LA GRANDE OPERAZIONE DEL GOVERNO ITALIANO: LA CONFERENZA DI PALERMO SULLA LIBIA DURERA’ 2 ORE
DOPO LE DEFEZIONI DI TRUMP, PUTIN, MERKEL E MACRON, DISERTA ANCHE HAFTAR… 1900 AGENTI IMPEGNATI PER UNA “DUE GIORNI” CHE SI E’ RIDOTTA A DUE ORE
Una città blindata per una Conferenza “short”.
Oltre 1900 agenti impegnati per garantire la sicurezza di una due giorni che alla fine, da programma ufficiali, si è ridotta a due ore. Due ore di lavori. E’ quanto emerge dal programma ufficiale della Conferenza per la Libia apparso finalmente sul sito della Presidenza del Consiglio.
Quando la Conferenza era in fase di gestazione, si pensava a due giornate piene: una, dedicata agli attori esterni, globali e regionali.
L’altra, a un confronto tra gli attori, o almeno quelli più importanti, interni al frantumato campo libico.
Alla fine, lo spessore degli attori esterni si è fortemente ridimensionato rispetto ai “pesi massimi” che Roma sperava di avere al summit (Trump, Putin, Macron, Angela Merkel, Theresa May..) e viste le difficoltà a trovare un punto di compromesso tra le varie fazioni libiche che a Palermo ci saranno, si è deciso che era meglio snellire il dibattito.E questo, alla fine è il programma ufficiale.
Lunedì 12 novembre: Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, accoglie a Villa Igiea i Capi Delegazione (ore 19) . Segue cena di lavoro (ore 20).
Martedì 13 novembre: il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, accoglie a Villa Igiea i Capi delegazione (ore 9,40). Foto di famiglia (ore 10,55). Ore 11: Sessione plenaria dei Capi Delegazione. Ore 13: Conclusione dei lavori. Ore 13,30-14: Conferenza stampa del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Più “short” di così era impossibile.
Da programma, la discussione durerebbe dalle 11 alle 13. Un niente.
Parlare di ridimensionamento, non solo del programma, è il minimo sindacale. Passare dal ridimensionamento al flop il passo è davvero breve, nonostante gli sforzi, incessanti, della nostra diplomazia.
Se il centro della Conferenza, in termini mediatici, doveva essere la photo opportunity, quella che i foto-cine operatori si apprestano a immortalare è un po’ (eufemismo) sbiadita. Mosca sarà rappresentata dal viceministro degli Esteri Mikhail Bogdanov, Parigi invierà il ministro degli Esteri Jean Ives Le Drian.
Anche Angela Merkel, nonostante le rassicurazioni fornite personalmente a Conte, ha deciso di farsi sostituire dal ministro degli Esteri Niels Annen e Londra, che scatenò nel 2011 la guerra a Gheddafi insieme ai francesi, se la caverà inviando il sottosegretario agli Esteri Alistair Burt.
Ci saranno, invece, il presidente della Tunisia Beji Caid Essebsi, i capi di Stato di Ciad e Niger, Idriss Deby Itno e Mahamadou Issoufou, il primo ministro algerino Ahmed Ouyahia, e gli inviati di Turchia e Qatar.
In arrivo è dato anche il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi.
A dare sostanza, si spera, al summit sarà soprattutto l’inviato Onu per la Libia Ghassan Salamè, che ha illustrato giovedì al Palazzo di Vetro il suo piano per la Libia che prevede il rinvio delle elezioni (e quindi della road map politica) nello Stato nordafricano al 2019 precedute dalla convocazione di una conferenza nazionale, l’unificazione delle istituzioni finanziarie per agevolare la redistribuzione delle risorse e la creazione di una forza militare per mettere in sicurezza Tripoli.
Salamè ha il sostegno dell’Ue (che sarà rappresentata in Sicilia dall’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Federica Mogherini) oltre a quello di Roma e punta molto sul vertice palermitano per far accettare il piano dalle fazioni libiche. E qui si entra in un terreno “minato”. E qui si apre l’altro versante delicato, quello che rischia di franare su Palermo.
E’ il “giallo Haftar”.
“Fonti vicine al comando generale dell’Esercito nazionale libico” hanno smentito al Libyan Address Journal la notizia riportata ieri da La Stampa secondo cui il direttore dei servizi segreti per l’estero, Alberto Manenti, avrebbe convinto il generale Khalifa Haftar a partecipare alla Conferenza di Palermo avuto con Manenti mercoledì scorso a Mosca — dove il generale libico ha avuto un colloquio con il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu — e non sarà a Palermo, come già riferito dal Libyan Address Journal martedì scorso.
Martedì il sito libico, vicino al generale, aveva fatto sapere che l’uomo forte della Cirenaica non intende partecipare al vertice di Palermo per “l’assenza di una chiara agenda e per la possibile partecipazione di parti vicine al governo del Qatar, sostenute negli ultimi anni dalla Turchia con armi, denaro, così come con supporto politico e mediatico”.
“Una defezione del generale Haftar? A noi non risulta”, dicono ad HuffPost fonti diplomatiche impegnate negli ultimi preparativi del meeting. “”Il generale Haftar ci ha dato svariate conferme di voler essere” presente alla Conferenza di Palermo, aveva ribadito nei giorni scorsi lo stesso Moavero.
Ma l’incertezza sulla sua presenza resta. E si fa sempre più pesante.
E in questa frenetica vigilia, avanza anche l’ipotesi di una “conferenza bis “, incentrata sulla “sicurezza” e sul ruolo delle milizie, da tenersi quanto prima a Roma. Di sicuro, a Palermo ci saranno il presidente del parlamento di Tobruk Saleh e il capo del Consiglio di Stato Al Mishri, ma per sanare una ferita il presidente libico al-Serraj dovrà portare i suoi vice per far partecipare l’amico degli italiani, il potente esponente di Misurata Maetig, che non aveva ricevuto l’invito e non l’aveva presa per niente bene.
Il sito Libya Observer ospitava inoltre nei giorni scorsi le proteste di 10 partiti libici, infuriati per l’esclusione. E la prevista conferenza della società civile è stata fatta slittare, come ha confermato la vice ministra degli Esteri, Emanuela Del Re. Alla Farnesina smentiscono la defezione di Haftar, ma il giallo è tutt’altro che risolto.
“A Palermo non ci saranno ricette magiche nè soluzioni predeterminate; faremo però un passo nella direzione giusta, sotto il segno dell’inclusione”, anticipa la numero due della Farnesina parlando all’agenzia Dire. Del Re è stata in prima fila nel preparare l’evento palermitano, facendo a più riprese la spola tra Roma e Tripoli.
La numero due della Farnesina esplicita ciò che HuffPost aveva anticipato nei giorni scorsi: quale sia per l’Italia il metro politico-diplomatico per misura il successo della Conferenza: “La premessa — afferma alla Dire – è che vogliamo creare un momento di incontro nel quale la comunità internazionale mostri coesione e sostegno all’azione dell’inviato dell’Onu”. Secondo Salamè, per portare il Paese fuori da una crisi che dura dal 2011, serve una discussione aperta e solo dopo si deve votare.
“Bisogna dare ai principali gruppi libici l’opportunità di incontrarsi sul suolo libico, senza interferenze esterne, al fine di determinare un chiaro percorso per rompere l’attuale impasse, e rinforzato da un calendario chiaro. Molti vogliono andare avanti con questa Conferenza nazionale e sono d’accordo. Questa è la strada da seguire”. Una strada che l’Italia vorrebbe consolidare con la Conferenza di Palermo.
“A Palermo – spiega Del Re – non ci saranno ricette magiche o soluzioni predeterminate per la crisi libica. Faremo però un passo nella direzione giusta: l’obiettivo è stabilizzare il Paese, superando lo stallo del processo politico con elezioni che si tengano il prima possibile, quando ci saranno le condizioni amministrative, politiche e di sicurezza. Quello di Palermo, d’altra parte, non è un appuntamento sporadico. È costruito nel solco di tante iniziative, come ad esempio la Conferenza di Parigi del maggio scorso, ed è coerente con gli sforzi dell’Onu per il rilancio del percorso politico. In collaborazione con attori chiave come Francia e Stati Uniti, Egitto e Russia, ci concentreremo sulle dimensioni della sicurezza e dell’economia”. L’Italia si affida al “piano S.”: quello messo a punto dall’inviato dell’Onu, sposato in pieno dal titolare della Farnesina, Enzo Moavero Milanesi, e dal premier Conte (con i due vice ministri, Di Maio e Salvini, in posizione defilata e alquanto freddina sulla Conferenza).
Quanto agli obiettivi specifici su cui si spera di compiere dei passi in avanti a Palermo, è la stessa vice ministra a indicarli: “La Conferenza sarà utile per consolidare il cessate il fuoco promosso dall’Onu nell’area di Tripoli e per valorizzare il supporto internazionale alla creazione di forze di sicurezza regolari libiche. Lavoreremo poi per la riunificazione delle istituzioni economiche e finanziarie del Paese. In tempi più dilatati è previsto invece un evento dedicato alla società civile libica, che sarà ospitato sempre dall’Italia”.
Ieri il premier del governo di Tripoli, Fayez al- Serraj, è stato ricevuto a Istanbul dal presidente turco Recep Recep Tayyip Erdogan, dopo che lunedì scorso Serraj aveva ricevuto nella capitale libica il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar.
Il ministro turco aveva incontrato anche il nuovo ministro dell’Interno libico, Fatih Ali Bashagha, della città di Misurata, e il presidente dell’Alto Consiglio di Stato libico, Khaled al-Meshri, espressione della Fratellanza musulmana invisa ad Haftar. L’ufficio di Serraj aveva fatto sapere lunedì che la discussione con Hulusi aveva riguardato programmi di cooperazione nella costruzione di forze di sicurezza e di difesa libiche, attraverso programmi di addestramento, e della necessità di unire le forze armate libiche, oggi divise tra i due governi di Tripoli e Beida che si contendono il controllo del Paese.
Il negoziato sulla riunificazione delle forze di sicurezza libiche è guidato da mesi dall’Egitto, che sostiene Haftar. Dopo l’incontro di ieri a Istanbul, l’ufficio di Serraj ha fatto sapere che le due parti hanno discusso della crisi nel Paese e della conferenza di Palermo, così come delle “prospettive di cooperazione economica” e che “Erdogan ha ribadito la disponibilità della Turchia a contribuire alla ricostruzione della Libia”. Ma il protagonismo del “Sultano di Ankara” confligge con le mire del “Faraone del Cairo”, il presidente al-Sisi, sponsor regionale del feldmaresciallo di Bengasi.
Un ostacolo in più sulla via di Palermo. E per la stabilizzazione della Libia.
Di certo, a Palermo l’Italia si gioca la reputazione, oltre che la chance di tutelare efficacemente i suoi interessi, a partire da quelli energetici e quelli che concernono i movimenti migratori. Il nostro Paese non può permettersi un insuccesso, che ne sancirebbe l’irrilevanza dal punto di vista diplomatico.
Haftar lo sa bene e per questo alza la posta per la sua partecipazione. Più che un bluff, quello del feldmaresciallo ha tutti i caratteri di un ricatto politico.
Che rischia di far saltare il “banco” di Villa Igiea.
(da “Huffingtonpost”)
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