, ha aggiunto ancora il procuratore.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
FARA’ AUMENTARE IL DEFICIT FEDERALE DI 1400 MILIARDI DI DOLLARI IN DIECI ANNI E SOLO IL 44% DEGLI AMERICANI GODRA’ DI UNA RIDUZIONE ANNUALE DI OLTRE 500 DOLLARI ..E I TAGLI DELLE FAMIGLIE SONO A TEMPO
In aprile aveva promesso che le tasse sulle imprese sarebbero calate dal 35 al 15%. Nel corso delle trattative in Senato l’aliquota finale è salita al 20%, e il presidente ha aperto alla possibilità di portarla al 22.
Quel che è sicuro è che la riforma fiscale di Donald Trump, approvata dalla Camera alta statunitense nella notte tra venerdì e sabato, premia ricchi e corporation senza portare vantaggi al ceto medio che il tycoon aveva promesso di aiutare contro gli interessi delle elite e di Wall Street.
E secondo le analisi del Congressional Budget Office farà ulteriormente aumentare il deficit federale di 1.400 miliardi di dollari in dieci anni, aumentando il peso sulle generazioni future e provocando nuovi tagli alla spesa pubblica.
Cosa che rischia di tradursi in altri svantaggi per i ceti medio bassi. Un modello che in Italia piace al leader M5S Luigi Di Maio, secondo il quale è una buona idea tagliare le tasse alle imprese facendo più deficit.
La riforma, che punta a rivitalizzare l’attività economica e accelerare la crescita annuale del Paese sopra il 3%, ha appunto come asse centrale la riduzione delle tasse alle imprese, che il Senato prevede per il 2019 e la Camera vuole sia immediata.
Inoltre, punta a semplificare le aliquote fiscali per i privati, portandole da sette a quattro: del 12%, 25%, 35% e 39,6%.
Sebbene il progetto preveda tagli alle tasse per famiglie e persone, il Congressional Budget Office ha affermato nella sua ultima stima che solo il 44% degli americani otterrà una riduzione annuale di più di 500 dollari.
Con l’approvazione della riforma fiscale, i repubblicani hanno anche introdotto un emendamento che elimina l’obbligo di acquisire un’assicurazione medica, come previsto dall’Obamacare dell’ex presidente Obama. E questo potrebbe far salire i costi per le persone che sceglieranno invece di sottoscrivere polizze.
La riduzione fiscale, che riguarda per l’appunto soprattutto le imprese e i ricchi, è la maggiore da quella del 1986 dell’allora presidente Ronald Reagan.
(da agenzie)
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Dicembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
E LA MELONI MODIFICA IL SIMBOLO, SCOMPARE IL LOGO AN-MSI… ADERISCONO TRE RICICLATI: DUE SENATORI DI FI E UNO DI ALFANO
Accolta da Giorgia Meloni, al congresso del partito arriva Daniela Santanchè che
ufficializza la sua adesione a Fratelli d’Italia: “Sono tornata a casa, nella mia famiglia, dove Fini non mi ha permesso di stare, lui che ha distrutto un sogno. Devo dire grazie a Giorgia che ha ricostruito questa casa e mi ha permesso di tornare dove sono nata. Sono emozionata – dice ancora – metterò la mia passione per aiutare Giorgia, non voglio togliere spazio a nessuno e non chiedo nulla”.
Nuovo simbolo per Fratelli d’Italia da scompare la scritta Alleanza Nazione e sotto quella Msi ma resta la fiamma:
“E’ un simbolo che va avanti – spiega Giorgia Meloni – mantiene la fiamma ma non fa più riferimento al partito che è venuto prima di noi. La nostra storia resta ma si va avanti”.
Tre senatori in arrivo
I senatori Stefano Bertacco e Bartolomeo Amidei ex FI e Bruno Mancuso ex Ap hanno deciso di aderire a Fratelli d’Italia. L’annuncio è stato dato questa mattina dalla stessa presidente del partito Giorgia Meloni dal palco del congresso nazionale che si sta concludendo a Trieste. «Questa truppa di illustri signori – ha detto Meloni con soddisfazione – è la truppa di Fdi al Senato della Repubblica grazie all’adesione di queste tre persone che hanno creduto che noi siamo la forza più credibile».
(da agenzie)
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