Dicembre 10th, 2017 Riccardo Fucile
PRETENDERE CHE I LADRONI PADANI RESTITUISCANO I 49 MILIONI CHE SI SONO FOTTUTI SAREBBE “UN FURTO”
«Mancano 90 giorni mica sei mesi, noi partiamo svantaggiati perchè non abbiamo una lira, saluto i giudici di Genova che hanno deciso di mettere fuori legge la Lega, potete rubarci i soldi ma non la dignità . Gli altri hanno un sacco di soldi, pensate che c’è chi spende mezzo milione di euro per girare in treno e prendere pernacchie il Leopoldo pensa di spendere così i soldi. Io preferisco 10 euro puliti dei 10 milioni di euro di qualcun altro»: lo ha afferma il leader della Lega Matteo Salvini durante il comizio a piazza Santi Apostoli durante la manifestazione contro lo Ius Soli.
Il sequestro era stato disposto dopo la sentenza di primo grado nei confronti di Umberto Bossi e Francesco Belsito per la truffa allo Stato sui rimborsi elettorali da circa 49 milioni, usati, secondo i giudici, anche per fini personali o del tutto estranei all’attività politica.
Un processo in cui Salvini ha deciso di non costituire la Lega Nord parte civile nei confronti degli imputati, come invece avrebbe potuto fare.
In realtà la procura di Genova si è limitata a bloccare solo due milioni su 49, gli unici trovati nelle casse delle varie Leghe nazionali.
Mentre logica (e precedenti specifici) vorrebbero che venissero bloccate anche le future entrate, fino al concorso della somma in oggetto.
Cosa che avverrebbe per ogni comune mortale.
Belsito e Bossi sono stati condannati in primo grado per avere “distratto” 49 milioni di euro, soldi degli italiani usati a fini personali. E Salvini che fa? Si costituisce parte civile per recuperare soldi nostri così malamente usati?
Neanche per idea: non si costituisce affatto.
Anzi, alla Procura di Genova che cerca di recuperare i fondi sprecati dalla “Roma ladrona”, ha il coraggio di dire “ci rubate i soldi”.
Salvini recuperi i soldi portati all’estero, venda i diamanti e restituisca i soldi al popolo italiano, invece che diffamare i magistrati.
(da agenzie)
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Dicembre 10th, 2017 Riccardo Fucile
NON GLI SERVONO IRRUZIONI, C’E’ CHI GLI DA’ UN MICROFONO
Incrociamo un po’ di virgolettati. Poche righe per fare il punto, dal momento che ci si
indigna giustamente per il metodo, dimenticando che la questione del merito è più importante perchè propedeutica alla prima.
Como, 29 novembre. Gli skinhead del Veneto fanno irruzione nella sede dell’associazione Como senza frontiere e declamano (non senza qualche imbarazzante difficoltà di lettura) un volantino contro “tutti coloro che mirano a sostituire questi popoli (europei, ndr) con non popoli”. “Fermiamo l’invasione“, concludono.
Una settimana più tardi, militanti di Forza Nuova si presentano a volto coperto sotto la sede de La Repubblica e diffondono il loro messaggio sul web: “Rappresentiamo ogni italiano tradito da chi con la penna favorisce Ius soli, invasione e sostituzione etnica“. “Da oggi — proseguono, minacciando il quotidiano e L’Espresso — inizia il boicottaggio sistematico e militante contro chi diffonde la sostituzione etnica e l’invasione”.
Era il 6 dicembre.
Tre giorni prima Matteo Salvini, intervistato da SkyTG24, spiegava che gli skinhead dell’irruzione di Como solo solo “4 ragazzi con un volantino”, mentre “è in corso “un’invasione pianificata del nostro paese. Un tentativo di sostituzione etnica dei nostri lavoratori con dei disperati”.
Nulla di nuovo. Quello del segretario della Lega è un mantra: “Sono poi sempre più convinto che sia corso un chiaro tentativo di sostituzione etnica di popoli con altri popoli”, diceva il 2 maggio a Catania.
La prima volta lo aveva fatto il 3 dicembre 2014 a Radio Anch’io: “Lo Ius soli in Italia non lo accetto, è una sostituzione di popoli, una immigrazione programmata”.
Il 17 febbraio 2015 era andato oltre, regalando agli annali un upgrade di toni e contenuti in senso ancor più estremista: con gli immigrati “è in corso un’operazione di sostituzione etnica coordinata dall’Europa”, diceva a Radio Padania spiegando che ci sono “padani discriminati, vittime di pulizia etnica“.
Ora, la domanda non è la seguente: ci rendiamo conto che da anni Matteo Salvini e parte della destra parlamentare ripete gli stessi concetti di Forza Nuova e skinhead senza che nessuno abbia nulla da ridire?
E poi: è questa l’offerta politica del centrodestra moderato di cui Silvio Berlusconi si riempie la bocca?
Perchè gli alleati in coalizione non sono da meno: “Il loro obiettivo (del Pd, ndr) è una sostituzione etnica e favorire con l’immigrazione lo sfruttamento del lavoro”, diceva Giorgia Meloni, arringando i suoi il 24 settembre sul palco di Atreju.
Ora dire come ha fatto a piazza Santi Apostoli a Roma che “anche gli immigrati regolari sono italiani”, per Salvini equivale a indossare il vestito buono, utile a darsi una parvenza di presentabilità e a raschiare qualche voto anche nei settori meno meno estremisti dell’elettorato del centrodestra.
Ma è una foglia di fico.
Che differenza c’è allora tra le teste rasate e il leader del Carroccio?
Il metodo: Salvini non ha bisogno di fare irruzioni o usare la forza dell’intimidazione, perchè gli si mette davanti il microfono senza problemi e nella maggior parte dei casi senza nessuno che gli faccia notare le bestialità che dice.
Così facendo il segretario della Lega ha alimentato la palude, ha creato il contesto culturale in cui sguazzano i razzisti. Ha sdoganato loro e il messaggio che veicolano.
Tutto questo sarebbe successo se dall’altra parte della barricata ci fosse stato un partito di sinistra vero? Probabilmente no.
Invece c’è il Pd, che traccia la propria strategia sulla questione dei flussi migratori veicolandola con lo slogan “aiutiamoli a casa loro” di Matteo Renzi, parole che lo stesso Salvini ripete da anni.
O che dice: “Sui migranti ho temuto per la tenuta democratica del Paese” come ha fatto a più riprese in estate il ministro dell’Interno Marco Minniti.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 10th, 2017 Riccardo Fucile
“CONFONDE LE AMBULANZE CON I TAXI DEL MARE, NON VA ALLA MANIFESTAZIONE DI COMO PERCHE’ E’ UN PARACULO”
La deriva razzista che si sta vedendo nel nostro Paese “preoccupa” Roberto Saviano. “Perchè frutto di una cosa ben precisa, cioè l’abbassamento del dibattito politico democratico. Se Salvini parla in questo modo, se Di Maio parla di taxi del mare quando sono ambulanze e non va alla manifestazione antifascista, chiaramente non andarci è un gesto paraculo, fatto per continuare a parlare a quei voti li”, ha sottolineato Saviano oggi a ‘Più libri più liberi’, a margine dell’incontro con alcuni redattori della rivista ‘Scomodo’.
E ai giornalisti che gli ricordavano la risposta di Di Maio che ha parlato di una strumentalizzazione di tipo politico, Saviano ha detto: “In quel caso faccia una sua manifestazione antifascista. La sto aspettando. E invece non la farà e se la farà allora vorrà dire che non è paraculo, che sceglie un’altra strada”.
E poi ha aggiunto: “come sapete non mi schiero con una militanza o l’altra, sono sempre più critico verso il Pd che oramai si è suicidato. Voglio dire che la deriva estremistica è solo frutto di una deriva del dibattito politico nazionale”.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 10th, 2017 Riccardo Fucile
O SI FA UN GOVERNO A CINQUESTELLE O SI TORNA ALLE URNE: MA LE COSE NON STANNO AFFATTO COSI’
«Tutte le forze politiche, dopo le elezioni, dovranno decidere se far partire il nostro
governo per attuare il nostro programma o se preferiscono tornare subito al voto. Queste sono le due uniche opzioni possibili»: è un Luigi Di Maio volitivo quello che sulla sua pagina Facebook vede, prevede, stravede cosa succederà nella prossima legislatura e si attribuisce persino il potere di sciogliere le camere.
Secondo il candidato premier del MoVimento 5 Stelle infatti le prossime elezioni sono già segnate: il M5S vincerà e lui avrà l’incarico di formare il primo governo dellagggente. «Fatevi i calcoli. Ogni voto in più degli italiani al MoVimento 5 Stelle sarà una garanzia in più per evitare il ritorno al voto e per far partire un governo finalmente dalla parte dei cittadini», dice Di Maio.
Questo perchè il centrosinistra “è fuori dai giochi con il Pd in caduta libera, sprofondato sotto la “soglia Bersani” e con poche possibilità di risalita”, mentre il centrodestra “unito non ha i numeri per governare e in ogni caso questa coalizione-Frankenstein si sfalderà il giorno dopo le elezioni, come successo in Sicilia”.
Andando con ordine, è certamente vero che attualmente il centrosinistra guidato dal Partito Democratico sta soffrendo nei sondaggi, soprattutto dopo l’addio di Pisapia all’ipotesi di coalizione e i buoni risultati (sempre nei sondaggi) di Liberi e Uguali, la formazione antagonista di Renzi.
Dopodichè, è pur sempre anche vero che si sta parlando di sondaggi a molti mesi dalle elezioni, ma questo per un partito come i 5 Stelle, che fino a ieri sosteneva che i sondaggi non erano importanti, anzi erano falsi è già un robusto passo avanti.
Il governo a 5 Stelle come unica opzione?
Intanto però non si vede in che modo il centrodestra “si sia sfaldato” dopo le elezioni in Sicilia, come dice Di Maio, visto che chi le ha vinte — Nello Musumeci — è ancora al governo della regione.
Musumeci ha deciso di tenere fuori la Lega dalla coalizione in Sicilia perchè Salvini ha ottenuto un solo deputato, che nel frattempo è stato anche indagato per appropriazione indebita.
Tutto questo sfascio in Sicilia per adesso è nei pii desideri di Di Maio (e di Cancelleri) ma il governo è ancora in piedi.-
In secondo luogo, non è per niente vero che Mattarella sia “obbligato” a dare il mandato a chi ha preso più voti: il presidente della Repubblica, sentiti i partiti, dovrà decidere in base a chi potrà offrire garanzie di poter raggiungere una maggioranza alla Camera e al Senato.
E in questa ottica la coalizione di centrodestra potrebbe avvicinarsi molto più del MoVimento 5 Stelle al numero di voti necessari (gli stessi sondaggi che Di Maio oggi vede come aruspici dicono questo).
Infine, la decisione di sciogliere le camere appartiene al presidente della Repubblica e sarà lui a dover decidere, in caso di stallo, cosa fare dopo le elezioni.
Tutta questa agitazione da parte di Di Maio però ha una spiegazione ben precisa: quando scatterà la prossima legislatura, quella sarà la sua seconda nel M5S.
Se il presidente della Repubblica dovesse sciogliere le Camere dopo qualche mese, lui, regole alla mano, non potrà più ricandidarsi.
Ecco, forse chi ha più da perdere da una decisione di Mattarella è proprio Di Maio.
Si capisce perchè voglia sin da ora lanciare ultimatum.
(da “NexQuotidiano”)
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Dicembre 10th, 2017 Riccardo Fucile
DALLA ROSA CON 2738 VOTI BATTE POSSAMAI CHE HA RACCOLTO 2700 VOTI, SOSTENUTO DAL PARTITO, MA SUI 38 VOTI DI SCARTO SI ACCENDE LA POLEMICA
Le primarie “con il morto” hanno lasciato strascichi a Vicenza, ben oltre il fair play con cui è stato accolto lo scarto di soli 38 voti che ha incoronato il candidato outsider Otello Dalla Rosa.
Una settimana fa sono andati a votare 6.385 vicentini per scegliere il candidato del Pd che correrà alla successione di Achille Variati, giunto al termine della seconda legislatura da primo cittadino, e quindi non candidabile.
Cosa è accaduto? Che Dalla Rosa ha incamerato 2.738 voti, mentre Giacomo Possamai, sostenuto da buona parte del Pd, si è fermato a 2.700. Distanziato di molto, invece, il vicesindaco uscente Jacopo Bulgarini d’Elce, sponsorizzato da Variati, con cui ha condiviso l’avventura amministrativa.
Che nei seggi non tutto fosse andato per il verso giusto lo si era saputo dalle cronache locale, avvalorate da una seduta fiume (sette ore) del comitato di garanzia che aveva preso in esame le segnalazioni di irregolarità , per sancire alla fine la vittoria di Della Rosa.
Possamai non si è messo di traverso, rinunciando a fare ricorso. E a caldo ha dichiarato: “Non è nel mio stile. Si creerebbe un Vietnam nel partito. Ho perso, per poco, ma ho perso. Finisce qui”.
Ma che non sia finita qui lo dimostrano, invece, due fatti.
Il primo è interno al Pd veneto. Il secondo riguarda il sindaco che ha mal digerito lo schiaffo degli elettori al suo delfino, arrivato mestamente terzo.
A rinfocolare le polemiche scende in campo il capogruppo democratico in Consiglio regionale, Stefano Fracasso, che in quell’incarico è succeduto lo scorso gennaio alla vicentina Alessandra Moretti (pesantemente sconfitta da Luca Zaia nella corsa alla presidenza della Regione Veneto).
“Episodi come questi non si dovrebbero vedere alle primarie”. Le parole di Fracasso (diffuse dall’agenzia di stampa Dire) sono benzina sul fuoco che per qualche giorno è covato sotto le ceneri.
Anche perchè elenca tutte le irregolarità emerse. “Durante le operazioni di voto l’anagrafe telematica in cui il personale di seggio doveva registrare i votanti si è bloccata per alcune ore, rendendo impossibile controllare la regolarità dei dati di chi si presentava al seggio. Durante il black-out i dati dei votanti sono stati scritti su registri cartacei, e una volta completate le operazioni di voto ci si è resi conto che ben 19 persone hanno votato senza averne il diritto”.
Di chi si trattava? “Per la maggior parte di persone di nazionalità differenti, sudamericani o di origini balcaniche, ma c’è anche il caso di una donna che è risultata deceduta, e ciò significa che qualcuno ha usato il suo documento per votare”.
La nota di Fracasso prosegue: “Secondo alcune testimonianze, inoltre, Giuliano Raimondo, membro della commissione di garanzia provinciale e figura nota del Pd, avrebbe tentato di votare nonostante sia residente fuori città e non ne abbia quindi il diritto. Infine, numerose segnalazioni evidenziano che all’ingresso dei seggi c’erano sostenitori del candidato vincitore che fermavano gli elettori per suggerire chi votare, in qualche caso anche offrendo un rinfresco”.
La sottolineatura di Fracasso è severa: “Coloro che concorrono e i loro sostenitori dovrebbero evitare che succedano cose del genere. In ogni caso mi pare che Possamai abbia reagito nel modo più intelligente, superando le polemiche”.
Eppure rischi di lacerazione nel tessuto del Pd, che esce da dieci anni di maggioranza, ce ne sono, visto che Fracasso conclude: “Ora bisognerà superare ‘l’incidente’, sarà possibile nella misura in cui i protagonisti riusciranno a mettere in campo proposte concrete ed efficaci per il governo della città . Purtroppo, rimane ‘amarezza’ per questa macchia su primarie dalla straordinaria partecipazione”.
In realtà non finisce qui.
Perchè dopo le primarie si è bloccato uno dei più importanti interventi immobiliari pubblici, quello che era stato definito il “risiko dei palazzi”, una delle più complesse operazioni dell’amministrazione Variati.
Si tratta della riqualificazione, trasformazione e vendita di immobili di proprietà comunale (prevista anche la realizzazione di un albergo, un parcheggio e unità abitative), in cambio della costruzione della nuova sede della polizia locale, della nuova biblioteca e di altri uffici comunali.
E’ un’operazione da più di 80 milioni di euro. Il giorno dopo le primarie Variati ha rinunciato, dichiarando: “Non ci sono le condizioni politiche per portare avanti l’operazione, come sindaco mi assumo la responsabilità di bloccare il progetto del fondo immobiliare”.
Che l’affare sia destinato a diventare uno snodo della prossima campagna elettorale a Vicenza lo dimostra l’editoriale firmato l’8 dicembre da Luca Ancetti, direttore de Il Giornale di Vicenza, il quotidiano controllato dagli industriali.
Il titolo è eloquente: In fondo è responsabilità . E’ un attacco diretto a Variati. “È possibile che si dia ‘l’indietro tutta’ alle macchine perchè il candidato sindaco designato dalle primarie, e premiato, per ora, da poco più di duemila cittadini, avanza, peraltro legittimamente, qualche dubbio? Così facendo si profila una situazione paradossale. Quella di un aspirante sindaco che viene investito di un diritto di veto… E quella di un sindaco in carica deluso, ma con pieni poteri, che sceglie di porre la pietra tombale sull’operazione, che lui stesso definisce come grande opportunità per la città perchè non c’è unità nella maggioranza e perchè le minoranze la contestano duramente. Vicenza non ha bisogno di un sindaco disilluso”.
Disilluso, aggiungiamo noi, dall’esito delle primarie con il morto.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 10th, 2017 Riccardo Fucile
PARTITO NEL 2012 DA COSENZA PER FARE UN DOTTORATO A MARSIGLIA, ORA INSEGNA ALL’UNIVERSITA’: “IN ITALIA A 30 ANNI SEI CONSIDERATO UN RAGAZZINO, QUI PUOI RICOPRIRE RUOLI DI GRANDE RESPONSABILITA'”
“Finita l’università avevo due strade: restare in Italia a casa dei miei genitori,
aspettando che qualche scuola del nord mi chiamasse per una supplenza, o tentare la mia chance all’estero”.
Così, nel 2012, Battista Liserre è partito da Cosenza per fare un dottorato a Marsiglia e non è più tornato.
“Vista la situazione italiana non avevo molta fiducia. In Italia le poche borse per fare un dottorato sono destinate a figli, parenti e amici dei professori. E anche quando hai la fortuna di entrare nelle grazie di un docente lavori gratis o, con qualche borsa di studio, arrivi al massimo a 900 euro al mese”.
Eppure, per ben due anni il 33enne calabrese ha lottato per non abbandonare la nostro penisola, partecipando a bandi di dottorato in tutta Italia.
Peccato che la prima risposta è arrivata da un istituto francese, l’Università Aix-Marseille.
Un primo traguardo che gli ha aperto “possibilità inimmaginabili per il nostro paese”, come insegnare all’università ad appena 28 anni.
“Quando ritornavo in Italia nessuno mi credeva, mi prendevano per pazzo, perchè lì a 28 anni sei considerato ancora piccolo e impreparato per il mondo del lavoro”.
E mentre in Italia non credevano alla sua carriera francese, Battista preparava le mosse per il suo scacco matto visto che oggi è riuscito a diventare insegnante di civilizzazione italiana nel prestigioso campus dell’Essca (ècole de management) a Aix en Provence, oltre ad essere da ben quattro anni chargè de cours (ovvero professore a contratto) della stessa materia all’università di Aix-Marseille.
“Il paradosso è che mentre in Italia sotto i 30 anni ti considerano un ragazzino, qui in Francia molti miei colleghi trentenni lavorano già da sette anni ricoprendo ruoli di grande responsabilità ”.
Infatti Battista, appena arrivato in Francia, si sentiva addirittura a disagio di iniziare la sua carriera accademica a 28 anni compiuti. Un imbarazzo che mese dopo mese si è sciolto, fino ad permettergli di ricoprire l’ambita carica di docente.
La Francia, secondo Battista, “non è il mondo dei sogni ma un paese normale in cui lo stato aiuta davvero i suoi cittadini. Solo che, per come siamo trattati in Italia, a noi gli aiuti francesi sembrano del tutto innaturali”.
Un esempio? I trasporti pubblici che, stando alla sua esperienza, funzionano benissimo e non sono quasi mai in ritardo.
Oppure il riconoscimento della professione del docente, che lo porta a guadagnare il 35% in più dei suoi colleghi italiani. “Sono finiti gli anni in cui per viaggiare o permettermi quello che desideravo dovevo passare per i miei genitori”.
Inevitabile quindi per Battista vedere in un possibile ritorno in Italia un “fallimento”, a meno che questo non avvenga dopo la pensione. Tanto che, a 33 anni, l’insegnante francese d’adozione arriva a considerarsi “privilegiato” se pensa a molti suoi amici della sua età che “abitano ancora a casa con i loro genitori, avendo perso la speranza di trovare un lavoro”.
“Non è facile lasciare tutto e ricominciare. Purtroppo non abbiamo deciso noi di partire, ma è l’Italia a non fare nulla per trattenerci”.
Un meccanismo ormai noto che porta i giovani a formarsi in Italia a non trovare un altrettanto valido collegamento tra università e mondo del lavoro.
“Inoltre, la nostra è una protesta contro lo stato italiano, una specie di guerra culturale”, continua il 33enne. “Infatti, spero che grazie a noi che viviamo all’estero e rimpolpiamo le statistiche sui giovani che lasciano il nostro paese, i governi riflettano sulla drastica situazione d’invecchiamento della nostra penisola. Anche se non si fa nulla di concreto almeno si apre il dibattito”.
Italiani all’estero che non vogliono sentirsi dire che lasciano affondare la loro terra, sentendosi ambasciatori del proprio paese in terra straniera. “I miei coetanei, a causa di politiche sbagliate , non si meritano di non avere un futuro come ogni nostro concittadino europeo”.
Il consiglio che dà a chi si sta affacciando sul mondo del lavoro?
“È triste dirlo ma scappate da una classe politica che sta uccidendo tre generazioni di giovani — che mai nessuno ridonerà al nostro paese — e andate all’estero a realizzare i vostri sogni. Andare a lavorare fuori dall’Italia è ormai l’unica strada percorribile”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 10th, 2017 Riccardo Fucile
42 ANNI, DEPUTATO DA 12, SPERA DI STRAPPARE A MELENCHON E MARINE LE PEN IL RUOLO DI PRINCIPALE OPPOSITORE DI MACRON
Dopo i debutti in politica con una posizione centrista, Laurent Wauquiez si è lentamente spostato sempre più a destra, ed è su una piattaforma «veramente di destra», come dice lui, che è stato eletto a capo dei Rèpublicains, il partito erede dell’uomo gollista.
Marine Le Pen, per metterlo in imbarazzo, gli chiede di allearsi con lei e in effetti le visioni sull’immigrazione, l’Islam e l’identità francese non sono poi molto lontane
Laurent Wauquiez spiega che alla rivista VSD che non si è mai montato la testa (del resto perchè avrebbe dovuto?) grazie alla moglie Charlotte.
«Quando ci siamo incontrati non ero nessuno», dice Wauquiez, come a sottolineare di essere oggi qualcuno. Ma comunque, il leader dei Rèpublicains attribuisce alla moglie il merito di tenerlo con i piedi per terra, per esempio «non esita a fare spingere il carrello della spesa a me quando andiamo insieme al supermercato».
Molto è stato detto, e non per ragioni estetiche, sui capelli precocemente grigi del 42enne Wauquiez.
Le Monde ha scritto che in un primo tempo l’esponente della destra ha cominciato a tingerseli «sale e pepe» per sembrare più vecchio e acquisire autorevolezza nei confronti dei compagni di partito.
Poi il grigio ha progredito da solo e non è stato necessario usare la tintura. Lui smentisce e dice che «gli attacchi contro il mio fisico non mi faranno tacere».
Laurent Wauquiez si propone come un politico vicino al popolo e contro le «èlite globalizzate». Categoria della quale però fa indiscutibilmente parte, visto che è cresciuto in una famiglia di industriali parigini che abitava in uno dei quartieri più ricchi di Parigi (il VIIème) con in casa una domestica in uniforme, ha frequentato i prestigiosi licei Louis le Grand e Henri IV, ha studiato a Sciences Po e all’ENA (la fabbrica delle èlite francesi)
Cattolico, Laurent Wauquiez si è opposto al «mariage pour tous» che ha aperto il matrimonio agli omosessuali, e nel 2013 ha sfilato con la «Manif pour tous» (con il suo celebre giaccone rosso, che lui usa per dare un’immagine sportiva di sè e che viene da molti criticato come inopportuno).
Quando era ministro di Sarkozy, Wauquiez spiegava che l’omosessualità è incompatibile con i suoi valori personali, e ha denunciato le nozze gay come «una grande manipolazione politica che cerca di colpevolizzare i cristiani».
(da “Il Corriere della Sera”)
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Dicembre 10th, 2017 Riccardo Fucile
IL CANTAUTORE PARLA DELLA POLITICA DI OGGI
“Sono meno di sinistra? Non lo so”. Francesco De Gregori, in una lunga intervista
rilasciata a Malcom Pagani su Vanity Fair, parla tra le tante cose di politica.
“Se essere di sinistra significa parteggiare per i deboli, sono rimasto dalla stessa parte di ieri. Purtroppo è sempre più difficile capire chi oggi nella politica esprima le ragioni dei deboli e chi dei forti, per cui mi sento un po’ perso e reagisco facendo un passo indietro. Rifiutando di indossare una bandiera in maniera esplicita come, devo dire, in fondo mi è raramente capitato di fare anche in passato”, dice il cantautore.
Quanto alla politica di oggi, il giudizio di De Gregorio non è lusinghiero: “Se dovessi discutere con D’Alema, con Bersani o con Renzi non saprei cosa dirgli. Ascolti. Per me la partecipazione alla vita civile, che trovo nobilissima, significa pagare le tasse fino all’ultima lira. A quel punto io mi sento a tutti gli effetti dentro la politica e dentro la società . Altro è fare il tifo per qualcuno, entusiasmarsi per una legge elettorale di cui da anni non si capisce niente o perdere mezz’ora di mattina allo scopo di capire che cosa abbia detto Pisapia a Ingroia”, dice De Gregori.
E aggiunge: “Leggere che esiste un movimento che si chiama la Mossa del cavallo francamente mi atterrisce. E no. A quello ho detto basta da tempo. La mattina ho altro da fare: fumarmi la sigaretta al bar, andare dal barbiere o parlare con quello che pulisce le foglie ai giardinetti mi sembrano cose molto più importanti”.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 10th, 2017 Riccardo Fucile
ENTRAMBI SOCCORRITORI DELLA PROTEZIONE CIVILE, SI SONO CONOSCIUTI NEI PRIMI GIORNI DOPO IL SISMA…LE BOMBONIERE CON MATERIALI RECUPERATI DALLA DEVASTAZIONE
Nel biglietto che accompagna le bomboniere c’è scritto “il nostro amore è nato dalle macerie”. E nel caso di Domenico Di Capua e Tonya Giosa non c’è niente di più vero.
Il primo incontro è avvenuto il 10 settembre 2016 al campo della Protezione Civile di Saletta, una delle 49 frazioni di Amatrice. Il primo bacio, qualche giorno dopo, tra le scosse. Il prossimo 20 dicembre si sposeranno.
Entrambi arrivati dalla provincia di Potenza – lui da Pietragalla, lei da Tito – sono partiti a pochi giorni dal terremoto del 24 agosto per prestare soccorso alle popolazioni colpite dal sisma del Centro Italia.
Lui, 40 anni, commercialista con un’esperienza di volontariato in Emilia nel 2012; lei, 33, psicologa alla sua prima prova con la Protezione Civile.
Insieme a un gruppo di altri lucani hanno trascorso una settimana nel comune laziale occupandosi della costruzione delle tende e dei ripari, della preparazione dei pasti ma soprattutto, come ricorda Tonya, “del sostegno emotivo nei confronti di persone che da pochi giorni avevano perso tutto”.
Un’esperienza dura, di precariato e privazione, che ha segnato i loro cuori.
“Quei sette giorni per noi sono stati come due anni di frequentazione. In quelle condizioni vedi l’altro a nudo, senza ripari, senza abiti ricercati, nella sua vera essenza”, racconta Domenico.
Eppure ricordano bene il momento in cui si sono innamorati. “Dopo i primi giorni ho avuto un crollo. Mi ero molto affezionata a un anziano che mi ricordava mio nonno e sentire la sua voce commossa descrivere come il sisma si era portato via tutto, la casa e la famiglia, mi faceva troppo soffrire. Avevo bisogno di parlarne con qualcuno, di un abbraccio, e non ho avuto dubbi nel cercarlo in Domenico”, racconta Tonya.
“Quando l’ho vista così persa, fragile davanti a tanta sofferenza, l’ho abbracciata forte e ho capito di amarla”, risponde lui.
Dopo il ritorno in Basilicata hanno iniziato a frequentarsi e non si sono più lasciati.
Il prossimo 20 dicembre i due volontari si sposeranno a Tito e andranno a vivere a Pietragalla.
A loro l’Associazione Amici di Saletta ha dedicato una giornata di festa a Roma. Un concerto e un pranzo solidale per salutare i futuri sposi e consegnare loro le bomboniere realizzate da Federica Moretti, una fisioterapista romana originaria di Saletta che per Domenico e Tonya ha costruito delle casette in legno e pietra con materiali recuperati nelle terre amatriciane.
“Il ricavato delle bomboniere solidali andrà interamente alla nostra associazione per il Progetto Rinascita. Vogliamo alimentare così un messaggio di speranza, utilizzando i materiali tipici delle nostre case per ridare nuova vita a quello che non esiste più e per ricordare le persone scomparse”, spiega Federica.
L’incontro tra gli sposi e gli “amici del terremoto” sarebbe dovuto avvenire a Saletta ma le macerie sono ancora lì ed è impossibile pensare a una situazione festosa, soprattutto in questa stagione, in luoghi dove niente è stato ricostruito.
E allora vale la pena ricordare che se l’amore può nascere anche nella tragedia e le storie a lieto fine possono riempire di speranza – almeno per la durata della lettura di questo articolo – sono migliaia le persone che attendono ancora di tornare a una vita dignitosa.
(da “La Repubblica”)
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