Gennaio 15th, 2018 Riccardo Fucile
ASCOLTATO IL GIOVANE DI SINISTRA ACCOLTELLATO… SI STRINGE IL CERCHIO: “ERANO GIOVANISSIMI”
È stato identificato l’uomo che ha subito una coltellata alla schiena da un gruppo che gravita intorno alla sede genovese di CasaPound. Incensurato, ha 35 anni e chiare simpatie di sinistra, ma non è particolarmente attivo. Non è ancora chiaro perchè non abbia presentato denuncia, ma chi gli ha parlato, anche tra il personale ospedaliero, riferisce che dopo l’aggressione subita era molto scosso e spaventato.
L’uomo, che per fortuna se l’è cavata con 7 giorni di prognosi, sarà convocato dagli investigatori della Digos nelle prossime ore.
E’ stato identificato grazie al referto del pronto soccorso dell’ospedale Galliera. Sette giorni di prognosi, dice il referto, ma per la Digos e la Procura di Genova se il fendente, che ha lacerato maglia e giubbotto prima di arrivare nella parte bassa della schiena, avesse colpito un po’ più in alto avrebbe anche potuto essere mortale.
Per questo gli inquirenti hanno aperto un fascicolo per tentato omicidio.
Per sopperire alla mancanza di una denuncia formale, oltre al ferito convocheranno a breve anche gli altri attivisti che hanno partecipato al volantinaggio.
Solo in un secondo momento saranno convocati i militanti di Casapound che si trovavano in sede quella sera e che sono stati tutti identificati: sono quasi tutti genovesi e molto giovani. Alcuni farebbero parte dell’associazione giovanile di CasaPound Blocco Studentesco.
Questo elemento viene confermato anche da uno degli attivisti che ha partecipato al volantinaggio culminato nell’aggressione: «Quelli che ci sono venuti addosso erano tutti giovanissimi e tutti uomini – racconta l’attivista che chiede di rimanere anonimo per timore di ritorsioni – al contrario di quello che hanno scritto nel comunicato di Casapound di donne quella sera non ne abbiamo viste. Brandivano cinghie e bottiglie che hanno continuato a lanciarci fino in corso Buenos Aires».
L’attivista racconta che il volantinaggio era cominciato intorno alle 23 in piazza Alimonda.
«A un certo punto abbiamo sentito urlare `Daje, prendilo’ e abbiamo visto venir giù di corsa dalla sede un primo gruppo. Siamo scappati verso corso Buenos Aires ma un gruppetto di 3-4 di noi è rimasto indietro ed è stato raggiunto. Non avevamo alcuna intenzione bellicosa, per questo ci siamo tenuti lontani dalla sede, volevamo solo fare controinformazione come già avevamo fatto in quella zona. L’azione è stata veloce, poi ho visto che il mio amico perdeva sangue dalla schiena».
IL PROCURATORE CAPO
«Bisogna evitare in tutti i modi che questo episodio abbia conseguenze e spirali varie. Dall’ altro lato sicuramente l’autorità giudiziaria non avrà nessuna indulgenza o arrendevolezza su episodi di violenza fisica o verbale». Così il procuratore capo di Genova Francesco Cozzi interviene sull’accoltellamento ad un militante antifascista avvenuto venerdì sera mentre attaccava manifesti nei pressi della sede di Casapound, vicino via Tommaseo. «Voglio avvisare tutti gli interessati – prosegue Cozzi – afffinchè riportino tutto nell’alveo della dialettica e del confronto».
«Le indagini – continua il capo della procura genovese – mirano anche a capire se non vi siano state contaminazioni, nell’episodio in questione, con altri ambienti, come quello dello stadio. Le modalità del gesto infatti non sono solo quelle di tipo «politico». Comunque, tutti quanti devono sapere che non ci sarà nessun trattamento benevolo per chi gira armato e prova a fare valere le proprie idee con i coltelli».
«Da parte nostra – conclude Cozzi – bisogna stare attenti a eventuali proliferazioni di fatti del genere che vanno repressi e soffocati sul nascere. Non si può assistere e aspettare che succedano fatti gravi. A chi c’era quella sera dico che se sa qualcosa ha il dovere di parlare per aiutare le indagini».
(da “il Secolo XIX”)
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Gennaio 15th, 2018 Riccardo Fucile
ANCORA IERI DALLA D’URSO LO “SMEMORATO” CAVALIERE HA AVUTO LA FACCIA DI DIRE CHE L’HA VOLUTO LA SINISTRA
Ieri pomeriggio Silvio Berlusconi è stato ospite di Barbara D’Urso su Canale 5 dove ha
spiegato il suo programma di governo per il Paese.
In un’atmosfera surreale nella quale i protagonisti erano circonfusi da una luce ultraterrena Berlusconi ci ha spiegato i motivi per cui alle prossime politiche dovremmo votare Forza Italia.
Tra le varie ragioni c’è quella che — secondo il leader di FI — solo lui potrà fermare i flussi migratori. Perchè? Perchè secondo Berlusconi la sinistra ha svenduto il Paese sottoscrivendo il trattato di Dublino.
Berlusconi ha infatti ricordato che il suo governo aveva stipulato accordi con la Libia di Gheddafi grazie al quale il numero degli sbarchi venne notevolmente ridotto. Berlusconi però dimentica di menzionare come dal 2011 molte cose cambiarono sia in Africa che nel Medio Oriente e soprattutto come quel “successo” è stato reso possibile dal ricorso da parte del Colonnello dei campi di prigionia per migranti.
I libici si erano infatti impegnati a trattenere quanti più migranti possibili. Il trattenimento, per così dire, avveniva in veri e propri campi di concentramento dove i migranti erano costretti a vivere in condizioni disumane.
Una volta caduto il regime libico però gli accordi (e l’organizzazione statale libica) hanno cessato di esistere. L’inizio della guerra civile siriana, le violenze di Boko Haram in Nigeria e la temporanea avanzata dell’ISIS in Nord Africa hanno peggiorato una situazione già di per sè molto fragile.
Il piano di Berlusconi è quello di “convincere l’Europa” ad intavolare trattative con i paesi di provenienza dei migranti “per farglieli riprendere”.
Prima di tutto bisogna fermare i migranti nei paesi di provenienza e poi iniziare a “smaltire” quelli che sono già nel nostro Paese.
Ma di chi è la colpa se ci sono così tanti immigrati in Italia? Berlusconi lo dice chiaro: «colpa precisa della sinistra che ha firmato con Renzi il trattato di Dublino in cui ha accettato incredibilmente che il Paese di primo approdo fosse il paese che doveva tenersi i migranti e arrivare a sceverare tra i migranti quelli che avessero diritto allo status di rifugiati e gli altri che invece non hanno diritto di restare qui e che vanno invece rimpatriati».
Chi ha firmato il trattato di Dublino?
L’attuale versione del regolamento di Dublino (Dublino III) è stata sottoscritta dal governo italiano nel 2013, quando il Presidente del Consiglio era Enrico Letta.
Ma è l’accordo di Dublino II (ratificato dal nostro Paese nel 2003) che ha reso operativo il regolamento sulla gestione dei meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo.
Il regolamento di Dublino II trasformò e rese operativa la Convenzione di Dublino (detta appunto Dublino I) che risale al 1990 e che fu ratificata nel 1997.
È stato quindi Silvio Berlusconi — in carica dal 2001 al 2005 — a far ratificare al nostro Parlamento (anche la Lega Nord votò a favore) l’applicazione del trattato di Dublino. Le modificazioni introdotte nel 2013 non hanno cambiato l’impianto generale del trattato.
Di quel governo, guidato da Silvio Berlusconi, il ministro della Giustizia era Roberto Castelli della Lega Nord, quello dell’Interno era Beppe Pisanu e quello degli esteri Franco Frattini, entrambi di Forza Italia.
Anche costosissimo e inutile il sistema dei centri di identificazione ed espulsione (CIE) fu messo in piedi da un governo di centrodestra.
A volerli fu l’ex ministro degli Interni dell’ultimo governo Berlusconi: quel Roberto Maroni che è il Presidente uscente di Regione Lombardia.
A complicare la situazione italiana c’è anche la legge Bossi-Fini (varata anch’essa durante un governo Berlusconi) che rende impossibile entrare in Italia legalmente per cui l’unico modo per farlo è clandestinamente. Oppure facendo richiesta d’asilo.
Ed è questo uno dei motivi per cui i centri di identificazione solo al collasso: cercare di ottenere lo status di rifugiato è l’unico modo per poter entrare in Italia e quindi in Europa.
C’è infine un altro aspetto interessante. Ieri a Domenica Live Berlusconi ha detto che grazie agli accordi stipulati durante il suo governo nel 2010 gli sbarchi erano ridotti a poche migliaia di unità .
Ma allora perchè l’allora ministro degli Interni Roberto Maroni affermava in Parlamento che avrebbe chiesto alle Regioni, alle province e ai comuni di farsi carico dell’accoglienza dei rifugiati.
Il 30 marzo 2011 alla Camera Maroni intervenne sull’emergenza immigrazione: «Ho proposto loro un piano per la distribuzione equa, in tutte le regioni, con la sola esclusione dell’Abruzzo per i soliti motivi, dei rifugiati, con un criterio molto semplice, ossia in base al numero degli abitanti, alla popolazione».
La diga eretta dall’accordo con Gheddafi, che ha condannato migliaia di donne e uomini a violenze e stupri inenarrabili sull’uscio di casa nostra, aveva ceduto.
Sette anni dopo Berlusconi fa ancora finta di non avere alcuna responsabilità nè sulla firma degli accordi di Dublino nè — ed è peggio — sull’avallo dato ai campi di Gheddafi che l’ambasciatore tedesco ha definito “veri e propri lager”.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 15th, 2018 Riccardo Fucile
LOMBARDIA, IL DELIRIO DI FONTANA A RADIO PADAGNA, POI LA RETROMARCIA : “E’ STATO UN LAPSUS”… GLI ELETTORI DI CENTRODESTRA ORA SANNO CHE VOTERANNO UN RAZZISTA
“Non possiamo accettare tutti gli immigrati che arrivano: dobbiamo decidere se la nostra etnia, la nostra razza bianca, la nostra società devono continuare a esistere o devono essere cancellate”.
Meno di una settimana fa, quando è stato scelto dal centrodestra come candidato governatore della Lombardia dopo la rinuncia di Roberto Maroni, Attilio Fontana è stato presentato e raccontato come il “leghista moderato”, uomo di istituzioni e di governo, visti i suoi due mandati da sindaco di Varese (e uno da sindaco di Induno), l’incarico di presidente di Anci Lombardia, la presidenza del Consiglio regionale ai tempi di Formigoni.
Ma in pochi giorni, allineandosi alle posizioni del suo leader Matteo Salvini, Fontana ha scelto posizioni tutt’altro che moderate.
E per esporre la sua posizione sulla questione immigrazione, ha scelto un collegamento con Radio Padania, domenica mattina, durante la trasmissione ‘Sulla strada della libertà ‘, condotta da Roberto Maggi.
A una domanda sul tema, Fontana attacca, con una frase netta di cui si è accorto per primo il blogger de L’Espresso Daniele Sensi, che già pochi giorni fa aveva raccontato della trasmissione in diretta di Radio Padania in cui si invitavano gli ascoltatori a chiamare per offendere Roberto Maroni, reo di aver criticato la linea di Salvini.
Quindi, ecco Fontana che spiega: “E’ un discorso demagogico e inaccettabile quello di dire che dobbiamo accettarli, è un discorso a cui dobbiamo reagire, dobbiamo ribellarci. Vorrebbe dire che non ci saremmo più noi come realtà sociale e etnica, perchè loro sono molti più di noi, perchè loro sono molto più determinati di noi nell’occupare questo territorio. Di fronte a queste affermazioni dobbiamo ribellarci, non possiamo accettarle, quindi dobbiamo decidere se la nostra etnia, razza bianca, società deve continuare ad esistere o deve essere cancellata, è una scelta. Se la maggioranza degli italiani dovesse dire noi vogliamo autoeliminarci vorrà dire che noi che non vogliamo autoeliminarci ce ne andiamo da un’altra parte”.
Tra le prime reazioni, quella del candidato governatore del centrosinistra Giorgio Gori: “C’è chi parla di forconi e razza bianca. Noi parliamo di formazione, lavoro, crescita, Europa, senza isterismi e demagogia”.
Il vicesegretario del Pd, Maurizio Martina, ha condannato le parole di Fontana: “Un candidato presidente che si lancia in dichiarazioni così deliranti intervistato da Radio Padania dimostra drammaticamente di non essere all’altezza della più importante regione del paese. E tutto questo è triste e pericoloso per la Lombardia e i lombardi prima di tutto”, ha affermato.
Il deputato del Pd, Emanuele Fiano, su Twitter, ha tirato in ballo Liberi e Uguali: “Per i signori a sinistra che pensano che il futuro della #Lombardia sia giusto affidarlo alle divisioni nel centrosinistra: ‘Fontana (candidato centrodestra): con troppi migranti razza bianca a rischio’ . Bravi compagni continuiamo così”.
(da agenzie)
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Gennaio 15th, 2018 Riccardo Fucile
IL CANDIDATO DEL CENTRODESTRA E’ DEBOLE, MA NESSUNO SA APPROFITARNE, DIVISI TRA MAGGIORDOMI E RANCOROSI
GPF research ha condotto una rilevazione tesa a sondare l’umore degli elettori lombardi,
intervistando un campione di 500 cittadini maggiorenni, cui sono state poste domande di orientamento al voto, opinione e posizionamento valoriale.
La rilevazione è stata condotta tra lunedì 8 e mercoledì 10 gennaio, ovvero il giorno prima dell’ufficializzazione della candidatura di Attilio Fontana nel centrodestra (che non era comunque un segreto visto che il suo nome “ballava” già all’epoca dell’annuncio di Maroni) ed i risultati sono stati pubblicati oggi dal Fatto Quotidiano con un commento di Carlo Berruti, direttore dell’istituto.
Tra i nomi è sondato anche Stefano Parisi che ha già garantito il suo appoggio a Fontana.
Fontana batte Giorgio Gori 30,2% a 24% mentre Dario Violi del MoVimento 5 Stelle, con il 14,4%, raccoglie un numero di consensi molto inferiore rispetto a quelli pronosticati al M5S su base nazionale.
Al campione è stato chiesto anche chi conosceva dei candidati e Fontana ha ottenuto un grado di conoscenza di appena il 20,7%, inferiore a quella di Gori ma superiore a quella di Violi.
Un altro elemento interessante è il 7,2% che ha ottenuto Stefano Parisi che invece che giocarsi la partita in proprio ha preferito appoggiare la candidatura di Fontana.
Non è detto che i suoi fans voteranno a priori il candidato della Lega, ma anche la scelta di Liberi e Uguali di presentare un loro candidato di bandiera e congelare quindi a loro volta un 5,8%, di fatto fanno di Parisi e Grasso i migliori alleati di Salvini.
(da agenzie)
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Gennaio 15th, 2018 Riccardo Fucile
GIOVANI ARRABBIATI E INTELLETTUALI SPINGONO L’ONDA M5S. SI PREPARA IL BOTTO
Per ora nessuno ha il coraggio di parlarne in pubblico, ma i leader dei partiti «tradizionali» – da Berlusconi a Renzi fino a Salvini – in questi giorni si stanno scambiando un passaparola che somiglia a uno spettro: nel Mezzogiorno il Movimento Cinque Stelle potrebbe fare il «botto».
Si tratta di qualcosa in più di una sensazione segnalata dai notabili di «territorio» più sensibili agli umori popolari.
A parlar chiaro sono i sondaggi più analitici (e per questo più costosi per i committenti) che all’unisono rilanciano lo stesso dato: in tutte le principali regioni e città del Sud il Movimento di Grillo per il momento è al primo posto. Saldamente e nettamente.
Un fenomeno che, laddove venisse confermato, rappresenterebbe un dato politico rilevantissimo, con connotati persino storici, se si pensa che in 72 anni di Repubblica gli elettori meridionali hanno sempre premiato in prevalenza i partiti di governo (la Dc, Forza Italia, l’Ulivo) e comunque mai un movimento dichiaratamente anti-sistema.
Certo, mancano ancora 48 giorni alle elezioni e qualcosa può ancora cambiare, ma i primi dati degli istituti più accreditati sono eloquenti.
Molto analitiche e con campionature importanti, come sempre, sono le ricerche che Alessandra Ghisleri realizza per conto di Forza Italia.
Proprio perchè «mirati» agli interessi del committente, questi sondaggi non sono diffusi immediatamente, ma chi li ha visti racconta di una striscia che parla chiaro: il Movimento Cinque Stelle viaggia tra il 34 e 36% in Sardegna, tra il 33 e il 35% in Sicilia, tra il 30 e il 32% in Puglia, tra il 29 e il 31% in Campania.
Se ancora è prematura la traduzione in seggi, sia per i collegi sia per la parte proporzionale, un dato è già acquisito: i Cinque stelle sono il primo partito nelle grandi aree metropolitane del Sud, dunque a Napoli, Bari, Palermo e Reggio Calabria, oltrechè nelle principali regioni.
Numeri molto importanti, che non stupiscono chi conosce la realtà sociale e l’immaginario collettivo del Mezzogiorno.
Spiega l’irpino Marco Ciriello, uno degli scrittori meridionali più originali e anticonformisti dell’ultima generazione: «Il meridionale Luigi Di Maio, un ex giovane che non ha finito l’Università , che sbaglia i congiuntivi, che non ha un papà professionista, che non è riuscito mai ad avere un lavoro, provoca una sorta di identificazione in lui da parte di tantissimi giovani ed ex giovani meridionali che sono avvelenati verso tutto quello che è istituzione, che odiano tutti quelli che sono “realizzati” e che sono inquadrati. Quelli che sono restati a casa sono giovani spesso mediocri, purtroppo senza una biografia e che si identificano in un leader senza biografia. E poi pesa molto nella simpatia verso i Cinque Stelle il tradizionale individualismo meridionale, un certo egoismo sul quale lo slogan “uno vale uno” finisce per colpire un nervo sensibile».
Ma nella propensione al voto a Cinque Stelle non c’è soltanto la frustrazione dei giovani e l’atavico familismo amorale.
Racconta Clemente Mastella, sindaco di Benevento, dotato di un proverbiale fiuto per l’aria che tira: «È vero al Sud sotto traccia ci sono le premesse per un boom grillino e a gonfiare l’onda non ci sono soltanto i diseredati incavolati neri, ma c’è anche una “sopraelevata” che scorre sopra il tetto dei Cinque Stelle: ho incontrato diversi accademici che mi hanno annunciato il voto per Grillo. C’è una intellighenzia meridionale che, in parte per convinzione ma in larga parte per opportunismo si sta spostando verso quella parte».
E lo storico Aldo Giannuli, barese, vicino ai Cinque Stelle, completa l’analisi con un altro tassello: «Nel Mezzogiorno è meno sentito il tema fiscale, che invece al Nord farà vincere la destra. Ma concorrerà al successo dei Cinque Stelle, oltre a tanti disoccupati e sottoccupati, anche l’apporto di segmenti sociali e di protesta: quelli che hanno lavorato senza mai avere una pensione, i pensionati più poveri, ma anche città come Taranto, dove non è difficile immaginare un vero e proprio boom elettorale».
(da “La Stampa”)
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Gennaio 15th, 2018 Riccardo Fucile
12.000 SU 15.000 DEI PARTECIPANTI ALLE PARLAMENTARIE SAREBBERO DISOCCUPATI… MA IL QUOTIDIANO NON SPIEGA COME HA OTTENUTO I NUMERI, VISTO CHE I CURRICULUM NON SONO STATI PUBBLICATI ALL’ESTERNO
Il Giornale apre questo lunedì con un titolo a tutta pagina che parla delle Parlamentarie,
seguendo la linea del fratello del suo editore: il quotidiano sostiene che dei 15mila candidati alle primarie del MoVimento 5 Stelle per il parlamento, ben 12mila sono disoccupati:
Un esercito di disoccupati in cerca di un posto al sole: l’80% degli aspiranti parlamentari del M5S (12mila su 15mila), che ha partecipato alla selezione online per comporre le liste alle Politiche, non ha un impiego. E magari finirà per fare compagnia agli «illustri» predecessori Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista: i due leader grillini che prima di varcare la soglia di Montecitorio avevano un reddito annuale che non superava i tremila euro
In realtà non si capisce come il Giornale sia stato in grado di ottenere i numeri dei candidati e a dividerli per professione, visto che la stima di 15mila è ufficiosa e nessuno, a parte chi gestisce le candidature, conosce nome, cognome e professione ufficiale di chi ha mandato il suo curriculum sperando di essere scelto o votato.
Nell’articolo di Pasquale Napolitano si sostiene che “le parlamentarie, che nell’idea di DiMaio serviranno a selezionare le migliori energie del Paese, si sono trasformate in un «concorsone» pubblico per trovare un lavoro”:
Un esercito di 15mila disoccupati in cerca di un posto al sole: l’80% degli aspiranti parlamentari del M5s che ha partecipato alla selezione on line per comporre le liste grilline alle Politiche, non ha un impiego.
C’è lo stagista del progetto Garanzia Giovani che ora sogna una sedia in Parlamento. C’è il 40enne iscritto nelle liste dei disoccupati alla ricerca di una stabilità economica grazie all’indennità di deputato. Elisabetta Caldarola, 45 anni, di Barletta, è una precaria alle Poste che spera in un seggio alla Camera. Dalla Puglia, arriva Alessio Caretto Carozzo, ex operaio Ilva, in cerca di un nuovo lavoro.
In Campania c’è Claudia Vellusi, avvocato di Pozzuoli che spera nel trasloco a Roma. Esperienze lavorative? Due. Entrambe nello staff del Movimento.
Disoccupati ma anche tanti riciclati. La verginità politica, prima della leadership di DiMaio, è stato uno dei pilastri del M5S. Oggi non più.
Da giorni, in rete sta montando la polemica per la candidatura di due campani, vicinissimi al vicepresidente della Camera: Carmine Sautariello, in passato legato al partito Ncd di Alfano, e Luigi Falco, figlio del presidente del Corecom Campania Domenico Falco, eletto grazie ai voti del centrosinistra.
Nella fase due del Movimento trovano asilo anche i reduci della destra: è il caso di Silvia Pispico, ex presidente dell’associazione Unidestra, folgorata dalla stella di Di Maio.
Eppure, come dicevamo, l’elenco dei partecipanti alle Parlamentarie non è ancora disponibile.
Come fa a conoscere i dati macro Il Giornale? Arriverà a breve un’altra smentita del M5S?
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 15th, 2018 Riccardo Fucile
ALTRI 200 MILIONI DI PASSIVO NEL 2016, PREVISTI 100 NEL 2017 E TRATTATIVE IN ALTO MARE
Mentre il prestito ponte da complessivi 900 milioni che il governo di Paolo Gentiloni ha concesso ad Alitalia nel 2017 finisce nel mirino della Commissione Europea, crescono i dubbi sulle concrete possibilità di rientro della ex compagnia di bandiera.
“Chiunque la compri — afferma Andrea Giuricin, docente di Economia dei trasporti all’Università Bicocca di Milano — non vorrà trovarsi sulle spalle il debito della società ”, finita per la seconda volta nel giro di una decina di anni in amministrazione straordinaria. Tecnicamente, ci sono due Alitalia in amministrazione straordinaria: la vecchia, su cui pesano passività per la bellezza di poco più di 3 miliardi; e la nuova, cui appunto l’anno scorso, nell’ottica di facilitare e velocizzare il processo di vendita, lo Stato ha erogato un prestito ponte da 900 milioni (inizialmente fissato a 600 e poi incrementato di 300 milioni).
Di conseguenza, chiarisce Giuricin, “chi la comprerà , nella migliore delle ipotesi, riuscirà a rimborsare solo una parte del prestito ponte. Mettiamo il caso — ipotizza l’esperto di trasporti — che il nuovo acquirente sia la tedesca Lufthansa (tra i pretendenti ci sarebbe anche Air France, ndr) e che metta sul piatto i 300 milioni ipotizzati. Non sono comunque abbastanza per restituire il prestito ponte pubblico”.
Non è un caso che nei giorni scorsi indiscrezioni di stampa abbiano riferito di una missiva inviata dal numero uno della compagnia aerea tedesca, Carsten Spohr, al ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, in cui si metteva nero su bianco un interesse ad Alitalia ma solo a patto di una significativa ristrutturazione, con annessa riduzione del personale a della flotta.
“Pur riconoscendo le preziose misure adottate fino a oggi sotto la guida dei commissari, crediamo fermamente che resti una considerevole mole di lavoro da fare prima che Lufthansa sia nella posizione per entrare interamente nella successiva fase del processo”, scrive Spohr.
Il problema è che la compagnia guidata dai commissari Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari resta in perdita.
Giuricin stima che il 2017 sia stato archiviato con un rosso intorno ai 200 milioni mentre per la chiusura dell’anno in corso si aspetta una perdita intorno ai 100 milioni, “nonostante i miglioramenti e il lavoro che stanno facendo i commissari e anche a causa dell’aumento del prezzo del petrolio”.
Basti pensare che da giugno, da quando cioè è di nuovo finita in amministrazione straordinaria, a ottobre — come riferito in audizione alla Camera da Gubitosi — Alitalia ha perso 31,3 milioni (che scenderebbero a 20,9 escludendo gli interessi sul prestito governativo): “E’ grave — commenta Giuricin — perchè c’è di mezzo il trimestre estivo in cui tipicamente le compagnie aeree guadagnano”.
E se l’andamento è stato in rosso in quel periodo, chissà quali saranno i numeri per gennaio e febbraio, mesi tipicamente non favorevoli per le società che operano nel settore dei voli.
Insomma, una situazione complessiva che sembra rendere difficile che i 900 milioni di denaro pubblico possano essere completamente ripagati.
A complicare le cose, poi, si è messa anche la Commissione europea, perchè l’Antitrust ha messo nel mirino il prestito ponte dopo i numerosi reclami presentati dai maggiori concorrenti, convinti che non rispetti le condizioni di mercato e che comporti quindi una violazione delle regole europee sugli aiuti di Stato.
Se comunque quel denaro pubblico non fosse restituito, andrebbe in onda un film già visto con il prestito ponte da 300 milioni erogato ad Alitalia nel 2008, ai tempi del governo di Silvio Berlusconi e dei famosi “capitani coraggiosi”; denaro che non tornò mai indietro.
“Oggi incontro i commissari e vedo com’è la situazione”, ha detto il ministro dello Sviluppo Calenda, che ha aggiunto: “Per me l’obiettivo è chiudere bene, ma presto per non sprecare i soldi degli italiani”. Sì, perchè il problema è che la vendita del vettore aereo, inizialmente auspicata entro la fine del 2017, sta andando per le lunghe. “Più passa il tempo — osserva Giuricin — e più si corre il rischio che gli acquirenti riescano ad abbassare il prezzo”.
(da “Business Insider”)
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Gennaio 15th, 2018 Riccardo Fucile
IL PROCURATORE CAPO DI CATANZARO E’ UNA PERSONA SERIA, DI MAIO INVECE DI FAR GIRARE IL SUO NOME FAREBBE BENE A IMPARARE DA LUI COSA VUOL DIRE ESSERE PERSONE CIVILI
A Nicola Gratteri l’accordo stretto dall’Italia con il governo di Tripoli per fermare i flussi
migratori lungo la rotta del Mediterraneo centrale non va giù.
E non usa mezzi termini per dirlo: “La strategia di Minniti non mi è piaciuta — ha detto il Procuratore capo di Catanzaro intervistato su La7 — perchè non è da Stato civile e occidentale far costruire delle gabbie sulle coste della Libia per impedire che gli immigrati partano. Quello è un tappo”.
“Bisognerebbe andare in centro Africa, mandare i servizi segreti per capire chi organizza queste traversate nel deserto, e poi andare lì e costruire aziende agricole, ospedali, scuole e rendere il territorio vivibile”.
“Poi, è ovvio che bisogna creare dei flussi regolamentati per la libera circolazione di tutti gli uomini del mondo”, ha aggiunto Gratteri sottolineando che “ogni sera sentiamo ai Tg che gli sbarchi sono diminuiti del 3, del 15, del 20%, ma mentre noi parliamo so che ci sono delle donne che vengono violentate o bambini che vengono bastonati a sangue e non sto tranquillo perchè ne arrivano 2mila in meno”.
Parlando di contrasto alla mafia, Gratteri ritiene che “l’agenzia dei beni confiscati così è insufficiente: la sede unica deve essere a Palazzo Chigi affinchè si interfacci con tutti i ministeri. Perchè se io sequestro una ditta che produce bulloni deve essere Finmeccanica a comprare i bulloni da quella ditta. Finiamola con questi campanili che la sede deve stare a Palermo o in Calabria”, e la Commissione Antimafia “non ha la forza sul piano normativo di essere propositiva, è un’organismo debole anche se rappresenta tutto l’arco costituzionale”.
Sulla sua mancata nomina a ministro della giustizia nel governo Renzi, dice Gratteri di aver appreso che “è stato il Presidente della Repubblica (Giorgio Napolitano, ndr) che non ha voluto“, “forse perchè sono un uomo troppo caratterizzato, mi è stato detto, ma non conosco i suggeritori del Presidente della Repubblica”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 15th, 2018 Riccardo Fucile
RAPINE IN BANCA SONO CALATE DEL 35%, QUELLE A BENZINAI DEL 34%, A FARMACIE DEL 25%, A NEGOZI DEL 22%, AD ABITAZIONI DEL 18%, PER STRADA DEL 15%
“La sicurezza in Italia non c’è più. Ogni venti secondi si verifica un reato, ogni 4 minuti un furto in un negozio e ogni due giorni si verificano tre rapine in banca. Questo perchè alla criminalità italiana si è aggiunta la criminalità di 466mila immigrati in Italia che per mangiare devono delinquere”.
Parola di Silvio Berlusconi, il leader redivivo del centrodestra nel pieno di una promettente (per lui) campagna elettorale.
Tanto che le ha pronunciate a Domenica Live, programma di Barbara D’Urso su Canale 5.
Senza entrare nel tema magno della sicurezza, della sua percezione, dei migranti, delle strumentalizzazioni correlate, limitiamoci a una sommessa enunciazione di dati e cifre. Ne ha fornite solo due mesi fa l’osservatorio Ossif sulla criminalità predatoria, frutto della collaborazione dell’Abi, della Polizia e di Assovalori, Confcommercio, Fit, Federdistribuzione, Federfarma, Poste e Unione petrolifera.
Nel biennio 2015-2016, l’ultimo censito, le rapine totali denunciate dalle forze dell’ordine all’autorità giudiziaria in Italia sono diminuite del 18%, pari a 15 mila casi rispetto al biennio precedente.
La tendenza ha caratterizzato tutti i comparti, ma le agenzie bancarie – neglette di loro, dai clienti prima ancora che dai rapinatori – di più: le rapine allo sportello sono calate del 35%, passando da 2.037 del 2013-2014 a 1.318 nel biennio 2015-2016.
Cali sopra la media del campione anche per le rapine ai distributori di carburante (-34%),
in farmacia (-25%), negli esercizi commerciali (-22%), mentre si attesta nella media la riduzione di quelle in abitazione (-18%), negli uffici postali (-18%), in tabaccheria (-17%) e nella pubblica via (-15%).
Non si vorrebbe mai, qui, e al cospetto di un mago della comunicazione, scomodare il concetto di fake news, o bubbole che dir si voglia. Forse l’ex Cavaliere ha solo rispolverato un vecchio numero dell’arte retorica, quello di far parlare i numeri senza raffronti.
(da agenzie)
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