Novembre 15th, 2018 Riccardo Fucile
LA VI COMMISSIONE APPROVA UN PARERE CHE INVIA AL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA… SE AVESSE UN MINIMO DI DIGNITA’ QUESTA SERA SALVINI RASSEGNEREBBE LE DIMISSIONI E ANDREBBE FINALMENTE A CERCARSI IL PRIMO LAVORO
Il decretro sicurezza varato dal governo è incostituzionale nella parte che si occupa di
migranti e richiedenti asilo.
Lo scrive la VI commissione del Consiglio superiore della magistratura in un corposo parere indirizzato al ministero della Giustizia e che sarà discusso mercoledi prossimo dal plenum di Palazzo dei Marescialli.
Il testo, i relatori sono il laico Alberto Maria Benedetti (M5S) e il togato Paolo Cricuoli (Magistratura Indipendente), è stato approvato all’unanimità
Nel pomeriggio, durante un incontro a Lucca sul quadro giuridico europeo e internazionale in materia di immigrazione, il vicepresidente del Csm David Ermini aveva detto che “la sfida dell’immigrazione richiede da parte della comunità internazionale politiche condivise e solidali”.
E’ illusorio pensare di arrestare le ondate migratorie presidiando le frontiere in una prospettiva di chiusura autarchica. Quello dell’immigrazione è dunque – aveva aggiunto Ermini – un fenomeno da affrontare con senso della realtà e responsabilità ” e “in questa prospettiva il giudice gioca un ruolo decisivo che va esercitato evitando derive burocratiche”.
(da agenzie)
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Novembre 15th, 2018 Riccardo Fucile
ALTRO SCHIAFFONE A SALVINI E ALLA SUA PROPOSTA DI MODIFICA DEI MODULI PER IL RILASCIO DEL DOCUMENTO
Il Garante della Privacy boccia la sostituzione dell’indicazione “genitore 1 e 2” con quella
di “padre” e “madre” nei moduli per il rilascio della carta d’identità in formato elettronico per i figli minorenni.
Ad annunciare il ritorno alla definizione che evidenzia il sesso dei genitori era stato il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che aveva dato disposizione agli uffici del Viminale di modificare tutta la modulistica a riguardo.
Lo stesso ministero, a settembre, aveva richiesto il parere del Garante sullo schema di decreto che avrebbe introdotto la riforma.
E l’Authority si è pronunciata a fine ottobre in modo negativo, rilevando una serie di criticità .
Per quanto riguarda i profili di protezione dei dati personali, sostiene il Garante, “la modifica è suscettibile di introdurre profili di criticità nei casi in cui la richiesta della carta di identità , per un minore, è presentata da figure che esercitano la responsabilità genitoriale che non siano esattamente riconducibili alla specificazione terminologica ‘padre’ o ‘madre’ . Ciò, in particolare, nel caso in cui sia prevista la richiesta congiunta (l’assenso) di entrambi i genitori del minore (documento valido per l’espatrio)”.
Le ipotesi sono quelle in cui la responsabilità genitoriale e la trascrizione nei registri dello stato civile dei figli seguono una sentenza di adozione in casi particolari, la trascrizione di atti di nascita formati all’estero, il riconoscimento in Italia di provvedimenti di adozione pronunciati all’estero, la rettifica di attribuzione del sesso, oppure quando a registrare sia direttamente il sindaco. In questi casi, spiega il Garante, il rilascio del documento “potrebbe essere impedito dall’ufficio – in violazione di legge – oppure, potrebbe essere subordinato a una dichiarazione non corrispondente alla realtà , da parte di uno degli esercenti la responsabilità genitoriale. Infatti, nella richiesta del documento, nella ricevuta rilasciata dall’ufficio e, soprattutto, nel documento d’identità rilasciato per il minore, il dato relativo a uno dei genitori sarà indicato in un campo riportante una specificazione di genere non corretta”. In pratica, si rischierebbe di imporre di dichiarare dati falsi o inesatti oppure di fornire dati di carattere estremamente personale non necessari.
“Condivido interamente il parere del Garante per la Privacy”, ha dichiarato Luigi Manconi, direttore dell’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali della presidenza del Consiglio dei ministri.
Secondo Manconi, infatti, la modifica esporrebbe “al rischio di disparità di trattamento” nei casi segnalati dal parere e di violazione della protezione dei dati personali.
“L’Unar – conclude Manconi – chiede al governo di accogliere interamente il parere del Garante per la Privacy nella elaborazione delle modalità tecniche di emissione della carta di identità elettronica”.
(da agenzie)
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Novembre 15th, 2018 Riccardo Fucile
L’EMENDAMENTO SCONCIO PER ELIMINARE IL REATO DI PECULATO: ORA VEDIAMO SE I PARLAMENTARI GRILLINI VOTERANNO ANCHE IL “SALVACORROTTI”
Un colpo di spugna sui processi “spese pazze” che in questi anni hanno coinvolto decine di consiglieri regionali, in tutta Italia.
E che, in particolare, salverebbe il fior fiore del leghismo di governo, nell’era gialloverde: Riccardo Molinari, Edoardo Rixi, coinvolti in Piemonte e Liguria in processi sugli scandali dei rimborsi con i fondi delle regioni.
Il colpo di spugna è in un emendamento leghista, all’articolo 1 del decreto “Spazzacorrotti”, pomposamente presentato come una scure legalitaria sulla politica allegra nella gestione del denaro. Emendamento su cui il governo aveva in prima battuta dato parere negativo ma che poi, proprio ieri, è stato invece “accantonato”.
E su cui ossi è andato in scena in commissione il grande freddo tra gli alleati di governo. Ma su questo torneremo tra un po’.
L’emendamento 1.61, inserisce alcune parole che modificano l’articolo del codice penale sul peculato, quello in base al quale sono sotto processo Molinari, Rixi e decine di consiglieri regionali in tutta Italia. Che, nella riformulazione, diventerebbe così:
“Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità AUTONOMA di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria SALVO CHE TALE DISTRAZIONE SI VERIFICHI NELL’AMBITO DI PROCEDIMENTO NORMATO DA LEGGE O REGOLAMENTO APPARTENGA ALLA SUA COMPETENZA, è punito con la reclusione da 4 anni a 10 anni e 6 mesi” (in maiuscolo le aggiunte dell’emendamento, ndr).
Adesso funziona così: un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio che, per ragioni del suo ufficio, si appropria di denaro commette peculato. Secondo la modifica il reato sussiste solo se il suo utilizzo non è normato da un regolamento interno.
Tradotto, un consigliere comunale o regionale che sia non può essere accusato di peculato, se l’utilizzo dei fondi che ha maneggiato sono disciplinati da un regolamento del suo gruppo.
Il caso è stato sollevato da Alessia Morani del Pd, e non solo. Che si è scagliata contro lo “spazza reati della Lega”.
Perchè evidentemente la norma, nella sua riformulazione, impatta sui processi in atto che riguardano i suoi esponenti di spicco: Riccardo Molinari, il capogruppo alla Camera, condannato in Appello per l’utilizzo dei fondi regionali in Piemonte e il viceministro Edoardo Rixi, indagato per peculato nella gestione dei fondi in Liguria. Tre anni a quattro mesi la richiesta del Pm. Sono i casi più eclatanti.
In verità , se l’emendamento dovesse passare sarebbe una vera “ammazza-processi” che stroncherebbe le varie “Rimborsopoli” che, in questi anni, hanno coinvolto in modo bipartisan parecchi consigli regionali: Lazio, Emilia Romagna, Abruzzo, per ricordare processi ancora in corso.
E — non è un dettaglio — renderebbe molto più facile la composizione delle liste che verranno.
Tanto per fare un esempio, la Lega vorrebbe candidare, alle Europee o alle prossime regionali, Alberto Cirio, uomo forte in Piemonte, incappato ai tempi in cui era consigliere regionale di Forza Italia nella “rimborsopoli”.
Di casi come questi ce ne sono parecchi, in tutti i partiti.
E si capisce come attorno alla norma si crea un caso politico. Con i relatori, dei Cinque stelle, che danno di nuovo parere negativo sull’emendamento. Normalmente, dopo il parere del governo, si procede al voto. E invece è stato di nuovo “accantonato”.
E sospesa la seduta, aggiornata a domani, in un clima di nervosismo e imbarazzo. Perchè per la Lega è quell’emendamento è vitale.
Per i Cinque Stelle è impotabile: “Non sarà mai legge”, dice il capogruppo M5s in Commissione Angela Salafia
E la decisione, come tutto in questa maggioranza, è affidata al tavolo tra Di Maio e Salvini.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 15th, 2018 Riccardo Fucile
I DUE DISSIDENTI: “CHI HA PROMOSSO QUESTI PROVVEDIMENTI HA VIOLATO I VALORI FONDANTI E I PRINCIPI ETICI DEL M5S, CI CHIEDANO SCUSA”
“Mentre in Senato si votava il condono di Ischia e lo sversamento di fanghi velenosi nel
suolo agricolo, noi abbiamo preferito andare al Fatebenefratelli a donare il sangue. Chi ha promosso questi provvedimenti, violando i valori fondanti e i principi etici del M5S, dovrebbe almeno chiedere scusa”.
Lo affermano in una nota congiunta i senatori 5 Stelle Lello Ciampolillo e Saverio De Bonis a margine del voto finale al decreto Genova.
Sono dieci i senatori del Movimento 5 stelle che non hanno preso parte alla votazione del dl Genova al Senato.
Oltre a Ciampolillo e De Bonis, si tratta di Vittoria Deledda Bogo, Gregorio De Falco, Luigi Di Marzio, Elena Fattori, Michele Giarrusso, Cinzia Leone, Paola Nugnes e Mario Turco.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 15th, 2018 Riccardo Fucile
IN DIECI ANNI DA PARLAMENTARE LA SUA PERCENTUALE DI PRESENZA E’ DEL 2,5%… MA NESSUNO SI VERGOGNA A PRENDERE COSI’ IN GIRO L’ELETTORE?
Michela Vittoria Brambilla, 51 anni, ex giornalista Mediaset promossa deputata da Silvio Berlusconi nel 2008, si appresta a diventare il nuovo mito assoluto dell’assenteismo parlamentare: in oltre sette mesi di legislatura ha fatto registrare una sola presenza nelle votazioni di Montecitorio (quella in cui ha detto no alla fiducia al governo Conte).
Per il resto, ha già dato buca più di mille volte, con un indice di assenteismo del 99,93 per cento, secondo i dati Openparlamento.it.
Anche nella passata legislatura (2013-2018) l’onorevole Brambilla non aveva brillato per presenze in Aula: si era vista solo all’1,1 per cento delle votazioni, pur risultando spesso “in missione”.
In quella prima ancora, quando debuttò (2008-2013), aveva fatto un po’ meglio – si fa per dire – con uno score di presenze del 5,6 per cento.
In totale, da quando è parlamentare (cioè da oltre 10 anni) Brambilla è stata presente alle votazioni in Parlamento meno del 2,5 per cento delle volte.
Curiosamente, nella sua pagina Facebook Brambilla mette una sua foto con lo sfondo di Montecitorio, scattata quindi in una delle rare occasioni in cui l’onorevole ci è passata.
(da “L’Espresso”)
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Novembre 15th, 2018 Riccardo Fucile
“NON E’ UNA RIFORMA DELLO SPORT, MA UN’OCCUPAZIONE DEL CONI DA PARTE DELLA POLITICA”… LA LOTTIZZAZIONE DEI FONDI DA PARTE DELLA LEGA
“Questa non è la riforma dello sport italiano, non c’entra nulla. Questo è un discorso in
modo elegante di occupazione del Comitato olimpico italiano. Lo stesso fascismo, pur non essendo estremamente elastico nell’acconsentire a tutti di esprimere le proprie opinioni, aveva rispettato quella che era stata la storia del Coni dall’epoca della sua fondazione”.
Un attacco durissimo e senza precedenti verso il governo quello partito dal presidente del Comitato olimpico nazionale, Giovanni Malagò, parlando ai membri del consiglio nazionale in corso in riferimento alla riforma del Coni contenuta nella bozza della manovra.
Alla base dello scontro c’è il fatto che da parte del governo viene considerato un conflitto di interesse il fatto che sinora sia stato il Coni a distribuire i soldi alle Federazioni, visto che poi tocca ai presidenti delle stesse Federazioni a votare il n.1 del Coni.
La cassa in pratica non la avrà più la Coni Servizi, come adesso, ma una nuova società di ispirazione e nomina governativa, la Sport e Salute spa.
A Malagò e quindi al Comitato olimpico nazionale spetteranno solo 40 milioni per la preparazione olimpica. Il mondo dello sport, ovviamente, interpreta questo cambiamento come uno svuotamento di poteri e di autonomia in favore della politica.
Per questo l’intemerata di Malagò ha scatenato applausi e ovazioni nel mondo sportivo.
Questa riforma è una cosa “che il Coni non si merita per la sua storia – ha continuato Malagò davanti al Consiglio nazionale – per quello che ha fatto. Questa non è una riforma dello sport italiano, non c’entra assolutamente niente ma è un discorso di occupazione del comitato olimpico nazionale. Il discorso è questo, poi se qualcuno vuole edulcorare…”.
“Io non considero questa una riforma ma la precisa, fortissima volontà della politica di oggi di trasformare il Coni: io sono in parte in causa perchè se si chiede all’oste come si mangia… Ma qui ci sono mostruose capacità e siamo il comitato più prestigioso al mondo, mentre con questa riforma diventeremmo l’ultimo comitato al mondo. Sarà solo un tour operator. E’ sicuro”, ha continuato il presidente del Coni.
Malagò è incontenibile e ironico: “Hanno chiamato la nuova società Sport e Salute spa, ce n’è tantissime in Italia, si occupano anche di massaggi…”.
“Se questa riforma fosse iniziata a gennaio – aggiunge – mi sarei dimesso contestualmente. Non avrei fatto il becchino nè il notatio. E se dico che mi dimetto mi dimetto, ma io non abbandono la mia barca a cinque mesi dalle Olimpiadi del 2020. Non lo faccio, ma c’è una profonda illogicità in questo documento”.
“Abbiamo fatto notare – ha poi precisato Malagò – che questa riforma non è applicabile nel 2019 e ci è stato risposto che è per il 2020: peggio mi sento, nell’anno delle Olimpiadi. Io sono stato eletto per essere presidente di un altro Coni: questo Coni (come previsto dalla nuova legge, ndr) non lo accetto. Il problema è mostruoso, clamoroso”.
“È un problema – ha concluso nel suo discorso durato quasi un’ora – che nessuno dei qui presenti e degli altri stakeholder meritava. Non so cosa succederà . Ci aggiorneremo il più possibile e oggi oltre a dire viva lo sport e viva l’Italia, dico anche viva il Coni”.
Nel frattempo, il Consiglio nazionale del Coni ha approvato il documento dove si dà mandato al presidente del Giovanni Malagò, di trattare con il governo sulla riforma del Comitato Olimpico inserita in manovra. Unico voto contrario tra i presenti, quello del senatore leghista e presidente dell’Asi, Claudio Barbaro.
Molto polemico anche Franco Carrraro, così come durissimo è stato l’ex presidente del Coni Mario Pescante, secondo cui si tratta di “un colpo di mano, perfino la legge del 1942 di Mussolini era molto più democratica. Di che cosa siamo responsabili per essere stati percossi in questo modo? Questo è un colpo di mano. Non ci illudiamo, la politica è già arrivata e in futuro non si discuterà affatto, c’è un signore che deciderà i contributi alle Federazioni”, ha commentato Pescante.
(da agenzie)
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Novembre 15th, 2018 Riccardo Fucile
IL QUOTIDIANO FINANZIARIO TEDESCO: “DRAGHI NON PERDA TEMPO”
L’attenzione si è destata improvvisamente ancor prima che la lettera di risposta del Governo italiano venisse recapitata alla Commissione Europea.
Nell’arco di 24 ore il principale quotidiano finanziario del Paese, i capo-economisti delle maggiori banche tedesche, il presidente della Banca centrale e – seppur con il bon ton suggerito dall’opportunità diplomatica – la cancelliera federale hanno espresso, all’unisono, un loro assillo comune: il debito pubblico italiano.
Con una serie di interventi in rapida sequenza, ma con modi diversi, le principali autorità politiche ed finanziarie di Berlino preparano il terreno allo scontro che nei prossimi giorni impegnerà Roma e Bruxelles sulla legge di Bilancio, con toni che oscillano dall’avvertimento disinteressato alle minacce in senso stretto.
Prendiamo per esempio Jà¶rg Krà¤mer, capo-economista di Commerzbank, secondo istituto di credito della Germania.
Il titolo del suo intervento pubblicato su Handelsblatt Global non lascia spazio all’interpretazione: “Lasciare che i mercati castighino i populisti italiani”.
Sulla versione internazionale del quotidiano finanziario tedesco, Krà¤mer auspica che l’Ue e la Bce “non indietreggino” di fronte all’ostinazione di Roma di lasciare sostanzialmente intatto il suo Documento di Bilancio. Anzi: “Devono sfruttare le pressioni che i mercati stanno esercitando sull’Italia”.
Stare fermi, e aspettare. A quel punto, sostiene il capo-economista di Commerzbank, in sofferenza di liquidità per finanziare il suo debito in seguito all’esplosione dello spread, Roma può rientrare nel programma di acquisti di titoli di uno Stato membro (l’Omt), una volta che a fine anno la Bce avrà sospeso il Quantitative easing.
Com’è noto però, l’assistenza finanziaria dell’Omt non è a buon mercato: prevede infatti che il Governo che se ne avvale approvi un rigoroso piano di riforme (in pratica, tagli alla spesa pubblica) a cui l’erogazione dei finanziamenti della Bce è strettamente vincolata.
“Difficilmente l’esecutivo populista accetterebbe di varare queste riforme”, scrive Krà¤mer. Come fare? L’economista suggerisce anche il successivo passo politico: “Il Presidente della Repubblica dovrebbe indire una nuova rapida elezione che appoggi un governo moderato, che accetti le riforme richiesta dall’UE, creando così le condizioni perchè la BCE intervenga”.
Un remake dell’avvicendamento Berlusconi-Monti, in sintesi.
Ma difficilmente Mattarella potrà seguire questo schema, si rammarica Krà¤mer. E quindi? “Affinchè i mercati esercitino la loro disciplina, la Bce si deve attenere alle regole”, e stare ferma fino a quando l’Italia, sotto lo schiaffo dei mercati, non accetti le riforme “chieste” da Bruxelles.
L’opinione espressa con modi rudi da Krà¤mer su Handlesblatt è l’equivalente di quella apparsa qualche ora prima sul Financial Times, a firma del collega David Folkerts-Landau, capo-economista di Deutsche Bank, al quale va forse riconosciuto lo zelo profuso nel far passare l’austerità richiesta da Bruxelles come la base per un “grande accordo”.
Folkerts-Landau inizia il suo intervento riconoscendo ampi meriti a Roma per la sua “parsimonia” nella programmazione di bilancio degli anni passati: l’Italia dall’ingresso nell’Eurozona “ha registrato un avanzo primario di bilancio quasi ogni anno. In confronto, tutti gli altri paesi della zona euro, ad eccezione della Germania, hanno accumulato disavanzi primari anno dopo anno”.
Il problema, secondo l’economista di DB, è la spesa sugli interessi del debito pubblico accumulato prima dell’ingresso nell’euro e ogni soluzione passa dalla sua riduzione. Ecco, in pratica la soluzione prospettata da Folkerts-Landau: coinvolgere il Meccanismo europeo di Stabilità finanziando una parte del debito italiano, così da permettere all’Italia di ripagarne gli interessi solo quando la sua economia sarà tornata a crescere: “La bozza di questo grande accordo è la seguente: l’Italia deve accettare che miglioramenti duraturi nella crescita non saranno raggiunti senza le riforme strutturali”.
Ecco che tornano, quindi, le riforme “chieste” dall’Europa. La declinazione del concetto da parte dei due capo-economisti è diversa, l’effetto invece è lo stesso.
Per Berlino e non solo il tempo del bazooka di Draghi è finito e non è il caso di tergiversare oltre, ribadendo che dalla prossima estate si penserà a un “rialzo” dei tassi. Per l’Eurozona ora non è il momento di attenuare il rigore fiscale e nazioni fortemente indebitate “come l’Italia” dovrebbero ridurre il carico del debito”.
Tra le tante premure per la situazione italiana non poteva mancare quella di Angela Merkel. Nel suo discorso alla plenaria di Strasburgo, la Cancelliera l’ha sottolineata “con enfasi” che “l’Italia è un paese fondatore”. E quindi, “ha deciso insieme a tutti gli altri le regole che oggi sono all’origine della nostra base giuridica”, ha detto Merkel. Chiedendo quindi l’intervento della Commissione Europea: “Ora la Commissione ha un compito importante da svolgere, è importante che si giunga a una soluzione e la mia speranza è che lo si faccia nel dialogo con le autorità italiane”.
Se non bastasse, a soffiare sul fuoco ci ha poi pensato un editoriale di Handelsblatt, principale quotidiano finanziario della Germania: “La lettera di Roma è uno schiaffo in faccia agli altri partner dell’Unione Europea”. Quelle che arrivano da Berlino, invece, sono carezze.
(da agenzie)
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Novembre 15th, 2018 Riccardo Fucile
FUMATA NERA DA ROMA: L’AZIENDA RIBADISCE LA CHIUSURA DELLO STABILIMENTO DI NOVI LIGURE, DI MAIO FA SOLO CHIACCHIERE
È durato circa un’ora, fra le 11 e le 12, a Roma, il “tavolo” sulla Pernigotti nella sede del
ministero dello Sviluppo economico, alla presenza del vicepremier e ministro, Luigi Di Maio
L’azienda, attraverso alcuni consulenti, ha ribadito la chiusura della stabilimento di Novi Ligure , in provincia di Alessandria, e il trasferimento della produzione “in conto terzi”, secondo fonti sindacali: i rappresentanti dei lavoratori hanno però respinto la proposta, perchè «abbasserebbe la qualità dei prodotti Pernigotti».
Di Maio, sempre secondo i sindacati, avrebbe chiesto un confronto diretto con la multinazionale turca Toksoz, proprietaria dell’azienda e non presente al “tavolo”, e riferito che anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è intenzionato a incontrarli.
La proprieta’ ha intenzione di trasferire la produzione altrove, ma sempre in Italia, affidandola a terzi. Il ministero dovrebbe intervenire nel merito con proposte concrete che possano convincere la proprietà che lamenta “un costo del lavoro insostenibile”.
Annunciare che il “marchio deve essere legato al territorio” non c’entra una cippa se poi nessuna azienda si propone per rilavare il marchio.
Un conto sono le chiacchiere, altra cosa i fatti.
(da agenzie)
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Novembre 15th, 2018 Riccardo Fucile
DA 30 ANNI I GOVERNI NON HANNO IL CORAGGIO DI INDICARE UN SITO DOVE SISTEMARE LE SCORIE DELLE VECCHIE CENTRALI PER TIMORE DI PERDERE VOTI… COSI’ SULLA BOLLETTA ELETTRICA ABBIAMO GIA’ PAGATO 3,7 MILIARDI PER LA GESTIONE E LO SMALTIMENTO
“Una delle opzioni che stiamo valutando, di concerto con i ministeri,è la possibilità di trasferirli all’estero. Quali Paesi? La Slovacchia, per esempio”: due giorni fa il presidente della commissione Industria del Senato, Gianni Girotto, ha detto al Fatto che la maggioranza sta lavorando a una soluzione per le scorie nucleari frutto della prima (e per ora unica) stagione dell’Atomo all’Italiana.
Una soluzione che è sempre la solita, visto che prevede di portare all’estero i rifiuti invece che dare loro una sistemazione definitiva nel Deposito di scorie nucleari che l’Italia deve costruire da quasi trent’anni ma, a parte gli allegri annunci di ministri come Calenda, senza aver mai fatto nulla di nulla in questi anni.
Ricapitoliamo i punti principali della vicenda: la gestione dei rifiuti radioattivi e delle centrali sono attualmente affidati alla Sogin-Società gestione impianti nucleari, l’azienda dello Stato (100% del Tesoro ma supervisione del ministero dello Sviluppo) nata nel 1999 per smantellare le centrali di Caorso, Trino, Latina e Garigliano, e gli impianti ex-Enea.
Tutti i costi sono coperti dalla bolletta elettrica pagata ogni bimestre dai consumatori.
Dal 2001 ad oggi 3,7 miliardi di euro sono stati pagati dagli utenti dentro la bolletta elettrica, però solo 700 milioni sono stati utilizzati per lo smantellamento.
Il resto è stato speso per i costi di gestione (1,8 miliardi per mantenere in sicurezza i siti, far funzionare la struttura e pagare il personale) e per il trattamento in Francia e nel Regno Unito del combustibile radioattivo (1,2 miliardi).
Considerando che resta da eseguire più del 70% delle attività , e che negli ultimi due anni l’avanzamento dei lavori è stato del 2% l’anno, se non ci sarà un’improvvisa accelerata, è facile prevedere che il «prato marrone» non lo vedremo prima del 2050. E ogni anno in più porterà con sè un inevitabile incremento dei costi.
Dietro questo incredibile ritardo non c’è l’indolenza dispettosa di qualche dipendente pubblico, ma l’ignavia della politica che da 30 anni e più non è in grado di indicare un luogo dove poter stipare i rifiuti radioattivi.
L’ultimo a provarci fu il governo Berlusconi con Scanzano Ionico, ma dopo le proteste della popolazione e degli ambientalisti tutto si fermò.
Adesso sarebbe il momento di scegliere il luogo dove dovrebbe sorgere il deposito: la Carta delle aree idonee a ospitarlo (la famigerata Cnapi) è pronta da oltre 3 anni, ma una volta che diventerà pubblica ci sarà il solito cataclisma di proteste nelle zone individuate.
Per questo nessun politico vuole mettersi nei guai con questa storia. E allora meglio darle agli altri paesi europei, a pagamento.
Tanto pagano i cittadini, checcefrega.
(da “NextQuotidiano”)
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