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LE PROMESSE ELETTORALI DI SALVINI SONO UN IMPOSSIBILE BLUFF: COSTANO 120 MILIARDI

Febbraio 14th, 2018 Riccardo Fucile

FLAT TAX, PENSIONI E FAMIGLIA, ECCO I CONTI SENZA AVERE LE COPERTURE

E’ sull’insostenibile leggerezza della flat tax al 15% che si sorregge l’intero programma economico della Lega: un piano di legislatura da almeno 110-120 miliardi di euro a cui ne vanno aggiunti 26,4 per sterilizzare l’aumento dell’Iva (aspetto che peraltro non viene menzionato).
Certo, di spunti interessanti ce ne sono molti, come l’obbligo di retribuire stagisti e apprendisti professionali: “lavoro sfruttato” di cui nessun altro partito sembra preoccuparsi.
C’è un duro attacco alla direttiva europea Bolkenstein che minaccia gli stabilimenti balneari nostrani e per questo la Lega chiede “l’abolizione o un periodo transitorio di almeno 30 anni per la salvaguardia del diritto al lavoro”.
C’è il riferimento al salario minimo, ma proprio come nel caso del Pd manca l’indicazione della soglia ipotizzata.
Per molti aspetti il programma di Salvini riguarda quello del Pd, in particolare sul fronte famiglia: 400 euro al mese a famiglia per ogni nuovo nato fino ai 18 anni; in più però ci sono asili nido gratuiti per i redditi fino a 60mila euro.
A livello di istruzione superiore, invece, la Lega è ancora più a sinistra: promette maggiori investimenti in ricerca e sviluppo per trattenere i migliori cervelli.
Non si dice, però, a quanto dovrebbe ammontare la spesa che oggi vale l’1,2% del Pil (in Germania è al 3% e la media Ue arriva al 2%).
Il problema — come per il Pd — è che mancano tutti i riferimenti alle coperture.
Dal punto di vista economico, il programma è ambizioso, ma alimenta diversi dubbi circa la sua sostenibilità .
Proprio a cominciare dalla flat tax al 15%. A fronte di una base imponibile di circa 800 miliardi, il gettito Irpef dello scorso anno è stato pari a 167 miliardi: con la proposta della Lega scenderebbe a 120 miliardi (la progressività  è in qualche modo garantita da detrazioni per 3mila euro per ogni componente del nucleo famigliare nei redditi fino a 35mila euro e da detrazioni per 3mila euro per ogni figlio a carico nei redditi fino a 65mila euro).
L’abolizione delle detrazioni attuali dovrebbe venire compensata dai 3mila euro della Lega, il nodo però riguarda i 47 miliardi di minor gettito.
Le coperture sono vaghe: si fa riferimento all’emersione del nero, ma immaginare una qualsiasi cifra è un azzardo.
La Lega però sostiene che la flat tax sia destinata a generare maggiori consumi e quindi un aumento del gettito Iva. A cascata, poi, il partito è convinto che l’aumento della domanda generi più occupazione anche perchè tra i capisaldi del programma c’è l’abbattimento del cuneo fiscale: un progetto identico a quello del Pd, ma ogni punto costa circa 2,5 miliardi di euro (anche questi senza coperture).
Certo, una qualche copertura potrebbe arrivare dalla maxi sanatoria nei confronti dei creditori di Equitalia: degli oltre mille miliardi di arretrati, la Lega sostiene che quelli veramente esigibili siano 650 miliardi.
Salvini punta a recuperarne 60 miliardi di due anni, ma dalla maxi sanatoria sarebbero esclusi quanti hanno accumulato debiti superiori ai 200mila euro (comprensivi di sanzioni, interessi e more).
Pensioni. Il superamento della Fornero con il ritorno alla pensione di anzianità  per chi ha più di 40 anni di contributi “è un diritto”: un’operazione del genere, però, costa almeno 15 miliardi di euro.
Banche. Separare le attività  commerciali da quelle d’affari, riforma del sistema di vigilanza e controllo; tutela del risparmio e dei conti correnti fino a 200mila euro. Alle banche viene anche imposto di ridurre i costi massimi per l’utilizzo di bancomat e carte di credito: c’è un regolamento Ue che gli istituti italiani continuano ad aggirare. Contestualmente, però, si vuole abolire il limite al pagamento in contanti.
Infrastrutture. La Lega promette 22 miliardi di investimenti in 5anni per “per attrezzare i nostri Porti con aree retro portuali capaci di garantire lo sdoganamento delle merci in loco”; previsti anche investimenti per potenziare l’alta velocità . Come verrà  fatto non si sa.
Minibot. Sono probabilmente la proposta più al “limite” della Lega che propone di saldare tutti i debiti della pubblica amministrazione.
Nel programma si sottolinea che “non si tratta di una moneta parallela perchè i trattati Ue lo impediscono”, ma di un “pezzettino di debito pubblico” che diventa un “credito per il cittadino che lo possiederà . I minibot — si spiega — verrebbero assegnati senza formalità  e volontariamente a tutti i creditori dello Stato in qualsiasi forma”.
Se non stupisce la totale assenza al tetto del deficit e alla riduzione del debito, colpisce l’attenzione della Lega all’ambiente: nel programma si spinge sulla green economy; sull’auto elettrica e sull’economia circolare. “Uomo e ambiente — si legge — sono facce della stessa medaglia. Chi non rispetta l’ambiente non rispetta se stesso”.

(da “Business Insider”)

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MUSUMECI FA UN FAVORE AI MAFIOSI: RIMUOVE ANTOCI, PRESIDENTE DEL PARCO DEI NEBRODI, GIA’ VITTIMA DI ATTENTATO

Febbraio 14th, 2018 Riccardo Fucile

“LA MAFIA VUOLE UCCIDERMI, LA POLITICA MI FA FUORI, QUALCUNO OGGI HA BRINDATO”… UNA PAGINA INDECOROSA PER IL CENTRODESTRA

I mafiosi volevano ammazzarlo alla vecchia maniera: i massi piazzati in mezzo a una strada di montagna, l’auto blindata costretta a fermarsi e un commando di killer che spunta dai boschi per fare fuoco a colpi di fucile. Gli è andata male. Anzi malissimo. Perchè da quell’agguato Giuseppe Antoci è uscito illeso.
E da quel giorno di maggio 2016 della battaglia solitaria condotta dal presidente del parco dei Nebrodi hanno cominciato a parlare tutti. In tutta Italia.
Michele Emiliano lo ha scelto come numero due alle primarie del 2017. Matteo Renzi lo ha voluto prima alla Leopolda e poi al vertice del dipartimento Legalità  del Pd. Doveva essere uno dei volti nuovi dei dem al Sud. La faccia antimafia di un partito che combatte la cosche.
Parole. Perchè alla fine il suo nome non è stato nemmeno incluso nelle liste per le politiche del prossimo 4 marzo.
Nel collegio di Messina gli hanno preferito il rettore Pietro Navarra, nipote di Michele, considerato lo storico boss mafioso di Corleone.
“Io non avevo ambizioni personali ma certo, dopo averne tanto parlato, la mia mancata candidatura ha fatto brindare un po’ di gentaglia”, dice Antoci al fattoquotidiano.it.
Un brindisi che adesso sarà  con tutta probabilità  replicato. Sì, perchè, il governo regionale di Nello Musumeci ha commissariato il parco dei Nebrodi.
Tradotto: Antoci è stato rimosso.
La logica è quella dello spoils system: via manager e dirigenti nominati dal vecchio governo di centrosinistra, dentro quelli nuovi, fedeli alla destra. Come negli Stati Uniti d’America.
Ma i Nebrodi non lontanissimi dall’America. Qui la cacciata di Antoci è un segnale chiaro, netto, evidente. Che ha fatto arrabbiare 22 sindaci dei comuni della zona. “Siamo preocupati, perchè dopo anni di commissariamenti abbiamo finalmente visto ripartire l’ente che è diventato volano di sviluppo e attrattiva turistica”, hanno scritto al governatore.
“Cosa nostra vuole uccidermi, ma per adesso non ce l’ha fatta. La politica, invece, mi ha fatto fuori. Questo è un messaggio. Mi chiedo indirizzato a chi”, dice invece Antoci.
“Sapevo che mi avrebbero cacciato. Io non sono interessato a incarichi o poltrone: da presidente del parco dei Nebrodi ho un rimborso mensile da 700 euro. Mi chiedo solo se capiscono che così mi espongono. Espongono me e la mia famiglia“, spiega nel giorno in cui la giunta regionale si è riunita per azzerare i vertici degli organismi pubblici vigilati dagli assessorati.
“Ringrazio il presidente   Musumeci che, attraverso la mia rimozione mi ha fatto comprendere, in maniera inequivocabile, da quale parte sta”, commenta pochi minuti dopo la sua cacciata. Il suo incarico sarebbe scaduto tra sei mesi, ma hanno deciso di defenerstrarlo in anticipo.
“Mi chiedo che fretta ci fosse“, sorride amaro l’ormai ex presidente del parco.
“Non c’è nessun caso Antoci. Abbiamo commissariato tutti i presidenti dei parchi utilizzando la legge sullo spoils system varata dal precedente governo di centrosinistra. Se ho ringraziato Antoci per il suo lavoro? Ho ringraziato tutti gli ex direttori con apposito comunicato”, replica Musumeci sentito da ilfattoquotidiano.it.
E il protocollo di legalità  inventato dall’ex numero uno del parco dei Nebrodi che polverizzato gli affari miliardari di Cos nostra coi terreni demaniali? “Ha fatto bene a vararlo: adesso lo utilizzeremo anche noi”, promette il governatore.
D’altra parte non potrebbe che essere così visto che il 26 settembre scorso quel regolamento è diventato legge dello Stato. Dati alla mano, si tratta probabilmente della più importante legge antimafia dopo quella approvata nel 1982 su input di Pio La Torre. Il deputato comunista aveva capito che per fare male ai boss bisognava togliergli le “roba“, cioè confiscargli le ricchezze accumulate: un’intuizione fondamentale. Pagata con la vita. Lo stesso conto che Cosa nostra voleva presentare al presidente del parco dei Nebrodi, colpevole di aver avuto un’idea semplice ma efficace quasi quanto quella di La Torre.
Il protocollo Antoci, infatti, altro non è che un accordo stipulato nel 2014 con l’allora prefetto di Messina, Stefano Trotta. Una norma che prevede l’obbligo per i concessionari dei terreni demaniali — cioè gli affittuari degli appezzamenti di proprietà  delle Regioni — di presentare il certificato antimafia. Sembra una cosa ovvia, ma fino a quel momento nessuno lo aveva mai chiesto, soprattutto per i terreni che valgono meno di 150mila euro.
Risultato? La Regione Siciliana ha scoperto che almeno 4mila ettari dei suoi terreni erano in mano a soggetti riconducibili alle più importanti famiglie di Cosa nostra: migliaia di metri quadrati di boschi e pascoli affittati da decenni a personaggi vicini ai clan.
“Il nostro protocollo — spiega Antoci — ha mandato in fumo affari per 5 miliardi di euro ai boss. E soltanto in Sicilia. Ora che è applicato nel resto d’Italia polverizzerà  40 miliardi di profitti per le mafie”. Sì perchè quella che è stata stata ribattezzata “mafia dei pascoli” di arcaico ha mantenuto solo il nome. Da anni gestisce enormi appezzamenti di terreno pubblico, ma per guadagnarci si è specializzata nei progetti europei. Quei terreni di proprietà  della Regione siciliana, infatti, hanno fruttato nel frattempo circa due milioni e mezzo di euro di fondi europei all’anno: in pratica un affare a sette cifre con un margine di rischio praticamente minimo e senza un euro d’investimento.
È in questo modo che in passato, e cioè prima che venisse richiesta la certificazione antimafia anche per i terreni che valgono meno di 150mila euro, Gaetano Riina, fratello del più famoso Totò, è riuscito ad incassare 40 mila euro di fondi targati Bruxelles, mentre Salvatore Seminara, considerato il reggente di Cosa nostra ad Enna, si è visto riconoscere una sovvenzione pari a 700mila euro.
Grazie al protocollo di Antoci, insomma, Cosa nostra si è vista chiudere i rubinetti da Bruxelles. Mentre le indagini sui sequestri sono diventate più snelle.
“Il prefetto di Messina   salutando la città , diceva che in un anno e mezzo ha firmato 57 interdittive antimafia. Tutto grazie al nostro protocollo. Ed è sempre grazie al nostro protocollo che le richieste di sequestro sono diventate molto più veloci: basta sommare le false dichiarazioni antimafia ai curriculum dei concessionari dei terreni e il gioco è fatto”, racconta l’ormai ex presidente del parco dei Nebrodi. È per questo motivo che i boss lo vogliono morto. Per il momento non ci sono riusciti.
A farlo fuori, invece, è arrivata la politica: dal Pd che non lo ha candidato, al centrodestra di Musumeci che lo ha rimosso.
Le larghe intese anti antimafia in Sicilia funzionano benissimo.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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IL COMMISSARIO FARMACAP DELLA RAGGI INDAGATO PER ABUSO D’UFFICIO

Febbraio 14th, 2018 Riccardo Fucile

STAFANORI AVEVA CACCIATO LA DIRETTRICE LANG ACCUSANDOLA DI CORRUZIONE, ALLA FINE DELLE INDAGINI LEI E’ STATA SCAGIONATA E ACCUSATO E’ FINITO LUI

Il commissario straordinario di Farmacap Angelo Stefanori è al centro di una nuova indagine da parte del pm Nadia Plastina.
Scrive oggi Repubblica Roma in un articolo a firma di Giuseppe Scarpa che gli investigatori questa volta hanno puntato il faro sui conti di Farmacap e la sua gestione. Stefanori avrebbe dovuto presentare il bilancio consuntivo 2016 dell’azienda entro il 10 aprile 2017. Ma ha fallito l’obiettivo.
Così adesso la procura lo ha iscritto nel registro degli indagati per abuso d’ufficio.
Il caso Farmacap è una metafora perfetta di come il MoVimento 5 Stelle sta amministrando Roma: Stefanori ha cacciato la direttrice generale Simona Laing, nominata da Marino, accusandola di corruzione e parlando di un falso nel bilancio.
I NAS hanno indagato: le accuse erano tutte false. Lei impugnerà  il licenziamento e a pagare saremo noi romani.
Ora però la situazione si fa più difficile per Stefanori: dopo l’avviso di garanzia per calunnia e minacce nei confronti della stessa Laing
L’ex numero uno era stata oggetto di una montagna di querele da parte di Stefanori per corruzione, che si sono rivelate totalmente false.
Così, il 3 aprile 2017, l’attuale gestore dell’azienda che riunisce le farmacie comunali è riuscito a far saltare la poltrona della dg. Laing, durante la sua gestione, aveva avuto il merito di risanare i conti, al collasso, dell’azienda speciale.
E a settembre del 2016 aveva contribuito a far arrestare il predecessore di Stefanori, Francesco Alvaro accusato di truccare gli appalti.
Indifferente alla catena di successi collezionati dalla dirigente, la sindaca Raggi aveva memorizzato il suo numero sul cellulare con il nome “Non Rispondere” (emerge dagli atti dell’indagine su Marra).
Poi la svolta decisiva: la prima cittadina nomina Stefanori. Lo stesso che, dal giorno del suo insediamento, ha fatto una guerra senza quartiere alla Laing, fino al licenziamento.
Stranamente dal Campidoglio non è arrivata una sola parola di commento riguardo quanto sta accadendo a Farmacap.

(da “NextQuotidiano”)

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LE RICEVUTE IN BIANCO DI ROBERTA LOMBARDI

Febbraio 14th, 2018 Riccardo Fucile

MA CE’ DELL’ALTRO

Repubblica risponde all’attacco di Roberta Lombardi, che ieri ha replicato con un video all’articolo sul quotidiano che la accusava di scarsa chiarezza nelle rendicontazioni.
Giovanna Vitale segnala che dopo l’articolo pubblicato dal quotidiano lunedì sono comparse le rendicontazioni della candidata grillina alla Regione Lazio, ma c’è qualcosa che non va:
Il problema tuttavia è che gli ultimi due bonifici caricati in fretta e furia sul portale www.tirendiconto.it – coi quali Lombardi ha documentato la restituzione di 2.309,63 euro di indennità  parlamentare relativa al mese di ottobre e di 1.582 euro relativa a novembre – non sono validi. Non hanno cioè alcun valore nè formale, nè sostanziale, mancando alcuni elementi costitutivi dell’operazione bancaria. Significa, in soldoni, che potrebbero persino essere fasulli.
A differenza delle ricevute prodotte dalla candidata governatrice sino a settembre, quelle di ottobre e novembre sono infatti sprovviste di alcuni dati fondamentali. Innanzitutto non è riportato il codice identificativo del bonifico assegnato dalla banca dell’ordinante (denominato CRO, Codice di Riferimento Operazione), che consente al destinatario di verificare la corretta ricezione del pagamento presso la sua banca, composto da una serie di caratteri fino a 35.
Quindi risultano in bianco sia la data di esecuzione dei due bonifici in questione, sia le date relative alla valuta, al giorno e all’ora in cui i versamenti sono stati fisicamente inseriti nel sistema.
E siccome dal primo febbraio 2014, per accreditare una somma in euro, è necessario inserire nell’ordine la data di esecuzione, il fatto che sugli ultimi due non ci sia, fa dubitare che l’operazione sia andata a buon fine.
Della mancanza del CRO e della sbianchettamento della data di esecuzione del bonifico avevamo parlato anche noi ieri, segnalando però anche altro.
L’unico riferimento temporale è infatti il timestamp posto in alto nel documento dell’homebanking che reca la data 11/02/2018, ovvero domenica scorsa, proprio nel momento in cui sui giornali e in televisione stava esplodendo il caso dei rimborsi e delle restituzioni a 5 Stelle.
Ed infatti Lombardi ha aggiornato la sua rendicontazione il 9 febbraio, la stessa data in cui Luigi Di Maio ha regolarizzato la sua posizione sulle restituzioni. Quasi che ci sia stato un ordine dall’alto a mettersi in regola. Repubblica prosegue:
Resta a questo punto da chiedersi: perchè? Cos’hanno a che fare tali incongruenze, su cui per tutto il giorno il Pd ha invocato chiarezza, con la richiesta di accesso agli atti presentata da Lombardi al ministero dell’Economia per conoscere nel dettaglio i versamenti effettuati dal 2013 a oggi?
Ma anche qui c’è dell’altro. Nella diretta Facebook ieri Lombardi ha precisato:
Scrivono che “è strano che la cifra che io restituisco per alcuni mesi è sempre la stessa. Chiedono come sia possibile. Lo spiego molto semplicemente. Ci sono stati alcuni mesi per cui per la campagna referendaria o per una competizione amministrativa magari spendessi più della disponibilità  che avevo, allora il sistema di rendicontazione di cui siamo autonomamente dotati fa sì che comunque noi ogni mese restituiamo metà  dello stipendio, e quello che rimane da restituire venga sottratto pro rata alle restituzione dei mesi successivi. Quindi quando vai fuori dal plafond dei fondi disponibili allora nei mesi successivi quella differenza viene spalmata sulle restituzioni. Questo fa sì che per alcuni mesi la cifra da restituire sia sempre la stessa”. Lo ha detto la candidata del MoVimento 5 Stelle alla presidenza della regione Lazio Roberta Lombardi in una diretta Facebook.
Ci si sarebbe aspettati delle precisazioni più accurate.
In primo luogo perchè nel periodo contestato — da aprile a settembre 2015 — non c’era alcuna campagna referendaria in corso. Roberta Lombardi non sa di quali rendicontazioni sta parlando.
E visto che doveva dimostrare che quelle dei giornali erano tutte falsità  avrebbe dovuto essere più specifica. La cifra che la Lombardi ha restituito in quel periodo è di 1.629,82 ed è semplicemente pari alla differenza tra il netto percepito dai parlamentari (4.897,07 euro) e l’indennità  “dimezzata” dei pentastellati (3.267,25 euro).
In quei mesi risulta che Lombardi abbia speso di più di quanto ricevuto in rimborsi forfettari dalla Camera.
Ad esempio a maggio 2015 la candidata presidente del M5S ha ricevuto 7.193,11 euro ma ne ha spesi 8.247,74. Insomma a fronte della già  abbastanza generosa dotazione economica passata dalla Camera (e dello stipendio netto da tremila euro al mese) la Lombardi è riuscita a spenderne circa mille in più. Peccato però che a conti fatti il “dettaglio delle spese rendicontate” ammonti a 8.169,30 euro (di qui 1.400 euro di spese di assistenza legale alla voce “consulenze”). A cosa è dovuta questa discrepanza?
Insomma a quanto pare la rendicontazione non è “al centesimo”.
E non c’è solo maggio 2015, ad esempio a luglio Lombardi dichiarava di aver speso 8.784,76 euro (a fronte di 8.855,62 di rimborsi percepiti) ma dalla somma degli scontrini risulta che ne abbia spesi 8.744,91.
Ora Lombardi si è giustificata dicendo che “quando vai fuori dal plafond dei fondi disponibili allora nei mesi successivi quella differenza viene spalmata sulle restituzioni. Questo fa sì che per alcuni mesi la cifra da restituire sia sempre la stessa”. Questo è un modo molto divertente per dire che un deputato a 5 Stelle può spendere di più di quanto percepisce in rimborsi dalla Camera (a quanto pare senza minimamente toccare il proprio stipendio) perchè quello che spende in più verrà  prelevato dai rimborsi dei mesi successivi.
C’è un problema nei mesi contestati la Lombardi ha continuato a spendere di più del plafond quindi lo “spalmamento” dovrebbe essere successivo a quelle spese.
Senza contare che riuscire a spendere più di ottomila euro al mese è davvero un’impresa epica, anche se c’erano le amministrative (e curiosamente durante l’accesa campagna per il referendum del dicembre 2016 la Lombardi ha restituito molto di più).

(da “NextQuotidiano”)

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GENOVA, MENSE SCOLASTICHE, LA META’ NON PAGA, I PIU’ MOROSI NEI QUARTIERI BENE DI ALBARO E FOCE

Febbraio 14th, 2018 Riccardo Fucile

NELLE ZONE PIU RICCHE EVASIONE AL PICCO… IL COMUNE DI CENTRODESTRA VITTIMA DEI SUOI ELETTORI ALTO BORGHESI

Metà  delle famiglie con un reddito Isee superiore a 30 mila euro non paga la ristorazione scolastica.
Il dato emerge dal report del Comune sugli “ evasori del pasto” relativo al 2017, in cui emerge che il più alto tasso è nelle circoscrizioni Centro Ovest (Sampierdarena- San Teodoro) e nelle ricche Albaro, Foce e Sturla.
L’allarme sui conti lo ha lanciato l’assessore al Bilancio, Pietro Piciocchi, dichiarando che «le mense ci costano venti milioni, noi ne copriamo sedici con le rette, ma abbiamo quasi due milioni di morosità  all’anno, che accumulati nel tempo generano cifre importanti: di questi due milioni, la metà  sono prodotti da soggetti che hanno redditi alti, dai calcoli ogni anno dobbiamo mettere in conto un milione strutturale».
Ma l’aspetto ancora più preoccupante e che sta incidendo sui conti di Tursi è che la curva dei morosi si sta alzando.
Se è plausibile che nei quartieri più popolari qualcuno non riesca a far fronte alle spese per la mensa dei figli, è chiaro sintomi di evasione e di furbetti borghesi chi non paga nei quartieri di lusso della città .
Quelle zone che hanno votato in maggioranza centrodestra alle amministrative.

(da agenzie)

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