Novembre 10th, 2018 Riccardo Fucile
E CHI HA DEMANDATO AD ANZALONE DI TRATTARE CON PARNASI, SE NON I VERTICI DEL M5S?… DI MAIO E DI BATTISTA HANNO POCO DA STARNAZZARE, SE LA RAGGI FOSSE STATA CONDANNATA L’AVREBBERO GIA’ SCARICATA
La scomposta canea contro i giornalisti come unica reazione all’assoluzione di Virginia
Raggi, qualifica un vuoto politico che persiste e che ha rappresentato la cifra di questi primi due anni.
L’assoluzione lascia intatto il cuore del problema: l’incapacità dei Cinquestelle romani di esprimere una classe dirigente in grado di supportare la sindaca fin dall’insediamento nella stanza dei bottoni.
Raggi e i suoi assessori hanno dovuto fidarsi della lealtà ostentata da Raffaele Marra, non interrogandosi a sufficienza sui suoi trascorsi e sulla sue rete di relazioni che gli è valsa una accusa di corruzione.
Gli uomini e le donne scelte in autonomia si sono rivelati, al meglio, inadeguati al ruolo e la girandola di componenti della giunta e di amministratori delle partecipate è lì a raccontarlo.
E non ha funzionato neppure quando, di commissariamento in commissariamento funzionale, è stata la Casaleggio Associati a fornire nomi e curricula. Valga per tutti l’esempio di Luca Lanzalone.
L’assoluzione cancella l’esistenza della volontà di commettere un reato ma non è, come si vuol far passare, un gigantesco colpo di spugna su errori, inadempienze, macroscopici azzardi che pur non avendo nulla di penalmente rilevante non sono per questo automaticamente liberi da sanzioni politiche.
Non uno dei guasti preesistenti di Roma è stato fin qui risolto. E di nuovi se ne sono aggiunti. Anzi: il processo da almeno un anno e mezzo costituisce l’unico argomento di discussione, costituendo anche il gigantesco alibi mediatico dietro il quale l’amministrazione ha potuto occultare la propria inadeguatezza.
Ora ai Cinquestelle tocca davvero governare e senza capri espiatori da rintracciare tra i giornalisti ma dimostrando nei fatti che il consenso dei romani non è scalfito dalla prova dei fatti.
Lo stadio “fatto bene” per dirla con la sindaca, ad esempio, è frutto dell’ennesimo abbaglio che ha impedito di vedere il raggiro ai danni della città . Con il miraggio sbandierato di una riduzione delle cubature ci si è arroccati a difendere un’opera che avvantaggia solo Luca Parnasi e i suoi amici.
Una manovra possibile solo quando Parnasi e soci hanno fatto breccia nella granitica opposizione dei Cinquestelle, poggiando sul solito Lanzalone e riuscendo a piegare le istintive resistenze della sindaca a suon di planimetrie e metri cubi, dimenticando che con le cubature sparivano anche opere fondamentali per la viabilità della città .
Non c’è nulla di penalmente rilevante per la sindaca nell’essersi fatta abbindolare e nella sua distrazione sul vorticoso giro di favori e regalie che ha accompagnato la procedura.
Ma, politicamente, lo stadio, a prescindere dalla sua evoluzione giudiziaria, è la cartina di tornasole di un modo di amministrare. Nella convinzione che basti dirsi onesti per far le cose per bene. Perchè la via per i disastri è lastricata di buone intenzioni.
L’assoluzione per la nomina di Renato Marra non cancella l’inopportunità politica di elevare un fedelissimo come Salvatore Romeo a stipendio triplicato e non esime dalla necessità di procedure trasparenti nelle scelte.
Soprattutto quando si contesta la pratica delle cooptazioni e poi nei fatti si sceglie per appartenenza. Esattamente come i predecessori.
La fine di questa vicenda giudiziaria può essere di monito non solo per chi governa: all’opposizione tocca recuperare il ruolo di denuncia e sanzione politica all’operato dell’amministrazione senza fare la fila a depositare esposti che nella prassi romana vengono tradotti in fantomatiche nuove inchieste giudiziarie che spesso, lì dove si ragiona codice alla mano e sulla base di precise responsabilità personali, si risolvono in un nulla di fatto.
Chi doveva fare le pulci alla sindaca spesso si è fatto scudo delle carte giudiziarie, incapace di sviluppare in proprio, in autonomia e in nome di una vera preminenza del dato politico, un’analisi tutta giocata sul piano della capacità amministrativa. Liquidare l’avversario per via giudiziaria è una scorciatoia sconsigliabile: perchè è una scorciatoia e perchè in una logica di alternanza democratica è foriera di un effetto boomerang. Come Raggi ha sperimentato.
(da “La Repubblica“)
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Novembre 10th, 2018 Riccardo Fucile
CASO RAGGI: LA COLPA DELL’INFORMAZIONE SAREBBE QUELLA DI AVER RACCONTATO I FATTI
Virginia Raggi è stata assolta, il giudice ritiene che il fatto esista ma non costituisca reato. Il pubblico ministero invece aveva chiesto 10 mesi di condanna per falso ideologico.La sindaca si è commossa, i suoi compagni di partito invece hanno perso la testa e se la sono presa con i giornalisti, arrivando a definirli “i veri colpevoli, pennivendoli e puttane” (Di Battista), “infimi sciacalli” (Di Maio) e a promettere leggi contro gli editori.
Non si capisce quale sia la colpa dell’informazione, se non di aver raccontato l’inchiesta e il processo.
Si capisce benissimo invece quale sia la pulsione del Movimento 5 Stelle: mettere il silenziatore a chiunque racconti le loro difficoltà o mostri incongruenze, incapacità e grandi e piccoli scandali.
I due leader del Movimento dimenticano come gli articoli su Raffaele Marra, diventato nei primi mesi il braccio destro della sindaca, abbiano messo in luce quegli episodi che poi hanno determinato il suo arresto per corruzione con la richiesta di una condanna a quattro anni e mezzo di carcere.
Dimenticano la vicenda di Salvatore Romeo, scelto come capo della segreteria con stipendio triplicato mentre intestava a Raggi polizze vita.
Fatti che i magistrati hanno qualificato come privi di rilevanza penale, ma che hanno posto sotto gli occhi di tutti i metodi di gestione del Campidoglio pentastellato. Soprattutto è sotto gli occhi di tutti il degrado di Roma, che nasce sicuramente sotto le giunte precedenti di destra e sinistra, ma che in questi mesi ha assunto dimensioni indegne di una capitale europea.
Nessuno dei fatti descritti da Repubblica è stato smentito. La procura e il giudice per le indagini preliminari li hanno ritenuti rilevanti. Il Tribunale ha ritenuto che non costituiscano reato e Virginia Raggi è stata assolta.
Sulla rilevanza etica e politica di quei fatti si pronunceranno i cittadini.
Ma la cosa che colpisce di più è un’altra: è l’idea delirante che l’assoluzione di Raggi sia una sconfitta dei suoi critici.
Forse l’assoluzione di Andreotti a Palermo significava che i giornalisti che per anni avevano sostenuto che la Democrazia Cristiana fosse collusa con la mafia erano dei venduti e delle puttane?
Per inciso molti di quei giornalisti lavorano in questo giornale. Significa che ogni volta che Berlusconi è stato assolto, allora questo dimostrava che i giornalisti che avevano fatto campagne contro di lui (una per tutte le dieci domande di Peppe D’Avanzo) fossero infimi sciacalli?
La risposta è perfino scontata e inutile da dare.
Possiamo solo immaginare che la vista della piazza di Torino, che certifica il no della società civile alla decrescita infelice grillina, insieme ai sondaggi e alle difficoltà quotidiane del governare abbiano fatto saltare i nervi ai due leader grillini.
Ma tali follie restano imperdonabili e sono una minaccia ai principi base della democrazia.
(da “La Repubblica“)
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Novembre 10th, 2018 Riccardo Fucile
LA TRASFERTA D’ORO DI LAURA BOTTICI ALL’HOTEL HILTON COLOMBO
Repubblica oggi racconta che nelle more dei viaggi economici dei ministri e del presidente
del Consiglio M5S c’è un piccolo problema: riposto in un hangar l’Air Force Renzi (l’Airbus A340-500) e i suoi ingenti costi riprese a volare con uno dei due A-319 del 31° Stormo.
Oppure, per i viaggi brevi, con i Falcon della stessa flotta. Significa affidarsi alla professionalità dell’Aeronautica militare, utile non solo per le missioni delle autorità , ma anche per interventi umanitari ed emergenze sanitarie.
Ma impone scali tecnici intermedi nei viaggi più lunghi di nove ore, come accadrà in occasione del prossimo G20 in Argentina.
E ancora, niente mail e internet a bordo, soltanto un telefono satellitare.
Ma c’è anche un’altra storia da raccontare:
Come una mosca fastidiosa, così il capitolo dei voli di Stato complica sempre più spesso le giornate della maggioranza gialloverde. L’ultimo caso riguarda Laura Bottici, senatrice del Movimento dal 2013 e questore di Palazzo Madama. La sua recente missione in Sri Lanka per conto del Parlamento, infatti, può fare scuola agli occhi di un tour operator di lusso.
Basta leggere il programma del viaggio.
Bottici parte con volo Ethiad il 15 settembre 2018 da Fiumicino, posto 6C in Business class. Il ritorno da Colombo, sempre in Business — posto 7C — è del 20 settembre, cinque giorni dopo.
Il costo del biglietto è di 3 mila 600 euro a testa, moltiplicato per tre partecipanti: 10 mila 800 euro in tutto.
Ma non basta. L’hotel a cinque stelle Hilton Colombo, quattro notti di soggiorno, prevede una spesa di 250 euro al giorno a persona. Senza dimenticare i 300 euro al giorno di indennità di missione. Totale: 20 mila euro circa.
Sia chiaro, la missione è istituzionale e serve a presentare Ufficio Valutazione e Impatto del Senato, oltre che a incontrare il ministro della Giustizia, il presidente e vicepresidente del Parlamento dello Sri Lanka.
Nulla di male, insomma. Se non fosse che in questa storia di cinquestelle spiccano soprattutto quelle dell’Hilton e della Business.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 10th, 2018 Riccardo Fucile
PERQUISIZIONI, SCHEDATURE, FOTO, CONTROLLI DEGLI STRISCIONI: QUALCUNO RICORDI AI VERTICI DELLA POLIZIA CHE HANNO GIURATO SULLA COSTITUZIONE NON SULL’ACQUA INQUINATA DEL PO
Decine di pullman si sono messi in marcia verso Roma questa mattina, portando centinaia di persone alla manifestazione contro il decreto sicurezza che si è svolta oggi nella Capitale.
Ovviamente, chi è partito lo ha fatto portando con sè il solito armamentario di striscioni, slogan e bandiere, come è normale in qualunque manifestazione.
Peccato, e questo normale non è in una democrazia, che la polizia abbia fermato e controllato tutti questi striscioni, per controllare che fossero idonei. A cosa, non è chiaro.
Tutti i manifestanti sono stati fatti scendere, schedati, fotografati e sottoposti ad una perquisizione corporale, dei bagagli con un controllo certosino anche di bandiere e striscioni. L’operazione ha ovviamente richiesto parecchio tempo e non contenti, terminati i controlli, le forze dell’ordine hanno trattenuto i pullman per oltre 40 minuti.
Il tentativo delle forze dell’ordine, secondo gli attivisti, sarebbe stato quello di ostacolare la partecipazione alla manifestazione e identificare gli aderenti al corteo.
La manifestazione ha visto la partecipazione di circa 10.000 persone e il corteo non ha creato problemi nella Capitale.
Ora ci attendiamo che l’8 dicembre i pullman che porteranno a Roma i militanti leghisti subiranno il medesimo trattamento con il controllo certosino di striscioni, magliette, documenti e relative schedature con i bus bloccati in campagna alle porte della Capitale
(da agenzie)
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Novembre 10th, 2018 Riccardo Fucile
SUI NEGOZI CHIUSI LA DOMENICA SCOPPIA LA BAGARRE… SALA: “LO FACCIA AD AVELLINO, NON ROMPA LE PALLE A MILANO”… DI MAIO: “FIGHETTO PD, CHI SE NE FREGA”… SALA: “PRIMA LAVORI ALMENO IL 10% DI QUELLO CHE HO FATTO IO”
La proposta del vicepremier Luigi Di Maio sulle chiusure domenicali di negozi e centri
commerciali «la trovo una follia. E poi perchè chi gestisce negozi e ad esempio non i giornalisti? Qual è il senso?».
A dirlo è il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, nel corso di un intervento sabato mattina alla Bicocca. «Se la vogliono fare in provincia di Avellino la facciano, ma a Milano è contro il senso comune. Pensassero alle grandi questioni politiche, non a rompere le palle a noi che abbiamo un modello che funziona e 9 milioni di turisti», ha detto il sindaco.
Sala rispondeva a una domanda sulla proposta di chiusure domenicali del vicepremier Luigi Di Maio, originario appunto di Avellino, nel corso di un dibattito sul «lavoro al femminile» organizzato dal settimanale Elle.
Già al suo arrivo Sala aveva sottolineato – parlando del nuovo progetto per lo stadio Meazza – di come fosse necessario farlo vivere dagli appassionati di calcio e dai turisti «7 giorni su 7».
Pronta la replica di Luigi Di Maio su Instagram: «Per il sindaco di Milano Sala i diritti delle persone sono una rottura di palle. Nessuno vuole chiudere nulla a Milano nè da nessun altra parte, ma chi lavora ha il diritto a non essere più sfruttato. Questo rompe le palle a un sindaco fighetto del Pd? E chi se ne frega!», conclude il vicepremier.
«Quando il Ministro Di Maio avrà lavorato nella sua vita il 10% di quanto ho fatto io, sarà più titolato a definirmi “fighetto”. Non ho altro da aggiungere», questa la bruciante controreplica di Sala su Facebook.
Beppe Sala ha poi chiarito, a margine dell’inaugurazione di una biblioteca libera in un parco milanese, che quella relativa alla città di Avellino «era una battuta, anche se dietro ci sta tanta verità . E la verità è che l’Italia è una ma è fatta anche di bisogni diversi, di situazioni diverse».
«Le grandi città internazionali fanno un po’ vita a sè e hanno bisogni diversi, devono rispondere a tanti turisti, a cittadini che hanno stili di vita diversi, quindi la mia era una battuta – ha ribadito -, ma mi irrita un po’ questa idea di uniformare tutto e di potersi permettere in tutto di generalizzare. Spero che ad Avellino non si arrabbino più di tanto, ma certamente io combatterò se sarà il caso contro la chiusura delle domenica».
La politica «deve fare le cose e chiacchierare meno – ha concluso -. Alcune settimane fa si parlava di chiudere i negozi etnici ad una certa ora, anche qui non si è fatto nulla, anche se io sono convinto che il provvedimento sarebbe folle e anti democratico. Se mai bisogna regolamentare la chiusura di tutti i negozi se in un quartiere danno fastidio».
(da “Il Corriere della Sera”)
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Novembre 10th, 2018 Riccardo Fucile
LA PETIZIONE AL PAPA SUPERA IN UN GIORNO LE 27.000 FIRME … 50 GIOVANI HANNO TROVATO LAVORO ATTRAVERSO IL RECUPERO DEL SITO ARCHEOLOGICO
La mobilitazione corre veloce sul web con migliaia di adesioni alla petizione promossa da Ernesto Albanese dell’associazione l’Altra Napoli per chiedere l’intervento di Papa Francesco.
E anima il Rione Sanità dove spuntano cartelli indirizzati a quella Commissione Pontificia che vuole far cassa sui biglietti staccati ai turisti che si mettono in fila ogni giorno per visitare le Catacombe di San Gennaro e San Gaudioso.
Siti storici, culturali e religiosi recuperati dall’abbandono e gestiti da dieci anni dalla Paranza, la cooperativa che è riuscita a dare un lavoro a 50 giovani del Rione Sanità , alcuni dei quali con esperienze complicate alle spalle.
Ma adesso la Commissione del Vaticano batte cassa e vorrebbe sulla base di una convenzione il 50 per cento degli incassi dei biglietti.
Conti alla mano si tratterebbe di circa 700 mila euro. Una cifra che segnerebbe la fine di un’esperienza unica che è stata capace di coniugare cultura, imprenditoria e attività sociale nel quartiere e che non tiene conto del valore aggiunto che ha rappresentato, gettando le basi per il rilancio culturale di un angolo tormentato della Napoli antica.
E proprio il Rione Sanità non ci sta a subire quello che viene visto come l’ennesimo scippo.
«Che bello vedere tutto il quartiere mobilitarsi per difendere le Catacombe»: Ciro Poppella, noto pasticciere della zona, è quasi commosso.
«Il Rione sta rispondendo alla grande e non me lo sarei aspettato. Stiamo organizzando una grande iniziativa per la prossima settimana», promette.
«Dobbiamo stare vicino a questi giovani che hanno aiutato a portare gente da tutto il mondo nelle nostre strade», gli fa eco Ciro Oliva, pizzaiolo gourmet della Sanità .
Gli appelli a non decretare la fine della Paranza compaiono sui cartelli affissi fuori dai negozi dai commercianti: “Le Catacombe erano un ce… nelle vostre mani appena avete avuto il fiuto dei soldi siete usciti fuori come lupi affamati. Vergognatevi”, scrive il titolare della pescheria, Umberto Sorrentino che incita a lottare contro quello che ritiene un «abuso».
“Giù le mani dalle Catacombe di San Gennaro. Danno lavoro a 50 bravi ragazzi”, si legge su un altro cartellone.
“San Gennaro, ci affidiamo a te. Falli ragionare a questi signori. Le Catacombe danno voce a una comunità intera”, scrivono sulla vetrina di una merceria.
La vicenda riesce a mettere dallo stesso lato della barricata rivali politici come il sindaco Luigi de Magistris e il governatore Vincenzo De Luca.
«Sono convinto che il Santo Padre, conoscendone la sensibilità , comprenderà quanto è importante per il quartiere e per la città un simile laboratorio» afferma l’ex pm, mentre il presidente della Regione posta su Facebook: «Sento il dovere di sottolineare lo straordinario lavoro di quanti operano nelle Catacombe di San Gennaro e di segnalare la necessità di trovare unanimemente una soluzione che consenta di proseguire tale lavoro. Siamo sicuri di poter contare, al di là delle gerarchie, sulla sensibilità di tutti per dare continuità e nuovo slancio a una delle iniziative più vere e interessanti del quartiere della Sanità e della città ».
I ragazzi della cooperativa non fanno polemiche con il Vaticano e continuano ad accogliere i turisti che arrivano alle Catacombe e a organizzare le visite guidate nel sito.
Antonio Della Corte lavorava qui come volontario già prima dell’arrivo della Paranza: «Accompagnavamo i pochi visitatori che venivano alla scoperta delle Catacombe prima che la Paranza fosse incaricata di gestire il sito. Niente stipendio, oggi, invece, ho un contratto di lavoro vero, ma la cosa più importante è che questa esperienza ha riportato alla luce un tesoro inestimabile creando opportunità di recupero sociale e inclusione nel territorio. La nostra speranza è che si trovi una soluzione affinchè questo sogno che abbiamo provato a costruire non naufraghi.
Prima della Paranza i visitatori arrivavano a 5 mila, nel 2017 sono stati 100 mila quest’anno contiamo di arrivare a 150 mila».
Spera in una soluzione condivisa anche Enzo Porzio, un altro dei giovani soci della coop, nata da una felice intuizione di don Antonio Loffredo, il parroco del rione: «Auspichiamo che venga riconosciuta l’unicità di questa esperienza nata nella Sanità che mette insieme bene comune, patrimonio storico artistico, privati e sta dando risultati importanti».
Eddy Colonnese, direttore della casa editrice San Gennaro, va oltre la solidarietà ai ragazzi ed è fiducioso: «La Chiesa deve aiutare l’umanità a stare meglio. Alla fine questa polemica rientrerà perchè questo è un modello vincente, spero che se ne accorgano anche gli altri»
Ieri sera la petizione aveva superato le 27 mila adesioni. L’hanno firmata gli ex ministri Fabrizio Barca e Massimo Bray, Massimo Osanna, direttore degli Scavi di Pompei, Luciano Garella soprintendente di Napoli, Giulia Maria Crespi e Ilaria Borletti Buitoni.
A sostegno dei ragazzi de La Paranza scende in campo Confcooperative Campania. «Auspichiamo che si possa giungere ad un accordo quanto prima, tenendo conto dell’esperienza della coop e del suo impatto positivo nella Sanità » dice il presidente del Comitato territoriale Ferdinando Flagiello.
Si unisce agli appelli la voce di Antonio Cesarano, il papà di Genny, vittima innocente di camorra, ucciso a 17 anni da un proiettile esploso durante una “stesa”: «È paradossale che nel momento in cui il quartiere si riprende, arrivi una richiesta come questa».
(da agenzie)
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Novembre 10th, 2018 Riccardo Fucile
DOPO LE DEFEZIONI DI TRUMP, PUTIN, MERKEL E MACRON, DISERTA ANCHE HAFTAR… 1900 AGENTI IMPEGNATI PER UNA “DUE GIORNI” CHE SI E’ RIDOTTA A DUE ORE
Una città blindata per una Conferenza “short”. 
Oltre 1900 agenti impegnati per garantire la sicurezza di una due giorni che alla fine, da programma ufficiali, si è ridotta a due ore. Due ore di lavori. E’ quanto emerge dal programma ufficiale della Conferenza per la Libia apparso finalmente sul sito della Presidenza del Consiglio.
Quando la Conferenza era in fase di gestazione, si pensava a due giornate piene: una, dedicata agli attori esterni, globali e regionali.
L’altra, a un confronto tra gli attori, o almeno quelli più importanti, interni al frantumato campo libico.
Alla fine, lo spessore degli attori esterni si è fortemente ridimensionato rispetto ai “pesi massimi” che Roma sperava di avere al summit (Trump, Putin, Macron, Angela Merkel, Theresa May..) e viste le difficoltà a trovare un punto di compromesso tra le varie fazioni libiche che a Palermo ci saranno, si è deciso che era meglio snellire il dibattito.E questo, alla fine è il programma ufficiale.
Lunedì 12 novembre: Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, accoglie a Villa Igiea i Capi Delegazione (ore 19) . Segue cena di lavoro (ore 20).
Martedì 13 novembre: il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, accoglie a Villa Igiea i Capi delegazione (ore 9,40). Foto di famiglia (ore 10,55). Ore 11: Sessione plenaria dei Capi Delegazione. Ore 13: Conclusione dei lavori. Ore 13,30-14: Conferenza stampa del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Più “short” di così era impossibile.
Da programma, la discussione durerebbe dalle 11 alle 13. Un niente.
Parlare di ridimensionamento, non solo del programma, è il minimo sindacale. Passare dal ridimensionamento al flop il passo è davvero breve, nonostante gli sforzi, incessanti, della nostra diplomazia.
Se il centro della Conferenza, in termini mediatici, doveva essere la photo opportunity, quella che i foto-cine operatori si apprestano a immortalare è un po’ (eufemismo) sbiadita. Mosca sarà rappresentata dal viceministro degli Esteri Mikhail Bogdanov, Parigi invierà il ministro degli Esteri Jean Ives Le Drian.
Anche Angela Merkel, nonostante le rassicurazioni fornite personalmente a Conte, ha deciso di farsi sostituire dal ministro degli Esteri Niels Annen e Londra, che scatenò nel 2011 la guerra a Gheddafi insieme ai francesi, se la caverà inviando il sottosegretario agli Esteri Alistair Burt.
Ci saranno, invece, il presidente della Tunisia Beji Caid Essebsi, i capi di Stato di Ciad e Niger, Idriss Deby Itno e Mahamadou Issoufou, il primo ministro algerino Ahmed Ouyahia, e gli inviati di Turchia e Qatar.
In arrivo è dato anche il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi.
A dare sostanza, si spera, al summit sarà soprattutto l’inviato Onu per la Libia Ghassan Salamè, che ha illustrato giovedì al Palazzo di Vetro il suo piano per la Libia che prevede il rinvio delle elezioni (e quindi della road map politica) nello Stato nordafricano al 2019 precedute dalla convocazione di una conferenza nazionale, l’unificazione delle istituzioni finanziarie per agevolare la redistribuzione delle risorse e la creazione di una forza militare per mettere in sicurezza Tripoli.
Salamè ha il sostegno dell’Ue (che sarà rappresentata in Sicilia dall’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Federica Mogherini) oltre a quello di Roma e punta molto sul vertice palermitano per far accettare il piano dalle fazioni libiche. E qui si entra in un terreno “minato”. E qui si apre l’altro versante delicato, quello che rischia di franare su Palermo.
E’ il “giallo Haftar”.
“Fonti vicine al comando generale dell’Esercito nazionale libico” hanno smentito al Libyan Address Journal la notizia riportata ieri da La Stampa secondo cui il direttore dei servizi segreti per l’estero, Alberto Manenti, avrebbe convinto il generale Khalifa Haftar a partecipare alla Conferenza di Palermo avuto con Manenti mercoledì scorso a Mosca — dove il generale libico ha avuto un colloquio con il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu — e non sarà a Palermo, come già riferito dal Libyan Address Journal martedì scorso.
Martedì il sito libico, vicino al generale, aveva fatto sapere che l’uomo forte della Cirenaica non intende partecipare al vertice di Palermo per “l’assenza di una chiara agenda e per la possibile partecipazione di parti vicine al governo del Qatar, sostenute negli ultimi anni dalla Turchia con armi, denaro, così come con supporto politico e mediatico”.
“Una defezione del generale Haftar? A noi non risulta”, dicono ad HuffPost fonti diplomatiche impegnate negli ultimi preparativi del meeting. “”Il generale Haftar ci ha dato svariate conferme di voler essere” presente alla Conferenza di Palermo, aveva ribadito nei giorni scorsi lo stesso Moavero.
Ma l’incertezza sulla sua presenza resta. E si fa sempre più pesante.
E in questa frenetica vigilia, avanza anche l’ipotesi di una “conferenza bis “, incentrata sulla “sicurezza” e sul ruolo delle milizie, da tenersi quanto prima a Roma. Di sicuro, a Palermo ci saranno il presidente del parlamento di Tobruk Saleh e il capo del Consiglio di Stato Al Mishri, ma per sanare una ferita il presidente libico al-Serraj dovrà portare i suoi vice per far partecipare l’amico degli italiani, il potente esponente di Misurata Maetig, che non aveva ricevuto l’invito e non l’aveva presa per niente bene.
Il sito Libya Observer ospitava inoltre nei giorni scorsi le proteste di 10 partiti libici, infuriati per l’esclusione. E la prevista conferenza della società civile è stata fatta slittare, come ha confermato la vice ministra degli Esteri, Emanuela Del Re. Alla Farnesina smentiscono la defezione di Haftar, ma il giallo è tutt’altro che risolto.
“A Palermo non ci saranno ricette magiche nè soluzioni predeterminate; faremo però un passo nella direzione giusta, sotto il segno dell’inclusione”, anticipa la numero due della Farnesina parlando all’agenzia Dire. Del Re è stata in prima fila nel preparare l’evento palermitano, facendo a più riprese la spola tra Roma e Tripoli.
La numero due della Farnesina esplicita ciò che HuffPost aveva anticipato nei giorni scorsi: quale sia per l’Italia il metro politico-diplomatico per misura il successo della Conferenza: “La premessa — afferma alla Dire – è che vogliamo creare un momento di incontro nel quale la comunità internazionale mostri coesione e sostegno all’azione dell’inviato dell’Onu”. Secondo Salamè, per portare il Paese fuori da una crisi che dura dal 2011, serve una discussione aperta e solo dopo si deve votare.
“Bisogna dare ai principali gruppi libici l’opportunità di incontrarsi sul suolo libico, senza interferenze esterne, al fine di determinare un chiaro percorso per rompere l’attuale impasse, e rinforzato da un calendario chiaro. Molti vogliono andare avanti con questa Conferenza nazionale e sono d’accordo. Questa è la strada da seguire”. Una strada che l’Italia vorrebbe consolidare con la Conferenza di Palermo.
“A Palermo – spiega Del Re – non ci saranno ricette magiche o soluzioni predeterminate per la crisi libica. Faremo però un passo nella direzione giusta: l’obiettivo è stabilizzare il Paese, superando lo stallo del processo politico con elezioni che si tengano il prima possibile, quando ci saranno le condizioni amministrative, politiche e di sicurezza. Quello di Palermo, d’altra parte, non è un appuntamento sporadico. È costruito nel solco di tante iniziative, come ad esempio la Conferenza di Parigi del maggio scorso, ed è coerente con gli sforzi dell’Onu per il rilancio del percorso politico. In collaborazione con attori chiave come Francia e Stati Uniti, Egitto e Russia, ci concentreremo sulle dimensioni della sicurezza e dell’economia”. L’Italia si affida al “piano S.”: quello messo a punto dall’inviato dell’Onu, sposato in pieno dal titolare della Farnesina, Enzo Moavero Milanesi, e dal premier Conte (con i due vice ministri, Di Maio e Salvini, in posizione defilata e alquanto freddina sulla Conferenza).
Quanto agli obiettivi specifici su cui si spera di compiere dei passi in avanti a Palermo, è la stessa vice ministra a indicarli: “La Conferenza sarà utile per consolidare il cessate il fuoco promosso dall’Onu nell’area di Tripoli e per valorizzare il supporto internazionale alla creazione di forze di sicurezza regolari libiche. Lavoreremo poi per la riunificazione delle istituzioni economiche e finanziarie del Paese. In tempi più dilatati è previsto invece un evento dedicato alla società civile libica, che sarà ospitato sempre dall’Italia”.
Ieri il premier del governo di Tripoli, Fayez al- Serraj, è stato ricevuto a Istanbul dal presidente turco Recep Recep Tayyip Erdogan, dopo che lunedì scorso Serraj aveva ricevuto nella capitale libica il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar.
Il ministro turco aveva incontrato anche il nuovo ministro dell’Interno libico, Fatih Ali Bashagha, della città di Misurata, e il presidente dell’Alto Consiglio di Stato libico, Khaled al-Meshri, espressione della Fratellanza musulmana invisa ad Haftar. L’ufficio di Serraj aveva fatto sapere lunedì che la discussione con Hulusi aveva riguardato programmi di cooperazione nella costruzione di forze di sicurezza e di difesa libiche, attraverso programmi di addestramento, e della necessità di unire le forze armate libiche, oggi divise tra i due governi di Tripoli e Beida che si contendono il controllo del Paese.
Il negoziato sulla riunificazione delle forze di sicurezza libiche è guidato da mesi dall’Egitto, che sostiene Haftar. Dopo l’incontro di ieri a Istanbul, l’ufficio di Serraj ha fatto sapere che le due parti hanno discusso della crisi nel Paese e della conferenza di Palermo, così come delle “prospettive di cooperazione economica” e che “Erdogan ha ribadito la disponibilità della Turchia a contribuire alla ricostruzione della Libia”. Ma il protagonismo del “Sultano di Ankara” confligge con le mire del “Faraone del Cairo”, il presidente al-Sisi, sponsor regionale del feldmaresciallo di Bengasi.
Un ostacolo in più sulla via di Palermo. E per la stabilizzazione della Libia.
Di certo, a Palermo l’Italia si gioca la reputazione, oltre che la chance di tutelare efficacemente i suoi interessi, a partire da quelli energetici e quelli che concernono i movimenti migratori. Il nostro Paese non può permettersi un insuccesso, che ne sancirebbe l’irrilevanza dal punto di vista diplomatico.
Haftar lo sa bene e per questo alza la posta per la sua partecipazione. Più che un bluff, quello del feldmaresciallo ha tutti i caratteri di un ricatto politico.
Che rischia di far saltare il “banco” di Villa Igiea.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 10th, 2018 Riccardo Fucile
SECONDO LA STAMPA LIBICA IL GENERALE DELLA CIRENAICA NON VERRA’ IN ITALIA PER “MANCANZA DI CHIAREZZA SUGLI OBIETTIVI DELL’INCONTRO”
Ultimi aggiornamenti su arrivi e partenze per la Conferenza sulla Libia di Palermo. Un sito di informazioni libico scrive questa mattina che il generale Khalifa Haftar non sarà in Sicilia per la riunione in programma lunedì e martedì prossimi.
Fonti vicine all’uomo forte della Cirenaica vengono citate dal sito The Address e smentiscono la notizia secondo cui Haftar “abbia cambiato idea sulla sua partecipazione alla conferenza di Palermo dopo aver incontrato a Mosca il capo dell’intelligence italiana”, il direttore dell’Aise Alberto Manenti.
Secondo The Address il generale libico “è ancora della sua posizione e non parteciperà alla conferenza di Palermo per la Libia organizzata dal governo italiano”. Il direttore dell’Aise Manenti aveva fatto uscire in Italia la notizia secondo cui Haftar era stato convinto da lui a volare a Palermo dopo un incontro avvenuto a Mosca. Ma Haftar da tempo diceva e faceva dire in giro (per esempio dal figlio) che lui non aveva interesse a partecipare alla conferenza a causa della mancanza di chiarezza sugli obiettivi della riunione.
Detto questo la verità sulla partecipazione del generale a Palermo si conoscerà soltanto all’ultimo momento: per Haftar sarebbe stato impossibile sottrarsi se a Palermo fossero arrivati leader di peso come Trump o Putin, o anche solo i ministri degli Esteri americano e russo, Pompeo e Putin.
Ma anche in assenza di leader internazionali, la conferenza sarebbe comunque un ulteriore passo verso una sua definitiva legittimazione politica.
In vista di Palermo nei giorni scorsi invece il suo “rivale”, il capo del Consiglio presidenziale di Tripoli Fayez Serraj, è volato a Istanbul per incontrare il presidente Erdogan e si prepara anche a incontrare il presidente francese a Parigi.
Serraj sta manovrando per provare a sopravvivere anche nella prossima fase politica, quella che porterà prima a una “grande assemblea” di tutti i leader libici politici e tribali all’inizio del 2019 e poi alle elezioni politiche.
(da agenzie)
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Novembre 10th, 2018 Riccardo Fucile
ITALIA IN BALIA DELLA FECCIA RAZZISTA E OMOFOBA
Lo hanno trascinato a forza in una piazzetta di Brindisi, gli hanno abbassato i pantaloni e
lo hanno umiliato e picchiato davanti a tutti, rivolgendogli insulti omofobi e filmando tutto con il cellulare: la vittima di questo vile atto di bullismo è un ragazzo di 17 anni, i carnefici un 20enne e un 18enne che sono stati denunciati per violenza privata e diffamazione, oltre che per atti di bullismo.
A quanto si apprende, il 17enne sarebbe stato intercettato nel tardo pomeriggio dai due giovani nel rione Commenda di Brindisi, e portato in una piazza della città per essere umiliato in pubblico e filmato.
Indagini dei carabinieri sono in corso per verificare la posizione anche di altre persone coinvolte nella vicenda.
(da agenzie)
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