Febbraio 13th, 2018 Riccardo Fucile
FIGURE DI LUNGO CORSO CON MOLTE OMBRE: ECCO COSA SI SCOPRE SUI CANDIDATI NELLE REGIONI DEL SUD
«Se hanno preferito gli uomini di Lombardo e Cuffaro lasciando fuori noi mi hanno fatto un favore…».
Così parlò Matteo Salvini, detto il Capitano, all’indomani della presentazione del governo siciliano di Nello Musumeci.
Il neo governatore ha lasciato ai margini della giunta il deputato di Salvini. Il leader della Lega si aspettava quantomeno un assessorato per celebrare il risultato storico ottenuto in Sicilia che ha consacrato la vocazione nazionale del partito di Salvini.
Tuttavia, il capo del Carroccio – nella sua stizzita analisi – omette di rivelare il profilo del primo leghista della storia a palazzo dei Normanni: è un riciclato e per di più indagato per appropriazione indebita.
Si chiama Tony Rizzotto, 65 anni, chioma folta e improbabile, fan di Mimmo Cavallaro autore della hit anni ’80 “Siamo meridionali” e dipendente pubblico del comune. Si è fatto le ossa con l’ex governatore Totò Cuffaro condannato per favoreggiamento alla mafia. Il salto di qualità , però, avviene da deputato all’Ars col Movimento per l’autonomia di Raffaele Lombardo, il successore di Cuffaro anch’egli finito nei guai ma per voto di scambio.
Il Carroccio nazional-popolare è una salsa fatta in casa, come nelle migliori tradizioni meridionali, mistura di democristiani, estrema destra e figure equivoche. Fascioleghismocrociato, una truppa organizzata da Matteo Salvini per conquistare un pezzo d’Italia che fino a ieri era a lui pressocchè sconosciuto.
Il regista del casting della classe dirigente della Lega del Sud è Raffaele Volpi, scelto da Salvini. La selezioni sembra aver seguito tre rigide regole: godere di uno spiccato carisma clientelare, possedere uno spirito politico camaleontico, essere il referente di un blocco elettorale tramandato di padre in figlio, a prescindere dalla sigla del partito.
Quel palazzo nel centro di Roma
Un palazzo signorile al centro di Roma. In uno dei quartieri dell’upper class della Capitale. In via Federico Cesi, a due passi dal Lungotevere, c’è l’incarnazione dello sposalizio tra democristiani e leghisti. Qui al secondo piano si trova la sede ufficiale di “Noi con Salvini”. Almeno questo dicono gli atti ufficiali.
«In realtà da quattro mesi, si sono traferiti per le regionali siciliane», precisa il portiere dello stabile. Una sede fantasma, quindi? Un documento svela l’arcano.
Gli appartamenti al secondo piano sono divisi tra la famiglia Attaguile. E la sezione si trova proprio in quello di proprietà di Angelo Attaguile.
Segretario nazionale di Noi con Salvini, coordinatore del movimento in Sicilia, e candidato al Senato con la Lega, Attaguile è stato esponente di punta della Dc, poi del Movimento per l’autonomia di Raffele Lombardo, presidente dell’istituto case popolari e del Catania calcio, assolto dalla corte d’appello di Messina per una tentata concussione.
Con Lombardo sono compaesani, entrambi del paesone di Grammichele, feudo elettorale del primo e ancor prima del padre di Angelo Attaguile, Gioacchino, che dell’ex governatore è stato padrino politico.
Eh sì, l’esponente della Lega di Sicilia si porta dietro una gloriosa eredità politica: il babbo è stato tre volte senatore Dc, sottosegretario alle Finanze nei governi Rumor e Colombo, infine ministro della Marina Mercantile.
Angelo ha dato il massimo per non tradire la storia politica di famiglia. Da ragazzo è stato presidente dei giovani democristiani, nel 2005 Giuseppe Pizza lo nomina suo vice nella nuova Dc. Poi milita con gli autonomisti e nel 2013 viene eletto alla Camera grazie a un posto sicuro in quota Lombardo nelle fila del Pdl, due settimane dopo migra nel gruppo Lega Nord-Autonomie.
Un sostegno indispensabile che ha permesso all’ aggregazione paralamentare di avere il numero necessario per sopravvivere. Lunga vita ad Attaguile, dunque, che due anni dopo verrà incoronato segretario nazionale di Noi con Salvini, embrione del Carroccio nazionale.
Il movimento entra così all’interno di Montecitorio e alla sigla Lega Nord-Autonomie si aggiunge Noi con Salvini, che da allora ha iniziato a usufruire della quota dei rimborsi ai gruppi: quasi 1,8 milioni negli ultimi due anni, a cui si è aggiunto un contributo liberale di 500mila euro dal gruppo Lega Nord Padania, in auge nella legislatura precedente dei governi Berlusconi e Monti.
Che sia questione anche di affari la liason con gli autonomisti siciliani è evidente dal sostegno economico ricevuto da questi ultimi negli anni passati: circa un 1,4 milioni fino al 2010.
Sebbene Attaguile sia un recente acquisto di Salvini, con i leghisti c’è sempre stata un’intesa. Lo scopriamo tornando in via Cesi.
Tra il ’93 e il ’99 la proprietà dello stesso appartamento era suddivisa tra Attaguile e Michele Baldassi di Udine, leghista, manager in aziende pubbliche in quota Carroccio e sposato con Federica Seganti, pezzo grosso del partito friulano, ex assessora regionale, alla cui campagna elettorale è cresciuto un giovanissimo Massimiliano Fedriga, astro nascente della Lega versione Salvini.
Un leghista e un democristiano a Roma. Negli anni in cui si raccoglievano le macerie della prima Repubblica, con il partito di Bossi che si scagliava contro le clientele della Dc e i tangentari di Mani pulite, per non parlare dei meridionali.
Tuttavia Baldassi per pochi mesi nel periodo di comproprietà ha ottenuto anche un incarico nell’Ast, la società del trasporto pubblico della Regione Sicilia.
Uscito Baldassi dalla proprietà , mai Attaguile avrebbe immaginato che 16 anni più tardi in quel di via Cesi avrebbe riabbracciato altri leghisti.
Il Drago e Il Padano
Attaguile non è il solo, con un papà potente Dc, a salire sul Carroccio di Salvini. Filippo Drago sindaco di Aci Castello l’ha seguito. Udc, Noi Sud, Pdl, Mpa, e infine candidato numero due per la Lega in uno dei collegi plurinominale del Catanese.
Suo padre, Nino Drago è stato otto volte sottosegretario oltrechè sindaco di Catania. Un fuoriclasse del consenso, andreottiano, all’epoca di Salvo Lima. Uscito indenne da un’inchiesta. Come il suo erede, Filippo, assolto per la voragine di bilancio lasciata nelle casse del comune di Catania dalla giunta Scapagnini. «Nun semu tutti i stissi». Non siamo tutti gli stessi, slogan che nel 2008 ha reso celebre il rampollo di Nino.
Nel club dei Salvini boys della Trinacria si è iscritto anche Alessandro Pagano da San Cataldo, provincia di Caltanissetta.
Berlusconiano della prima ora, assiduo pellegrino a Medjugori, fedele ultratradizionalista della congrega Alleanza cattolica. Il primo incarico di rilievo è del ’96, assessore alla Sanità nel governo regionale del chiacchierato Giuseppe Provenzano.
Quattro anni più tardi si alternerà tra Finanza e Beni Culturali nella prima giunta Cuffaro. Nel 2013 da deputato Pdl transita con Angelino Alfano nel Nuovo centro destra, da cui divorzia per giurare amore eterno alla Lega-Noi con Salvini.
E da quel momento per i nisseni Pagano diventa “Il Padano”.
Lo ha seguito il cugino, dipendente del centro di accoglienza per migranti. Chi è rimasto fuori, ma lo sosterrà , sono il cognato, Raimondo Torregrossa, in passato sindaco di San Cataldo, e la cognata Angela Maria Torregrossa, amministratrice della rinomata clinica Regina Pacis, convenzionata con la Regione.
Torregrossa fa il suo ingresso nella struttura sanitaria di San Cataldo nel periodo in cui Pagano guidava la Sanità . Il cognato, invece, è stato primo cittadino di San Cataldo quando lui era deputato all’assemblea regionale. Poi, quando Pagano va Montecitorio, Torregrossa va a palazzo dei Normanni.
I maligni hanno definito questa alternanza sancataldese “Operazione Montante”, perchè voluta da Antonello Montante, l’imprenditore, cavaliere del lavoro, fino a un anno fa capo degli industriali sicialiani e sotto indagine per concorso esterno in associazione mafiosa.
Montante come Pagano è di San Cataldo, fino al 2009 i rapporti erano ottimi. Poi tra i due è sceso il gelo.
Ombre nere sullo Stretto
Superato lo Stretto, da Reggio Calabria in su, i Salvini boys non hanno nulla a che spartire con la tradizione democristiana.
Qui prevale il nero degli eredi politici del Movimento sociale. Giuseppe Scopelliti, per esempio, sosterrà Salvini con il suo nuovo Movimento nazionale per la sovranità fondato insieme a Gianni Alemanno, sotto processo per finanziamento illecito in un filone scaturito da Mafia Capitale.
Scopelliti non si candiderà , per non creare imbarazzo al Capitano. Ha una condanna in appello a cinque anni per abuso e falso per la vicenda del dissesto milionario del municipio che governava. E poi è in attesa di capire l’evoluzione di un’inchiesta dell’antimafia sul livelo occulto della ‘ndrangheta, in cui è indagato.
Ma l’ex governatore e già sindaco di Reggio lavorerà dietro le quinte, metterà , cioè, a disposizione il suo blocco elettorale mobile che fa gola a molti.
A Salvini quei voti sicuri fanno comodo. Dal canto suo Scopelliti non rinuncia certo a piazzare sue pedine nelle liste. Una su tutte: Tilde Minasi, fedelissima fin dalla prima giunta comunale.
Dalla destra sociale proviene anche il segretario sezione calabrese della Lega-Noi con Salvini. Si chiama Domenico Furgiuele, un passato nella Destra di Storace, e, ora, candidato alla Camera.
Di mestiere fa il geometra, a tempo perso lavora nella tv locale di famiglia. Le sue passioni, il calcio e la storia. Quando era un ultras del Sambiase ha collezionato un Daspo, che la Questura affibbia solo ai tifosi più agitati.
Sulla storia recente ha le sue idee. Ritiene, per esempio, il neofascista Stefano Delle Chiaie, fondatore della fuorilegge Avanguardia nazionale, «più una vittima che un carnefice». E su questo sarà in sintonia con Scopelliti, visto che Delle Chiaie – un legame fraterno con la frangia più torbida della Calabria – è stato protagonista del fronte nero nei moti di Reggio negli anni Settanta.
Una delle prime apparizioni di Matteo Salvini in Calabria è del 2015, quando insieme a Furgiuele hanno organizzato una conferenza stampa all’Aerhotel Phelipe, di proprietà della famiglia dell’imprenditore Salvatore Mazzei, suocero di Furgiuele.
Il parente del candidato di Salvini a Lamezia ha i beni sotto sequestro dall’antimafia. Lui rigetta ogni accusa, sostiene di essere una vittima, forte anche di un assoluzione da un processo per concorso esterno.
Di certo, però, Mazzei è sfortunato nella scelta dei partner: un suo vecchio socio, imprenditore delle sale bingo, è stato pizzicato di recente dalla guardia di finanza di Lamezia per una presunta bancarotta fraudolenta.
Dettagli per Furgiuele, fiero di aver portato la Calabria a Pontida, incluso il gazebo con l’insegna della regione. Così tra un “Va, pensiero”, vichinghi in delirio e mutande verdi, ha ormai quasi cancellato dalla memoria quel passaggio di un informativa della polizia in cui viene tirato in ballo per aver offerto alle persone sbagliate due stanze dell’hotel di famiglia, lo stesso in cui Salvini è stato ospite tre anni fa.
I detective che indagavano su un caso di omicidio del 2012, infatti, scoprono che i sicari dopo la spedizione hanno alloggiato nel quattro stelle senza pagare alcunchè. «Erano ospiti del signor Domenico Furgiuele, genero del signor Mazzei, proprietario dell’Hotel», si legge nel documento.
L’episodio non ha avuto alcun rilievo penale, Furgiuele non poteva immaginare che quelli fossero gli autori del grave delitto. Si era fidato di un amico, a sua insaputa coinvolto con quella gentaglia. Una storiaccia, insomma, da dimenticare. Furgiuele, ora, è concentrato sulla campagna elettorale. Nella sede leghista di Lamezia campeggia un celebre motto di Codreanu: «Per noi non esiste sconfitta o capitolazione..».
Lo chiamavano ‘o Criminale
Tra Napoli e Caserta nessuna nostalgia del passato. Si vive alla giornata, elezione dopo elezione. E qui il Capitano Salvini ha ben altri pensieri.
Primo fra tutti l’ingombrante presenza di Vincenzo Nespoli nella composizione delle liste della Lega in Campania. Nespoli è stato tre volte deputato, sindaco della sua città , Afragola, e condananto in secondo grado a cinque anni per bancarotta fraudolenta.
Seppur nell’ombra, come Scopelliti in Calabria, anche lui offre la merce migliore che ha disposizione, i voti. Sporchi, volendo dar credito a un pentito di camorra nuovo di zecca: «È amico intimo della famiglia Moccia… quando è stato al potere al Comune, là erano tutti schiavi… è un SS, lo chiamano o’ Criminale».
Nespoli, quindi, meglio che resti dietro le quinte, in attesa. Palco libero per la front woman di Salvini in Campania, Pina Castiello, anche lei di Afragola e legata a Nespoli da militanza comune e da solida amicizia.
Inizia in Alleanza nazionale, poi passa al Pdl, casa politica in cui ha stretto un solido rapporto sia con Nicola Cosentino che con la famiglia Cesaro, due saghe politiche inquinate dai clan.
Ma di Afragola è anche un altro candidato pro Salvini. Ciro Salzano, imprenditore, patron dell’ Aias, l’associazione per la cura dei disabili.
Non c’è che dire, tornata elettorale fortunata per Afragola. Con l’Aias del neoleghista Salzano ha collaborato il medico no vax radicale Massimo Montinari, sospeso per sei mesi dall’Ordine dei Medici.
Non è nota la posizione di Salzano sui vaccini, mentre quella di Salvini sì: «Con noi al governo via l’obbligo». Chissà , magari è stata questa la molla che ha spinto Salzano a correre con il Capitano.
Salvini alle pendici del Vesuvio
Alla fine, quindi, quel “Napoli colera”, urlato a squarciagola, era solo una goliardata da tifoso. Il presente è un selfie con il fuoriclasse azzurro Lorenzo Insigne. Insomma, i tempi sono ormai maturi per issare lo stemma di Alberto da Giussano nella capitale del Regno delle due Sicilie.
Il segretario regionale campano è Gianluca Cantalamessa. Napoletano e candidato alla Camera nel collegio uninominale Campania 11. Le simulazioni danno la sua elezione pressochè certa. La Lega è stata per lui un approdo, ma casa sua resta la destra sociale. E finchè suo padre era ancora in vita guai a parlare di autonomia e secessione. Antonio, il papà , era un nostalgico del Duce, della patria indivisibile.
Antonio Cantalamessa, infatti, è stato tra i più importanti esponenti dell’Msi. Il figlio l’ha seguito come meglio ha potuto, per esempio organizzando incontri nel ricordo di Almirante. Il giorno del funerale del papà dichiarò: «Grazie a mio padre ho capito cosa significa essere un uomo, che cos’è la destra, che cosa sono i valori». Su questo nessun dubbio. Il 28 aprile 2003 Cantalamessa senior aveva partecipato a una messa in onore di Mussolini e dei caduti della repubblica sociale italiana.
Cinque anni più tardi viene nominato presidente di Equitalia Polis, l’ agenzia di riscossione che il capo del Carroccio promette di abolire.
Il figlio si è limitato a fare l’imprenditore, in ambito assicurativo e immobiliare. In passato anche nel settore farmaceutico. Socio, per esempio, fino al 2004 della New.Fa.Dem di Giugliano.
Ai tempi in cui Cantalamessa era azionista, tra i consiglieri c’era Valerio Scoppa. Famiglia importante la sua, papà radiologo di fama, zio generale dei carabinieri in pensione legato alla curia, il fratello sposato con la figlia del boss Angelo Nuvoletta, morto nel 2013, mentre stava scontando l’ergasotlo per l’omicidio del cronista del Mattino Giancarlo Siani. Storie passate.
Oggi Cantalamessa è un Salvini Boy, impegnato a contrastare l’invasione straniera.
(da “L’Espresso”)
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Febbraio 13th, 2018 Riccardo Fucile
DALLO SLOGAN “ALBANESI, TUTTI APPESI” A QUEL SALVINI POCO SVEGLIO CHE NESSUNO CONSIDERAVA
Vengo dalla pianura padana, da un paesino di provincia nella bassa bresciana, vicino al lago di Garda. Proseguendo verso Nord, in poco più di un’oretta arriviamo in Trentino, dove da bambini andavamo in gita, per funghi o per castagne.
Lì ricordo che tutti parlavano tedesco ben prima del confine, gli uomini fingevano di non capire la nostra lingua, le donne invece qualche volta dimostravano il loro bilinguismo urlandoci contro “italiani merda”.
Questo per chiarire la mia geografia di riferimento.
La storia, invece, è questa: mio padre, un bel giorno di tanti anni fa, ha cominciato a parlare di una cosa che chiamava “il partito”.
Le prime volte me le ricordo bene perchè non l’avevo mai visto entusiasmarsi per la politica: gli brillavano gli occhi, credeva che qualcuno finalmente avesse capito i bisogni della gente, che se ne sarebbe occupato, che ci fosse un uomo deciso a porre rimedio alle ingiustizie di tutti.
Quel qualcuno era Umberto Bossi.
Man mano che l’eroe del partito che ce l’aveva duro diventava famoso, attorno a lui si aggregava una massa sempre più informe di persone discutibili, e non lo dico per giudicare l’elettorato leghista, lo dico perchè nei paesini ci si conosce tutti e ho visto formarsi la Lega locale fin dall’inizio.
Per primi hanno aderito i gradassi, i prepotenti, i bulli, quelli che lavoravano come muli e a parte quello sapevano solo menare le mani e tutti coloro la cui idea di partecipazione politica era stare seduti a urlare contro il tg che a Roma sono tutti ladri. A seguire, piano piano, a questi si sono uniti tutti coloro che trovavano accettabile o interessante tale compagnia.
re erano i punti forti che facevano impazzire i leghisti, che amavano e rispettavano Bossi con devozione e fedeltà , come mai avrebbero fatto con una donna:
Il federalismo: basta mandare soldi a Roma per mantenere i politici, quelli stanno sempre a mangiare e si fanno la villa con i nostri soldi, i soldi dei lombardi alla Lombardia
La lotta contro il meridione: basta mandare al Sud soldi per il Mezzogiorno, sono tutti mafiosi. Prima che imbastardiscano la razza, scaviamo un fosso lungo il Po, o mettiamo la dogana sotto Bologna e abbiamo risolto.
La lotta contro gli “stranieri”, all’epoca gli albanesi che arrivavano con i primi sbarchi: “Albanesi tutti appesi olè” era una canzone molto popolare, cantata dagli ultras del Brescia allo stadio e dai miei compagni all’uscita di scuola. Poi, via via “stranieri” sono diventati i senegalesi, i romeni, i nordafricani e tutte le forme di vita non provenienti da Nord.
Inutili sono stati i miei sporadici tentativi di confronto con mio padre, per lui ero solo una ragazzina bastian contrario con la testa piena di idee sbagliate.
La Lega non mi piaceva d’istinto, perchè non mi piacevano le persone che la proponevano, dalle quali ero praticamente circondata: leghisti erano i padri delle mie amiche e molti dei commercianti locali, votavano Lega il mio conducente d’autobus preferito, il macellaio, il meccanico e molti degli altri adulti che avevo intorno.
Una cosa che ricordo bene è che, perfino per loro, Salvini, era qualcuno che nessuno prendeva sul serio.
Aveva uno sguardo non proprio vivace, se ne stava sempre di lato o qualche passo indietro, in genere zitto. Davanti al nerboruto Umberto non ce n’era per nessuno.
Io alla fine la provincia l’ho abbandonata e così fortunatamente discorsi leghisti non ne ho sentiti più per anni, però a un certo punto ho cominciato a risentire, sempre più spesso, quel nome: Matteo Salvini.
Per tanto tempo l’ho ignorato ostinatamente, non volevo crede di dover avere ancora a che fare con lui, con loro, ma quell’eco va sempre peggio.
In questi giorni ci penso più del solito e mi sento un po’ come se avessi dormito per tantissimi anni: me lo trovo a fare comizi con aspirazioni da leader politico nazionale Ma questi del Sud che lo sostengono da dove arrivano? Non se lo ricordano quando la Lega diceva che puzzavano, che andavano bene solo per i lavori di fatica e che dovevano essere aiutati a casa loro?
Quando ne parlo sono stravolta, prima di tutto per il fatto che ci sia chi lo prende sul serio
È che io e lui, essendo quasi coetanei, siamo cresciuti insieme e so da dove arriva il suo programma, su cosa si basano i suoi slogan, su quali bisogni altrui poggia la scala della sua ascesa, su quale vuoto costruisce il suo spazio.
Crescendo si cambia, dicono. Non sempre, non tutti.
Quando torno a casa, ancora oggi vedo tanti adesivi con il sole delle Alpi appiccicati un po’ dappertutto, tanti cavalcavia con sopra scritto “terroni a morte”
Siamo cresciuti insieme, io e la Lega, e certe cose non si possono scordare mai.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 13th, 2018 Riccardo Fucile
E POI ANDRA’ A NAPOLI… UNA COALIZIONE DI SEPARATI IN CASA
Le parole, e il corpo, rivelano una certa stanchezza di Silvio Berlusconi, perchè una campagna elettorale
con oltre ottanta primavere alle spalle è assai faticosa.
Sarà la levataccia per arrivare a Roma da Arcore, o i ritmi massacranti tra radio e tv, ma l’intervento alla Confcommercio non è proprio una delle migliori uscite dell’ex premier: qualche frase un po’ scomposta, qualche battuta poco riuscita, nella giornata no ci si mette anche Cottarelli che, dopo averla fatta cadere una, due volte, alla terza non ce l’ha fatta.
E ha dichiarato che non ha alcuna intenzione di ricoprire la carica di ministro, in un eventuale governo di centrodestra.
L’agenda, massacrante, rivela, invece, non solo un’indole testarda.
Ma anche l’evidente pulsione alla pugna tutta interna al centrodestra.
Ecco che, al momento, oltre a una valanga di partecipazioni in radio e in tv, il Cavaliere ha fissato, dopo un confronto col suo staff, un paio di “grandi manifestazioni”.
La prima proprio a Milano, al Teatro Manzoni, il 25 febbraio. Data non casuale perchè è il giorno dopo la piazza di Salvini.
La chiusura, secondo il programma al momento immaginato, invece a Napoli alla Fiera d’Oltremare, il 2 marzo.
Almeno questa è l’intenzione al netto, appunto, della fatica, in questa campagna segnata da una tensione tra corpo e memoria, acciacchi di oggi e mito da evocare, una calamita di un consenso, grande o piccolo che sia, comunque legato alla sua presenza in scena.
Dunque: Milano e non con Salvini. Ignorata la Meloni e nessuna piazza comune. Gran finale da separati.
È la fotografia di una competizione non dissimulata, anzi voluta e cercata. Perchè, prima ancora di questo o quello scenario di governo, prima ancora del disegno e della visione, prima di tutto, l’obiettivo di Silvio Berlusconi in questo sistema elettorale bugiardo e confuso, è chiaro: una rilevante affermazione di Forza Italia rispetto agli alleati e alla Lega.
Essere, e non di poco, il primo partito del centrodestra, il che equivale ad avere in mano il boccino dell’iniziativa. E giocare su due scenari: centrodestra e larghe intese.
Il problema è che ciò che fino a poco tempo fa era scontato ora scontato non è, basta vedere il sondaggio del Corriere che attesta la Lega oltre il 23 in Lombardia e Forza Italia al 14 in Lombardia.
Si spiega così l’ansia da prestazione, ai limiti della tenuta fisica, la competizione portata nel cuore della Lombardia, nelle piazze e nei teatri milanesi.
E anche l’altrettanto affannosa ricerca di “un’ideona”, da giocarsi negli ultimi giorni di campagna elettorale, come l’Imu da abolire nel 2006 o l’Imu da abolire e restituire nel 2013. In una delle quotidiane telefonate Berlusconi ne ha già parlato con l’infallibile Ghisleri, però ancora non è deciso il terreno su cui sarà giocata, se su quello delle tasse o della sicurezza, in cima alle priorità di un paese ma monopolizzato dalla Lega.
Diciamo le cose come stanno.
Berlusconi e Salvini sono strutturalmente incompatibili, non si amano e neanche, in questi giorni, si parlano.
Anzi ad Arcore, in questi giorni è arrivata qualche telefonata da parte degli ambasciatori di Salvini dai toni piuttosto rudi: “Ditegli di piantarla con questa storia della squadra di governo. Prima Gallitelli, ora Cottarelli, per non parlare delle rassicurazioni a Confindustria”.
Parole, quelle del Cavaliere, suonate all’orecchio dell’alleato come un “non mi fido di voi” e, al tempo stesso, indicative di una concezione proprietaria del centrodestra.
E a parlare con i più vicini a Salvini si percepisce la stessa voglia di competizione. Anche in questo caso, ben poco nascosta.
Ecco la competizione, in un quadro in cui i numeri dicono che il centrodestra è l’unica opzione di governo in campo. Con grande preoccupazione del Cavaliere, costretto a competere, convivere, gestire l’alleato (o almeno provarci). Con ritmi e stress che neanche un giovanotto.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 13th, 2018 Riccardo Fucile
DI MAIO NEL FORTINO E SCOPPIA ANCHE IL CASO BORRELLI
Finestre chiuse e tende tirate. Per tutto il giorno Luigi Di Maio prova a chiudersi nel suo fortino del comitato elettorale per venire a capo della rimborsopoli a 5 stelle.
Ma non fa in tempo: a sera le Iene sparano la seconda cartuccia e colpiscono in contropiede.
Altri otto nomi di furbetti dello scontrino (“Sono al massimo sei sette, compresi i due già usciti”, assicurava la comunicazione, “ancora non sappiamo chi”).
Sono Giulia Sarti, Elisa Bulgarelli, Silvia Benedetti, Massimiliano Bernini, Emanuele Cozzolino, Ivan Della Valle.
Ci sono anche Maurizio Buccarella, che già nei giorni scorsi si era cosparso il capo di cenere per una serie di bonifici ritirati per le commissioni troppo alte, e Barbara Lezzi. Quest’ultima è stata già “assolta” dai vertici. Nel suo caso si tratterebbe di un solo bonifico. “Una casualità “, spiegano. Caso chiuso. Il suo, almeno
Dopo il bagno di folla di lunedì sera nella sua Portici, Luigi Di Maio ha girato il furgone che lo sta portando in giro nel rally per l’Italia ed è rientrato precipitosamente a Roma.
A parte una breve incursione a Montecitorio di buon mattino, per cercare di tamponare con proprio sotto le telecamere della trasmissione di Mediaset il danno, il comitato elettorale nella centralissima zona di via Veneto a Roma è diventa un vero e proprio fortino, da cui dirigere e cercare di incanalare il momento di crisi.
Con esiti al momento tutt’altro che felici.
Il caso rimborsopoli ha già intaccato le vele su cui soffiava un vento decisamente a favore del Movimento 5 Stelle. E rischia di divorarle.
I parlamentari che non hanno restituito i rimborsi destinati al fondo per le piccole e medie imprese hanno, nel giro di poche ore, scheggiato l’immagine pentastellata nel bel mezzo della corsa elettorale.
Ed è per questo che il candidato premier ha disdetto l’appuntamento con Confcommercio (la versione ufficiale parla di un forfait comunicato almeno dieci giorni fa) e dalle undici del mattino si è rinchiuso in una stanza e accanto ha voluto solo i suoi fedelissimi, come Pietro Dettori, Vincenzo Spadafora, Alessio Festa e tutto lo staff comunicazione.
“Questa vicenda sarà un boomerang per tutti i partiti che ci stanno attaccando — va ripetendo Di Maio – perchè ora per i cittadini è chiaro che noi abbiamo restituito 23 milioni di euro mentre gli altri si sono intascati fino all’ultimo centesimo”.
Questa è la linea da tenere. Il verbo da diffondere all’esterno. Lo ripetono incessantemente sia i comunicatori stellati, sia, in fotocopia, gli sparuti deputati che si affacciano in Parlamento.
Ma dentro le mura del comitato elettorale l’umore è un altro.
“Non possiamo nasconderci dietro un dito, è un momento difficile”, ammettono quasi con rassegnazione quelli che nelle ultime ore sono stati vicini al candidato premier.
E le facce che vanno e vengono dalla sede affittata a due passi dalla strada della Dolce vita romana parlano: scure, funeree, arrabbiate.
“Più che altro siamo amareggiati”, dice un componente dello staff, “in fondo con queste persone abbiamo lavorato insieme cinque anni. È vero, negli ultimi giorni si respira un’aria pesante”.
Emanuele Cozzolino e Massimiliano Bernini, due dei parlamentari sotto i riflettori, passano alla Camera, fanno finta di nulla. Cozzolino quasi scherza: “Sto andando in banca? No, vado a mensa”, risponde con un evidente nonsense.
“Io i bonifici, no, ho il conto in un’altra banca”, spiega Bernini, prima di lanciare un monito: “Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”. Vero. Soprattutto se l’albero che sta venendo giù è il suo.
A poca distanza, seduto su un divanetto, il deputato Angelo Tofalo ringhia: “Perchè non vi occupate di Eni o Descalzi? Perchè non seguite le storie serie?”.
Si accende una discussione, alla fine della quale balena un “Faremo i conti alla fine”. Dei bonifici, probabilmente. Bernini se ne va.
Ma siete voi che vi siete fatti eleggere su queste battaglie. “Pure questo è vero”, ammette a mezza bocca prima di infilarsi nel corridoio fumatori.
Si vedono anche Emanuele Scagliusi e l’altro Bernini, l’animalista-vegano Paolo: “I bonifici? Nooooo, sono qui perchè la Camera mi ha chiesto dei documenti”, spiega. Cinque minuti dopo ecco il selfie fuori da Montecitorio, con tanto di distinta dei versamenti: “Sono quasi 200mila euro”.
Lo stillicidio continua, incessante in un clima di sospetti, di incertezze.
Nessuno si fida più di nessuno, davanti la stampa si stende il filo spinato. Un impazzimento che rischia di protrarsi fin sotto la data delle urne.
La strategia elaborata in tutta fretta per uscire dal cul de sac vuole evitare che la goccia scavi ancor più la roccia, e faccia evaporare i voti. Bisogna fornire, nel più breve tempo possibile, tutti i nomi di coloro che hanno mentito sui bonifici evitando così lo stillicidio di ritrovarseli ancora una volta, a piccole dosi, spiattellati dalla stampa. Una mossa dolorosa, che costerà qualche altro giorni di tempesta. Ma l’unica possibile per contenere il danno. Sempre che non sia troppo tardi.
Ma proprio mentre sul tavolo si fanno i conti incrociando i dati acquisiti con quelli dichiarati dai parlamentari, arriva una bomba che appesantisce un clima già abbastanza teso.
L’eurodeputato David Borrelli, fondatore dell’associazione Rousseau, “ha ufficializzato il suo ingresso nel gruppo dei non iscritti” di legge in una fredda nota stilata dalla capogruppo a Bruxelles Laura Agea. Che lo liquida freddamente: “Ha comunicato alla delegazione italiana del Movimento 5 Stelle che la sua è stata una scelta sofferta ma obbligata da motivi di salute. Prendiamo atto che non fa più parte del Movimento 5 Stelle”.
Fermo restando l’intangibilità della privacy di Borrelli, le circostanze dell’addio lasciano perplessi. Prima fra tutte, viene fatto notare, non è stato il diretto interessato ad annunciare il cambio di gruppo.
Fino a cinque giorni fa sedeva regolarmente al suo posto, partecipando a tutte le votazioni. L’interessato tace, non parla. Il telefono risulta staccato fino a tarda sera. Così come è impressionante il muro che si incontra cercando di capirne di più: squilli a vuoto segreterie telefoniche. Inoltre, i motivi di salute non giustificano l’abbandono del Movimento 5 Stelle.
Ovviamente parte la girandola di voci che lo vorrebbe anche lui coinvolto nella rimborsopoli. Nessuna conferma.
Chi si lascia alle spalle il portone del comitato elettorale, dove dentro rimane Di Maio, lascia cadere parole sibilline: “Non lo so, chiedete a Borrelli”, è la prima risposta fornita da Bonafede a favore di telecamere.
Il dato che si registra è che nessuno fa menzione dei motivi di salute. E il silenzio sull’ex compagno di strada che ha partecipato da protagonista alla nascita dell’associazione Rousseau è assoluto. Non un post sui social, non un lancio d’agenzia. Il deserto.
Ciò che balza all’occhio è che negli ultimi mesi Borrelli non ha mai condiviso sulla sua pagina facebook post della campagna elettorale di Di Maio nè post del blog delle Stelle. Tanti, invece, i post del nuovo blog di Beppe Grillo.
Qualche tempo fa al Foglio schivava le pallottole: “Rousseau? Non so nulla di questa associazione, Beppe mi ha chiesto di esserci ma è come se non ci fossi”.
E sentitelo qua, in un post pubblico condiviso sul suo profilo Facebook personale: “Abbiamo circa 130 persone al Parlamento, e 15 in Europa. Abbiamo Sindaci e Consiglieri regionali. Ma in questi ultimi anni anzichè parlare alle persone abbiamo parlato a noi stessi e tra noi. Litigandoci la presenza di uno o l’altro come fosse un trofeo da esporre. Più sei famoso più ti voglio, e più ti voglio più diventi famoso. Ha ragione Beppe Grillo, come sempre, abbiamo sbagliato qualcosa”. Parole solari, dure come pietre, che non necessitano di interpretazione.
A tarda sera, almeno per quanto riguarda il caso rimborsopoli, M5s prova a uscire dal bunker. Alessandro Di Battista mette le mani avanti: “Non abbiamo potuto controllare perchè siamo incredibilmente onesti: non volevamo che quei soldi delle restituzioni transitassero attraverso un fondo intermedio del M5s. Ma il prossimo giro lo faremo”, spiega il big grillino a Di Martedì. L’intervista era registrava.
Ancora non si sapeva della nuova lista di presunti furbetti. Tardi, probabilmente. Troppo tardi.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 13th, 2018 Riccardo Fucile
LA TRASMISSIONE PUBBLICA SIL SITO I NOMI DEI PARLAMENTARI
Sono Silvia Benedetti, Massimiliano Bernini, Maurizio Buccarella, Elisa Bulgarelli, Andrea Cecconi,
Emanuele Cozzolino, Ivan Della Valle, Barbara Lezzi, Carlo Martelli e Giulia Sarti i primi dieci parlamentari del MoVimento 5 Stelle ad aver falsificato le restituzioni di parte degli stipendi al Fondo per il Microcredito secondo la fonte delle Iene, che pubblicano l’elenco sul loro sito.
La senatrice Lezzi oggi ha però smentito di essere implicata nella vicenda, sostenendo che sul suo conto è risultato “respinto” (e non fatto e annullato) un solo bonifico che risale al gennaio 2014, che ha provveduto a rifare.
Per quanto riguarda gli altri, due nuovi nomi, quelli di Ivan Della Valle (non ricandidato) ed Emanuele Cozzolino erano stati fatti sulla pagina Facebook del MoVimento 5 Stelle, accompagnati da poche righe piuttosto bellicose: “Stiamo procedendo con i controlli per mettere fuori dalla porta quelli che non hanno donato tutto quello che avrebbero dovuto. A ognuno di questi è stato chiesto di provvedere immediatamente a versare quanto dovuto. Domani pubblicheremo ulteriori dati”. Anche Elisa Bulgarelli non è stata ricandidata dal MoVimento 5 Stelle.
Il senatore Maurizio Bulgarella ha invece sostenuto stamattina, prima che la sua pagina sparisse da Facebook, di aver annullato i bonifici perchè aveva deciso di cambiare conto a causa delle commissioni troppo alte, ma di aver poi dimenticato di farlo (e ha dimenticato anche di rifare i bonifici — per un totale di dodicimila euro — fino a quando Filippo Roma non gli ha chiesto delle rendicontazioni). Andrea Cecconi e Carlo Martelli hanno già ammesso le proprie “colpe” e restituito importi per 21mila e 77mila euro.
Il Movimento ha fatto sapere di aver avviato un’inchiesta interna: “Stiamo facendo tutte le verifiche” dice il candidato premier e vicepresidente della Camera.
“Dal Movimento senz’altro li cacciamo” aggiunge riferendosi ai parlamentari che hanno omesso di versare parte delle proprie indennità al fondo per il Microcredito. “Chi ha violato le nostre regole”, chi ha “tradito i nostri principi sarà cacciato dal Movimento. Chi non risulterà in regola per me è già fuori” ribadisce dopo aver raccontato alla troupe della trasmissione di Mediaset di aver restituito o rinunciato negli ultimi 5 anni a più di 370mila euro. Come lui hanno fatto altri volti noti del movimento, come Danilo Toninelli e Barbara Lezzi.
Al netto dei risultati dell’inchiesta interna il dato di fatto è uno: il MoVimento 5 Stelle non è stato in grado di controllare i “propri” conti sulla questione delle restituzioni, argomento politicamente sensibile e sul quale riversavano gran parte della loro propaganda.
Dite che il governo del paese sarà più facile?
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 13th, 2018 Riccardo Fucile
IL DELIRIO DI MELONI E SALVINI HA CONTAMINATO PURE LUI: HA PROPOSTO ANCHE L’ABOLIZIONE DELL’IRPEG CHE NON ESISTE PIU’ DAL 2004… E COTTARELLI LO SMENTISCE
Nel suo intervento fiume davanti alla platea di Confcommercio, il presidente di Forza Italia Silvio
Berlusconi è inciampato diverse volte in gaffe e strafalcioni.
Ha rivendicato di aver alzato le pensioni minime a mille lire, ha sostenuto che l’evasione fiscale in Italia ammonti a soli 800 mila euro (“il doppio del pil emerso che è di 1600 euro”), ha proposto l’abolizione dell’Irpeg (la vecchia Imposta sul reddito delle persone giuridiche sotituita nel 2004 dall’Ires, e non dall’Irap come detto in un secondo tempo dall’ex Cavaliere).
Tra le altre cifre esposte da Berlusconi anche il sondaggio secondo cui il 73 per cento delle mogli preferirebbe il cagnolino rispetto al marito.
Il leader di Forza Italia ha poi rivelato che Carlo Cottarelli gli avrebbe dato la disponibilità a far parte della futura squadra di governo del centrodestra, un’affermazione che l’ex commissario della spending Review ha smentito poco dopo: “Mai data disponibilità a partecipare a futuri esecutivi”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 13th, 2018 Riccardo Fucile
MELONI ISOLATA NEL CENTRODESTRA, ANCHE SGARBI SI SCHIERA CON IL DIRETTORE… LA FONDAZIONE: “UN ONORE AVERLO COME DIRETTORE, E’ LA DIMOSTRAZIONE CHE IN ITALIA PUO’ ANCORA VINCERE IL MERITO”
“Ho invitato l’onorevole Meloni e spero che accolga il mio invito. La cultura è di tutti. Da studioso so che la crescita intellettuale è dovuta al dialogo ed anche ad opinioni diverse, non mi spaventano le opinioni diverse che sono il sale della nostra cultura spero solo che ci si possa confrontare in modo sereno e capire le ragioni l’ uno dell’altro. Non vogliamo costruire barriere ma costruire ponti.” Con questo breve discorso Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino, ha accolto le persone accorse per il flash mob di solidarietà dopo la discussione con Giorgia Meloni di venerdì scorso e le recenti dichiarazioni di Fd
Il dietro-front (travestito da smentita) di Giorgia Meloni non è bastato.
Anche perchè si trattava di un comunicato scritto dal responsabile della comunicazione del partito, poi ripreso da tutte le agenzie di stampa.
L’ira di Fratelli d’Italia scagliata domenica scorsa contro il direttore del Museo Egizio Christian Greco, accusato di privilegiare i visitatori di lingua araba scontando loro l’ingresso, si è trasformata in un boomerang.
Il centrodestra torinese (da Rosso a Romani e ai fittiani) si sono dissociati schierandosi con il direttore del Museo.
In merito alla querelle si è espresso anche Vittorio Sgarbi, che ha elogiato le iniziative del direttore del Museo Egizio.
«La cultura e la bellezza vanno promosse e godute e sono d’accordo con il direttore del Museo egizio di Torino che vuole rendere gratuita la visita a chi parla l’arabo, soprattutto se quel patrimonio proviene da quelle civiltà . La cultura sicuramente serve a pacificare gli animi e non vede nemici». Lo ha dichiarato Vittorio Sgarbi a un evento fuori Bit a Milano, organizzato dalla Regione Marche.
Nel frattempo anche il Presidente e il Consiglio di Amministrazione del Museo hanno espresso al Direttore Christian Greco solidarietà e condivisione.
Questa la nota stampa:
La presidente Evelina Christillin e il Consiglio di Amministrazione esprimono al Direttore Christian Greco solidarietà e piena condivisione per la gestione dell’istituzione e le operazioni culturali condotte a partire dalla sua nomina.
La Direzione ha dimostrato di aver saputo trasformare il Museo Egizio in un grande ente di ricerca grazie all’implementazione della squadra e a molteplici attività che vanno dallo scavo alla pubblicazione di una rivista scientifica in collaborazione con musei, università e enti di ricerca di fama mondiale.
l contempo vi sono sempre state attente scelte economiche e gestionali e una particolare sensibilità verso la fruizione da parte del pubblico, che hanno portato il Museo ad un più alto livello di professionalizzazione e a scalare le classifiche nazionali e internazionali di gradimento La Direzione ha intrapreso numerose attività di inclusione sociale che fanno parte del progetto “Il Museo fuori dal Museo”, per radicarlo nel territorio e nella società civile: a titolo esemplificativo questo include visite da parte dello staff a coloro che non possono recarsi nelle sale museali (ospedali e carceri); avvicinamento delle fasce più giovani con attività dedicate a scuole e la tariffa universitaria a 4 € per gli studenti universitari, di recente introduzione. A queste e ad altre numerose iniziative si aggiunge uno sconto dedicato, per tre mesi, ai visitatori di lingua araba, scelta culturale dichiaratamente inclusiva.
Il consiglio ricorda che l’Egitto è il luogo di provenienza delle collezioni e che come spesso ripete il Direttore, questa istituzione “ha l’onore e l’onere di custodire un patrimonio culturale che è di tutti e la cui accessibilità è una priorità assoluta e una precisa responsabilità di chi lo gestisce in piena ottemperanza all’art. 9 della Costituzione italiana”.
A fronte delle dichiarazioni di cui sopra e in seguito alle recenti polemiche il Consiglio di Amministrazione e la Presidente Evelina Christillin rinnovano il pieno e unanime consenso all’azione del Direttore Christian Greco e ricordano che in base allo statuto vigente della Fondazione spetta al solo Consiglio di amministrazione “nominare e revocare il direttore a maggioranza assoluta dei suoi componenti, sentito il parere del Comitato scientifico” (art. 9).
La Presidente Evelina Christillin aggiunge infine: “Sostengo totalmente ogni iniziativa del Direttore Christian Greco, con cui da quattro anni condivido quotidianamente idee, progetti e attività . La stima e l’affetto che mi legano a lui sono assoluti, ed è un onore e un piacere condividere lo sviluppo che il Museo Egizio conosce dal giorno del suo arrivo. Il concorso internazionale con cui è stato scelto, con professionalità e trasparenza testimonia come in Italia il merito possa ancora venire premiato, e i risultati finora ottenuti lo dimostrano con chiarezza”.
(da agenzie)
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Febbraio 13th, 2018 Riccardo Fucile
L’EX SINDACO SCERIFFO ALLO STRAPPO FINALE: “MI HANNO CACCIATO. CHI SCELGO? VEDREMO”
«Sono nato per vincere, lo scriva questo». Lo «sceriffo» Giancarlo Gentilini ritrova l’accento vibrante,
quello che dal palco (e pure nella cornetta) tuona senza vacillare.
Lo «ritrova» perchè, parlando dello strappo definitivo con la «sua» Lega, l’amarezza gli vena la voce, la incrina impercettibilmente mentre ripete quasi incredulo e a più riprese: «Mi hanno cacciato dal K3 hai capito? Mi hanno cacciato da casa mia!».
Già il K3, casa della Lega a Treviso ma anche «casa sua», del sindaco sceriffo che ha continuato ad andarci per anni, a rispondere alla corrispondenza ininterrotta dei suoi concittadini anche quando gli anni ruggenti delle boutade incendiarie sui giornali erano finiti da un pezzo.
Uno sfregio che non si poteva mandar giù. E così Gentilini dice basta e non rinnova la tessera del Carroccio dopo 24 anni, quasi un quarto di secolo. Decenni in cui il suo era uno dei volti più noti della Lega, non solo in Veneto.
Visto che straccia la tessera alle politiche non voterà Lega?
«Chiaramente no, per chi devo votare per quello che ha voluto buttarmi fuori e che è candidato? (Dimitri Coin, segretario provinciale della Lega di Treviso ndr). E non rinnovo la tessera perchè non gliela do la soddisfazione di buttarmi fuori, me ne vado prima io (ridacchia luciferino)».
E allora non voterà ?
«Il centrodestra è nel mio cuore ma non ho ancora deciso».
Non sarà solo una questione personale con Coin…
«Ma no, fosse solo per lui che pure mi ha buttato fuori dal K3 (storica sede della Lega a Treviso ndr). E il K3 era la mia casa, ci andavo a rispondere alle lettere dei miei concittadini, si è insinuato lo facessi per interessi miei, ridicolo. Dopo questo episodio ho chiesto lumi agli alti papaveri del partito. Si sono affrettati a rassicurarmi. Ma non ho più sentito nessuno. Un silenzio che mi ha ferito profondamente, nell’intimo».
Non siamo abituati a sentirla parlare così…
«Beh, è la verità . Quando dico che mi hanno ferito nell’intimo intendo dire che mi hanno impedito di aiutare il mio popolo».
E prima del fattaccio del K3 era in contatto con gli attuali vertici del partito? «Macchè, è dal 2013 che nessuno di loro si è dato la pena di farsi vivo. Neppure ultimamente quando c’è stato da decidere chi candidare contro Manildo».
Qualcuno l’accusa di non volersi rassegnare a perdere il potere.
«Non è mai stata questione di potere. Prendo atto dell’emarginazione in cui mi ha relegato la Lega attuale».
Ad ascoltarla sembra che per lei esistano due distinte Leghe.
«Il mio tesseramento si basa sul 1994 quando la Lega era un partito rivoluzionario al servizio del popolo».
E oggi?
«Non mi faccia parlare, non voglio esprimere giudizi. Lascio valutare ai cittadini, dico solo che qua mi pare si tratti solo di poltrone ormai. E sì che sulle mie spalle ci hanno vissuto…».
C’è qualcosa o qualcuno che si salva della «Lega di oggi»?
«C’era e c’è Luca Zaia. Ho patrocinato il suo come unico nome valido, come unico contraltare a Matteo Renzi, il solo con le capacità , l’unico cavallo di razza dei tanti che ho tenuto a battesimo. Ora però è impegnato con l’autonomia, lo so, ma è un peccato».
Altri rimpianti?
«Che Flavio Tosi abbia lasciato la Lega. Lui e Zaia avrebbero potuto stravolgere il governo nazionale. Un’occasione storica persa».
Guardando invece al futuro, pare di capire che non ci sia rimedio possibile a questo addio al Carroccio. Quindi candiderà davvero una lista contro Conte alle prossime comunali?
«Eh, la mia carica vitale si alimenta dalla fonte del ’94 (ride sornione) ma sia chiaro che se corro, corro per vincere non per una stupida ripicca. Non avessi quasi 90 anni mi candiderei ancora io a sindaco ma se mi riesce di mettere insieme una compagine di amici validi…vedremo».
E ora, senza K3, com’è la sua giornata?
«Non sto fermo mai, ovvio! La mattina sempre in giro per mercati e mercatini poi vado in “ufficio” che sarebbe poi Ai do mori davanti al Comune, che così li controllo tutti».
(da “Il Corriere della Sera”)
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Febbraio 13th, 2018 Riccardo Fucile
HA UFFICIALIZZATO IL SUO INGRESSO NEL GRUPPO DEI NON ISCRITTI
“Questa mattina l’eurodeputato David Borrelli ha ufficializzato il suo ingresso nel gruppo dei non iscritti. Borrelli ha comunicato alla delegazione italiana del MoVimento 5 Stelle che la sua è stata una scelta sofferta ma obbligata da motivi di salute. Prendiamo atto che Borrelli non fa più parte del MoVimento 5 Stelle”.
Così in una nota Laura Agea, capo delegazione M5S al Parlamento europeo.
Stamattina Borrelli aveva rilasciato un’intervista al Fatto in cui criticava i controlli e i comportamenti “di chi valutava”:
Quanti parlamentari sono coinvolti in questo caso?
A oggi non possiamo saperlo. Però mi lasci dire che anche certi media dovrebbero fare mea culpa. E perchè? Anni fa, quando io in Emilia Romagna mi dedicai a controllare i rimborsi e le restituzioni di alcuni eletti locali venni descritto come il cattivo, l’epuratore. Erano i primi tempi del Movimento e ne passai di tutti i colori. E invece feci bene a non abbassare la guardia. I fatti hanno dimostrato che avevo pienamente ragione.
Ma la guardia l’ha abbassata innanzitutto il M5S, non crede?
Diciamo che certi controlli e comportamenti di chi valutava in alcuni casi sono stati trascurati nel corso di questi anni. Ed è stato un errore.
Ora cosa bisogna fare? Magari cambiare il sistema delle rendicontazioni?
No, dobbiamo solo controllare e a controllarci di continuo. Restituire parte dei soldi è un dovere per gli eletti del Movimento, e venire meno a questo impegno preso con i cittadini, anche solo per poche centinaia di euro, è inaccettabile. La base è furibonda. Ci sono tanti iscritti che ci hanno rimesso del loro in questi anni, non solo in termini economici. E li capisco perfettamente, visto che sono iscritto a un meet up dal 2005.
Borrelli è anche socio fondatore di Rousseau. Qualche tempo fa c’era stata una polemica che riguardava l’assunzione della sua fidanzata nello staff.
(da “NextQuotidiano“)
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