Dicembre 4th, 2017 Riccardo Fucile
NON SI SA PIU’ SE RIDERE O PIANGERE: LA LEGA RIPESCA L’EX FINIANO, LA MELONI: “NON VOGLIAMO RICICLATI E TRADITORI”
Da Trieste, la leader di Fdi ha rottamato dalla storia della destra ogni traccia di Fini. Nella stessa città , che ha ospitato il secondo congresso nazionale di Fdi, il segretario della Lega Nord ha ripescato un finiano. Di cui si erano perse le tracce da tempo.
L’ultimo acquisto in casa leghista è Roberto Menia: un irriducibile dell’ex leader di An, approdato nel Carroccio grazie all’intesa con il movimento nazionale per la sovranità , fondato da Francesco Storace e Gianni Alemanno.
Movimento politico di cui il triestino Menia è vicesegretario nazionale.
Menia dopo la disfatta elettorale del 2013, lha traghettato Futuro e Libertà , il partito fondato da Fini all’indomani della rottura con Silvio Berlusconi, fino allo scioglimento. Diventandone di fatto il liquidatore.
Roberto Menia è l’uomo che l’ex presidente della Camera ha piazzato nel Cda della fondazione che gestisce il patrimonio di An, in cui siedono anche Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri.
L’ingresso di un ex finiano nella Lega Nord è un problema relativo per Salvini, gli è utile per portare voti al candidato a governatore della Regione, Massimiliano Fedriga, mentre Forza Italia punta su Riccardi.
Semmai un problema di coscienza dovrebbe averlo Menia, una vita a fare il nazionalista, a scegliersi certa compagnia fino a ieri secessionista. Ma il richiamo della poltrona evidedntemente è più forte della coerenza.
Ma il nome di Menia è visto come il fumo negli occhi dall’alleata Meloni. Che da Trieste ha chiuso le porte del centrodestra ai traditori.
L’imbarazzo per il leader del Carroccio è un dato di fatto: non è un caso che Salvini abbia deciso di non mettere la propria faccia, spedendo avanti il braccio destro Giancarlo Giorgetti nella conferenza stampa a Montecitorio per ufficializzare l’adesione alla Lega di Storace, Alemanno. E dell’ex finiano Menia.
Ma c’è un altro aspetto da non sottovalutare: l’alleanza con Fratelli di Italia, che ora può subire pesanti contraccolpi.
L’avvertimento della Meloni è stato chiaro: «Le alleanze si faranno, solo se ci saranno le condizioni. In caso contrario seguiremo un’altra strada».
Strada che porta alla corsa solitaria. Il leader di Fdi vuole garanzie anche sui profili dei candidati. Garanzie che non riguardano solo la fedina penale ma il veto su riciclati e traditori.
Al primo posto della lista «nera» della Meloni ci sono i finiani tra cui Menia. Ma lo stop riguarda anche gli ex An come Storace e Alemanno.
Giorgia Meloni ha posto un paletto invalicabile sulle candidature: nei collegi uninominali, in cui la coalizione correrà unita, Fratelli d’Italia non appoggerà mai una candidatura di Storace o Alemanno. E nè tantomeno quella del finiano Menia.
La patata bollente è ora nelle mani di Salvini che dovrà decidere, se rompere l’asse con la Meloni o rinunciare ai voti degli ex finiani.
(da agenzie)
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Dicembre 4th, 2017 Riccardo Fucile
M5S AL 28,3%, PD 25,3%, FORZA ITALIA 15,3%, LEGA 12,8%, FDI 5,3%, LIBERI E UGUALI 5,3%, AP 1,5%
Il sondaggio settimanale di Emg La7 vede il M5S salire dello 0,4% e raggiungere
quota 28,3%.
Secondo partito il Pd che perde però un altro 0,3% e si attesta al 25,3%, staccato di ormai tre punti dai grillini.
Nel centrodestra continua l’avanzata di Forza Italia che guadagna in sette giorni un altro 0,7% e raggiunge quota 15,3%.
Continua il declino inarrestabile della Lega che perde un altro 0,2% e scende al 12,8%, mentre resta fermo al 5,3% Fratelli d’Italia.
Complessivamente il centrodestra è al 35,3%, il centro sinistra al 30% e il M5S al 28,3%, se guardiamo alle coalizioni.
Fa il suo esordio Liberi e Uguali, la nuova aggregazione di sinistra, guidata da Grasso che si posziona per ora al 5,3%, ma in questo caso il dato è solo iniziale, bisognerà attendere i sondaggi delle prossime settimane per valutarne la capacità attrattiva.
Il dato politico più interessante è che crescono sostanzialmente solo M5S e Forza Italia, mentre sono in declino Pd e Lega.
(da agenzie)
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Dicembre 4th, 2017 Riccardo Fucile
VILLAROSA INTERPELLATO DA HUFFPOST: “NON NE VOGLIO PARLARE”
“Anche il padre della sottosegretaria Maria Elena Boschi, Pier Luigi Boschi, è indagato?”. È questa la domanda chiave che non è stata fatta dai membri della Commissione banche al procuratore di Arezzo Roberto Rossi, audito il 30 novembre. E non è stata fatta nemmeno dal Movimento 5 Stelle che da subito ha messo nel mirino il magistrato.
Perchè? Probabilmente per negligenza o per inesperienza ma non è detto.
L’HuffPost ha provato a chiederlo ad Alessio Villarosa, esponente grillino e membro della Commissione d’inchiesta che, almeno nelle sue intenzioni, è tenuta a fare chiarezza sui crac bancari.
Ma Villarosa si è rifiutato di commentare: “Non ne voglio parlare. Glielo sto dicendo in italiano, in quale lingua glielo devo dire?”.
Passo indietro. Pier Luigi Boschi è indagato per falso in prospetto: il cda di Etruria, di cui faceva parte il padre dell’ex ministra, nel 2013 avrebbe dato il via libera all’emissione di obbligazioni subordinate per ripianare i buchi della banca senza fornire informazioni complete agli investitori sullo stato di salute dell’istituto di credito.
La notizia, diffusa domenica, ha provocato una bufera sul procuratore di Arezzo perchè Rossi, audito solo qualche giorno prima, avrebbe omesso di dire ai membri della Commissione dell’indagine a carico di papà Boschi.
Quest’ultimo non è stato rinviato a giudizio per bancarotta, ha detto Rossi giovedì, perchè non ha partecipato ai Cda che hanno deliberato quei finanziamenti poi finiti in sofferenza e che hanno contribuito al fallimento della banca.
Tuttavia ci sono altri filoni nell’indagine che Arezzo sta portando avanti su Etruria. Come quella sul falso in prospetto che al momento vede chiamato in causa anche Pier Luigi Boschi.
È su questo che Rossi avrebbe taciuto o omesso informazioni, hanno attaccato le opposizioni, in primis il Movimento 5 Stelle.
Il procuratore di Arezzo ha inviato una lettera al presidente della Commissione Pier Ferdinando Casini in cui afferma che, è il sunto della sua difesa, nessuno gli avrebbe chiesto dell’identità degli indagati negli altri filoni d’indagine.
Dopo circa un’ora di audizione, il deputato del Movimento 5 Stelle chiede al procuratore Rossi: “Lei ha detto che ci sono 14 persone del CdA che non risultano indagate…”. “No, rinviati a giudizio”, replica Rossi. Villarosa allora lo incalza: “Quindi potrebbero essere indagati?”. Il procuratore fa cenno di sì con la testa, anche in modo affettato. “Ok”, ribatte Villarosa che continua chiedendo perchè non era stato chiesto il rinvio a giudizio.
Ma manca la domanda chiave: “Chi è indagato? C’è anche Pier Luigi Boschi tra questi?”.
Il discorso non riguarda insomma la reale propensione (o meno, come accusano in queste ore alcuni esponenti delle opposizioni) del procuratore di Arezzo a dipanare tutte le ombre sulla gestione fallimentare di Etruria davanti ai membri della Commissione.
Rossi, nella sua audizione, ha messo in luce le pressioni di Bankitalia per un matrimonio tra Etruria e Popolare di Vicenza. Pressioni di cui viene dato conto nella relazione del magistrato, emerse quindi non per diretta conseguenza (almeno in un primo momento dell’audizione) delle domande della commissione.
Ma il punto qui è un altro: i membri della Commissione hanno realmente fatto tutto quanto è in loro potere – e, beninteso, una commissione parlamentare d’inchiesta gode degli stessi poteri della magistratura ordinaria – per ricavare informazioni fondamentali sui crac e sulle eventuali responsabilità di Pier Luigi Boschi?
Per questo l’HuffPost ha contattato Alessio Villarosa che ha incalzato sul punto il procuratore di Arezzo.
Ma il deputato grillino si è prima difeso adducendo come motivazione il fatto che si tratta di documenti secretati. Ma quando gli è stato fatto notare che la domanda atteneva all’audizione (pubblica e in diretta streaming) del procuratore di Arezzo, il deputato è sbottato: “La questione è delicata e non ne voglio parlare, glielo sto dicendo in italiano in quale altra lingua glielo devo dire?”.
Successivamente Villarosa ha detto a Repubblica:
Il dottor Rossi ha detto non ci sono rinviati a giudizio, e da lì abbiamo capito che però c’erano anche indagati. E’ evidente anche dal video, ma il Pd ha voluto leggerlo in un altro modo. C’è stata una minimizzazione, ma è emerso chiaramente che Boschi era indagato”.
Secondo Villarosa quindi a tutti era chiaro che Pier Luigi Boschi era indagato. Ma così non è stato, almeno fino a quando la notizia non è stata rivelata dal quotidiano La Verità .
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 4th, 2017 Riccardo Fucile
“HO RISPOSTO A TUTTE LE DOMANDE SENZA ALCUNA OMISSIONE”… ANCHE PERCHE’ IL GRILLINO NON GLI HA FATTO LA DOMANDA CHE DOVEVA FARE
Procura di Arezzo nella tempesta dopo che è emerso che Pierluigi Boschi, padre del
sottosegretario Maria Elena, è iscritto nel registro degli indagati per la vendita delle obbligazioni subordinate alla clientela retail di Banca Etruria.
Il procuratore Roberto Rossi, che viene accusato da diversi componenti della Commissione d’inchiesta sulle banche di aver omesso parte della verità , ha scritto in queste ore una lettera al presidente della Commissione Pier Ferdinando Casini per smentire di aver nascosto informazioni rilevanti.
Spiegazioni che vengono ritenute da Casini convincenti: “La lettera odierna del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Arezzo, Roberto Rossi, fornisce una risposta chiara ed esauriente. Tutto il resto afferisce ai giudizi politici che ciascun Gruppo ha il diritto di formulare”, ha aggiunto Casini, che ha precisato che domani nell’Ufficio di Presidenza si parlerà comunque dell’eventualità di richiamare il pm davanti alla commissione.
Il magistrato di Arezzo nella lettera definisce gli addebiti che gli vengono mossi da diversi commissari “gravemente offensivi”, e di aver risposto “a tutte le domande che mi sono state formulate senza alcuna reticenza nè omissione”.
E aggiunge: “Ho chiarito che l’esclusione di Boschi riguardava il processo per bancarotta attualmente in corso, mentre per gli altri procedimenti ho precisato che non essere imputati non significava non essere indagati. Null’altro mi è stato chiesto in merito”.
Rossi nella missiva al presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche parla anche del filone di indagine che contesta il falso in prospetto e il ricorso abusivo al credito a carico del Cda di Etruria del 2013, nel quale sedeva Boschi in qualità di consigliere: “Non ho nascosto nulla circa la posizione del consigliere Boschi in relazione alle domande che mi venivano poste. Le domande hanno riguardato i fatti in oggetto e non, in alcun modo, le persone iscritte nel registro degli indagati”.
E a conferma della sua tesi, il pm allega uno stralcio del verbale dell’audizione del 30 novembre
Il procuratore, rispondendo giovedì scorso alle domande di deputati e senatori nel corso dell’audizione della Commissione d’inchiesta sulle banche, aveva escluso qualunque coinvolgimento di Boschi solo nelle indagini per bancarotta fraudolenta, nonostante il padre dell’allora ministro del governo Renzi sia stato vicepresidente della banca liquidata nel novembre 2015.
Alle sue dichiarazioni erano seguiti commenti in toni trionfalistici di Matteo Renzi e di molti esponenti del Pd, e scettici da parte di esponenti politici dell’opposizione.
Nelle ultime ore è emerso che c’è un nuovo fascicolo aperto dalla procura di Arezzo sulle vicende della ex Banca Etruria: si tratta di uno spezzone di indagine che riguarda la vendita di obbligazioni subordinate alla clientela retail, l’emissione del 2013.
Di questo filone d’inchiesta si era parlato nel corso dell’audizione, ma senza chiarire in modo esplicito quali fossero gli indagati.
Tuttavia il pm non si era sottratto alla domanda, e tutti avevano capito che Boschi poteva essere indagato
Le obbligazioni subordinate sono titoli estremamente rischiosi per i piccoli risparmiatori, perchè il rimborso non è previsto nel caso di fallimento della banca.
Tra gli indagati per non aver fornito le necessarie informazioni alla Consob (e duque il reato ipotizzato è “falso in prospetto”) c’è anche Boschi, e alcune settimane fa i magistrati di Arezzo hanno chiesto una proroga delle indagini.
L’apertura del fascicolo è scaturita dalle sanzioni comminate dalla stessa Consob agli ex amministratori di Banca Etruria nel settembre scorso, per complessivi 2,76 milioni di euro. E riguarda il periodo 2012-2014, incentrato proprio sulle violazioni riscontrare nei prospetti informativi.
“Qualcuno usa questa vicenda da due anni per attaccare me e il Pd.Io penso che sarebbe più giusto fare chiarezza sugli errori fatti da tanti per non sbagliare più – ha scritto su Facebook Maria Elena Boschi. L’ex ministra ha anche annunciato un’azione legale per diffamazione contro Ferruccio De Bortoli: “Ho firmato oggi il mandato per l’azione civile di risarcimento danni nei confronti del dottor Ferruccio de Bortoli. A breve procederò anche nei confronti di altri giornalisti”.
(da agenzie)
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Dicembre 4th, 2017 Riccardo Fucile
DA AN A LA DESTRA, DA FORZA ITALIA A FDI
Daniela Garnero Santanchè, politica e imprenditrice, modaiola e assidua animatrice dei talk politici televisivi, ha ricambiato partito.
Accolta da Giorgia Meloni, rieletta presidente, al congresso nazionale di Trieste ha ufficializzato la sua adesione a Fratelli d’Italia: “Sono tornata a casa, nella mia famiglia, dove Fini non mi ha permesso di stare, lui che ha distrutto un sogno”.
Una sorta di riabilitazione per la ‘Pitonessa’, dopo l’estromissione dal “cerchio magico di Arcore” causa eccessivi personalismi e lotte intestine tra i big del partito.
Per la fedelissima di Ignazio La Russa (suo primo sponsor politico) è il quarto cambio di partito in pochi anni.
Il quinto, se si considera l’evanescente movimento Noi Repubblicani-Popolo Sovrano, da lei stessa fondato un anno fa e presto caduto nel dimenticatoio.
“Sono emozionata e orgogliosa di trovarmi qui”, ha detto arrivando al congresso di Fratelli d’Italia. A chi le chiedeva cosa l’abbia delusa di Berlusconi, ha risposto: “Io non sono delusa da nessuno. Sono nella famiglia in cui sono nata. Quì c’è una grande novità e per la prima volta nella storia della Repubblica abbiamo la possibilità che una donna possa fare il premier, Giorgia dimostra di avere delle capacità di federatore, di saper unire, in Italia il centrodestra ha vinto quando c’è una destra protagonista lo abbiamo visto in Sicilia e a Milano dove possiamo dire che c’era un candidato moderato. Mio padre mi ha insegnato che ad essere moderati a tutti i costi si diventa modesti e lì abbiamo perso e non devo ricordare la ferita di Roma, se fossimo stato uniti ora avremmo la Meloni sindaco”.
La destra “estrema”, proprio lì dove ebbe inizio la sua parabola politica. Con “giri di valzer” annessi. Prima Fini, poi Storace.
Nel mezzo la parentesi “moderata” con Berlusconi. Daniela Santanchè è stata deputata della Camera dal 2001 al 2008, eletta nelle liste di Alleanza Nazionale prima nel 2001 e poi nel 2006.
Il vituperato Fini – quello che “ha distrutto un sogno” – è l’unico leader a cui la ‘Pitonessa’ è stata fedele almeno una volta.
Abbandonata An, Santanchè si è candidata a premier per la lista La Destra-Fiamma Tricolore nel 2008, non risultando eletta neanche come parlamentare per non aver superato la soglia di sbarramento.
Un’operazione per sottrarre voti ad Alleanza nazionale e fare gli interessi del Cavaliere, malignarono i retroscenisti.
Senza un seggio parlamentare, si consuma la rottura con Francesco Storace e arriva l’adesione al Popolo della Libertà .
Viene nominata sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Attuazione del programma di governo del governo Berlusconi IV.
Arriva la quarta candidatura, stavolta come capolista nel Pdl, e la rielezione in Parlamento nel 2013 con il Popolo della Libertà , aderendo a Forza Italia nel novembre dello stesso anno
La fine dell’avventura in Forza Italia è storia recente.
E oggi? “Voglio aiutare la destra ad essere protagonista”, dice battezzando il suo ingresso in Fratelli d’Italia al fianco di Giorgia Meloni.
Perchè, come scrive Pietro Senaldi su Libero, “l’onorevole Santanchè è un vero fenomeno. Comunque vada, puoi scommetterci, lei cadrà sui tacchi a spillo”.“
(da “Today”)
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Dicembre 4th, 2017 Riccardo Fucile
E C’E’ L’AMICA (E LEGALE) DELLA PASCALE
Ci sono gli «eredi» come Nicola Bruno, figlio del parlamentare ed ex presidente della
commissione Affari costituzionali di Montecitorio Donato, morto due anni fa.
E ci sono i parenti acquisiti come Pierantonio Zanettin, genero dell’avvocato Franco Coppi, che punta a rientrare in pista per archiviare l’esperienza al Consiglio superiore della magistratura, di cui è membro laico dal 23 settembre 2014.
Poi ci sono i legali di fiducia come la salernitana Licia Polizio, che segue da anni Francesca Pascale. E qualche rampollo della meglio gioventù confindustriale come Vincenzo Caputo, già vicepresidente nazionale dei giovani imprenditori italiani.
Fuori dai circuiti dell’informazione ufficiale (e ufficiosa), i nomi nuovi della Forza Italia che verrà viaggiano nelle liste trasmesse da Arcore ai coordinamenti regionali e dai coordinamenti regionali ad Arcore.
Un viaggio di andata e ritorno, insomma. Ogni profilo è composto da un curriculum, dalle foto, dalle eventuali segnalazioni a margine.
E dentro tutto questo ci sono i volti nuovi che popoleranno le liste azzurre alle prossime elezioni, corredati anche dai collegi e dalle circoscrizioni che potrebbero vederli protagonisti.
In Campania, per esempio, danno tutti per scontata la candidatura – in collocazione blindata – dell’avvocato Licia Polizio, difensore di fiducia e amica di Francesca Pascale. Tra le figure vicine alla fidanzata dell’ex premier che ambiscono a un posto al sole di Montecitorio ci sono anche la giovane forzista Maria Tripodi e Antonia Postorivo (entrambe in Calabria), quest’ultima nota non solo per essere la moglie del senatore Antonio D’Alì, ma anche per essere tifosissima della Juventus, che segue in casa e in trasferta.
Tornando alla Campania, i penalisti di Salerno vanno molto per la maggiore tra gli azzurri visto che, tra i nomi nuovi, ad Arcore è stato visionato anche l’avvocato Silverio Sica, già presidente della locale Camera Penale.
A Napoli potrebbero correre invece il consigliere regionale Severino Nappi e l’ex vicepresidente dei giovani di Confindustria Vincenzo Caputo.
In Puglia scalpitano l’ex sindaco di Lecce Paolo Perrone, in marcia di allontanamento da Raffaele Fitto, e l’editore di Telerama Paolo Pagliaro, considerato una specie di Berlusconi del Salento.
Più l’ex assessore provinciale di Lecce Filomena D’Antini, il consigliere regionale Giacomo Diego Gatta e Michaela Di Donna, cognata del sindaco di Foggia Franco Landella. Più il figlio di Donato Bruno, Nicola.
Nel Lazio, una delle regioni in cui il centrodestra si giocherà le chances di raggiungere la maggioranza assoluta, si lavora tantissimo ai collegi del maggioritario.
Praticamente certi di un posto in lista sono i consiglieri regionali Mario Abbruzzese, che presidia la Ciociaria, e Franco Battistoni, quest’ultimo a Viterbo.
In Emilia Romagna, tanto per rimanere nelle zone ostiche, reclama spazio un altro mister preferenze: il consigliere regionale Galeazzo Bignami, figlio del defunto Marcello, uno dei nomi celebri della destra bolognese.
Altro sicuro del seggio, stavolta in Toscana, l’ormai ex sindaco di Pietrasanta Massimo Mallegni.
In Lombardia e Veneto, territorio di conquista dei big nazionali, troveranno spazio l’imprenditore Francesco Ferri, il genero di Coppi, Zanettin, il commissario di Forza Italia a Belluno Dario Bond.
A Milano, invece, spera di giocarsi le sue carte la consigliera comunale Silvia Sardone, moglie del neosindaco di Sesto San Giovanni Roberto Di Stefano.
Tutte questioni che saranno sciolte dal consiglio dei coordinatori regionali, un organismo a cui Berlusconi tiene talmente tanto da aver messo – nel ruolo di segretario – uno dei suoi uomini più fidati, il deputato Sestino Giacomoni.
Nella stessa sede verranno affrontati anche i casi degli europarlamentari che starebbero chiedendo di tornare in patria per correre per Montecitorio o Palazzo Madama: da Lara Comi ad Elisabetta Gardini, passando per il piemontese Alberto Cirio.
Si vede che l’aria di vittoria, presunta o vera che sia, si sente anche da lontano.
(da “Il Corriere della Sera”)
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Dicembre 4th, 2017 Riccardo Fucile
SECONDO IL “NEMICO” ANDREA COIA “PUO’ ESSERE SOSTITUITO”… SI ERA RIBELLATO ALL’INCIUCIO DELLA GIUNTA CON IL CLAN DEI TREDICINE
L’assessore al Commercio e Turismo di Roma, Adriano Meloni, può essere sostituito? “Secondo me sì, ma non decido io”. Così il presidente della commissione Commercio di Roma, Andrea Coia, ha risposto, interpellato dai cronisti al suo arrivo in Campidoglio, secondo quanto riporta l’agenzia Omniroma.
“Meloni è un tecnico — ha aggiunto Coia -, che ha qualche collaborazione con Casaleggio, non è del M5S”.
Qualche giorno fa Meloni, a colloquio con il Messaggero, aveva accusato il M5S di essere legato ai Tredicine, coniando, a proposito del consigliere Coia, il neologismo “Coidicine“. Poi l’assessore, in una comica dichiarazione su Facebook, si era scusato con Coia accusando i giornali. Ora Coia gli dà ufficiosamente il benservito in attesa delle decisioni della sindaca Virginia Raggi, che sarebbe orientata a sostituirlo.
Rispondendo a una domanda sulle scuse dell’assessore, poi, Coia ha detto: “Una cosa sono le scuse e un’altra le smentite”.
E ancora: “Ci sono novanta giorni per la querela”, ha aggiunto a chi gli chiedeva se avesse intenzione di querelare l’assessore.
Infine rispetto a un chiarimento con l’assessore Meloni ha risposto: “Ci ho parlato prima” delle dichiarazioni a mezzo stampa “tante volte, dopo no, non c’è stato un confronto. Bisogna distinguere il piano personale da quello lavorativo, noi dobbiamo portare avanti il nostro lavoro”.
Rispetto alla data per l’apertura della festa, qualora si raggiungesse un accordo con gli operatori sui costi per la sicurezza, Coia ha spiegato: “Non prima dell’otto dicembre”. I costi per la sicurezza, a carico degli operatori, così come emerso da una precedente riunione di venerdì scorso ammonterebbero a circa 450mila euro più iva, da suddividere tra i circa 50 vincitori del bando.
“Noi andiamo avanti per realizzare la festa della Befana a piazza Navona, è una scelta degli operatori se ritirare il titolo o no”, ha concluso Coia.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 4th, 2017 Riccardo Fucile
DIETRO IL “NUMERO RIDOTTO DI TRENI CIRCOLANTI” SI FA STRADA L’IPOTESI DI SABOTAGGI
Anche oggi si registrano forti ritardi per la metro B/B1 a causa del misterioso
“numero ridotto di treni circolanti” che ha funestato in altre occasioni ogni linea della metro a Roma.
La situazione, piuttosto curiosa, continua a ripetersi da mesi e ha avuto un picco massimo di segnalazioni a novembre
Perchè a Roma la metro non funziona?
Qualche tempo fa un dossier ATAC aveva puntato il dito su presunti “sabotaggi” da parte degli autisti: l’indagine interna aveva prodotto alcuni risultati.
Diciotto macchinisti della Metro hanno ricevuto una lettera di sospensione da ATAC con decurtazione in busta paga e minaccia di richiesta danni per aver segnalato guasti considerati dall’azienda di poco conto ai treni della metro in una forma di sciopero bianco che somiglia molto ai disservizi di queste settimane, anche se i sindacati hanno negato tutto anche con volantini affissi e distribuiti nelle stazioni.
I fatti per cui sono arrivate le sospensioni risalgono alla scorsa estate
La motivazione della presunta azione di sabotaggio risiederebbe nella decisione di andare al concordato preventivo aumentando i carichi di lavoro: dopo la circolazione delle prime indiscrezioni in azienda e sui giornali, improvvisamente le segnalazioni di guasti sono cresciute e le metro hanno cominciato a viaggiare con treni ridotti e corse al rallentatore. Nel 2015 altri macchinisti vennero sospesi per uno “sciopero bianco” mentre nel giugno scorso ci furono sospetti anche sui guasti agli autobus.
Il 21 novembre scorso si era poi verificato ancora un caso di dieci treni improvvisamente guasti o fermi nelle officine a causa di problemi di manutenzione.
(da “NextQuotidiano“)
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Dicembre 4th, 2017 Riccardo Fucile
IL BIOTESTAMENTO SULLO SFONDO DEL PROCESSO
Lei a stento tratteneva le lacrime, così come tanti dei presenti in un’aula del tribunale per due ore mai così attenta e silenziosa.
Una testimonianza che lascia il segno, quella di Valeria Imbrogno, al processo per la morte del fidanzato Dj Fabo, di cui è accusato Marco Cappato, l’esponente radicale che aiutò l’uomo a farsi ricoverare in Svizzera dove fu eseguito il suicidio assistito
Sullo sfondo di questo processo, al di là delle accuse specifiche a Cappato, c’è la legge sul biotestamento, che il parlamento potrebbe approvare prima della fine della legislatura, sempre che si trovi una quadratura politica: il centrosinistra e M5S la vogliono, il centrodestra e pezzi della maggioranza no.
«Speriamo che sia la volta buona per avere una legge sul biotestamento, mio figlio ha lottato tanto per questo», ha detto la madre prima di entrare in aula dove è attesa la sua testimonianza. All’esterno del Palazzo di Giustizia, come per la precedente udienza, sono anche presenti alcuni manifestanti `pro vita’ che stanno esponendo cartelli e striscioni.
La commovente deposizione di Valeria
«Non devi sentirti sconfitta, per me questa è una vittoria». Sono le parole che Fabiano Antoniani, (dj Fabo) disse alla fidanzata Valeria poco tempo prima di andare a morire in una clinica svizzera. Con la battaglia «pubblica» Fabo si sentì di nuovo «vivo e utile» e fece anche lo «sciopero della fame» per non essere fermato. A lei disse anche: «Ora sarò energia nell’universo».
«Io stavo combattendo la `signora Morte’ – ha raccontato Valeria Imbrogno nel silenzio totale dell’aula che per due ore l’ha ascoltata raccontare, con forza, tutta la storia di Fabo – e sentivo che stava vincendo lei, ma Fabo mi disse `Tu non devi sentirti sconfitta, per me questa e’ una vittoria’».
La donna, rispondendo alle domande delle pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini e poi dei legali di Cappato, accusato di aiuto al suicidio, ha descritto quanto, prima dell’incidente stradale che lo rese cieco e tetraplegico ma anche dopo, Fabiano Antoniani «amasse la vita».
Ha raccontato che la cosa per lui più insopportabile era quella di non vedere più («altrimenti credo non avrebbe deciso di morire»), ha parlato della «speranza» che ha avuto anche dopo l’incidente di tornare più vicino possibile alla vita che conduceva prima, quando in India provò la «terapia delle staminali» che poi non funzionò, e poi del periodo finale in cui decise di «mollare».
Per lui, ha detto la donna, «la libertà era un valore importante e se con la sua scelta e con la sua battaglia pubblica e anche mediatica fosse riuscito a smuovere qualcosa ne sarebbe stato contento, era quello anche un modo per sentirsi vivo, si sentiva vivo e utile nel fare questa cosa».
E a lei diceva: «Per me la vita è qualità , non quantità e io sto sopravvivendo di quantità ». Perchè Fabo era «vita all’ennesima potenza». Ha spiegato che gli venne prospettata anche dallo stesso Cappato la possibilità «italiana», ossia di interrompere le terapie e morire in questo modo, ma lui capì che si sarebbe «prolungata l’agonia, e poi in casa con sua madre, e lui voleva tutto tranne che soffrire ancora, perchè sapeva che così sarebbe morto con un’agonia di 7-10 giorni».
Fabiano «non era religioso ma credeva in un qualcosa soprattutto verso la fine e mi disse `Tu saprai dove trovarmi, io torno ad essere energia nell’universo’».
La testimonianza della madre, in lacrime
«Vai Fabiano, la mamma vuole che tu vada». Così la madre di Fabiano Antoniani, noto come dj Fabo e morto col suicidio assistito, ha raccontato le ultime parole dette al figlio prima che «schiacciasse» con la bocca il pulsante.
Carmen Carollo si è messa a piangere in aula e la pm Tiziana Siciliano si è alzata e le ha dato un fazzoletto. Già dopo l’incidente stradale, ha spiegato, quando seppe di essere diventato cieco, Fabo decise di «andare a morire» in Svizzera. «Non voleva morire soffocato interrompendo le cure», ha aggiunto.
La procuratrice aggiunto Siciliana, prima che iniziasse la testimonianza della madre di Antoniani nel processo davanti alla Corte d’Assise a carico di Marco Cappato, esponente radicale e tesoriere dell’associazione Luca Coscioni (per lui la stessa Procura aveva chiesto l’archiviazione ma il gip lo ha mandato a processo per aiuto al suicidio), ha detto di sentirsi «addolorata di doverla accompagnare su questa strada» di una tremenda deposizione sulla morte del figlio.
Carmen Carollo ha raccontato, con gli occhi gonfi di lacrime, che quando seppero, dopo l’incidente stradale del 12 giugno 2014, che era diventato cieco, oltre che tetraplegico, «abbiamo detto `questa e’ la fine’, lo sapevamo che Fabiano non avrebbe mai sopportato la cecità , lui ha lottato tanto è vero, ma ha sempre detto sin dall’inizio, quando era al Niguarda, che non avrebbe più voluto vivere e che voleva andare in Svizzera, perchè era un ragazzo troppo vitale per sopportare quella condizione».
La donna ha spiegato che Antoniani le disse subito in ospedale «io voglio che tu accetti questa cosa mamma, io voglio morire».
La madre ha parlato, così come aveva già fatto nella testimonianza precedente la fidanzata Valeria, dei «dolori terribili» di cui soffriva, «a volte gridava e gli sembrava di avere il diavolo in corpo».
A differenza della fidanzata, però, che ha descritto tutto il periodo in cui dopo l’incidente Fabo ha anche avuto la «speranza» di migliorare prima di «mollare» dopo l’insuccesso della terapia staminale in India dell’estate 2016, la madre ha ribadito che il figlio dall’inizio del suo calvario voleva andare in Svizzera a morire.
«Io e Valeria abbiamo molto barato con lui – ha detto – ma lui non era stupido, lottava sì e poi si è arrabbiato molto perchè pensava che noi rallentassimo la sua morte ed era vero».
La donna ha anche definito «meravigliosi i colloqui» tra il figlio e Cappato, «tra loro si era creato un rapporto di amicizia, parlavano di tante cose, gli parlava della sua musica, ed era diventato una persona molto importante per lui».
Cappato gli parlò anche della possibilità di interrompere le cure in Italia, ma «Fabiano non aveva paura di morire, aveva paura della sofferenza e di morire soffocato».
Sia la madre che la fidanzata (anche loro accompagnarono il figlio in Svizzera, la madre era in macchina con lui e Cappato) hanno evidenziato come fu assolutamente di Fabo la scelta di morire.
«Quando un figlio ti dice che vuole morire – ha spiegato la donna – della Svizzera, di Milano o di qualsiasi altro posto non te ne frega nulla».
(da “La Repubblica”)
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