PROCESSO A CAPPATO, LA FIDANZATA DI DJ FABO COMMUOVE L’AULA
IL BIOTESTAMENTO SULLO SFONDO DEL PROCESSO
Lei a stento tratteneva le lacrime, così come tanti dei presenti in un’aula del tribunale per due ore mai così attenta e silenziosa.
Una testimonianza che lascia il segno, quella di Valeria Imbrogno, al processo per la morte del fidanzato Dj Fabo, di cui è accusato Marco Cappato, l’esponente radicale che aiutò l’uomo a farsi ricoverare in Svizzera dove fu eseguito il suicidio assistito
Sullo sfondo di questo processo, al di là delle accuse specifiche a Cappato, c’è la legge sul biotestamento, che il parlamento potrebbe approvare prima della fine della legislatura, sempre che si trovi una quadratura politica: il centrosinistra e M5S la vogliono, il centrodestra e pezzi della maggioranza no.
«Speriamo che sia la volta buona per avere una legge sul biotestamento, mio figlio ha lottato tanto per questo», ha detto la madre prima di entrare in aula dove è attesa la sua testimonianza. All’esterno del Palazzo di Giustizia, come per la precedente udienza, sono anche presenti alcuni manifestanti `pro vita’ che stanno esponendo cartelli e striscioni.
La commovente deposizione di Valeria
«Non devi sentirti sconfitta, per me questa è una vittoria». Sono le parole che Fabiano Antoniani, (dj Fabo) disse alla fidanzata Valeria poco tempo prima di andare a morire in una clinica svizzera. Con la battaglia «pubblica» Fabo si sentì di nuovo «vivo e utile» e fece anche lo «sciopero della fame» per non essere fermato. A lei disse anche: «Ora sarò energia nell’universo».
«Io stavo combattendo la `signora Morte’ – ha raccontato Valeria Imbrogno nel silenzio totale dell’aula che per due ore l’ha ascoltata raccontare, con forza, tutta la storia di Fabo – e sentivo che stava vincendo lei, ma Fabo mi disse `Tu non devi sentirti sconfitta, per me questa e’ una vittoria’».
La donna, rispondendo alle domande delle pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini e poi dei legali di Cappato, accusato di aiuto al suicidio, ha descritto quanto, prima dell’incidente stradale che lo rese cieco e tetraplegico ma anche dopo, Fabiano Antoniani «amasse la vita».
Ha raccontato che la cosa per lui più insopportabile era quella di non vedere più («altrimenti credo non avrebbe deciso di morire»), ha parlato della «speranza» che ha avuto anche dopo l’incidente di tornare più vicino possibile alla vita che conduceva prima, quando in India provò la «terapia delle staminali» che poi non funzionò, e poi del periodo finale in cui decise di «mollare».
Per lui, ha detto la donna, «la libertà era un valore importante e se con la sua scelta e con la sua battaglia pubblica e anche mediatica fosse riuscito a smuovere qualcosa ne sarebbe stato contento, era quello anche un modo per sentirsi vivo, si sentiva vivo e utile nel fare questa cosa».
E a lei diceva: «Per me la vita è qualità , non quantità e io sto sopravvivendo di quantità ». Perchè Fabo era «vita all’ennesima potenza». Ha spiegato che gli venne prospettata anche dallo stesso Cappato la possibilità «italiana», ossia di interrompere le terapie e morire in questo modo, ma lui capì che si sarebbe «prolungata l’agonia, e poi in casa con sua madre, e lui voleva tutto tranne che soffrire ancora, perchè sapeva che così sarebbe morto con un’agonia di 7-10 giorni».
Fabiano «non era religioso ma credeva in un qualcosa soprattutto verso la fine e mi disse `Tu saprai dove trovarmi, io torno ad essere energia nell’universo’».
La testimonianza della madre, in lacrime
«Vai Fabiano, la mamma vuole che tu vada». Così la madre di Fabiano Antoniani, noto come dj Fabo e morto col suicidio assistito, ha raccontato le ultime parole dette al figlio prima che «schiacciasse» con la bocca il pulsante.
Carmen Carollo si è messa a piangere in aula e la pm Tiziana Siciliano si è alzata e le ha dato un fazzoletto. Già dopo l’incidente stradale, ha spiegato, quando seppe di essere diventato cieco, Fabo decise di «andare a morire» in Svizzera. «Non voleva morire soffocato interrompendo le cure», ha aggiunto.
La procuratrice aggiunto Siciliana, prima che iniziasse la testimonianza della madre di Antoniani nel processo davanti alla Corte d’Assise a carico di Marco Cappato, esponente radicale e tesoriere dell’associazione Luca Coscioni (per lui la stessa Procura aveva chiesto l’archiviazione ma il gip lo ha mandato a processo per aiuto al suicidio), ha detto di sentirsi «addolorata di doverla accompagnare su questa strada» di una tremenda deposizione sulla morte del figlio.
Carmen Carollo ha raccontato, con gli occhi gonfi di lacrime, che quando seppero, dopo l’incidente stradale del 12 giugno 2014, che era diventato cieco, oltre che tetraplegico, «abbiamo detto `questa e’ la fine’, lo sapevamo che Fabiano non avrebbe mai sopportato la cecità , lui ha lottato tanto è vero, ma ha sempre detto sin dall’inizio, quando era al Niguarda, che non avrebbe più voluto vivere e che voleva andare in Svizzera, perchè era un ragazzo troppo vitale per sopportare quella condizione».
La donna ha spiegato che Antoniani le disse subito in ospedale «io voglio che tu accetti questa cosa mamma, io voglio morire».
La madre ha parlato, così come aveva già fatto nella testimonianza precedente la fidanzata Valeria, dei «dolori terribili» di cui soffriva, «a volte gridava e gli sembrava di avere il diavolo in corpo».
A differenza della fidanzata, però, che ha descritto tutto il periodo in cui dopo l’incidente Fabo ha anche avuto la «speranza» di migliorare prima di «mollare» dopo l’insuccesso della terapia staminale in India dell’estate 2016, la madre ha ribadito che il figlio dall’inizio del suo calvario voleva andare in Svizzera a morire.
«Io e Valeria abbiamo molto barato con lui – ha detto – ma lui non era stupido, lottava sì e poi si è arrabbiato molto perchè pensava che noi rallentassimo la sua morte ed era vero».
La donna ha anche definito «meravigliosi i colloqui» tra il figlio e Cappato, «tra loro si era creato un rapporto di amicizia, parlavano di tante cose, gli parlava della sua musica, ed era diventato una persona molto importante per lui».
Cappato gli parlò anche della possibilità di interrompere le cure in Italia, ma «Fabiano non aveva paura di morire, aveva paura della sofferenza e di morire soffocato».
Sia la madre che la fidanzata (anche loro accompagnarono il figlio in Svizzera, la madre era in macchina con lui e Cappato) hanno evidenziato come fu assolutamente di Fabo la scelta di morire.
«Quando un figlio ti dice che vuole morire – ha spiegato la donna – della Svizzera, di Milano o di qualsiasi altro posto non te ne frega nulla».
(da “La Repubblica”)
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