Novembre 16th, 2018 Riccardo Fucile
TAGLI ALLE RISORSE, MANCATE ASSUNZIONI E PENSIONAMENTI… LE ASSUNZIONI DI 7500 UOMINI ERANO IN REALTA’ STATE FATTE DAL GOVERNO GENTILONI, LE ALTRE 6.150 ANNUNCIATE SARANNO SPALMATE IN 5 ANNI (E VERRANNO ANNULLATE DAI PENSIONAMENTI)
Dopo la morte della giovane Desirèe nel quartiere San Lorenzo a Roma, si è aperta una forte polemica, non nuova, relativa alla presenza delle forze dell’ordine sul territorio.
Il nostro sindacato denuncia da anni questa situazione nel totale disinteresse di chi ha responsabilità amministrative e politiche. I numeri, non le chiacchiere, sono impietosi: da 88 poliziotti in forza al Commissariato San Lorenzo nell’anno 2000 siamo arrivati oggi a 65 operatori.
Tutto questo ha coinciso inevitabilmente con l’aumento del degrado e dei reati in quel quartiere.
Anche per questo, stufi di assistere alle promesse e alle passeggiate di questo o quel politico che, oggi come ieri, annuncia risorse per la sicurezza e nuovi agenti in piazza, salvo poi presentare leggi di bilancio che razionalizzano e penalizzano le lavoratrici e i lavoratori in divisa, abbiamo lanciato una campagna mediatica di denuncia: #diamoinumeri.
Da Bari a Messina, da Sassari a Pordenone, da Brescia a Frosinone, da Savona a Verbania la situazione degli uffici di polizia, per quel che riguarda gli organici, è drammatica.
Pensiamo a una realtà come Cosenza, con i gravissimi problemi di criminalità che ha la Calabria: in Questura c’erano 473 poliziotti nel 2011, ora sono 404. L’elenco è infinito e in costante aggiornamento attraverso il link
Tagli alle risorse, mancate assunzioni e pensionamenti sono alla base di questa cronica situazione. L’attuale governo ha promesso di invertire il trend. Ne prendiamo atto.
Intanto nella legge di stabilità che entro fine anno il Parlamento deve licenziare non ci sono le assunzioni promesse: 7.500 sono già state previste e finanziate dal vecchio governo nel triennio 2018-2020, altre 6.150 dovrebbero aggiungersi spalmate addirittura su 5 anni col risultato che i rinforzi promessi dall’attuale titolare del Viminale rischiano di essere vanificati già a fine anno coi pensionamenti previsti.
E nella legge di bilancio non ci sono neppure risorse adeguate per il contratto di lavoro e per il riordino delle carriere: gli stanziamenti sono di gran lunga inferiori a quelli del recente passato che proprio chi oggi è al governo contestava vivacemente, da opposizione (assieme a noi), al precedente esecutivo.
Per questo i poliziotti democratici del Silp hanno lanciato una seconda campagna mediatica di sensibilizzazione dal titolo #cambiamolamanovra. Non abbiamo la pretesa che chi governa da pochi mesi possa risolvere da subito problemi annosi, ma non intendiamo neppure farci prendere in giro da chi le elezioni le ha vinte promettendo più sicurezza ai cittadini.
Sindacato di polizia Silp
(da agenzie)
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Novembre 16th, 2018 Riccardo Fucile
LINEA COMUNE MERKEL-MACRON: CHI SI METTE DI TRAVERSO SUI CONTI PUBBLICI NON AVRA’ UN EURO
Angela Merkel ha ceduto: dopo mesi e mesi di tentennamenti, la Germania presenterà
insieme alla Francia una proposta per un fondo dell’eurozona per gli investimenti all’eurogruppo di lunedì prossimo, in vista del vertice Ue di dicembre.
La bozza del documento, che “Repubblica” è in grado di anticipare, parla di un fondo che “cofinanziando la spesa pubblica” deve puntare “a stimolare la crescita attraverso investimenti, ricerca e sviluppo, innovazione e capitale umano”.
Se il fondo fortissimamente voluto da Emmanuel Macron ha anche lo scopo di “stabilizzare” l’area dell’euro assicurando margini di spesa a chi ha le finanze pubbliche imbrigliate, è anche vero che presupporrà , nelle intenzioni di Parigi e Berlino, una maggiore “convergenza” tra i Paesi.
Detto a chiare lettere, nel documento si parla del fatto che “i Paesi membri dovranno fare i conti con requisiti più stringenti nel coordinamento delle politiche economiche”.
Ma soprattutto, il braccio esecutivo diventerebbe l’Eurogruppo.
E i Paesi che richiedessero i fondi potrebbero accedervi solamente se perseguissero “politiche che sono in sintonia con gli obblighi” che discendono dalle regole europee, “incluso le regole fiscali”.
In altre parole: chi si mette di traverso sui conti pubblici – un esempio a caso: l’Italia di queste tormentate settimane di negoziato sul Def – non avrà diritto di accedere ai soldi europei.
Quanto alla somma del fondo, “sarà decisa dagli Stati membri”, e, per accontentare i desiderata tedeschi, sarà “parte del bilancio Ue”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 16th, 2018 Riccardo Fucile
SI E’ PARLATO DI POLITICA, MEDIASET E TIM
Faccia a faccia. Fuori i secondi. Proprio nel pieno della tensione con Luigi Di Maio sui termovalorizzatori, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi si sono incontrati a palazzo Grazioli. Nel tardo pomeriggio. E da soli, come accade negli incontri “delicati”.
Segno che c’è ancora un filo, al netto della propaganda quotidiana, che lega i due leader del centrodestra. Politico, e non solo.
Certo, ci sono le elezioni regionali a breve, e di questo si è parlato. Ma ciò che prima di tutto sta a cuore a Berlusconi è — e questa non è una novità – la tutela degli interessi aziendali.
In fondo su questo si fonda il “patto” sostanziale che ha reso possibile la nascita del governo: il “via libera” del Cavaliere, in cambio della non belligeranza sulle sue aziende. Garantita, con i Cinque stelle, da Salvini.
Come accaduto finora del resto, con alcuni temi — che pure si erano affacciati nel dibattito — subito soffocati: la questione dei tetti pubblicitari, ad esempio. Adesso Berlusconi è preoccupato, e vuole garanzie dal governo, sulla delicata partita Telecom.
È chiaro che la sua best option è lo status quo che porta dritto dritto allo spezzatino di Telecom.
Uno scenario vantaggioso per Mediaset che in questo modo ha una doppia opzione: o il vecchio disegno di fusione con un pezzo di Tim, attraverso il fondo Eliott, oppure ha comunque il tempo per aumentare il prezzo ai francesi che da tempo hanno il progetto di una media company con Mediaset per la convergenza telefonia televisioni.
(da “Huffintonpost”)
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Novembre 16th, 2018 Riccardo Fucile
ORA LA LEGA VUOLE ALZARE A 2000 EURO LA DONAZIONE AL PARTITO SENZA OBBLIGO DI RENDERE PUBBLICO IL NOME DEL SOSTENITORE, PER I GRILLINI IL LIMITE DEVE ESSERE 500 EURO
Alzare le soglie di denaro contante che obbligano i partiti a rendere pubblici i nomi dei
donatori.
Dopo il caso dell’emendamento per depotenziare il peculato, i deputati del Lega sono entrati nuovamente in contrasto con quelli del Movimento 5 stelle.
Il motivo? Gli esponenti del Carroccio vorrebbero alzare a duemila euro all’anno la quota minita al di sopra della quale bisognerà pubblicare online i nomi dei finanziatori.
La norma è contenuta nel disegno di legge Anticorruzione, nella parte dedicata alla “trasparenza nei rapporti tra partiti politici e fondazioni politiche”.
Nel testo originario dell’articolo 7 del ddl, infatti, si prevedeva il limite di 500 euro: poi sarebbe scattato l’obbligo di trasparenza.
Un emendamento dei relatori all’articolo 7, depositato nella serata di ieri, alzava il tetto a duemila euro. In giornata, però, i 5 stelle ci hanno ripensato: vogliono riportare la soglia al testo originario.
Un cambio di rotta che innervosito i leghisti. “È da pazzi lavorare così“, dice il leghista Igor Iezzi.
Il governo a questo punto ha chiesto un nuovo rinvio alla 15. A blindare la soglia dei 500 euro è arrivato il guardasigilli Alfonso Bonafede. “Adesso ci sarà trasparenza con la norma anticorruzione. Una trasparenza che riguarderà non soltanto i partiti ma anche le fondazioni e vari soggetti collegati ai partiti modo tale che non si può più aggirare il limite massimo di 500 euro in contanti. Questo è un accordo già raggiunto prima di portare l’atto alla Camera, quindi in consiglio dei ministri. La soglia è di 500 euro per le donazioni in contanti, sopra i 500 euro verrà tutto pubblicato online”, ha detto il ministro della giustizia a L’aria che tira.
Dalla riforma, intanto, scompare quella che Matteo Renzi aveva definito la “norma salva Casaleggio“.
Nella tarda serata di ieri, infatti, le commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera hanno approvato un emendamento della Lega che sopprime una parte dell’articolo 9. Nel testo della riforma che dal Consiglio dei ministri era arrivato a Montecitorio si prevedeva che “un partito o movimento politico può essere collegato ad una sola fondazione o ad una associazione o ad un comitato”.
Una norma che qualcuno aveva considerato cucita su misura per legale il Movimento 5 stelle all’associazione Rousseau. Con l’emendamento della Lega, però, quel passaggio viene eliminato.
(da agenzie)
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Novembre 16th, 2018 Riccardo Fucile
LA SUA FUNZIONE PRINCIPALE E’ FAR SEMBRARE, AL CONFRONTO, DI MAIO UNO STATISTA
Siamo a Palazzo Madama nell’aula del Senato, dopo una serie di tensioni e battibecchi si vota finalmente la conversione in legge del “Decreto Genova”.
La presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati ha appena comunicato il risultato della votazione, un pugno chiuso si alza contro il cielo, è il pugno del ministro Toninelli.
Toninelli alza il pugno, poi applaude, batte il cinque a una persona che gli corre incontro, scuote nuovamente il pugno chiuso e riprende ad applaudire, quindi unisce i palmi delle mani in segno di ringraziamento, batte nuovamente il cinque… e poi strette di mano, abbracci e gioia a profusione.
Segue una vera e propria bagarre, la sospensione della seduta, la condanna unanime delle opposizioni e l’intervento del presidente del Senato che richiama il povero ministro per comportamento non commendevole.
Toninelli allarga timidamente le braccia chiedendosi cosa mai abbia fatto di male e, soprattutto, cosa diavolo significhi il termine commendevole.
Tutti i media e i commentatori si affrettano a condannare l’ennesima gaffe del ministro, sottolineando soprattutto quel pugno chiuso. Il gesto è descritto come una provocazione, un inutile sfregio alle opposizioni, una mancanza di rispetto verso le vittime del crollo o un comportamento intrinsecamente violento.
C’è chi fa notare con tristezza la vacuità di quel pugno, richiamando precedenti storici ben più nobili o drammatici come il pugno chiuso dei due atleti di colore sul podio alle Olimpiadi del ’68. Ci sono sdegno, ironia e condanna unanime.
Ora, non saremmo noi a prendere le difese di Toninelli, un uomo la cui funzione principale pare essere quella di far sembrare Di Maio uno statista, ma pensiamo che in questo caso gli spietati meccanismi della comunicazione, e i suoi precedenti da recordman delle gaffe, abbiano giocato contro di lui.
Non c’era violenza in quel gesto, non c’era neanche la pretesa di presentarsi come un novello rivoluzionario o di sfidare qualcosa o qualcuno.
Toninelli era solo felice. Bisogna capirlo a fondo Toninelli per comprendere quel gesto.
Egli è un tontolone che non sa di essere tale, è convinto di ricoprire con merito la sua carica e soffre di fronte alle continue critiche che gli piovono addosso da mesi.
Per esempio, quando è stato bersagliato perchè (in sostanza) aveva suggerito di costruire insieme al nuovo ponte un centro commerciale sospeso a 40 metri da terra (cosa non tecnicamente impossibile forse, ma poco opportuna), ha percepito le ironie che sono seguite come ingiuste e strumentali.
Per questo invece di lasciar morire la cosa si è impuntato e ha scritto un post in cui ribadiva le sue idee e dava dell’ignorante a chi non era aggiornato sulla materia. Toninelli non ci fa, ci è. Se non si capisce questo, gli si attribuiscono una scaltrezza e un cinismo che non gli appartengono.
La sua sofferenza di fronte ai continui attacchi che riceve è genuina.
In lui c’è lo scolaretto che soffre perchè ritiene ingiusta l’insufficienza data dalla maestra o il giovane calciatore che crede di meritare la maglia da titolare che tutti gli contestano. La conversione di quel decreto tanto contrastato diventa, quindi, la sua occasione di riscatto.
È un decreto tutto suo, un decreto importante, rappresenta la possibilità di seguire le orme del suo idolo Di Maio.
La conversione votata dal senato è un passaggio d’importanza psicologica fondamentale nella costruzione e nel mantenimento della sua auto stima. È la conferma delle sue capacità che potrà sbattere in faccia a chiunque lo critichi.
Non guardate a quel pugno come a un gesto di cattivo gusto, pensatelo come ad un grido.
È il grido del bambino che ha preso un 6 nel compito di matematica o che ha fatto goal nella finale del torneo. Dal punto di vista psicologico Toninelli stava solo gridando: “Mamma ce l’ho fatta, ho fatto un decreto, sono stato bravo vero?”
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 16th, 2018 Riccardo Fucile
STORIE DI ORDINARIA CONTRADDIZIONE
Il primo in assoluto a fregare il popolo sugli “inceneritori” (il modo in cui il M5S
chiama i termovalorizzatori quando non sono sui territori che amministra) fu Federico Pizzarotti: si fece eleggere mentre Beppe Grillo prometteva che per fare l’inceneritore a Parma si doveva passare sul suo cadavere ed è ancora vivo e vegeto insieme all’inceneritore.
Certo, nel frattempo è uscito dal MoVimento 5 Stelle ma che il metodo di governo M5S (TAP, ILVA, condoni edilizi, prossimamente TAV) sia quello inaugurato dall’attuale sindaco di Parma è indubbio.
Sergio Rizzo sul Corriere della Sera oggi ricorda che non c’è solo lui in lista:
Il sindaco grillino di Livorno Filippo Nogarin ha garantito che l’inceneritore livornese sarà spento nel 2022: intanto però ha funzionato durante tutto il suo mandato. Cinque anni. Del resto, se l’era trovato già acceso.
Come è successo a Chiara Appendino, sindaca di un Comune, Torino, dove c’è il terzo inceneritore d’Italia per dimensioni.
Il quinto sta invece a San Vittore del Lazio ed è di proprietà dell’Acea, la municipalizzata del Comune di Roma guidato da Virginia Raggi.
I tre capoluoghi controllati dai grillini hanno dunque inceneritori pienamente operativi. E Di Maio non può ignorarlo.
Comprensibile: fa parte delle contraddizioni tipiche fra propaganda e realtà . Però non si può non sottolineare.
A Roma tra l’altro, proprio a causa del sottodimensionamento oltre che per il flop della differenziata che è stata cancellata in alcuni quartieri, si vive un’emergenza monnezza quotidiana mentre si paga una delle tariffe rifiuti più alte d’Italia e si continuano a mandare i materiali di scarto negli altri paesi o nelle altre regioni per bruciarli, ovviamente a pagamento.
Con aggravio di spesa sulle tasche dei cittadini. Quelli che il M5S dice di voler tutelare, avete presente?
(da “NextQuotidiano“)
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Novembre 16th, 2018 Riccardo Fucile
COTTARELLI: “18 MILIONI DALLE PRIVATIZZAZIONE? DA ANNI AL MASSIMO SI RICAVA 1 MILIARDO”
La risposta che il governo ha inviato alla Commissione Europea sulla Manovra del Popolo non è credibile. E quindi l’Europa non potrà che intervenire aprendo una procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo che potrebbe portare in tempi brevi a una multa pari allo 0,5% del PIL.
Carlo Cottarelli sulla Stampa spiega oggi che le due obiezioni dell’esecutivo alla missiva dei commissari non stanno in piedi.
Prima di tutto, le privatizzazioni. Il piano da 18 miliardi costituirebbe un miracolo visto che nella media degli ultimi tre anni (201518) le entrate da privatizzazioni sono state ben inferiori al miliardo l’anno.
L’ultima volta che le entrate da privatizzazioni superarono l’1 per cento del Pil fu nel 2003 grazie a un insieme di operazioni di varia natura. Comprendevano pezzi di Enel, Poste, Eni, monopoli dei tabacchi.
Ma proprio questi pezzi “di lusso” sono stati esclusi esplicitamente da Di Maio nel nuovo piano. E allora che può fare il governo? Quello che in molti negli anni scorsi hanno proposto senza risultati.
Ovvero, creare una società veicolo (special purpose vehicle) che, come fatto in passato, si finanzi prendendo a prestito risorse e le passi allo Stato in cambio della proprietà di immobili.
Poi questo veicolo venderebbe nel tempo queste proprietà sul mercato. C’è un problema: quella società veicolo potrebbe rientrare nel conto del debito pubblico. Rendendo il tutto deliziosamente inutile.
Poi c’è la questione del tetto del deficit al 2,4%.
Il ministro dell’Economia Giovanni Tria lo ha proposto a più riprese per rassicurare i partner europei: in caso si sforasse, sia dal punto di vista del numeratore che dal punto di vista del denominatore, cosa succede?
Via XX Settembre non lo ha spiegato e ne ha ben ragione: per rientrare da una situazione del genere bisognerebbe aumentare le tasse o tagliare le spese, ovvero due cose che la maggioranza ha già rifiutato di fare.
E c’è anche un’altra ragione: se i numeri non torneranno sarà per la depressione della crescita. Un aumento delle tasse o un taglio delle spese sarebbe prociclico, ovvero aiuterebbe la recessione.
Tutto questo in Italia nessuno lo dice. Ma a Bruxelles non hanno l’anello al naso.
(da agenzie)
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Novembre 16th, 2018 Riccardo Fucile
IL BUSINESS DELLE MAZZETTE CORREVA TRA I CARI ESTINTI NEGLI OSPEDALI DI ROMA E L’AGENZIA DI ONORANZE FUNEBRI TAFFO
Sono diciotto le persone che saranno processate alla fine dell’inchiesta sul cosiddetto
“business del caro estinto“.
Ventuno sono stati prosciolte, due assolte, una invece è stata condannata a sei mesi col rito abbreviato.
Si chiude così l’udienza preliminare della maxi indagine sul sistema di mazzette che per anni avrebbe riguardato agenzie funebri e diversi ospedali di Roma, tra cui il San Camillo, il Sandro Pertini, il Sant’Eugenio e il Cto che si sarebbero spartiti il ‘mercato’ delle pompe funebri.
I fatti risalgono al 2012. Oggi a processo vanno tra gli altri il patron dell’agenzia di onoranze funebri Taffo, Luciano Giustino,e i figli Daniele e Alessandro.
E poi due politici di An poi passati con Forza Italia: l’ex parlamentare Domenico Gramazio e il figlio Luca, condannato in appello a otto anni e otto mesi nel processo su Mafia capitale.
Fra i rinviati a giudizio anche alcuni ex dirigenti di Asl mentre è stato assolto l’ex consigliere regionale del Gruppo Misto Antonio Paris. L’udienza è fissata per il prossimo 12 febbraio.
Per i Taffo le accuse sono di associazione a delinquere e corruzione, mentre il patron Luciano è accusato anche di abuso di ufficio in merito a un caso con l’ospedale San Camillo.
Domenico Gramazio e il figlio Luca, sono invece accusati di corruzione elettorale. In un caso Gramazio jr avrebbe ricevuto soldi dai Taffo per la sua campagna elettorale come candidato al consiglio regionale nel 2013 e in cambio avrebbe assicurato ai titolari dell’agenzia funebre un contratto con l’Istituto neurotraumatologico italiano per le sedi di Grottaferrata e Canistro.
Fra le agenzie di onoranze funebri rinviate a giudizio figura anche la Cattolica 2000.
(da agenzie)
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Novembre 16th, 2018 Riccardo Fucile
FEMMINICIDI, RAPPORTO ISTAT: I CENTRI ANTIVIOLENZA SONO POCHI E MAL FINANZIATI
Otto donne su dieci vengono uccise da una persona che conoscono bene, di cui si fidano. Più di quattro donne su dieci vengono uccise dall’attuale compagno/fidanzato/marito o dall’ex.
È così da tempo, una sorta di condanna senza appello che inchioda una quota di donne a subire gli affetti in una logica immutabile nonostante gli appelli, le campagne, la formazione.
È quanto emerge dall’ultimo report Istat sugli omicidi nel 2017.
Lo scorso anno ci sono stati 123 femminicidi, otto vittime su dieci sono italiane. L’80,5% delle donne è stata uccisa da una persona che conosceva: nel 43,9% dei casi è un partner (35,8% attuale, 8,1% precedente), nel 28,5% un parente (inclusi figli e genitori) e nell’8,1% un’altra persona conosciuta.
Tra i partner, nel 2017, i mariti e gli ex mariti sono stati gli autori di più della metà degli omicidi, mentre i fidanzati e i conviventi (o ex-fidanzati ed ex conviventi) lo sono stati per il 48,1% dei casi, con una percentuale in crescita rispetto agli anni precedenti (era il 37% nel 2013, il 33% nel 2014, il 21,5% nel 2015 e il 30% nel 2016).
I femminicidi sono in calo – erano stati 145 nel 2016 secondo l’Istat – ma la diminuzione è minima e gli omicidi di donne restano un problema culturale ancora irrisolto e non facilmente risolvibile.
L’Istat sottolinea che per il carattere domestico della violenza, non hanno alcun effetto le politiche decise nel settore della sicurezza e della lotta alla criminalità organizzata, che hanno invece favorito un forte calo degli omicidi degli uomini.
Una soluzione è rappresentata dai centri antiviolenza dove vengono accolte le donne che riescono a allontanarsi prima che sia troppo tardi, ma sono pochi e mal finanziati. Nel 2017 i 78 centri che fanno capo alla rete Di.Re hanno accolto 20.137 donne. Sono soprattutto italiane (il 68%).
Qualsiasi forma di indipendenza economica è da escludere per circa il 35%: le donne disoccupate sono il 23%, le donne casalinghe intorno all’8%, le studentesse il 3,9%.
La violenza più frequente è quella psicologica, subita dalla grande maggioranza delle donne (73,6%), seguita da quella fisica (62,1% dei casi).
La violenza economica viene esercitata su un numero di donne abbastanza elevato (30,7%) mentre la violenza sessuale e lo stalking riguardano percentuali più basse (13,5% e 16,1%, rispettivamente).
Il maltrattante è quasi sempre il partner (56% circa dei casi) oppure l’ex partner (quasi il 20%). Questo significa che nel 75,7% dei casi la violenza viene esercitata da un uomo in relazione con la donna.
Per combattere la violenza sulle donne è necessario attivare interventi e finanziare i centri dove le donne possono trovare rifugio e la possibilità di ricostruire la loro vita. Ma i finanziamenti sono insufficienti, in alcune regioni come Lazio e Calabria oltre la metà dei i centri non riescono ad accedere ad alcun finanziamento pubblico: rispettivamente nel 66,7% e nel 50% dei casi.
In occasione della Giornata internazionale sulla violenza contro le donne del 25 novembre, la rete D.i.Re ha deciso di lanciare #alidiautonomia, campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi destinati al progetto «Germogli di autonomia» che consentirà alle donne e ai loro figli e figlie in uscita dalla violenza e con particolari difficoltà economiche di completare il percorso verso la piena autonomia nel medio-lungo periodo.
Dal 19 al 26 novembre alla Campagna è legato il numero solidale 45593 per donare 2 euro da cellulare personale Wind Tre, TIM, Vodafone, PosteMobile, Iliad, Coop Voce, Tiscali, 5 euro da rete fissa TWT, Convergenze e PosteMobile e 5 o 10 euro da rete fissa TIM, Wind Tre, Fastweb, Vodafone e Tiscali.
(da “La Stampa”)
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