Febbraio 18th, 2018 Riccardo Fucile
IN FDI ORA IL TIMORE NON E’ TANTO UN ACCORDO TRA BERLUSCONI E RENZI, MA TRA SALVINI E IL M5S… E AL CENTRO-SUD SALVINI GIOCA SPORCO
Indice alzato, sguardo austero, orecchini tricolore. Un grande disegno di Giorgia Meloni accoglie
militanti e candidati di Fratelli d’Italia al cinema Adriano di Roma. Una manifestazione convocata per dire forte e chiaro che le larghe intese non s’hanno da fare. “Io non tradisco”, recita il foglio che gli aspiranti deputati e senatori hanno letto all’unisono, assieme alla loro leader.
L’antico senso dell’onore si declina nel rispetto del patto di coalizione siglato con Silvio Berlusconi e Matteo Salvini.
Un giuramento, come risposta alle tentazioni di “inciucio” degli alleati, che disertano il cinema e tengono le mani libere in vista di negoziati post-voto.
“Questa manifestazione è dannosa se vuoi fare l’inciucio”, dice la Meloni dal palco, in risposta alle critiche di Berlusconi all’iniziativa di oggi.
Pochi minuti prima, aveva detto ai cronisti: “Non so perchè Salvini e Berlusconi abbiano scelto di non partecipare alla nostra manifestazione. Mi lascia perplessa questa assenza. Giudicheranno gli italiani”.
Militanti e dirigenti vedono un doppio rischio inciucio. Si teme, il giorno dopo il voto, di essere abbandonati sia dai forzisti, impegnati a flirtare con il Pd, che dal Carroccio, se Salvini decidesse di approcciare i 5 Stelle.
All’ingresso del cinema di piazza Cavour ci sono due banchetti, uno per i candidati al Senato, l’altro per gli aspiranti deputati. Mettono nero su bianco la loro indisponibilità a sostenere un governo che non sia di centrodestra. “I parlamentari non hanno intenzione di andare a casa anzitempo, serve controllo”, dice un alto esponente di FdI. In fila, i candidati si osservano tra di loro. I “traditori”, tra le fila del partito con la fiamma tricolore nel simbolo, non sono ammessi. “Tu hai una faccia che non mi piace”, dice sorridendo uno di loro, rivolgendosi al signore che lo precede.
Il timore è portare voti e seggi preziosi ai partiti che a bocce ferme cercheranno l’intesa con i nemici.
Ma c’è anche insofferenza, per i tentativi della Lega di cannibalizzare l’elettorato della destra al centro sud. Lo specchio del conflitto tra i due partiti “lepenisti” sono i social network.
La Lega cerca di acchiappare i voti di FdI, facendo rimbalzare su Facebook le stesse parole d’ordine.
Negli ultimi mesi, un buon numero di post della Meloni è stato “sostanzialmente copiato” e rilanciato a stretto giro sulla bacheca di Salvini.
Al centro, i temi dell’immigrazione, della famiglia e della difesa dei valori tradizionali. Con un’unica differenza: vocaboli chiave in grassetto e punti esclamativi in abbondanza, per colpire l’immaginario degli elettori.
Dentro FdI, la preoccupazione maggiore è una convergenza Lega – M5S. “Sono entrambi partiti che parlano alla pancia del Paese. La Lega condivide i nostri temi, ma non ha un’ideologia che sostenga il suo progetto”, spiega un militante.
“Siamo noi il vero partito dell’unità nazionale. Nel centro Italia, la Lega ha una presenza forte, punta sui nostri temi per sfondare in queste regioni”, dice Marco Marsilio, deputato e oggi candidato al Senato nel Lazio.
“All’articolo 1 del loro statuto hanno ancora l’indipendenza della Padania”, commenta arrabbiato un altro esponente di FdI.
Una riedizione del patto del Nazareno, che metta assieme Partito democratico e Forza Italia, è per molti dei presenti un’ipotesi più lontana.
La certezza che Berlusconi e Renzi non siederanno di nuovo allo stesso tavolo non può esserci. “Ma dopo tutto quello che è successo…”, dice Lucia Arizzi, candidata al Senato in Lombardia, riferendosi alla brusca rottura dell’accordo tra i due leader in seguito all’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale.
“In ogni caso, meglio soli che male accompagnati. Noi non tradiamo”, assicura una dirigente di FdI. Per Adolfo Urso, già vice ministro alle Attività produttive con Berlusconi e in corsa per uno scranno a Palazzo Madama, “noi possiamo essere determinanti per il risultato. Ma i nostri voti sosterranno soltanto una maggioranza di centrodestra. Non c’è un piano B”.
Dentro la sala, Giorgia Meloni improvvisa una danza sul palco, mentre la platea scandisce il suo nome. Qualcuno urla dei nostalgici e folcloristici “vinceremo!”. Altri gridano “fuori fuori!” quando il discorso della leader tocca il dossier immigrazione. Alla fine, si va tutti insieme a deporre una corona di fiori all’altare della patria, in onore dei martiri delle foibe. Il suggello al patto d’onore contro gli aspiranti traditori.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 18th, 2018 Riccardo Fucile
RENZI APRE A GENTILONI, PRODI REGISTA DI GARANZIA PER UNA SOLUZIONE ALLA TEDESCA
La foto di giornata immortala una campagna, diciamo così, duale.
Come se il partito (il Pd di Renzi), e il governo (di Gentiloni) viaggiassero su binari diversi, pur all’interno di un canovaccio elettorale comune.
Ma è diversa la proiezione sul futuro.
Ecco Matteo Renzi, nel corso della sua intervista a In Mezz’ora in più: la sua immagine è quella del Pd, un partito in affanno e in rincorsa di consensi, inevitabilmente legato al passato della sua stagione, mai fino in fondo elaborata.
E di un leader che ha la consapevolezza che, anche nel caso di larghe intese, la partita su palazzo Chigi riguarda, in primo luogo, il capo dell’attuale governo: “Il premier potenziale? Lo deciderà il presidente della Repubblica. È chiaro che chi ha fatto il presidente del Consiglio come Paolo Gentiloni potrà giocare le sue carte per il futuro. Noi non litigheremo mai, anche perchè a sinistra litigano già abbastanza”.
Da tempo è stata archiviata la retorica (ricordate il congresso con spirito di rivincita?) del “segretario del Pd che secondo lo statuto è candidato premier”.
Ma qui c’è qualcosa di più: c’è l’associazione del nome (Gentiloni) al “futuro”.
È un salto, certamente imposto dalla debolezza certificata dagli indici di popolarità e fiducia verso l’attuale premier e ma anche dalla pressione “ambientale”.
Perchè è evidente che la discesa in campo di Romano Prodi al fianco di Gentiloni ha un significato e un “peso” che va ben oltre i voti che può spostare il Professore sulla lista Insieme.
È un ulteriore elemento di garanzia, per il dopo voto, dellla soluzione “tedesca”, capace di arginare i “populisti” auspicata dall’establishment e le cancellerie europee auspicano, anche per l’Italia.
Prodi ha impresso a questa campagna elettorale noiosa e senza picchi di grande politica, un balzo temporale in avanti, in termini di schema, come già fossimo al 5 marzo.
Mettete in fila le foto, degli ultimi tre giorni: Gentiloni con la Merkel, Prodi con Gentiloni, Renzi che per prima volta prefigura un “Gentiloni dopo Gentiloni”.
Un doppio binario, dunque, come naturale conseguenza del processo politico che ha preso forma in questo anno: la fatica del Pd, l’agenda del governo.
Poco dopo, al suo fianco c’è Marco Minniti, ministro di peso e vera “novità ” del governo post 4 dicembre: snocciola dati, racconta dello sviluppo operativo dei suoi dossier in Italia e negli incontri internazionali, parla di cybersecurity, immigrazione, sicurezza.
Se ne ricava l’impressione che in qualche modo il governo sia andato avanti, appropriandosi dell’elemento concreto rispetto all’afonia del Pd, politica e identitaria. È la storia di un rapporto irrisolto — e la dichiarazione di oggi su Gentiloni non lo risolve del tutto — tra Renzi e questo governo e con ministri che si sono imposti con una propria personalità e una propria agenda.
Vissuto all’inizio come un ostacolo sul terreno del voto anticipato, ora come una gabbia che ne limita e ne condiziona lo spazio di azione il 5 marzo, qualora vi fossero le condizioni delle larghe intese, rischia di diventare anche il baricentro di un nuovo assetto politico del centrosinistra dopo il voto, una volta registrato un risultato poco entusiasmante per il Pd: un nuovo centrosinistra, più inclusivo, ulivista, con una leadership più in grado di unire e di ricucire gli strappi di questi anni.
Ma a quel punto, a urne chiuse, saranno i fatti, prima ancora delle scelte, dei posizionamenti e delle trame dell’oggi a dire quale dei binari ha un futuro.
O se, semplicemente, è deragliato il treno per tutti.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 18th, 2018 Riccardo Fucile
UNA PICCOLA RASSEGNA DELLA PENOSE GIUSTIFICAZIONI E DELLE BALLE RACCONTATE
«Ero… rimasto senza benzina. Avevo una gomma a terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi. La
tintoria non mi aveva portato il tight. C’era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C’è stato un terremoto! Una tremenda inondazione! Le cavallette! Non è stata colpa mia!»: le motivazioni di Jake per spiegare all’ex fidanzata perchè le ha dato buca il giorno del matrimonio impallidiscono di fronte a quelle che in questi giorni sono riusciti a dare i grillini per giustificare la Rimborsopoli M5S.
Oggi, ad esempio, Roberto Fico, non implicato nella vicenda, riesce a mettere insieme una serie di supercazzole tali da meritare un posto in parlamento:
«Di che errori parla? Le parlamentarie sono andate benissimo. Siamo stati gli unici a dare la possibilità ai propri iscritti di comporre le liste votando».
Con il risultato che avete come capilista persone che truccavano i bonifici?
«Non potevamo saperlo, abbiamo subito una truffa. La fonte delle Iene ha fatto in modo che questa storia uscisse a liste depositate proprio per metterci in difficoltà ».
Potevate controllare.
«Abbiamo fatto una cosa bellissima. Abbiamo devoluto i soldi direttamente al Mise per un criterio di estrema trasparenza e indipendenza del fondo».
Fico infatti riesce a sostenere che le sue Parlamentarie siano andate benissimo nonostante le tonnellate di proteste degli attivisti, anche campani, nei confronti di un metodo di selezione che ha visto esclusioni eccellenti senza alcuna motivazione.
Poi, senza nemmeno arrossire, se la prende con “la fonte” delle Iene che ha fatto uscire questa storia “a liste depositate” nonostante il controllo delle liste e quello dei bonifici spettasse a loro e non alle fonti dei giornali.
I candidati del maggioritario sono stati scelti da Luigi Di Maio: è lui che non ha controllato, si è fidato, non è stato capace nemmeno di fare una piccola ricerca su Wikipedia per scoprire che l’ammiraglio Veri, presentato per primo nel giorno dei “supercompetenti”, era stato candidato sindaco con il centrosinistra nella sua città . Questo di chi è colpa, della fonte delle Iene?
Ma d’altronde Roberto Fico è quello che qualche tempo fa ci spiegava l’estremo sacrificio di prendere 3000 euro al mese, o che prima diceva che il programma M5S sull’immigrazione sarebbe stato fatto dai parlamentari e poi, non appena Grillo ha fatto “Bu”, è sparito dalla circolazione perchè, come diceva Manzoni, uno il coraggio non se lo può mica dare.
Chi invece meriterebbe di rientrare con tutti gli onori nel M5S, perchè ha dimostrato di avere proprio la faccia come il MoVimento 5 Stelle, è l’avvocato Maurizio Buccarella: prima in un post inventa scuse improbabili per spiegare come mai sono spariti bonifici per 12mila euro, accusando i giornalisti di non meglio precisati complotti nei confronti della sua forza politica.
Poi, quando Di Maio spiega che il suo buco è di 137mila e non di dodicimila euro, sostiene che i tremila euro al mese fossero troppo pochi per mandare avanti anche il suo studio di avvocato.
Peccato che nella dichiarazione dei redditi 2013 dichiarasse come reddito totale la bellezza di euro 11mila.
Ancora: Emanuele Scagliusi quando nel servizio delle Iene gli chiedono come mai manchino 1000 euro da uno dei suoi bonifici nega: non è possibile, non è mai successo, o forse magari è un errore di digitazione.
Non si tratta di un errore di digitazione, perchè il documento caricato su Tirendiconto riporta una cifra mentre il bonifico arrivato sul conto del ministero ne ha un’altra.
Una volta messo alle strette, Scagliusi sostiene di aver preso “in prestito” mille euro “per dei controlli medici sulla mia persona che volevo rimanessero nascosti ai miei cari”.
Ok, ma questo significa che i suoi cari gli controllano il conto? Vedono cosa paga? Non poteva prelevare i soldi e pagare i controlli medici in contanti?
La senatrice Elisa Bulgarelli scrive su Facebook “Ovviamente per quanto riguarda la mia posizione, sarà tutto chiarito. Ringrazio le Iene per avermi dato la visibilità che non ho mai avuto”. La sua posizione non viene chiarita, la senatrice cancella lo status e adesso pubblica lanci di agenzie di stampa in cui Di Maio se la prende con la RAI perchè non parla dell’inchiesta di Fanpage sul figlio di De Luca. E la posizione chiarita?
Barbara Lezzi invece sostiene che il suo bonifico non sia andato a buon fine.
Antonio Bordiga, responsabile dei sistemi di pagamento di Banca Sella, al microfono di Filippo Roma dice che la revoca del bonifico poteva essere fatta solo tramite richiesta e firma del cliente».
E lei? Dice che vuole un confronto con la banca. All’americana?
Poi c’è la bella coppia Girolamo Pisano — Ivan Della Valle. Il primo manda messaggi minacciosi a mezzo stampa: “Invio un messaggio a tutti i parenti, amici e persone che mi conoscono da un punto umano e professionale: non ho tolto nulla a nessuno, non ho causato danni allo Stato, non ho usato soldi di terzi e non ho mai violato una legge. Chiarirò tutto e spiegherò a tutti quello che non è mai stato raccontato del M5S visto dall’interno mettendo in ridicolo, anche l’intero sistema, un vero specchietto per le allodole“.
Ok, ma perchè parli solo ora?
Il secondo invece ammette candidamente di aver falsificato i bonifici con Photoshop e intanto scopre che il M5S ha tradito i suoi principi.
Pure lui, a scoppio ritardato e soltanto quando è stato beccato con il sorcio in bocca. E si potrebbe continuare all’infinito, ma alla fine non è nemmeno tanto giusto prendersela con i parlamentari del MoVimento 5 Stelle.
È proprio l’essere umano che negli anni Duemila sembra aver smarrito quel sentimento che, dalla notte dei tempi, spinge l’uomo a migliorarsi: la vergogna.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 18th, 2018 Riccardo Fucile
IL RECORD DI INNOVAZIONE SPETTA AL M5S E A LEU… CASINI ALLA NONA LEGISLATURA… LE DONNE AGGIRANO LE QUOTE ROSA
Oltre due su tre dei candidati nei collegi uninominali, dove il risultato è più incerto rispetto ai collegi plurinominali, non ha alle spalle alcun mandato da parlamentare.
È quanto emerge da un’analisi sulle candidature realizzata dall’Istituto Cattaneo.
Le “new entry” in lista sono di più nei due partiti più «nuovi», come Leu e il M5S: rispettivamente il 92% e l’86% dei loro candidati nella competizione uninominale può essere definito come una new entry nel circuito dei potenziali parlamentari.
Le due coalizioni di centrodestra e centrosinistra, invece, riportano un livello di innovazione nel reclutamento dei candidati inferiore rispetto alla media.
Ad esempio, per i partiti di centrosinistra la quota di new entry tra i candidati nei collegi uninominali si riduce al 57,5%, cioè di quasi 20 punti percentuali rispetto al valore medio.
I «più anziani»
Ed è proprio nel centro-sinistra che si trova il candidato con più legislature alle spalle: ben nove, è Pierferdinando Casini, in corsa nel collegio uninominale di Bologna.
Se eletto, inaugurerà la sua decima legislatura (si è affacciato in Parlamento per la prima volta nel 1983: è stato eletto otto volte alla Camera e una volta al Senato).
I gnazio La Russa (FdI), Massimo D’Alema (LeU) ed Emma Bonino(+Europa) seguono, con sette legislature a testa.
«Fra i candidati al proporzionale con la più lunga carriera parlamentare alle spalle – rileva l’Istituto Cattaneo – spiccano, oltre ai già nominati D’Alema e La Russa, Maurizio Gasparri, Elio Vito (FI) e Roberto Calderoli (Lega), con sette legislature a testa».
Le pluricandidature che aggirano le quote rosa
Sono 472 su complessivi 2970 i candidati presenti in più collegi, tra uninominali e proporzionali: molti di essi sono donne, il che si tradurrà spesso nell’ingresso effettivo in Parlamento di un maggior numero di candidati uomini, aggirando così l’obbligo del Rosatellum delle quote rosa, come già anticipato da La Stampa .
È interessante notare, sottolineano i ricercatori dell’Istituto Cattaneo, «che la gran parte di queste pluricandidature riguardi candidate donne.
Tutte le 16 candidate impegnate in 5+1 competizioni sono donne; sono donne anche 12 dei 14 candidati in 4+1 collegi e 9 dei 14 candidati in 3+1 collegi».
E l’istituto spiega: «Si potrebbe vedere in questo un tentativo dei partiti di dare maggiore visibilità e importanza alle candidature femminili; al contrario, più realisticamente, c’è da aspettarsi che queste pluricandidature apriranno la strada, per ogni candidata eletta, a cinque (o quattro, o tre) eletti uomini».
«Dato l’obbligo di alternanza uomo/donna nei listini proporzionali – concludano i ricercatori – le pluricandidate che otterranno il seggio uninominale lasceranno inevitabilmente il loro posto ai colleghi uomini che le seguono nelle liste dei collegi proporzionali».
(da “La Stampa”)
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Febbraio 18th, 2018 Riccardo Fucile
IL PAUPERISMO IN CASA ALTRUI… LA POLITICA COSI’ TORNA AD ESSERE AFFARE ESCLUSIVO DI CHI HA RISORSE PROPRIE O DI CHI E’ RICATTABILE
Il vocabolo “pauperismo” ha due significati: in economia descrive l’impoverimento di quote di
popolazione o di aree di un paese (è sinonimo di “depauperamento”); per gli storici identifica i movimenti spirituali e, in parte, sociali che nel Medio Evo e poi nel ventesimo secolo fanno della povertà una scelta di vita da contrapporre agli stili immorali di chi conta su enormi fortune, come gli ecclesiastici cattolici nel Duecento e nel Trecento e, più recentemente, i grandi capitalisti dell’Occidente.
In questa seconda accezione, si sottintende generalmente che il povero non ha vizi mentre il ricco ne è una sentina.
Da qualche tempo in Italia il pauperismo è tornato di moda in una versione creativa e ridotta: molti cittadini si scoprono neo-pauperisti non perchè improntano la propria condotta secondo le regole di San Francesco d’Assisi o San Domenico di Guzman, ma in quanto pretendono che chi amministra la cosa pubblica non si sostenga con i proventi del proprio incarico.
Secondo questi elettori, i politici e anche i funzionari dello Stato “prendono tanti soldi per non fare nulla”, le istituzioni “costano troppo”, le tasse servono solo a “ingrassare ministri e parlamentari”.
Il pauperismo da praticare in casa altrui viene giustificato dai frequenti scandali con relative ruberie e dalla diffusa sensazione che la qualità dei servizi stia progressivamente scadendo.
A corroborare le critiche populiste intervengono i sondaggi che confermano la scarsissima popolarità della quale godono sia gli eletti a ogni livello, sia quanti al loro mondo fanno riferimento (i giornalisti, i sindacalisti, i professionisti dell’amministrazione pubblica eccetera).
La politica e quel che la circonda sono ormai considerati attività senza pregio, che attirano falliti e cialtroni, parolai inconcludenti che per di più pretendono di essere ben pagati.
Non è nemmeno raro che siano gli stessi leader politici, dimostrando scarsa intelligenza e preveggenza, a bollare in questi termini gli avversari.
Il fenomeno ha conseguenze evidenti. Il clima di sfiducia nei confronti della politica trattiene i giovani migliori dall’impegno nella società e nei partiti: in assenza di riconoscimento sociale, perchè dovrebbero entrare in contatto con le problematiche dei loro comuni e ambire ad avere, un giorno, ruoli di governo?
Nemmeno i più testardi tra loro sanno dove e come imparare qualcosa, visto che i partiti hanno chiuso le scuole quadri.
Nel deserto, quando viene il tempo di compilare le liste elettorali ci si affida alla salvifica quanto fantomatica “società civile”.
In alcuni casi, come con il Movimento 5 Stelle, la selezione del personale politico privilegia addirittura chi non ha alcuna esperienza rispetto a chi ha fatto qualcosa (che è il solo modo noto per compiere errori), con conseguenze devastanti come quelli che amareggiano la quotidianità dei cittadini romani.
C’è da chiedersi se ci sia ancora qualcuno di qualità disposto a assumersi responsabilità pubbliche quando i neo-pauperisti teorizzano la minima retribuzione per chi mette a disposizione il proprio tempo e la propria esperienza per un incarico elettivo.
L’ipocrisia del taglio degli stipendi degli eletti va denunciata.
Il rischio è che così la politica torni ad essere affare esclusivo di chi ha risorse proprie e fini eterogenei rispetto a quelli del bene della comunità , come fu con Silvio Berlusconi, che non aveva davvero bisogno di ritirare lo stipendio da parlamentare.
L’indipendenza e l’autonomia economiche garantite dalla retribuzione del proprio lavoro quotidiano sono invece presupposti della incorruttibilità .
Chi è nel bisogno corre il pericolo di essere ricattabile, di fare favori a pagamento, di svendere i propri ideali pur di tirare la fine del mese.
Dev’essere di monito il caso dei deputati e dei senatori M5S che s’inventano trucchi contabili pur di non versare una parte rilevante del proprio stipendio come ordina il partito.
È umiliante vedere decine di eletti costretti a fare bonifici fittizi e poi mostrare online le ricevute false: senza soldi in tasca, non avrebbero di che pagare le bollette, rinnovare le polizze, assicurare gli alimenti alle ex mogli.
Hanno detto bugie e agito con scarsa moralità , eppure vanno capiti. Analogamente, si deve diffidare di quanti promettano di autotagliarsi gli stipendi da eletti e di tagliare quelli dei colleghi.
A loro, parafrasando l’abusato “No Taxation without Representation”, si dovrebbe opporre un “No Representation without Compensation”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 18th, 2018 Riccardo Fucile
LE AZIENDE IN DIFFICOLTA’ CON LA MANODOPERA: “ALTRIMENTI DELOCALIZZIAMO”… A DIMOSTRAZIONE CHE IN EUROPA C’E’ ANCHE CHI USA IL CERVELLO
Basta con le espulsioni facili di migranti qualificati: danneggiano l’economia in un momento in cui la forte crescita aumenta il bisogno di manodopera sempre scarseggiante, visto che abbiamo appena dieci milioni di abitanti e la natalità cala.
Lo dice una lettera aperta senza precedenti, pubblicata sul quotidiano economico e finanziario Dagens Industri da trenta amministratori delegati delle maggiori aziende svedesi.
Nomi dell’economia globale, da Ericsson (telecomunicazioni, elettronica) al colosso dell’abbigliamento H&M.
Gli imprenditori chiedono al governo di fare piຠattenzione alle situazioni concrete e di non mettere in difficoltà le aziende che spesso, proprio selezionando migranti ad alta o buona qualifica professionale, risolvono i loro problemi di organico e riescono quindi a tenere il passo con la solida crescita economica, specie nelle eccellenze, nei settori manufatturiero e internettiano, e in generale nell’export di qualità che produce circa metà del prodotto interno lordo della piຠimportante e avanzata economia del nord.
“Siamo aziende globali grandi di un paese demograficamente piccolo, quindi abbiamo bisogno di reclutare dipendenti qualificati a prescindere dalla loro nazionalità “, dice la lettera aperta dei big della confindustria svedese, e continua: “Non possiamo sperare che ingegneri, specialisti di It e altre persone qualificate accettino di lasciare il loro paese e di puntare a venire a stabilirsi da noi integrandosi e lavorando se su di loro pesa l’incubo del respingimento anche quando sono già occupati o hanno già fondato la loro start-up”.
Il Migrationsverket, l’autorità per l’immigrazione, ha introdotto una politica di selezione durissima e di respingimenti o espulsioni facili da quando – dopo l’inizio della grande ondata migratoria nel 2015, quando la cancelliera tedesca Angela Merkel disse “ce la facciamo, accogliamoli tutti” senza consultare i governi degli altri paesi membri dell’Unione europea – Svezia e altri paesi nordici sono stati investiti da arrivi in massa come Italia o Grecia.
In rapporto al numero dei suoi cittadini, la Svezia è il paese che ha accolto piຠmigranti in Europa. Allora, visto anche il sorgere di seri problemi di integrazione fallita, crimine e ordine pubblico, sono cominciate appunto politiche dure di espulsioni facili.
Espulsioni a volte rivelatesi inutili per la sicurezza dei cittadini e dannose all’economia.
E’ esplosa una dura polemica sul caso di Hussein Ismail, vicedirettore generale di un’azienda di biotecnologie di gran successo di cui egli è stato dal 2012 uno dei creatori. E’ stato colpito da provvedimento di espulsione perchè aveva deciso per dare esempio solidale di autoridursi la retribuzione. Lo aveva fatto per aiutare l’azienda a superare difficoltà di bilancio.
Nella loro lettera aperta e in dichiarazioni ai media i grandi del made in Sweden non usano mezzi termini.
Parlano di “politica assurda che danneggia e indebolisce il sistema-paese”. E reagiscono anche con una chiara minaccia, in questo 2018 che sarà dominato dalle elezioni politiche previste per settembre e alle quali ci si aspetta un successo dei populisti xenofobi ed euroscettici, gli SverigeDemokraterna.
L’ad di Ericsson, Bà¶rje Ekholm, ha esplicitamente detto che se le autorità non la smettono di cacciare i dipendenti stranieri extracomunitari qualificati diverrà indispensabile via di salvezza per i maggiori gruppi svedesi procedere a massicce delocalizzazioni.
“L’immigrazione economica deve funzionare in modo razionale e prevedibile per permettere a gruppi come Ericsson di tenere in patria le principali attività produttive e di ricerca”, egli ha ammonito.
La palla adesso è nel campo dei politici – sia il governo di minoranza socialisti/verdi sia il centrodestra per bene che lo appoggia dall’esterno – politici i quali hanno tutti lanciato campagne elettorali segnate da proposte di linea dura sul tema migranti per paura di essere sorpassati nei consensi dal partito populista.
L’industria non ci sta, suona l’allarme, minaccia chiaramente di fare le valigie.
(da agenzie)
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Febbraio 18th, 2018 Riccardo Fucile
SERVONO 600.000 ALLOGGI POPOLARI, MA LA DESTRA PATACCA ITALIANA SE NE FOTTE … QUEI SILENZI DEI POPULISTI SUI CLAN MAFIOSI CHE GESTISCONO LE OCCUPAZIONI ILLEGALI
Nella seconda Repubblica nessun tema ha avuto tanto spazio nelle promesse elettorali come quello
della casa.
Tutti ricordano Silvio Berlusconi annunciare l’addio all’Ici (allora si chiamava così) sugli alloggi di residenza.
Matteo Renzi lo ha seguito, agguantando i favori della gran parte degli italiani storicamente proprietari dell’abitazione in cui abitano.
La destra ha pensato (e condonato) anche alla stanzetta in più, la loggetta coperta, il terrazzino trasformato in veranda, alle “libere” destinazioni d’uso, producendo un numero considerevole di piani casa.
Si sognava una società in cui tutti diventassero proprietari, grazie alle cartolarizzazioni di tremontiana memoria. che alla fine però hanno assicurato solo ricchi incassi alle società di collocamento dei beni immobiliari.
Con il centrosinistra il tema si è declinato in altro modo: sgravi per le ristrutturazioni, per gli affitti degli studenti, per la sicurezza sismica, per il risparmio energetico, per i condomìni, fino a chi vuole riorganizzare giardini e balconi, oltre agli sconti fiscali a chi affitta la seconda casa con la cedolare secca.
Una sola cosa è comune a tutti e due gli schieramenti: il sostanziale azzeramento dell’edilizia popolare pubblica.
Tanto che, nonostante il gran parlare di casa e di “tetti” per le famiglie, l’emergenza abitativa ha raggiunto livelli allarmanti, soprattutto nelle grandi città (a Roma c’è una lista d’attesa di 16mila famiglie, a fronte di assegnazioni di 490 case l’anno).
Si stima un fabbisogno di 600mila alloggi per garantire il diritto all’abitazione ai più deboli, evitando le migliaia di sfratti che spesso coinvolgono famiglie con minori o disabili (nel 2016 ci sono stati 61.718 sfratti, di cui quasi 55mila per morosità , con 35mila esecuzioni operate con la forza pubblica).
Eppure, terminata la lista di aiuti fiscali destinati ai proprietari, a conferma che la casa in Italia è considerata più una rendita che un pezzo di welfare, (aiuti che peraltro hanno aumentato la diseguaglianza tra chi è proprietario e chi non lo è), la politica ha cancellato il tema.
Berlusconi ormai parla solo di flat tax. Renzi si concentra sui benefici del Jobs Act e sui diritti civili. Evidentemente quel richiamo a Fanfani che il giovane leader dem aveva indicato oggi è sbiadito. I 5 Stelle puntano sul reddito di cittadinanza.
Così la “parola” casa resta nelle mani dei populisti di destra, che a ogni occasione utile lanciano lo slogan “le case agli italiani”, infrangendo tutte le convenzioni internazionali e i Trattati europei, che impongono parità di trattamento tra autoctoni e stranieri regolarmente residenti nel caso di un bene così importante per la sopravvivenza.
Da aggiungere, poi, che nei manifesti della destra non compaiono proposte – neanche per i poveri italiani – per il recupero del patrimonio immobiliare abbandonato o per risanare il fenomeno delle occupazioni illegali, spesso gestite da clan malavitosi (su cui, perlatro, non si sentono proteste).
Nei programmi elettorali delle forze politiche che, stando ai sondaggi, hanno più possibilità di andare al governo, non c’è traccia di questo argomento.
Nel programma di Liberi e Uguali c’è l’indicazione al diritto alla casa, con un riferimento al recupero delle case abbandonate, che oggi pesano sui bilanci delle banche. Gli unici che (meritoriamente) parlano esplicitamente di un piano di edilizia popolare sono i gruppi riuniti nella lista Potere al Popolo.
Nel loro programma si parla di un sostanzioso investimento pubblico nelle case popolari, che, oltre a risolvere un pesante e perdurante problema sociale, farebbe da volano dell’economia, alla stregua delle grandi opere tanto propagandate a destra e a manca.
Almeno una proposta c’è: peccato che sia di una lista che ad oggi non sembra riuscire a raggiungere la soglia del 3% necessaria ad entrare in Parlamento.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 18th, 2018 Riccardo Fucile
ALLA CONVENTION ALL’ADRIANO LA MELONI CONTINUA A DIRE “CACCIATO SE COLPEVOLE”, LA RUSSA E CROSETTO NON SANNO PIU’ CHI SIA
“Sono cose che non fanno mai piacere. Cercheremo di valutare la posizione di Luciano Passariello quando avremo tutti gli elementi”, dice Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia.
“Non ho gli elementi per giudicarlo, speriamo di avere qualche elemento di più anche nelle prossime ore per poter fare chiarezza. Se dovesse essere eletto e poi condannato, chiederei le sue dimissioni” (come se si dimettesse… n.d.r.)
Nulla di diverso da tutti gli altri partiti quando qualcuno viene indagato: nonostante sia da tempo iscritto al partito e consigliere regionale in Campania, evidentemente nessuno ha mai avuto perplessità sul suo modo di gestire i rapporti politici, con un segretario che lo “rappresenta” negli incontri con il boss della camorra riciclato dsa Fanpage.
Nessuno che prenda il coraggio a due mani e lo sospenda.
Non solo, ora siamo alle crisi di memoria.
“Passariello? E chi è?”, dicono Ignazio La Russa e Guido Crosetto. “Le liste si fanno guardando a quello che si sa in quel momento. Quando abbiamo fatto le liste, questa inchiesta tutta da decifrare ancora non esisteva”.
Quindi un partito non è in grado di valutare un suo esponente “chiacchierato” se non dopo l’intervento della magistratura, tesi originale.
“Se non dovesse essere innocente, saremo i primi a cacciarlo da Fdi”, dice Fabio Rampelli. “Ma questa è giustizia a orologeria”.
Rampelli dimentica che l’inchiesta di Fanpage tocca anche il Pd con De Luca, quindi non si vede dove sia il complotto.
Quanto ad Agostino Chiatto, spiega Giorgia Meloni, “è diffidato dall’associare il suo nome per il futuro dei suoi giorni ad una realtà come Fratelli d’Italia. Ho visto le immagini che mi fanno capire quali sono le responsabilità di questa persona”, spiega Meloni.
E qui siamo alla farsa, alla diffida “per il futuro”.
Ma sul fatto che Chiatto ha affermato di essere il tesoriere di Fdi a Napoli nessuna smentita dal partito.
(da agenzie)
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Febbraio 18th, 2018 Riccardo Fucile
E’ CANDIDATA DELLA LEGA A TREVISO E SPERA DI PRENDERE VOTI DAI PISTOLERI DELLA DOMENICA INCAPACI DI CHIAMARE IL 112
Dietro alla pistola c’è il volto sorridente di una giovane sindaca candidata con la Lega. Chiede
sicurezza mentre spara al poligono e tanto basta a infiammare la campagna elettorale in Veneto.
In poche ore le polemiche trascendono e Facebook decide di censurare il manifesto web di Angela Colmellere, prima cittadina a Miane, un piccolo comune del Trevigiano. Troppe le segnalazioni degli utenti.
I partiti rivali rincarano e, Pd in testa, accusano la Lega di fomentare «una campagna che incita alla violenza».
Il Carroccio fa muro e la sindaca replica: «Mi hanno augurato ogni male minacciandomi di morte, denuncerò chi mi ha insultata».
Il «santino» elettorale
Il «santino» elettorale era online da qualche ora e ritraeva Angela Colmellere al poligono al fianco del simbolo padano: «Scegli la sicurezza, il 4 marzo sostieni chi può garantirla». Il messaggio arrivava senza mediazioni: «Chi difende la propria famiglia non deve ritrovarsi imputato per tentato omicidio, con l’aggravante di dover pure risarcire il criminale”
Chi è
Sindaca di Miane, un paese con poco più di tremila abitanti in provincia di Treviso, dal 2009, insegnante di 41 anni, Colmellere è capolista al plurinominale alla Camera (un posto che da queste parti garantisce un accesso diretto al Parlamento).
Ha deciso di cavalcare il tema della legittima difesa perchè la Lega ne ha fatto uno dei capisaldi della campagna elettorale. Il Partito democratico ha preso le distanze da un «messaggio per pistoleri e cecchini», o per dirla con le parole della sfidante Dem nel collegio di Colmellere, Isabella Gianelloni, «la violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci, diffondere il terrore è scellerato e incosciente». Per la senatrice Laura Puppato il segnale è uno solo: «Farsi giustizia da soli».
Nonostante la rimozione, infatti, le tracce del manifesto sono rimaste, riempiendo le bacheche degli oppositori e alimentando la polemica.
(da “il Corriere della Sera”)
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