Maggio 26th, 2018 Riccardo Fucile
E PUBBLICA LA FOTO A ROMA CON GOETZ KUBITSCHEK CHE DEFINI’ UNA VERGOGNA IL MONUMENTO ALL’OLOCAUSTO A BERLINO … CI VOLEVA UN GIORNALE STRANIERO PER ROMPERE L’OMERTA’ DI CUI GODE LA ZECCA PADANA IN ITALIA… E ORA FUORI I RAPPORTI CON PUTIN PER DISTRUGGERE L’EUROPA
Lo Spiegel ha le prove che Matteo Salvini ha legami con l’estrema destra tedesca.
Per il settimanale di Amburgo, il leader leghista avrebbe avuto e manterrebbe tuttora rapporti con ambienti del partito euroscettico Alternative fà¼r Deutschland (Afd) e soprattutto di Pegida, il movimento neonazista tedesco che organizza proteste contro l’immigrazione la presunta islamizzazione del Paese.
“Il possibile ministro dell’Interno Matteo Salvini cura contatti politici con la Germania – scrive oggi lo Spiegel – ma non proprio con i democratici”.
Secondo il settimanale tedesco, l’europarlamentare Joerg Meuthen di Alternative fà¼r Deutschland fa notare resistenze nei confronti di Salvini proprio per i suoi presunti contatti con Pegida, movimento più estremista dell’AfD.
Questi contatti sarebbero documentati da una foto scattata nel 2015 a un convegno a Roma e pubblicata dal settimanale.
Nell’immagine c’è Salvini con l’editore della Sassonia-Anhalt, Goetz Kubitschek, “ospite fisso di Pegida e uomo di fiducia di Bjoern Hoecke”, altro esponente di Alternative fà¼r Deutschland.
Lo Spiegel non manca di ricordare che in passato Kubitschek ha avuto problemi col suo stesso partito.
In un’occasione, per esempio, ha definito il monumento dell’Olocausto a Berlino un “monumento della vergogna”.
Nella foto Salvini e Kubitschek reggono una bandiera di Wirmer, il vessillo che fu adottato dai congiurati anti-Hitler ma ora fatto proprio da Pegida.
La “cooperazione” è in corso “da anni”, e del resto il promotore delle manifestazioni Lutz Bachmann chiama i leghisti “amici” e “incrocia le dita per il suo lavoro contro i cosiddetti profughi”, su Facebook.
Kubitschek conferma “che i contatti sono in piedi ancora oggi”. Per settembre è in programma un grande congresso europeo, anche con ospiti dall’Italia.
(da agenzie)
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Maggio 26th, 2018 Riccardo Fucile
CONSULTAZIONI FALLITE, SALVINI PORTA IL PAESE ALLA CRISI, SI VOTERA’ IN AUTUNNO E GLI ITALIANI POTRANNO DECIDERE SE SUICIDARSI
È il salto di qualità della crisi più lunga della nostra storia, che ha già superato gli 83 giorni senza
governo.
Ringhia Matteo Salvini verso il Colle: “Io ho detto, o si parte o basta. Se salta il governo ci sarà una frattura con gli italiani”. Il sottinteso, neanche troppo, è che la colpa sarà scagliata contro il capo dello Stato, reo di non aver subito il diktat imposto dai partiti.
Al Quirinale accettare una cosa del genere equivarrebbe certificare che in Italia non c’è più la presidenza della Repubblica: il suo ruolo, le sue funzioni, la sua dignità istituzionale.
Perchè al capo dello Stato non è stato suggerito di nominare Paolo Savona, pur conoscendo le sue preoccupazioni e perplessità . È accaduto e sta accadendo ben altro. L’arbitro è stato schiaffeggiato, col tono protervo di chi dice “comandiamo noi, tu firmi”, con l’atteggiamento padronale di chi se ne infischia delle regole e delle prerogative stabilite dalla Costituzione.
Accadrà così, con i due capi, Salvini e Di Maio, che faranno recapitare da Giuseppe Conte la lista a Sergio Mattarella.
Dal premier avvocato al premier postino, che salirà al Colle nella giornata di domani, almeno così pare al momento.
All’Economia c’è il nome di Paolo Savona, il teorico del piano B, di uscita dall’euro. Irrinunciabile per Salvini, anche se i Cinque Stelle hanno tentato qualche timida mediazione, proponendo di tenerlo nel governo, ma magari in un’altra casella.
Quel nome è imprescindibile per la Lega, perchè incarna la nuova politica economica sovranista: politiche in deficit, spread alle stelle, fino all’uscita dall’Euro.
È il motivo per cui il capo dello Stato eserciterà le sue prerogative, invitando a indicare un altro nome.
Quelle stabilite dalla Costituzione dove c’è scritto che i ministri li nomina il capo dello Stato, su proposta del premier. Significa che quantomeno deve esserci un minimo di condivisione.
Neanche Berlusconi arrivò a minacciare il ritorno al voto ululando contro il Quirinale quando Oscar Luigi Scalfaro si oppose alla nomina di Cesare Previti alla Giustizia, nel 1994, perchè ravvisava un caso di conflitto di interessi, essendo l’avvocato del Cavaliere.
Nè disse una sola parola Renzi quando Giorgio Napolitano non ritenne opportuna la nomina di Nicola Gratteri, perchè ritenne poco opportuno in base al principio di divisione dei poteri, che un esponente di un ordine dello Stato (la magistratura) andasse a ricoprire un prestigioso incarico di natura politica.
Questa volta il nome di Paolo Savona, a giudizio di Sergio Matterella, solleva più di una perplessità in relazione a quell’osservanza dei trattati internazionali, di cui si parla all’articolo 11 della Carta, perchè non sembra una bella dichiarazione in tal senso il paragone della Germania di oggi col Terzo Reich.
Ecco: Mattarella non si piega, consapevole che una nomina del genere farebbe scatenare l’apocalisse sui mercati. Salvini neanche, grande teorico del “tanto peggio tanto meglio”.
La verità è che, a questo punto, il leader della Lega ha smesso di puntare sul governo e sta puntando sul non governo, convinto che il ritorno al voto gli regalerà un balzo in avanti nei consensi.
Parliamoci chiaro, queste consultazioni sono già tecnicamente fallite. E, in attesa che si consumi l’ultimo atto, si torna a parlare di governo del presidente, per portare il paese al voto in autunno, perchè la finestra elettorale di luglio si è chiusa.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 26th, 2018 Riccardo Fucile
UN PIANO POLITICO PER USCIRE DALL’EURO: RITORNO ALLA LIRA, SVALUTAZIONE, INFLAZIONE A DUE CIFRE, STAMPARE MONETA FINO AL DEFAULT DEL PAESE… MA A QUEL PUNTO NON BASTERANNO LE BUCHE DI SADDAM HUSSEIN PER NASCONDERSI
Provate a domandare a fonti leghiste perchè, arrivati a questo punto, Salvini non indica all’Economia Giorgetti, tanto per fare un nome che non avrebbe problemi al Colle.
In una trattativa normale sarebbe la soluzione naturale. In fondo è pur sempre un leghista e consentirebbe la nascita del governo.
È accaduto più volte che la lista dei ministri, una volta approdata al Colle, ne uscisse cambiata, senza per questo che venisse scatenato l’inferno di un conflitto istituzionale, con i partner di governo che scaricano le responsabilità sul capo dello Stato e invocano le elezioni anticipate.
La risposta, alla ovvia domanda, è questa: “Giorgetti, o altri, sono troppo establishment”. Ecco troppo establishment.
E allora, si pone la domanda: ma davvero Salvini è disposto, o, a questo punto, vuole mandare tutto all’aria per Savona? La risposta è sì.
Non siamo di fronte a una semplice impuntatura, con le sue effervescenze, attorno a un nome della compagine di governo, in una casella sia pur importante come l’Economia, su cui il capo dello Stato, che ha il potere di “nomina”, esprime le sue perplessità che, normalmente, vengono recepite, indicando un altro nome, come accaduto svariate volte nella storia dell’Italia repubblicana.
La forte tensione, diciamo le cose come stanno, è di “sistema”. E per questo lo investe in tutti i suoi aspetti. Politici. Economici. Istituzionali, prefigurando un conflitto col Quirinale.
Perchè il punto non è il nome di Paolo Savona, ma una linea. E in questo caso il nome “è” una linea”. Anzi, una nuova linea di politica economica incarnata da Savona e da altri economisti euroscettici, fascinosamente presentata come l’inizio di una “era economica sovrana”.
Stiamo parlando di un impianto profondo, strutturato, su cui c’è tutta una letteratura sviluppatasi in questi anni, oltre all’ultimo libro di Savona sul “piano B”, ultimo denso esempio di un’ampia letteratura, italiana e internazionale.
Andando a scartabellare tra la produzione politico-intellettuale di riferimento dell’intellighenzia economica “sovranista” colpisce un documento dal titolo “Guida pratica all’uscita dall’euro”, presentato nell’ottobre del 2015 in un convegno presso la Link University Campus di Roma — l’università da cui lo stesso Di Maio ha attinto professionalità per la sua compagine di governo – e poi pubblicato da Scenarieconomici.it.
È pubblico, facilmente rintracciabile su internet. Documento alla cui elaborazione ha partecipato, tra gli altri Paolo Savona, che ne ha anche introdotto la presentazione
Siamo di fronte un progetto di politiche economiche alternative, che va ben oltre l’esigenza di essere pronti a tutte le eventualità , il famoso “piano B”.
Nella sua articolazione ha la natura di un vero e proprio “piano A”: una linea “alternativa di politica economica”, per favorire la quale l’uscita dall’euro è non una estrema necessità , ma un’occasione da cogliere per gestire la “nuova era economica sovrana” (slide 76). Una occasione.
L’assunto di fondo è che tutte le difficoltà dell’economia italiana sarebbero dovute all’adesione del paese all’Unione Monetaria (slide 3-11). Perchè il problema dell’Italia è che ha il cambio troppo forte e deve riguadagnare la competitività di prezzo persa con la Germania (slide 9). Il problema, secondo gli autori del documento, risolve il problema con svalutazione e inflazione. E dunque chiedendo l’uscita dall’Euro, considerata l’unica strada per rispettare il mandato costituzionale: “La costruzione dell’Ue attraverso la leva dell’articolo 11… rappresenta… una forzatura giuridica… Il riscatto della sovranità economica e monetaria e il ritorno alla situazione pregressa al divorzio Tesoro/Bankitalia (1981) sono, nei fatti, l’unica scelta compatibile con la Costituzione, la quale prevale sulle norme e sui trattati europei (slide 16).
È, di fatto, il ritorno all’Italia anni Settanta: si stampa moneta quanto più necessaria, con inflazione a due cifre.
Ecco le misure per realizzare il grande futuro alle spalle che, secondo altri economisti porta al default del paese.
Anche la Grecia nel 2015, sulla base delle stesse teorie, arrivò a un passo dal burrone, prima di produrre una brusca frenata. Eccole:
– va nazionalizzata Bankitalia (slide 68)
– va reintrodotta l’Iri (slide 72)
– la Banca d’Italia deve essere pronta a fornire una quantità di liquidità enorme al sistema bancario se necessario (slide 65 e 57)
– la Banca Italia deve assumere la funzione di prestatore di ultima istanza a supporto del fabbisogno pubblico e agendo sul cambio, con la revoca del divorzio e l’obbligo di intervento in asta (slide 68)
– vanno reintrodotti gli anticipi della Banca d’Italia sul cc di tesoreria per finanziare il fabbisogno (slide 72)
– è opportuno “agire per frenare una svalutazione eccessiva” (slide 44) avendo in mente un obiettivo di svalutazione del cambio (tra il 15 e il 20 per cento): nel frattempo bisogna “evitare di manipolare il valore della moneta e consentire il cambio libero” perchè “una stabilizzazione è nell’interesse delle nostre controparti esterne” (slide 45)
Dunque la Banca d’Italia, che torna a perdere la sua autonomia rispetto al Tesoro, metterebbe in atto una serie di misure diverse e incompatibili, con l’evidente rischio di sovrastimare ampiamente le conseguenze di una “exit” e a sottostimarne i costi.
Lo stesso accade con le proposte sulla gestione del debito pubblico:
– abolizione dell’articolo 81 della Costituzione
– il Mef, se necessario, interviene per la ricapitalizzazione delle banche e delle assicurazioni (slide 69)
– va attuata, se necessario, una moratoria sul servizio del debito pubblico e, successivamente, una sua ristrutturazione (slide 52)
È, di fatto, il default con stampa delle nuove banconote da completarsi entro 3-6 mesi dopo il D-Day.
Un progetto (slide 23-26) da gestire, nelle sue fasi preparatorie, nella massima “segretezza” affidandolo a un “fiduciario esterno alle istituzioni”.
La domanda nasce spontanea, in questa crisi in cui il professor Savona, è diventato il simbolo della tensione di sistema.
Perchè, da quando i mercati hanno ricominciato a “prezzare” il rischio Italia, letto il contratto di governo e il nome del possibile ministro dell’Economia, perchè, dicevamo, nè Salvini nè Di Maio hanno rilasciato una sola dichiarazione che rassicurasse sulla permanenza dell’Italia nell’Euro?
E perchè non l’ha fatta neanche il ministro dell’Economia in pectore che, invece, ha parlato dei “veti” quirinalizi sul suo nome?
Forse perchè non di “piano B” si sta parlando ma di un “piano A” i cui contorni e tempi devono, per ora, rimanere segreti finchè non partirà l’inflazione a due cifre e non si riusciranno a pagare gli stipendi pubblici?
Una risposta sarebbe opportuna, in questa orgia di retorica sulla sovranità popolare e sul suo rispetto.
(da “Huffingtonpost“)
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Maggio 26th, 2018 Riccardo Fucile
SAVONA COME PRETESTO PER ANDARE AD ELEZIONI E LA FARSA SI CHIUDA
A questo punto le soluzioni sono due. 
O il governo Conte parte con Giancarlo Giorgetti all’Economia, o comunque con un altro leghista “politico” in questa fondamentale casella.
Oppure il premier incaricato oggi potrebbe rimettere clamorosamente il mandato. Ipotesi terze non ce ne sono, allo stato.
Sempre che stavolta il capo dello Stato mantenga la sua posizione sino alla fine.
La questione è quella che si trascina da domenica scorsa, precedente all’incarico arrivato mercoledì per il professore avvocato indicato dal M5S per Palazzo Chigi. Il Colle non vuole l’ottantenne Paolo Savona in via XX Settembre, sede del Mef. La nuova crisi di questo stallo infinito è maturata alle sei di ieri sera.
A quell’ora, Conte è salito al Quirinale per un colloquio informale con Sergio Mattarella. L’ennesimo strappo (o innovazione) della prassi costituzionale. Sinora non era mai accaduto.
Sul tavolo c’è l’intera lista dei ministri, ma oggetto della discussione sono soprattutto le quattro indicazioni “pesanti” su cui da tempo il capo dello Stato aveva fatto sapere di volere garanzie. Interno, Esteri, Difesa, Economia. Nell’ordine: Matteo Salvini; l’ambasciatore Luca Giansanti; la “militare” Elisabetta Trenta, grillina, alla Difesa; il famigerato Savona all’Economia.
Quando il presidente ha visto il nome di Savona ha comunicato subito il suo no. Secco. Ha visto svanire la speranza che Conte potesse arrivare con una lista senza il nome dell’economista che spaventa l’establishment con un piano B per uscire dall’euro.
Mattarella ha confidato invano nel professore senza storia politica, conosciuto appena pochi giorni prima, al momento dell’incarico. Per sostenerlo, giovedì, ha pure diramato una nota ufficiosa per ribadire, contro i diktat salviniani su Savona, l’autonomia non solo del capo dello Stato ma anche del presidente del Consiglio sulla scelta e sulla nomina dei ministri. Nulla da fare.
E così Conte è rimasto stritolato nello scontro tra Colle e i due alleati vincitori, Di Maio e Salvini, che sono rimasti uniti senza dividersi. Un’altra delusione per il presidente della Repubblica, che ha tentato di convincere il capo dei grillini a non morire per Savona.
Dopo l’incontro informale con Conte, il Quirinale tramite i suoi consiglieri ha imposto un “riserbo assoluto”, a conferma della gravità della situazione. Se infatti le cose fossero andate diversamente, in senso positivo, oggi il premier incaricato avrebbe consegnato ufficialmente la lista, per poi forse giurare, con l’intero governo, nel pomeriggio. Non solo. Altri due dettagli completano la scena tragica di ieri.
Mattarella avrebbe chiesto anche di parlare con Salvini, fanno filtrare dalla Lega, ma per tutta risposta il leader leghista è tornato a Milano per il compleanno della figlia.
Il secondo particolare, invece, fa a salire a due le perplessità sulla lista presentata da Conte. Oltre a Savona, ci sono stati seri dubbi sulla designazione dell’ambasciatore Luca Giansanti agli Esteri, considerata troppo “debole”. Un’erta salita, dunque, quella del Colle per il povero Conte. Arrivato a Borse chiuse, con lo spread in rialzo e Piazza Affari in calo, con una importante sofferenza dei “bancari”.
Cosa accadrà nelle prossime ore?
Il primo indizio è riconducibile a una sensazione formatasi da giorni al Quirinale e che ieri è diventata quasi una certezza. Si tratta innanzitutto di un interrogativo che rimbalza ossessivamente, ormai.
“Perchè Salvini vuole a tutti i costi Savona e non indica Giorgetti? Per lui non sarebbe mica una sconfitta”. Appunto.
La risposta non può essere che una. La Lega vuole tirarsi fuori all’ultimo minuto e per farlo usa come scudo il nome di Savona.
E il banco salterebbe per la paura di governare più che per un calcolo politico di convenienze.
Al Colle hanno colto questi timori già lunedì scorso, nel secondo giro delle consultazioni riservate solo a M5S e Lega. In ogni caso, quest’ultima crisi è diventata una sfida tra Mattarella e Salvini.
E se salta tutto, ritorna in pista l’esecutivo neutrale del presidente per andare al voto anticipato in autunno.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 26th, 2018 Riccardo Fucile
IL M5S SI E FATTO SFILARE IL MINISTERO DEGLI INTERNI, QUELLO DELL’ECONOMIA E IL SOTTOSEGRETARIO ALLA PRESIDENZA, RUOLI CHIAVE… PER AVERE UN CHIACCHIERATO PROFESSORE DI SERIE C SENZA ESPERIENZA COME PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E UN DI MAIO RIDIMENSIONATO? CHE GRANDE OPERAZIONE
Salvini è un ingordo: sta dando così in escandescenze perchè, forse Di Maio non se ne è accorto, costruendo nel governo un triangolo di ferro in effetti avrebbe in mano l’esecutivo: egli stesso agli Interni, Savona al MEF, Giorgetti Sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
Ciò avverrebbe sia sul terreno della gestione del potere perchè i ministeri degli Interni e dell’Economia hanno un potere enorme nei rispettivi campi, sia sul piano politico.
Il tutto con un presidente del Consiglio alle prime armi, privo di un’autonoma forza politica come è il prof. Giuseppe Conte.
Non parliamo poi del potere politico in mano a questi dicasteri.
Con il ministero degli Interni Salvini sarebbe il dominus su tutta la politica dell’immigrazione. Intendiamoci, come ha malignamente osservato Travaglio, avrebbe l’onore e l’onere di dimostrare che i suoi slogan sui respingimenti, sulle espulsioni, sul “ritorno a casa” non sono solo degli slogan, ma sono traducibili nella realtà .
Per parte sua Paolo Savona come ministro del Tesoro potrebbe tranquillamente bypassare il presidente del Consiglio stabilendo con l’Unione Europea questo rapporto di fondo: o si concorda il mutamento dei Trattati o si creano le condizioni dell’uscita dall’euro senza bisogno di referendum.
Il difetto di questa linea, però, è di essere eccessiva ed estremista sia rispetto all’Europa e specialmente ai mercati sia rispetto alla presidenza della Repubblica. Come è stato già osservato l’Unione Europea può alzare la voce, ma al massimo può aprire una procedura d’infrazione.
Il problema è che invece le società di rating, i mercati, gli speculatori possono fare ben altro.
Gli apprendisti stregoni (Salvini, Di Maio, Savona) stanno scherzando col fuoco e non se ne rendono conto perchè i mercati intervengono sugli spread, sulla compravendita dei titoli pubblici, sul bilancio dello Stato.
Di tutto ciò si rende ovviamente conto la presidenza della Repubblica e di altro ancora.
Parliamoci chiaro, Mattarella è già arrivato al limite accettando come presidente del Consiglio un signor nessuno qual è il prof. Conte.
I due consoli non gli hanno dato come presidente del Consiglio un leader politico, ma nemmeno un professore di serie A, bensì uno di serie C per cui si sono perfino posti i ben noti problemi riguardanti il curriculum.
Mattarella lo ha accettato in nome dei rapporti di forza politico-parlamentari ed elettorali. Se adesso però su Economia, Esteri, Difesa Mattarella accettasse perinde ac cadaver le indicazioni di Di Maio e Salvini si arrenderebbe ad un’operazione partitocratica che in un colpo solo “asfalterebbe” il ruolo sia della presidenza della Repubblica sia quello dello stesso presidente del Consiglio, ridotti allo stato di passacarte dai due segretari di partito.
Ciò a maggior ragione perchè sul tema del ministro del Tesoro sono evidenti già da oggi i pericoli che la situazione presenta dal punto di vista dei mercati.
Si tratta di una piena subalternità al potere finanziario?
Si tratta di una questione riguardante i rapporti di forza non solo politici, ma anche economici.
Un paese con il secondo debito pubblico del mondo ha un governo fondato su un “contratto” che presenta uno sforamento intorno ai 100 miliardi di euro e perdipiù pensa di mettere al Tesoro un insigne personaggio che però ha intenzione di lanciare una sfida alla Germania dimenticando anche verso quali paesi sono preferenzialmente rivolte le nostre esportazioni, non certo la Russia di Putin, ma la Germania e la Francia.
E’ evidente che il piano B di Salvini è quello di giocar la carta di elezioni anticipate rispetto alle quali è possibile anche una ricomposizione del centro-destra (e alcuni sintomi dal colloquio Salvini-Berlusconi alle bacchettate a Brunetta per l’attacco a Salvini lo farebbero pensare) e a quel punto Di Maio sarebbe giocato da tutti i punti di vista.
Il fatto è però che è una linea avventurosa anche quella di andare ad elezioni avendo sullo sfondo una tempesta finanziaria.
Del resto che Salvini sia un ingordo o un avventurista è dimostrato dal fatto che allo stato egli sta rifiutando perfino una ipotesi di mediazione che vedrebbe Giorgetti come ministro dell’Economia.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 26th, 2018 Riccardo Fucile
BOCCIA SPADAFORA E MASSOLO, GIOCA DI SPONDA CON SALVINI, SUSCITA DUBBI TRA I PARLAMENTARI CHE SI CHIEDONO: “A CHE TITOLO INTERVIENE?”
Mentre nel parlamento e nel paese si scatena una guerra sul nome di Paolo Savona, Alessandro Di
Battista e Luigi Di Maio parlano di ministri e di veti al bar.
Uno dei nomi sul tavolo, racconta il Corriere della Sera, è il nome di Vincenzo Spadafora, che ieri ha fatto sapere che non sarà nella squadra di governo dopo l’articolo del Fatto sulle sue intercettazioni con Balducci
La sua poltrona comincia a traballare nella sera di giovedì. Al Treebar, un locale al Flaminio, zona nord di Roma, si incontrano Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. Interrompendo per qualche ora gli infiniti preparativi sui bagagli per la partenza direzione San Francisco, prevista per il 29 maggio, Di Battista si confronta con il leader politico dei 5 Stelle.
Oggetto della discussione è la composizione della squadra di governo.
Diversamente da quel che si può pensare, Di Battista non ha dismesso i panni del pasionario dei 5 Stelle. E avverte Di Maio dei rischi che si correrebbero nel promuovere Spadafora a ministro.
Opinione che sarebbe condivisa da molti nel Movimento, Beppe Grillo compreso. Di Maio difende quello che da tempo è diventato il suo braccio destro. E la cosa sembra finire lì.
Ma poi, aggiunge il quotidiano, scoppia la grana dell’articolo del Fatto e nelle chat dei parlamentari parte il dibattito su Spadafora.
Intanto balla anche un altro nome, quello di Gianfranco Massolo, già osteggiato da Elio Lannutti con accuse complottistiche:
Contro di lui si è mosso, a pochi giorni dalla sua partenza per l’America, quell’Alessandro Di Battista che al ruolo di ministro ha rinunciato ancor prima del voto, non candidandosi e paventando un addio lungo un anno.
«A che titolo interviene?», cominciano a chiedersi alcuni eletti, lamentando il troppo ascolto che “Dibba” trova ancora in Luigi Di Maio.
Massolo è troppo establishment secondo l’ala più radicale del Movimento. Ed è un agnello da sacrificare sull’altare della sfida da portare avanti contro il presidente della Repubblica Mattarella. Marciando uniti insieme a Salvini.
Così, nell’ultimo colloquio con il capo dello Stato, Conte avrebbe riempito la casella Esteri con un nome nuovo, anticipato da Repubblica: quello di Luca Giansanti.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 26th, 2018 Riccardo Fucile
POI CI LAMENTIAMO PERCHE’ I TEDESCHI CI CRITICANO PERCHE’ VOGLIAMO CONTINUARE A VIVERE SOPRA LE RIGHE, A NON PAGARE LE TASSE E A FARE CONDONI
Sono aumentate di quasi l’81% le multe rifilate agli automobilisti negli ultimi 10 anni a seguito della violazione del codice stradale.
È quanto calcolato dalla CGIA che mette anche a fuoco come il numero di automobilisti che le hanno pagate è sceso drasticamente.
Nel 2016, ultimo anno in cui i dati sono disponibili, appena il 39 per cento di chi ha ricevuto una contravvenzione per aver lasciato l’auto in divieto di sosta o per non aver rispettato i limiti di velocità ha eseguito il pagamento.
Il rimanente 61 per cento non lo ha proprio fatto e, ipotizza la CGIA, forse lo ha eseguito solo in seguito, approfittando dell’introduzione della rottamazione delle cartelle avvenuta in più riprese in questi ultimi 2 anni.
La CGIA fa sapere che nel 2016 gli oltre 8 mila Comuni italiani hanno disposto quasi 2,5 miliardi di euro di multe per la violazione del codice della strada, anche se poi hanno riscosso circa 1 miliardo (cioè il 38,8 per cento).
Rispetto a 10 anni prima, la situazione per le casse comunali è peggiorata moltissimo. Nel 2006, infatti, a fronte di 1,3 miliardi di multe comminate, a onorarle era stato quasi il 60 per cento dei destinatari della sanzione.
«La farraginosità del sistema — segnala il coordinatore dell’Ufficio studi. Paolo Zabeo — rende molto difficile l’opera di riscossone. C’è la necessità di efficientare e velocizzare l’attività di recupero nei confronti di chi non paga entro i limiti di legge, anche se è necessario che molte amministrazioni comunali si ravvedano. Gli automobilisti, e in particolar modo coloro che usano gli automezzi per ragioni di lavoro, non sono un bancomat. Pertanto, l’utilizzo degli autovelox o dei T-red, ad esempio, andrebbe regolato con maggiore attenzione, tenendo conto delle fasce orarie della giornata che, come si sa, presentano flussi di traffico molto differenziati». E’ altresì vero che il massiccio utilizzo degli autovelox avvenuto in questi ultimi anni ha contribuito, assieme alla diffusione negli autoveicoli di sistemi di sicurezza sempre più efficienti, a ridurre drasticamente il numero di feriti e di morti nelle nostre strade. «Sicuramente — segnala il Segretario della CGIA Renato Mason – il massiccio utilizzo dei rilevatori elettronici di velocità e gli alcol test hanno dissuaso molti automobilisti a correre a velocità elevate che, ricordo, è una delle principali cause degli oltre 3 mila incidenti stradali mortali registrati in Italia nel 2016. Tuttavia, l’applicazione degli autovelox fissi e mobili andrebbe coordinata meglio, intensificandone la presenza solo nelle strade dove l’incidentalità è nettamente superiore alla media».
A livello regionale, infine, la percentuale della riscossione delle contravvenzioni stradali comminate dai Vigili urbani dei Comuni del Sud si attesta al 27,5 per cento, con punte minime del 23,2 per cento in Campania e addirittura del 18,4 per cento in Sicilia.
Sale al 34,2 per cento nel Centro, per attestarsi al 42,9 per cento nel Nordovest e al 56 per cento nel Nordest.
Le amministrazioni comunali più virtuose sono quelle ubicate nella Regione Friuli Venezia Giulia (65,2 per cento di riscossione), nella Provincia Autonoma di Bolzano (74,2 per cento) e, in particolar modo, nel Molise (74,5 per cento).
(da “La Stampa”)
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Maggio 26th, 2018 Riccardo Fucile
TRA CONDONI VERGOGNOSI “SALDA E STRALCIA” E RIDUZIONE DEGLI ACCERTAMENTI
Come ridurre l’evasione fiscale? Che cosa dovrebbe fare un governo che volesse ridurre l’evasione
fiscale?
Gli studi statistici sull’Italia indicano come potenzialmente efficaci le politiche di riduzione della pressione fiscale, di incremento dell’efficacia dell’accertamento e come deleteri i condoni.
E le analisi sull’organizzazione dell’amministrazione fiscale italiana indicano l’esistenza di cospicui margini per l’incremento di efficienza.
Di tutte queste possibilità , il contratto di governo, nella migliore delle ipotesi, ne esplora solo una.
La riduzione dell’evasione fiscale è affidata alla “flat tax”, o meglio all’imposta a due aliquote, i cui effetti regressivi sono già stati documentati.
Nel contratto si dice che ne conseguirebbe “maggiore base imponibile tassabile, grazie anche al recupero dell’elusione, dell’evasione e del fenomeno del mancato pagamento delle imposte”.
Se il gettito dell’Irpef si riduce di 50 miliardi, allora la base imponibile che dovrebbe emergere (immaginando un’aliquota effettiva del 15,5 per cento) per compensare interamente la perdita è di circa 322 miliardi, ovvero il 38 per cento in più di quella oggi dichiarata (circa 843 miliardi).
Già la metà di questa cifra sarebbe comunque un incremento ben poco credibile.
Ambiguità sugli accertamenti
Sugli accertamenti bisogna fare alcune premesse. Secondo l’ordinamento italiano, la regola è che spetta all’amministrazione provare che il contribuente ha evaso.
Tuttavia, la “prova provata” dell’evasione è difficile da reperire. Per questo, in tutte le legislazioni fiscali dei paesi avanzati , è prevista la possibilità di utilizzare delle presunzioni che, normalmente, non invertono l’onere della prova ma che, in taluni casi, lo fanno.
Da noi questa inversione dell’onere della prova avviene, ad esempio, con gli accertamenti bancari —in cui la portata della presunzione è stata peraltro limitata dagli interventi della Corte costituzionale e del legislatore- e con il redditometro.
Il contratto prevede “l’abolizione dell’inversione dell’onere della prova, da porre sempre a carico dell’amministrazione finanziaria” nonchè “l’esclusione del ricorso a strumenti presuntivi di determinazione del reddito nei casi di piena e comprovata regolarità fiscale del contribuente” e “la riduzione dei tempi di accertamento nei casi di attiva e costante collaborazione del contribuente nell’assolvimento degli adempimenti contabili e di versamento”.
Ad un’interpretazione letterale, sembrerebbe un intervento abbastanza limitato posto che i casi di vera e propria inversione della prova (ovvero in cui l’amministrazione finanziaria si avvale di una presunzione legale relativa) sono, come si è visto, di carattere eccezionale.
Anche la previsione dell’esclusione di strumenti presuntivi e di riduzione dei tempi di accertamento per i contribuenti “virtuosi” non sembra discostarsi molto dai regimi premiali già introdotti (per esempio, dall’art. 9-bis, comma 11 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, relativo agli ISA).
Tutto sommato, quindi, le conseguenze sull’efficacia dell’attuale azione di accertamento sarebbero ben limitate.
Se, invece, si volesse intendere che l’abolizione delle presunzioni si estende anche ad altri casi fino a prevedere un ostacolo generalizzato al loro utilizzo allora l’efficacia dell’azione di accertamento risulterebbe sensibilmente diminuita.
Ma, soprattutto, nel “contratto” ci sono pochi e generici riferimenti alla riorganizzazione dell’amministrazione fiscale finalizzata al miglior uso dei dati, se si esclude la frase secondo cui va “creato (sic!) un fisco digitale in linea con i più innovativi strumenti di elaborazione e comunicazione dati” che non vuol dire nulla e non affronta i nodi fondamentali (privacy e organizzazione della filiera dei dati).
E, a dimostrazione della scarsa sensibilità al tema, si chiede l’abolizione dello spesometro che, se correttamente gestito e utilizzato, potrebbe essere la base per una nuova azione di prevenzione dell’evasione nelle transazioni business-to-business.
Condono o non condono?
Ultimo, ma non meno importante, nel contratto si prevede l’instaurazione della “pace fiscale” con i contribuenti, favorendo “l’estinzione del debito mediante un saldo e stralcio dell’importo dovuto, in tutte quelle situazioni eccezionali e involontarie di dimostrata difficoltà economica”. Una pace fiscale che, però, andrebbe attuata escludendo “ogni finalità condonistica”
Delle due, l’una: o si sta parlando di un vero e proprio condono, come sembrerebbero indicare i termini “saldo e stralcio” e il riferimento a generiche “difficoltà economiche” (nonchè alcune dichiarazioni giornalistiche), oppure si intende un provvedimento limitato ad alcuni soggetti, come sembrerebbero indicare gli aggettivi “eccezionali e involontarie” e, appunto, l’esclusione della finalità condonistica.
Di nuovo, nel primo caso gli effetti sull’evasione sarebbero deleteri, (e a poco varrebbe dire, per l’ennesima volta, che si tratta dell’ultimo condono a cui seguirà poi una svolta nei rapporti tra fisco e contribuente) nel secondo caso nulli.
Tralasciando le affermazioni prive di reale significato relative all’introduzione del “carcere vero” per i soliti “grandi evasori” — dove si ignora la storia patria sull’efficacia delle sanzioni penali e il fatto che, per definizione, i grandi contribuenti che possono essere grandi evasori in Italia sono ben pochi — e l’immancabile riferimento al conflitto d’interesse — che non funziona bene neppure dove è già stato introdotto e comunque è incoerente con l’abolizione di alcune detrazioni fiscali per spese documentate previste con la flat tax — il quadro non è certo confortante.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 26th, 2018 Riccardo Fucile
AD APRILE SONO STATI CONDANNATI A DIECI MESI DI CARCERE
Uno «scoop giornalistico basato su materiale falso».
Così la Corte d’appello milanese definisce l’inchiesta giornalistica apparsa in prima pagina per giorni nel 2009, sul quotidiano Libero.
«Così la Coop ti spia», il titolo dello “scoop”, e all’interno conversazioni tra dipendenti del marchio della grande distribuzione delle cooperative rosse. In appello, per questa vicenda, sono stati condannati ad aprile, l’ex direttore del quotidiano, Maurizio Belpietro, e l’autore degli articoli, l’attuale presentatore Mediaset, Gianluigi Nuzzi. Dieci mesi per entrambi. E se non fosse morto, anche il fondatore di Esselunga, Bernardo Caprotti sarebbe stato condannato.
È durissima la motivazione della sentenza (sezione quinta, presidente Ivana Caputo, relatore Franco Matacchione).
Nel luglio 2009, due titolari di una agenzia di investigazioni, dopo aver illecitamente intercettato il responsabile di una filiale Coop, avevano chiesto alla agenzia di distribuzione della Lombardia, di essere pagati.
Coop si rifiutò e i due investigatori decisero di rivolgersi a Libero.
Fu «Belpietro che si metteva urgentemente in contatto con Caprotti – ricostruiscono oggi i giudici – . Riferendogli che quegli informatori avevano ottenuto importanti informazioni che lui voleva sfruttare giornalisticamente. E chiedeva a Caprotti di farli lavorare in Esselunga».
Cosa «che poi avvenne con un contratto di collaborazione da 216 mila euro». Successivamente, ai due investigatori venne fatto firmare un contratto milionario.
Ma perchè tutto questo avvenne?
Secondo i giudici, lo «scoop era necessario per aumentare le vendite di Libero, per Caprotti, invece, demolire mediaticamente un concorrente».
Belpietro e Nuzzi, per dimostrare la bontà della loro inchiesta, pubblicarono anche la fattura che dimostrava che Coop pago l’operazione di spionaggio illecito.
Ma sul punto, i giudici ricordano come “la scelta di pubblicare il giorno dopo la fattura falsa, pone in rilievo la piena consapevolezza di Belpietro e Nuzzi di non avere nulla sottomano che i fatti esposti fossero veritieri”.
Oltre alla condanna, gli imputati dovranno risarcire Coop e il dipendente spiato.
(da “La Repubblica”)
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