Febbraio 27th, 2018 Riccardo Fucile
IL VANGELO (Mt 25, 35-40) E LA COSTITUZIONE (ART.3) LO INCHIODANO A RINNEGARE TUTTO QUELLO CHE HA PREDICATO IN QUESTI ANNI
Sinceramente non mi aspettavo che Matteo Salvini rispolverasse l’antico giuramento di Pontida rubando anche quello, oltre che la Lega, a Umberto Bossi, ormai rimasto a mani nude.
Da Pontida a Milano. Là la cornice fu un’abbazia attorno ad un vescovo-abate, tutti decisi a lottare per la propria indipendenza, qui lo scenario è la piazza di Milano con il Duomo chiuso al nuovo leghista, che giura con il Rosario, il Vangelo e la Costituzione.
L’arcivescovo di Milano gli ha ricordato di occuparsi delle cose sue e di non scherzare coi santi perchè rischia di bruciarsi.
La sceneggiata è stata studiata a tavolino perchè in un colpo solo espone tre simbologie.
Il Rosario richiama la Battaglia di Lepanto del 1571, nella quale le armate «cristiane», coalizzate in «Lega Santa», sconfissero quelle musulmane, giunte alle porte di Vienna. Da allora nella Chiesa cattolica il mese di ottobre è dedicato a Maria, «Madonna del Rosario».
Il vangelo è un richiamo a tutte le frange estremiste del cattolicesimo fondamentalista che si oppone a Papa Francesco e invoca in ogni occasione lo «spirito di Lepanto» per espellere dal sacro suolo d’Italia e d’Europa gli immigrati e i miscredenti musulmani perchè l’unica religione deve essere quella cattolica in salsa leghista.
Matteo Salvini non è nuovo a queste sceneggiate fuori luogo: a ogni Natale gira per le strade con un presepio in mano, dimenticandosi il senso di quello che rappresenta.
La Costituzione italiana è una novità , che ha solo uno scopo diretto: accreditarsi come democratico «moderato»
In un gesto solo, Matteo Salvini è stato capace di fare tre atti blasfemi, calpestando ogni valore religioso e di civiltà , se mai ve ne fosse stato bisogno.
Peccato che nessuno sia intervenuto per un ricovero coatto, perchè con la serietà ha perso anche il senso di vergogna.
Queste le sue parole:
§«Mi impegno e giuro di essere fedele al mio popolo, a 60 milioni di italiani, di servirlo con onestà e coraggio, giuro di applicare davvero la Costituzione italiana, da molti ignorata, e giuro di farlo rispettando gli insegnamenti contenuti in questo sacro Vangelo. Io lo giuro, giurate insieme a me? Grazie, andiamo a governare e a riprenderci questo Paese».
Si dichiara fedele «prima» al suo popolo e solo dopo a 60 milioni d’italiani, e lo dice avendo in mano il libretto della Costituzione.
A queste parole quei libretti avrebbero dovuto bruciargli le mani e schizzare via come razzi perchè sono il codice del contrario di quello che il Matteuccio leghista, xenofobo, incitatore di paure, uomo piccino che per stare a galla e rimediare uno stipendio senza lavoro, semina non esitando a rimestare nel marcio e nel becero senza preoccuparsi nemmeno della sua ignoranza storica, culturale e religiosa.
Noticina storica per un veloce ripasso.
Il 7 aprile 1167, secondo la tradizione, nell’abbazia di Pontida, nel bergamasco, vi fu un giuramento di cinque comuni italiani lombardi contro Federico il Barbarossa, legittimo imperatore del Sacro Romano Impero.
Fu l’inizio di un lungo processo che porterà all’unità d’Italia- 820 anni dopo, Umberto Bossi si appropriò del ricordo storico e assunse la figura di Alberto da Giussano come simbolo della Lega-Nord con in programma solo la secessione del Lombardo-Veneto. Si fece anche una religione d’occasione, adorante il «dio Po», con pellegrinaggio-gita una volta l’anno al «Pian del Re» sul Monviso: ampolla, un sorso e via in trattoria a mangiare polenta e salsiccia.
Peccato che Alberto da Giussano non sia mai esistito, ma se bisogna fare riferimento storico a qualcuno, occorre scomodare un certo «Guido di Landriano» (Paolo Grillo, Legnano 1176. Una battaglia per la libertà , Laterza, 2010).
Salvini stia attento a giurare perchè nel vangelo che aveva in mano — era Vangelo? — c’è scritto:
«Ma io vi dico: non giurate affatto, nè per il cielo, nè per la terra… Non giurare neppure per la tua testa, perchè non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno» (Mt 5,34-37).
Matteo avvisato, Salvini mezzo salvato. Riguardo poi al tema che è l’unico della predicazione del Matteo leghista, cioè l’immigrazione e quindi gli stranieri, in quello stesso vangelo è pure scritto:
«“Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo [fatto tutto questo?]”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”» (Mt 25, 35-40).
Salvini Matteo ha giurato pubblicamente di osservare «gli insegnamenti contenuti in questo sacro Vangelo. Io lo giuro, giurate insieme a me? Grazie».
Si è fregato da solo perchè non può fare finta che sia stato un gioco, perchè qui si misura la sua dignità o indegnità .
Se non rispetta l’accoglienza dello straniero, dandogli assistenza per la vita e non per la sopravvivenza, è uno spergiuro.
Anche la Costituzione lo inchioda a rinnegare tutto quello che ha predicato con arroganza in questi anni, in questi giorni, in questa campagna elettorale.
Sono sufficienti pochi cenni di ripasso, per rinfrescare la memoria a chi sembra giocare con documenti solenni più grandi di lui e dei suoi:
Art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (art. 3 comma 1).
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 27th, 2018 Riccardo Fucile
POTREBBE ESSERE L’OCCASIONE PER SPUTARGLI IN UN OCCHIO, ALTRO CHE VENDERE L’ITALIA AI PAESI DELL’EST
“Io penso, anche in vista del prossimo nuovo governo di centrodestra” che l’Italia di domani
debba dialogare con i Paesi dell’Est europeo del gruppo di Visegrad piuttosto che con l’asse Ue franco-tedesco”.
Lo ha affermato la leader e candidata premier di Fdi Giorgia Meloni, ospite su Raiuno a Porta a Porta, accompagnata quale testimonial dalla madre di Pamela Mastropietro (per la serie speculiamo sui morti)
“Mi interessa molto quanto sta accadendo in Est Europa dove è al lavoro il gruppo di Visegrad che si sta molto occupando di difendere i confini europei dall’immigrazione incontrollata”.
Per capire quale sarebbe il mito della sedicente “patriota” ecco il testo dell’intervista rilasciata da Gabor Demszky, avvocato, che è stato per vent’anni, dal 1990 al 2010, sindaco di Budapest. Tra i fondatori dell’Alleanza dei democratici liberi (Partito liberale ungherese), ex parlamentare europeo e voce del dissenso nell’Ungheria comunista
«Il governo di Viktor Orban sta distruggendo lo stato di diritto democratico con una politica di chiusura sistematica delle istituzioni indipendenti, comprese quelle della società civile, che possono criticare la sua onnipotenza. Dalla caduta del Muro di Berlino, quando la dittatura comunista è stata schiacciata, mai come ora in Ungheria c’è stata una concentrazione di potere così forte nelle mani di un solo uomo. L’Unione Europea non può stare a guardare mentre il Paese viene tenuto in ostaggio da un tiranno provinciale e obsoleto».
Professor Demszky, in che modo Orban continua a concentrare il potere nelle proprie mani?
Il suo partito sta privando di autonomia tutte le istituzioni che hanno l’autorità di tenere sotto controllo l’attività del governo. Le ha modellate in modo da compromettere la loro funzione originaria: oggi servono a consolidare una autocrazia sfrenata sostenuta da vuoti slogan patriottici. La Corte Costituzionale, l’ultima istituzione rimasta a salvaguardia della legalità , è stata gradualmente trasformata in un corpo senza peso. Il numero dei suoi giudici è aumentato con magistrati notoriamente fedeli ai partiti di governo, tra cui un ex ministro e un membro del Parlamento che sono entrambi esponenti di Fidesz. Con la riforma del sistema giudiziario, l’Ufficio nazionale della magistratura è stato messo sotto l’influenza politica diretta del governo. Una deriva autoritaria iniziata con l’entrata in vigore nel gennaio del 2012 della nuova Costituzione, che limita fortemente la libertà di espressione ed è stata aspramente criticata anche da Bruxelles, insieme a diverse leggi fondamentali.
Leggi che il Parlamento ha approvato…
Il partito di Orban ha ridotto l’opposizione dei partiti di minoranza a una semplice questione di forma. Spogliando il Parlamento anche di una semplice sembianza di protocollo legittimo, lo ha posto nelle condizioni di mettere la parola fine a un confronto politico autentico. Anche il presidente della Repubblica, che dovrebbe agire indipendentemente, firma qualsiasi documento spinto sulla sua scrivania. La nuova legge elettorale limita in modo significativo l’espressione della volontà dei cittadini. Con la ridefinizione dei collegi elettorali e con il divieto di votare all’ultimo momento Orban ha creato un sistema che favorisce i candidati dei partiti di maggioranza. Con un obiettivo che è più ampio di quello del consolidamento del potere.
Qual è l’obiettivo?
È quello di cambiare radicalmente la società ungherese e, ricorrendo a minacce e ricatti, di creare un Paese codardo incapace di sfidare quella che è ormai una dittatura. Se fosse stata in queste condizioni nel 2004 l’Ungheria non avrebbe potuto aderire all’Unione Europea.
*E la stampa ungherese come reagisce?
Recentemente è stata istituita l’Agenzia nazionale per i media e le telecomunicazioni. È guidata da un presidente fedele a Fidesz e ha ampi poteri di regolamentazione e sanzioni. Le frequenze radiotelevisive sono distribuite in modo arbitrario, la stampa indipendente è esortata a esercitare anche l’autocensura di fronte alla minaccia di multe ingenti e le testate disobbedienti, esposte al pericolo di perdere gli inserzionisti sponsorizzati dal governo o quelli privati che temono ritorsioni, corrono il rischio di fallire.
Orban è conosciuto in Europa anche per le sue politiche anti-immigrazione.
Orban fa leva su una propaganda molto aggressiva in un Paese che è vittima di una grave crisi economica. Vuole dimostrare di essere un uomo forte e che gli immigrati non sono civilizzati ma, al contrario, sono dei barbari. Oggi siamo di fronte a un triste esempio di ciò che può accadere di fronte ai tentativi di risolvere i problemi economici e sociali con mezzi autoritari e con una politica di isolamento nazionalistico. Davanti a questo anche l’Europa è un bivio.
Cosa dovrebbe fare la Ue?
I sostenitori dello stato di diritto e della democrazia non devono accettare il governo di uno stato membro che schiaccia valori universali. È nell’interesse sia dell’Ungheria sia della Ue opporsi a Orban perchè l’Europa può disgregarsi non solo per motivi economici ma anche di fronte a politiche antidemocratiche. La situazione disperata dell’Ungheria, dove è giunta alla fine la democrazia liberale così come è interpretata dall’Occidente, dovrebbe essere un avvertimento per tutti. Non possiamo permetterci il lusso di imparare la lezione dopo un’altra elezione perduta.
(da agenzie)
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Febbraio 27th, 2018 Riccardo Fucile
NESSUN EVENTO POLITICO COMUNE, ALLA FINE CI SARA’ SOLO UNA FOTO, COME QUELLA DI NATALE, TRA I SEPARATI IN CASA BERLUSCONI, SALVINI E MELONI
Alla fine ci sarà solo una “foto”, a concludere questa campagna dei “separati in casa”. Con Berlusconi, Salvini e Giorgia Meloni che si incontreranno giovedì, giusto il tempo di uno “scatto” e qualche frase di circostanza sul centrodestra “unito”, “pronto a vincere” e “governare”, “senza polemiche” eccetera eccetera.
Una foto, non un evento politico vero, con tanta gente che applaude, ma può anche rumoreggiare (ricordate i fischi al Cavaliere alla manifestazione di Bologna, l’ultima assieme?).
Poi Salvini e la Meloni andranno ad arringare le loro sale.
E il Cavaliere che tornerà nella sua teca televisiva, in casa da Porro e il giorno dopo da Vespa, in conclusione di una campagna priva del contatto col popolo.
Più virtuale che reale, senza uno straccio di mobilitazione, tensione, passione, degna di questa nome.
Non è un dettaglio che i tre leader di centrodestra non riescano ad andare oltre qualche cartolina di circostanza, come fu all’inizio, con lo scatto di Natale ad Arcore sotto l’albero che, per un istante, ebbe l’effetto di un deja vu a casa del padre padrone del centrodestra.
Due foto e niente più. Al dunque, il centrodestra inteso come coalizione politica, con un vincolo, un popolo comune, una classe dirigente armonica, non c’è.
Solo qualche mese fa in Sicilia, a pochi giorni da una vittoria annunciata, Berlusconi e Salvini tennero comizi nello stesso pomeriggio a Catania, per poi scattare, anche in quel caso, una foto (arrivò anche Giorgia), davanti a un arancino, tra sorrisi fin troppo ostentati, odi trattenuti e battute mal riuscite.
A proposito, qualche giorno dopo il leader della Lega si sarebbe tirato fuori dalla giunta (con un aspirante assessore leghista indagato)
Ci si sarebbe aspettato qualcosa di più ambizioso di un remake con qualche tartina e prosecco chissà dove, dopo una semplice conferenza stampa.
La verità è che Berlusconi ne avrebbe fatto addirittura a meno. Conoscete l’uomo, non è tipo che si scandalizza se non viene salvata l’apparenza.
E non è detto che, di qui a giovedì scopra all’improvviso consultando l’agenda che, sia pur con tutta la buona volontà , è proprio difficile incastrare gli impegni.
Anche se, a questo punto, è difficile sottrarsi senza creare un caso.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 27th, 2018 Riccardo Fucile
INVECE CHE PARLARE A VANVERA DI “CLAUSOLA DI SUPREMAZIA” SAREBBE MEGLIO SI LEGGESSE LA COSTITUZIONE TEDESCA
Giorgia Meloni si ispira ad Angela Merkel, ma il suo “modello Germania” per regolare i rapporti
nazionali con l’Europa la porta a una doppia bocciatura.
La leader di Fratelli d’Italia lunedì 26 gennaio a Otto e Mezzo su La 7 ha dichiarato: “Io voglio essere europeista come i tedeschi […]. In Germania la Costituzione tedesca viene prima delle norme europee. Il che significa che quando l’Europa fa delle norme che vanno contro gli interessi della Germania, la Costituzione le rende inapplicabili”. Principio che lei ha più volte chiamato “clausola di supremazia”.
Qualche giorno prima, a In Mezz’ora da Lucia Annunziata, aveva anche aggiunto: “La Corte tedesca risolve questo problema dicendo: tra due leggi che confliggono, tra la legge tedesca e quella europea, entra in vigore quella economicamente più vantaggiosa”.
Il primo rosso arriva proprio in merito alla clausola di supremazia, che non riguarda il rapporto con l’Unione Europea.
L’art. 72 GG della Costituzione tedesca infatti, fa riferimento al rapporto tra Federazione e Regioni e prevede la supremazia della legge federale su quella dei Land in varie materie, senza fare alcun esplicito accenno alle normative europee.
Qui si parla anche di “tutela dell’unità giuridica o economica nell’interesse dello Stato”, come sembra suggerire Meloni, ma non in riferimento al conflitto con norme comunitarie.
Non è possibile, infatti, che la Costituzione o la Corte Costituzionale degli Stati membri si esprimano sulle normative europee in base a “interessi economici vantaggiosi”.
Il secondo rosso, invece, arriva quando Meloni afferma di voler introdurre nel nostro Paese un principio esistente in Germania per regolare i rapporti con la Ue.
Qualcosa di simile però è già previsto in Italia ed è nota come teoria dei controlimiti. Nell’art. 23 GG della Costituzione tedesca, infatti, si sancisce che solo in caso di violazione dei principi fondamentali e caratterizzanti l’ordinamento costituzionale, la Costituzione prevale sulle normative comunitarie.
Nè l’interesse nazionale nè quello economico sono contemplati.
Lo ha ribadito una sentenza della Corte Costituzionale tedesca nel 2009, attraverso il principio dei controlimiti.
Questo principio esiste, però, anche in Italia: secondo il pronunciamento della Corte Costituzionale del 1984 , anche nel nostro Paese c’è preminenza delle normative europee sull’ordinamento italiano salvo i casi in cui si violino i principi fondamentali e va ricordato che le sentenze della Corte in Italia valgono come fonti primarie (al pari delle leggi ordinarie).
(da “La Stampa”)
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Febbraio 27th, 2018 Riccardo Fucile
ACCUSARE IL FORESTIERO ASSOLVE LA COMUNITA’ AUTOCTONA DALL’OBBLIGO MORALE DI INTERROGARSI SUI PROPRI ERRORI
Bologna stazione, ore 15. Visione caleidoscopica di un Paese in tilt. Freccerosse in ritardo di tre, quattrocento minuti. Tabelloni elettronici assurdi, che mostrano i treni delle 10 del mattino ma non quelli in arrivo imminente.
Annunci sonori automatici resi incomprensibili dal frastuono del pubblico posseduto da un frenetico andirivieni. Nessuna voce autorevole che spieghi cosa accade e indirizzi i passeggeri. Scale mobili prese d’assalto.
Fiumane che salgono e scendono negli inferi dell’alta velocità . Impossibile sedersi, alcune donne anziane piangono. Fuori fa freddo, e la sala d’aspetto è strapiena. E meno male che c’è, oggi che in Italia si paga anche per la pipì.
La stazione di Bologna è un purgatorio dove regna un sottomesso silenzio. Nessuno impreca. Comunicazione interpersonale zero. Tutti sono chini sugli smartphone, ciascuno per conto suo, separatamente in cerca di vie d’uscita alternative.
E intanto, nei corridoi sotterranei, ecco la visione surreale di cinque uomini in mimetica che, anzichè soccorrere i naufraghi delle “frecce”, attorniano armati uno straniero di pelle scura che cerca nella giacca documenti che verosimilmente non ha. Passano dei ragazzi con zaini, deridono il “clandestino”, e la forza pubblica non reagisce.
Mai mi è apparsa più chiara la funzione del capro espiatorio. In assenza di soluzioni, serve a sfogare sull’alieno la rabbia della gente.
Vent’anni fa sarebbe stata la rivoluzione. Oggi niente. Perchè?
Come mai questo Paese taglieggiato dalle camorre, desertificato dalla grande distribuzione, saccheggiato dalle banche, bastonato dalle tasse, espropriato degli spazi pubblici e delle certezze sindacali, come mai questa Italia derubata del futuro, che va in crisi per una nevicata, che si lascia togliere persino la libertà democratica delle preferenze elettorali, che vede i suoi figli sedati fin da piccoli dalle playstation e poi costretti, da grandi, a emigrare per sfamarsi, magari facendo i camerieri con una laurea in tasca, come mai un Paese simile, anzichè fare la rivoluzione, diventa razzista?
La risposta è di un’ovvietà elementare. Esiste un legame strettissimo tra la nullità di una classe dirigente e il rialzarsi della tensione etnica.
Quando i reggitori non sanno dare risposte alla gente, le offrono nemici.
Funziona sempre, perchè l’uomo nero da detestare abita in ciascuno di noi. I media lo sanno, e ci campano. I social figurarsi.
Accusare il “forestiero” impedisce di pensare ai nemici interni e assolve la comunità “autoctona” dall’obbligo morale di interrogarsi sui propri errori. È così da secoli. La dissoluzione della Jugoslavia insegna.
Dopo aver saccheggiato il paese, la dirigenza post-comunista, per non pagare il conto, ha scagliato serbi contro croati e quel che segue. Ammazzatevi tra voi, pezzi di imbecilli.
Che c’entra la Jugoslavia? C’entra eccome. È stata il primo segno di una malattia che oggi sta contagiando l’Unione europea e si chiama balcanizzazione.
Che significa: trasferimento sul piano etnico di una tensione politica e sociale che altrimenti spazzerebbe via i responsabili della crisi, i ladri e i loro cortigiani. Lo sta facendo Erdogan, evocando nemici a destra e a manca.
Lo ha fatto Trump per spuntarla alle elezioni. Lo ha fatto Theresa May che ora non sa come gestire il risultato – Brexit – di un voto da cui non pensava di uscire vittoriosa. Lo fanno i Catalani chiedendo di separarsi da Madrid.
Gli vanno dietro i populisti austriaci pianificando reticolati al Brennero. Per non parlare dei belgi di lingua olandese e francese che si guardano a muso duro sotto le vetrate del palazzo dell’Ue a Bruxelles. Impotenza, mascherata di patriottismo.
Viviamo un momento drammaticamente complesso segnato dal tema immigrazione. Ne siamo sommersi e non sappiamo come gestirla.
Non lo sanno nemmeno quelli che l’hanno messa in moto per avere lavoratori a basso costo. Volevano manodopera, e invece gli hanno mandato degli uomini. Non era previsto. Uomini che fanno figli e cercano la felicità .
E allora ecco la pensata: trasformare l’immigrato in parafulmine, per farla franca. Farne un tema elettorale, semplificare la complessità , depistare la tensione su altri obiettivi, speculare sul naturale spaesamento e le nostalgie identitarie dei più deboli in una società globale che emargina ed esclude.
Chi fomenta odio razziale, con o senza il rosario, non si limita a evocare tragici fantasmi di ieri, ma è anche complice dei ladri che costringono i nostri figli a emigrare. Li copre.
Con la pressione etnica aiuta i caporali ad abbassare il costo del lavoro e l’economia illegale a campare di schiavi nei campi di pomodori. È così ovvio, benedetto Iddio. Ma allora perchè i cosiddetti democratici, salvo poche eccezioni, non ne parlano? Per paura dei sondaggi? Per non andare contro il senso comune di una minoranza urlante?
Un giorno, presto o tardi, vi sarà imputato di avere taciuto.
Perchè anche dalla vostra pusillanimità discende l’osceno silenzio che nei treni e sugli autobus avvolge e lascia impunito chi, in questa vigilia elettorale, tuona contro l’uomo nero. È questo silenzio che ferisce e offende, più ancora del razzismo.
Eppure sarebbe così facile svelare il trucco; dire che, un secolo fa, dicevano di noi italiani in America le stesse cose che oggi noi diciamo dei forestieri in Italia. E cioè che fanno troppi figli, rubano il lavoro alla gente, portano criminalità e malattie.
Per mio nonno è stato così, a otto anni ha attraversato l’oceano da solo, per fame. Minore non accompagnato. Varrebbe la pena ricordarlo.
Anche perchè sono le stesse cose che, forse, altri Paesi diranno, domani, dei nostri figli.
Paolo Rumiz
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 27th, 2018 Riccardo Fucile
I REATI DIMINUISCONO DEL 10%, MA PER RINCORRERE QUATTRO PARANOICI CHE “PERCEPISCONO” INSICUREZZA, ANDIAMO A SPUTTANARE ALTRI SOLDI DEI CONTRIBUENTI… ASSUMETE 10.000 CACCIATORI DI EVASORI FISCALI, PIUTTOSTO, QUELLA E’ LA VERA EMERGENZA DELL’ITALIA
“Nel programma Pd proponiamo l’assunzione di 10mila carabinieri e poliziotti perchè ci sia più
controllo del territorio”. Parola di Matteo Renzi, ospite ieri sera del programma Matrix su Canale 5.
Ma il segretario del Pd non è l’unico ad aver fatto questa promessa. Qualche giorno prima era toccato a Luigi Di Maio che aveva usato sempre il numero “10mila”, una cifra molto gettonata in questa campagna elettorale.
L’11 febbraio il leader del M5s, durante il suo tour elettorale in Campania, commentando ad Avellino il caso del gioielliere di Frattamaggiore (Napoli) che il giorno prima aveva ucciso un rapinatore, ha detto: “È uno Stato incivile che non mette in condizioni un cittadino di sentirsi sicuro” costringendolo “ad armarsi” per “colpire i suoi rapinatori” e “per questa ragione nel nostro programma vogliamo parlare prima di tutto di 10mila assunzioni nelle forze dell’ordine, perchè abbiamo i soldi per farle”.
*A Di Maio ha risposto a stretto giro Luigi Famiglietti, deputato uscente del Pd ricandidato in Irpinia, ricordandogli “nell’ultima legge di bilancio 2018 si prevede l’autorizzazione ad assunzioni straordinarie nelle forze di polizia e nel corpo nazionale dei vigili del fuoco, fino a complessive 7394 unità nel quinquennio 2018-2022. Per non parlare delle risorse stanziate in tutti questi anni al comparto sicurezza-difesa”. Ad essere onesti, la stessa annotazione Famiglietti avrebbe dovuto rivolgerla anche al suo segretario. Ma tant’è.
Assumere nuovi poliziotti e carabinieri è, evidentemente, una preoccupazione comune a tutti i leader politici.
Anche Silvio Berlusconi ha ribadito la stessa cosa da Fabio Fazio, a Che tempo che fa il 18 febbraio: “Posso annunciare – ha affermato – che pur avendo noi nel passato, nel mezzo di una forte crisi e delle richieste dell’Europa, bloccato il contratto per le forze dell’ordine e per i militari adesso siamo in grado di riprendere il percorso normale. Nei primi consigli dei ministri faremo una nuova assunzione, per completare gli organici e, secondo, faremo un consistente aumento degli stipendi; terzo, daremo di nuovo il via alle promozioni”.
A replicare, questa volta, è stata la ministra della Difesa Roberta Pinotti: “Posso dire al presidente Berlusconi, evidentemente distratto in questi ultimi mesi, che gli annunci da lui appena fatti hanno trovato le giuste risposte con i nostri governi”.
E ha aggiunto: “Berlusconi dice bene invece quando riconosce di avere bloccato per anni il contratto nazionale per forze dell’ordine. Le forze dell’ordine e le forze armate sanno bene cosa è stato fatto: abbiamo da subito sbloccato le promozioni, sbloccato le assunzioni e aumentato le retribuzioni. Parafrasando un suo vecchio slogan elettorale su tutto questo: noi possiamo dire fatto, fatto, fatto. Davvero”.
A conti fatti, 10mila sembra essere la cifra magica del promessificio elettorale. Di Maio ha usato questo numero anche in altre due occasioni.
Quando ha promesso 10mila operatori negli uffici che devono vagliare richieste di asilo dei migranti. E quando ha annunciato l’assunzione di “10.000 unità di personale tra medici e infermieri, spazzando via il blocco del turnover” (11 febbraio). Suscitando la reazione della ministra della Salute Beatrice Lorenzin, che ha replicato su Twitter: “Di Maio annuncia che se andrà al Governo assumerà 10 mila operatori sanitari. Bene, anzi male: vorrei informare il candidato del Movimento 5 Stelle che questo è già stato fatto. In questi anni abbiamo infatti già sbloccato il turnover con un fondo ad hoc, autorizzando 10 mila assunzioni in sanità . Ora sta alle Regioni fare i concorsi, tenendo conto dei nuovi fabbisogni di personale”
Ci fosse mai qualcuno che assuma 10.000 cacciatori di evasori fiscali, la vera emergenza del nostro Paese, visto che sottraggono 100 miliardi dalle casse dello Stato.
Ah già , quelli votano, meglio non rischiare.
(da agenzie)
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Febbraio 27th, 2018 Riccardo Fucile
PICCOLA STORIA DI UN MONARCHICO PASSATO ALLA CORTE DI RE SILVIO E CONSIDERATO IL “GEMELLO” DI PAOLO GENTILONI
Il nome di Antonio Tajani, Presidente del Parlamento Europeo, è quello che con più insistenza viene fatto quando si parla di un possibile Presidente del Consiglio in caso di vittoria del centrodestra.
O meglio Silvio Berlusconi vorrebbe che a Palazzo Chigi ci andasse Tajani, i suoi alleati — Matteo Salvini in testa — per il momento hanno altri piani.
Il dato di fatto è che Berlusconi non potrà , almeno fino al 2019, essere nominato primo ministro e quindi al momento Forza Italia non ha un “candidato premier”.
Ad una settimana dal voto (e dal fatidico annuncio) Tajani non sembra però avere fretta.
Anche perchè ci tiene a ribadire che nessuno potrà sostituire Berlusconi come leader del centrodestra. Non c’è nessuno che possa sostituirlo e Tajani non ha la presunzione di considerarsi il suo erede.
Insomma Tajani prende tempo, si dice “gratificato” dagli attestati di stima nei suoi confronti, soprattutto da parte di Berlusconi, ma fa sapere che al momento sta facendo il Presidente del Parlamento Europeo e che non partecipa alla campagna elettorale.
Per Tajani non è giusto di parlare di questioni italiane, almeno fino al 4 marzo. Il leader di Forza Italia lo sa e oggi, ribadento che Tajani sarebbe un candidato eccellente, ha detto: «Sono vincolato da lui, per l’altissima carica che ricopre, a fare il suo nome soltanto quando lui me ne darà l’autorizzazione».
Autorizzazione che arriverà dopo il 4 marzo?
Al tempo stesso il Presidente del Parlamento Europeo ci tiene a rimarcare da che parte sta, ovvero con Forza Italia: «Io non ho fatto giri di valzer in vita mia, sono stato sempre dalla stessa parte. E sono stato conquistato da Berlusconi per gli ideali che portava avanti, quelli di un leader moderato che anche l’Europa vede come il più affidabile in questa area politica».
Ed è proprio sui questo essere “sempre stato dalla stessa parte” che lascia intendere che se c’è uno che è stato sempre fedele a Silvio quello è proprio lui. E chi meglio di uno così fedele potrà interpretare il ruolo di Presidente del Consiglio in sua vece? Nessuno, appunto.
Antonio Tajani è stato tra i fondatori di Forza Italia, partito cui ha aderito nel 1994, all’epoca lavorava come giornalista al quotidiano “di famiglia” di Berlusconi, Il Giornale.
Durante il primo governo Berlusconi Tajani ha ricoperto il ruolo di portavoce del Presidente del Consiglio ma non è mai stato eletto al Parlamento italiano.
La carriera politica di Tajani si è svolta tutta all’interno del Parlamento e delle istituzioni europee.
È stato eletto per la prima volta all’Europarlamento nel 1994 e ci è rimasto fino ad oggi venendo riconfermato per tre volte.
In Europa Tajani ha ricoperto due volte il ruolo di Commissario europeo (prima per i trasporti e poi per l’industria e l’imprenditoria) all’interno delle due Commissioni presiedute da Josè Manuel Durà£o Barroso.
Dal 2014 al 2017 è stato vicepresidente dell’Europarlamento e il 17 gennaio 2017 ne è stato eletto Presidente (il primo italiano dopo 40 anni), succedendo al tedesco Martin Schulz.
Ma la politica è sempre stata una passione di Tajani, anche prima della nascita di Forza Italia.
In gioventù, negli Anni Settanta, Tajani è stato militante del Fronte Monarchico Giovanile, movimento giovanile dell’Unione Monarchica Italiana (UMI), all’interno della quale ricopriva la carica di vicesegretario.
In seguito si è è sempre dichiarato favorevole al rientro dei Savoia in Italia.
Le malelingue dicono che proprio per il suo passato monarchico Tajani si trova bene alla corte di Berlusconi.
Il Corriere ha definito Tajani e Paolo Gentiloni i “gemelli diversi” della politica italiana.
Hanno all’incirca la stessa età (Tajani è del 1953 Gentiloni del 1954), hanno studiato nella stessa scuola (il liceo Tasso di Roma) ed entrambi hanno iniziato la carriera politica come portavoce.
Il primo di Berlusconi, il secondo di Francesco Rutelli quando era sindaco di Roma. Tutti e due hanno provato a diventare sindaco di Roma, ed entrambi hanno fallito.
A dividerli il credo politico, Tajani fin dal liceo era schierato a destra. E il fatto che Gentiloni sia di origini nobiliari mentre Tajani sia “solo” monarchico.
Verrebbe quasi da dire che Tajani potrebbe avere il profilo giusto per guidare una grande coalizione.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 27th, 2018 Riccardo Fucile
“PREFERISCO GENTILONI A RENZI, MA NOI RADICALI SIAMO LEALI SEMPRE”… “SALVINI VUOLE ESPELLERE 600.000 IMMIGRATI? NON SA DI COSA PARLA, SENZA ACCORDI CON I PAESI DI ORIGINE NON ESPELLE NESSUNO, BASTA RACCONTARE BALLE, CI VUOLE SERIETA'”
Renzi o Gentiloni? “Serve un periodo di maggiore rassicurazione di questo Paese perchè il Paese
bisogna portarselo dietro. Contro il Paese è difficile cambiare. L’esperienza e le modalità di Gentiloni possono essere più propizie per un’inclusione. Questo Paese è pieno di insulti e volgarità “.
Così Emma Bonino, leader di +Europa, intervistata a HuffPost Live da Pietro Salvatori e Angela Mauro.
“Con Renzi – ha aggiunto Bonino – ci conosciamo poco, lui sa come la penso. Non c’è mai stato un rapporto e non si è creato in queste elezioni. Renzi sa bene che i Radicali sono difficili da convincere, ma sono istituzionalmente leali, lo sono sempre stati”.
“Non scioglierei CasaPound o Forza Nuova
“Noi non siamo per sciogliere nè CasaPound nè Forza Nuova, poi magari me li ritrovo che si chiamano villa Arzilla. Io e Marco Pannella siamo sempre stati contro anche lo scioglimento del partito fascista. Le forze estremiste, violente, razziste e la discriminazione vanno combattute con la democrazia, con lo Stato di diritto e con le leggi”.
“In Italia – ha aggiunto – si sta verificando il fatto che non si sopportano neppure i poveri. Stiamo diventando un Paese che non siamo stati capaci di educare culturalmente”.
“C’è un problema immigrazione o di mobilità globale che non ha soluzioni miracolistiche, semplici, è un fenomeno che è destinato a rimanere con noi. Non la stiamo gestendo bene nel senso dell’integrazione: il problema è che su ottomila sindaci solo un migliaio si sono dati parti attive”, ha aggiunto Bonino.
“Alcuni Paesi in Europa – ha proseguito – non ne vogliono sentire parlare e da noi molti sindaci non ne vogliono sentire parlare”.
In riferimento alla proposta di Berlusconi sui rimpatri, Bonino ha detto: “La gente non la si espelle chissà dove: la si può rimandare da dove arriva solo se ci sono degli accordi di rimpatrio e noi li abbiamo con solo quattro Paesi. Gli altri dove li vuole paracadutare? È una rincorsa alla bufala continua”.
“Io premier del centrodestra? Non sono in vendita nè in saldo”
“Mi sembrano delle fantasticherie, io non ne so niente. Sono finiti pure i saldi. Se facessero uno sforzo per convincere la gente ad andare a votare invece di trastullarci sul dopo voto sarebbe molto meglio”.
Così Bonino ha risposto in merito all’ipotesi di una premiership nel centrodestra. “Nessuno, a destra e a sinistra, formalmente, informalmente, pubblicamente o privatamente me ne ha parlato. Sono tutte bufale. Non sono in vendita e neppure in saldo. Noi abbiamo fatto una scelta di campo molto netta – ha sottolineato Bonino – nell’ambito del centrosinistra, proprio per rafforzare l’impegno europeo a volte altalenante”.
“Da M5S messaggi contraddittori”
“I messaggi sono contraddittori e dipende un po’ dai giorni. La conversione sulla via di Damasco è sempre possibile, forse qualcuno, nei giri europei, gli ha fatto notare (a Di Maio ndr) che uscire dall’euro con milioni di italiani che hanno il mutuo in euro” non è facile.
“Tajani europeista, sa dove deve andare l’Italia”
“Tajani ha fatto una scelta di campo opposta alla mia, ma come presidente del Parlamento europeo porta avanti una linea di inclusione molto più moderata ed europeista. Non dubito che gli abbia chiarissimo dove deve andare l’Italia”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 27th, 2018 Riccardo Fucile
HA GIRATO LA REGIONE IN LUNGO E IN LARGO: 26.000 CHILOMETRI IN MENO DI TRE MESI, DIMEZZATO LO SVANTAGGIO… GLI INDECISI SONO ANCORA IL 40%
L’impresa è di quelle difficilissime: espugnare un fortino che da più di vent’anni è in mano al centrodestra, cercando di recuperare quei sei punti di distanza dal suo avversario che le ultime rilevazioni hanno messo nero su bianco.
Tra i democratici c’è chi ci crede, chi invoca il miracolo, chi la considera già una battaglia persa. Mancano cinque giorni all’election day e in Lombardia Giorgio Gori, a sondaggi spenti, si gioca il tutto per tutto.
Dopo aver macinato “26 mila chilometri in meno di tre mesi”, come recita lo spot del suo tour elettorale, le mani strette nelle 100 tappe raggiunte tra capoluoghi di provincia e paesini di montagna devono diventare voti. Parecchi voti.
Perchè il suo principale competitor, il leghista Attilio Fontana che ha iniziato la sua corsa dopo il forfait di Roberto Maroni, è in netto vantaggio: 41 a 35, virgola più virgola meno.
La strategia per la rimonta last minute è quella di puntare agli indecisi, che sfiorano il 40 per cento.
Una platea di elettori trasversale che va da chi non ha ancora idea di cosa segnare sulla scheda, ai moderati di centrodestra che non amano le uscite leghiste sulla “razza bianca”, ai delusi del Pd renziano tentati dall’astensione, a quelli che alle politiche scommetteranno su Leu ma a casa loro potrebbero scegliere il voto utile.
La squadra del sindaco di Bergamo ed ex manager Mediaset sta lavorando in tre direzioni.
La prima è quella più tradizionale che tra telefonate, volantinaggi al mercato, eventi e mobilitazione di tutti i candidati delle sette liste a sostegno, mira a recuperare l’elettorato stanco, quello che “io il Pd non lo voto più”.
Poi c’è la strada della scelta secca del candidato: sui social e via WhatsApp sta girando una clip di 15 secondi in cui si chiede a chi desideri un presidente di Regione “capace, preparato e indipendente” di votare Gori.
Come se ad un ideale ballottaggio – non previsto per le elezioni lombarde – si chiedesse di scegliere tra due opzioni. Un messaggio trasversale che vuole acchiappare anche quei moderati di centrodestra che alle politiche magari voteranno Forza Italia, ma che la “Lombardia in mano agli estremisti della Lega anche no”.
O quei cattolici che non hanno gradito lo show di Salvini domenica in piazza del Duomo con tanto di Vangelo e giuramento.
Infine, il voto disgiunto. Diversamente dal Lazio dove Liberi e Uguali sostiene Nicola Zingaretti, in Val Padana si è consumato lo strappo: sgretolatosi il “modello Lombardia” di una sinistra unita, i compagni di Pietro Grasso hanno un candidato, l’ex segretario Cgil Onorio Rosati, che rischia di rosicchiare un 3-4 per cento di voti.
Per loro l’indicazione è questa: fate ciò che volete con le liste, ma scegliete l’unico nome in campo che è in grado di mandare a casa vent’anni di governi di destra.
Se funzionerà o meno lo si vedrà domenica, nel frattempo il sindaco di Bergamo si tiene lontano da tutto ciò – e da chi – in queste ultime ore potrebbe scalfirne l’immagine di candidato “indipendente”.
Come un Matteo Renzi in calo di popolarità , ad esempio. L’ex premier era a Milano domenica e ha lanciato il suo appello contro “il voto dannoso” a Leu, ma ha dovuto farlo senza il candidato, ufficialmente impegnato nella sua campagna in giro per le province lombarde.
E questo venerdì, all’evento di chiusura organizzato al teatro Franco Parenti, tempio della sinistra milanese, ci saranno Beppe Sala e probabilmente Giuliano Pisapia, non il segretario del Pd.
Strategia opposta a quella del suo avversario Fontana che, sempre lo stesso giorno, si farà sponsorizzare da Matteo Salvini
(da “Huffingtonpost“)
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