Febbraio 3rd, 2019 Riccardo Fucile
DALLE INCHIESTE SICILIANE EMERGE CHE NUMEROSI UFFICIALI DI TRIPOLI FANNO IL DOPPIO GIOCO, SI FANNO PAGARE PER PORTARE I PROFUGHI NELLE ZONE IN CUI CI SONO NAVI CHE POSSONO TRARLI IN SALVO… SE NE DEDUCE CHE I VERI AMICI DEI TRAFFICANTI SONO SALVINI E TONINELLI CHE DANNO CREDITO E SOLDI A QUESTI CRIMINALI (COME DICIAMO DA DUE ANNI)
Gli scafisti e la Guardia costiera? In Libia sono la stessa cosa.
Torturano i migranti nei campi di prigionia. Se questi pagano di nuovo, li fanno partire e li lasciano in mare vicino a qualche nave di passaggio.
Poi cambiano vestito, indossano la divisa, e li vanno a riprendere con le navi della Guardia Costiera. E li riportano nei lager dove tutto ricomincia.
Un’inchiesta dell’Espresso rivela che i boss del traffico di esseri umani e i comandanti della Guardia costiera che dovrebbero stroncarlo sono spesso le stesse persone.
Addestrati, finanziati e forniti di imbarcazioni da Italia e Unione Europea.
Il doppio gioco di alcuni responsabili della Guardia costiera libica è confermato da oltre duemila testimonianze di migranti che sono agli atti di numerose inchieste giudiziarie, anche italiane, come quelle delle Procure di Trapani e di Catania.
E una conferma ulteriore è agli atti dell’inchiesta giudiziaria relativa al sequestro da parte della Procura di Trapani della nave Juventa della Ong tedesca Jugend Rettet, battente bandiera olandese.
In particolare, riferendosi a un episodio avvenuto il 18 giugno 2017 si parla di «grave collusione tra singole unità della Guardia costiera libica e i trafficanti di esseri umani».
L’inchiesta della Procura di Catania (il processo si è concluso nell’estate scorsa) dimostra ancora il ruolo di alcuni ufficiali della Guardia costiera che facevano contemporaneamente i soccorritori ed i trafficanti.
Si tratta degli ufficiali della Guardia costiera libica Tarok All e Bdelbafid Mohammad, arrestati dai militari della nave della Marina militare Italiana “Bergamini” e poi condannati in Italia per traffico di essere umani.
Un gruppo di africani ha riferito che i due ufficiali libici li avevano caricati sui loro barchini sulla spiaggia di Zuara accompagnandoli fino a qualche miglio dalla nave italiana per fuggire subito dopo.
Le procure di Trapani e Catania ormai hanno nomi, cognomi e tanti episodi scandalosi. Ma senza una collaborazione giudiziaria tra Italia e Libia resta difficile, nella maggior parte dei casi, incriminare i colpevoli.
(da “L’Espresso“)
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Febbraio 3rd, 2019 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DELLA CAMERA IN TV: “CON LA LEGA MOLTE DIVERGENZE, SULLA TAV NON SI TORNA INDIETRO”
“Le persone vanno sempre salvate. Non può esserci mai un dubbio rispetto a questo. Sono
persone, non sacchi di patate e non possono restare un minuto di più sulla nave. Vanno fatti sbarcare”.
Roberto Fico parla dei migranti e scalda lo studio di Fazio Fazio.
Il presidente della Camera – ospite del programma “Che tempo che fa” – dice che è “giusto fare la voce grossa con l’Europa ma non bisogna farlo facendo rimanere a lungo le navi fuori dai porti”.
E difende anche il sistema Sprar, messo nel mirino dal decreto sicurezza di Matteo Salvini. E le ong, demonizzate quasi quotidianamente dal ministro dell’Interno? “Ad ora non c’è un solo rinvio a giudizio rispetto alle Ong. Bisogna parlare chiaro e mettersi intorno a un tavolo. Anzi, io proporrei un tavolo Ong-governo”.
Le sue parole faticano a stare insieme a comportamenti della maggioranza, osserva Fabio Fazio. “Lega e M5s sono forze diverse, con modelli differenti – risponde – la maggioranza è nata con un contratto di governo, e ci sono molte ragioni che possono portare a divergere e alcune per rimanere assieme rispetto allo stesso contratto”.
“L’autorizzazione a procedere? Per me direi sì”
Netto, Roberto Fico anche sull’autorizzazione a procedere per Salvini sul caso Diciotti: “Personalmente, dico che semmai arrivasse a me una richiesta della magistratura nei miei confronti per qualsiasi questione, pregherei la Camera di mia appartenenza di dare l’autorizzazione senza se e senza ma”.
Insomma, una bordata dopo l’altra al ministro dell’Interno, sia pure con parole dai toni pacati.
“La Tav? Sul no non si torna indietro”
E poi arriva la domanda sulla Tav, su cui è in corso un corpo a corpo quotidiano tra Lega e Cinquestelle: “Il M5s è stato sempre, costituzionalmente, per il No alla Tav” e “su questa questione non è possibile tornare indietro”.
(da agenzie)
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Febbraio 3rd, 2019 Riccardo Fucile
IL CENTRODESTRA ORA RISCHIA: UNO PARLA SOLO DI IMMIGRATI, L’ALTRO DI TAV, BERLUSCONI DELLE SUE CASE AI TERREMOTATI, IL CANDIDATO PRESIDENTE (FDI) E’ DI ROMA E DELL’ABRUZZO NON SA UNA MAZZA, MENTRE TREMILA LAVORATORI DELLE TRIVELLE SENZA LAVORO MANDANO IL GOVERNO A FANCULO
Chieti, neanche fosse in provincia di Torino, con il tunnel a due passi.
È lì che Alessandro Di Battista rispolvera l’antico vaffa di lotta, rivolto all’alleato di governo: “La Tav è una stronzata. Se la Lega intende andare avanti su un buco inutile che costa 20 miliardi e non serve ai cittadini tornasse da Berlusconi e non rompesse i c…”. Olè.
A Giulianova neanche fosse Lione, poche ore dopo, Salvini, stavolta sul palco con la maglia della locale squadra di calcio, annuncia al popolo abruzzese, che da quelle parti si muove in bicicletta, che “una soluzione si troverà “.
A proposito, il Giulianova calcio, a comizio ancora pressochè in corso, si dissocia dal testimonial chiedendo di “non strumentalizzare quella maglia”.
E per chi si fosse perso questa parte dello spettacolo, oggi ad Ortona l’altro vicepremier Luigi Di Maio ha bollato come “una supercazzola” l’idea di trovare un compromesso sull’opera.
E via così, senza neanche dare per sbaglio un titolo sulle malconce strade abruzzesi, in una regione dove, all’interno, i treni neanche ci sono.
Benvenuti al Gran Cinema Abruzzo, a una settimana dal voto che, inevitabilmente, sarà un test politico.
La prima campagna elettorale “locale” dell’era sovranista si è trasformata nel carnevale del governo gialloverde, delle sue competizioni, delle sue tensioni, della ossessiva rincorsa all’annuncio.
Passerella di vicepremier chiamati in soccorso di candidati che non trascinano come Marco Marsilio e Sara Marcozzi, ministri, leader nazionali con codazzi, staff, portaborse, almeno una volta la settimana.
Evidentemente — di sondaggi non si può parlare, ma gli umori si possono registrare – la partita si è riaperta con la coalizione di centrosinistra del mite Giovanni Legnini, l’unico oggettivamente a parlare di Abruzzo perchè lo conosce e che, invece, ha chiesto poche passerelle ai leader nazionali del centrosinistra.
Spettacolo, questo carnevale del nuovo che avanza, guastato dal principio di realtà che irrompe, proprio a Ortona, al grido di “buffoni” e di “a lavorare, andate a lavorare”: sono i lavoratori delle trivelle che accolgono Di Maio e Di Battista, loro che il lavoro rischiano di perderlo, perchè la Tav in Abruzzo non c’è, ma le trivelle danno lavoro a tremila persone che ora vedono il futuro a rischio con la decisione del governo che le mette in stand by, scontentando al tempo stesso il popolo pro-triv e il popolo no-triv. Ma l’argomento nei comizi non viene neanche trattato, anzi quando i due gemelli diversi arrivano all’Aquila nel pomeriggio si parla ancora di Tav.
Abruzzo, il grande assente nella propaganda di chi sente vincitore annunciato, giallo o verde che sia.
Per farsi un’idea basta andare sul profilo twitter di Marco Marsilio, il candidato del centrodestra, in quota Fratelli d’Italia, catapultato da Roma per l’occasione.
E leggere qualche commento: “È di Roma… Con l’Abruzzo non c’entra niente”, “prima gli abruzzesi, vattene”, “un abruzzese con accento romano mi mancava”.
E chissà che è bastato, come patente di abruzzesità — in fondo, chi non ha un nonno o un trisavoro abruzzese — l’abbraccio a Tocco Casauria, a favor di scatto, con il famoso signor Paliotta, il barbiere del nonno.
A sostenerlo è arrivato anche Silvio Berlusconi, ricomparso all’Aquila a dieci anni dal terremoto, ancora convinto del “miracolo” della sua ricostruzione, perchè “le mie case sono belle e solide, siete stati fortunati”.
Eccolo, affacciato con accanto Marsilio da uno dei balconi delle famose “new town”, quegli straordinari cantieri dalla propaganda dell’allora governo, diventati le nuove aree di degrado urbano tra isolatori sismici fallati, infiltrazioni d’acqua, cedimenti di intonaco, e nessun servizio intorno, nè pubblico nè privato.
In questi anni interi condomini sono stati evacuati di fronte al rischio crolli e, all’ordine del giorno, c’è l’esigenza di abbattere alcuni dei 19 siti costruiti in piena emergenza post terremoto.
All’Aquila, poi a Pescara Berlusconi, che in Abruzzo è alleato di Salvini, si augura che “il governo cada”, perchè è pericoloso.
L’alleato invece promette che andrà avanti.
L’altra alleata in Abruzzo, Giorgia Meloni, attacca il ministro dell’Ambiente del governo Salvini-Di Maio, perchè “ha gestito in modo scandaloso” la vicenda della discarica dei veleni di Bussi e “invece di fare passerelle elettorali andasse dentro il ministero a far camminare le carte”.
Il Gran Cinema, dicevamo. E come saranno gestiti alcuni dossier, nel rapporto tra il governo regionale e quello nazionale, proprio non si capisce, quando questo film sarà finito.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 3rd, 2019 Riccardo Fucile
IL SENATORE LEGHISTA LI HA MESSI NEI GUAI PUBBLICANDO LA LORO FOTO PER VANTARSI DELLA LORO ADESIONE… NON SOLO E’ VIETATO DALLA LEGGE MA E’ UN INSULTO ALL’ISTITUZIONE: LA POLIZIA RAPPRESENTA TUTTI GLI ITALIANI, NON UN PARTITO
Scoppia la polemica dopo che il senatore della Lega Paolo Arrigoni ha pubblicato sul suo profilo
Facebook l’immagine di due poliziotti in servizio fotografati ad Ascoli Piceno, in piazza Arringo, a firmare in un gazebo una petizione pro-Salvini.
La questura di Ascoli Piceno ha “aperto un’inchiesta amministrativa per l’accertamento dei fatti”.
La foto della polemica era stata in un primo momento rimossa dal senatore. Ma oggi l’onorevole è tornato sui suoi passi e ha pubblicato un nuovo post: “Ieri sui miei social ho pubblicato questa foto. La foto di due agenti di polizia che con un atto di generosità e coraggio nelle Marche hanno voluto sottoscrivere la raccolta firme a sostegno del ministro dell’Interno Salvini. Poche ore dopo l’ho cancellata per ragioni di privacy e per rispetto a quei due ragazzi, sapendo che c’era il rischio che venisse strumentalizzata”
Profluvio di commenti.
“Si, senatore, è stato piuttosto incauto – dice un utente – A prescindere, non trovo il gesto dei due poliziotti deontologicamente corretto. Come poliziotti devono essere (e avere comportamenti) super partes”.
E un altro pubblica l’immagine della legge che vieta “ai militari di partecipare a riunioni o manifestazioni politiche nonchè di svolgere propaganda a favore o contro i partiti”
(da agenzie)
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Febbraio 3rd, 2019 Riccardo Fucile
MENTRE ZINGARETTI, FORTE DEL 4% DI BOCCIA, E’ VICINO AL TRAGUARDO… LE PRIMARIE APERTE TRA UN MESE
La convenzione nazionale del Pd si risolve in un confronto tra le claque dei tre candidati che si sfideranno alle primarie del 3 marzo.
Rumorosissima, per quanto numericamente ridotta, quella di Roberto Giachetti; ben organizzata quella di Maurizio Martina, con il grido “unità ” studiato per sottolineare alcuni passaggi del suo intervento; orgogliosa e desiderosa di riscatto quella di Nicola Zingaretti.
Il clima di questa platea, insieme alle parole sul palco dei protagonisti, anticipa bene quello che succederà nelle prossime quattro settimane, che precedono i gazebo.
Zingaretti parla già da segretario in pectore, sa di essere il grande favorito e di dover pensare non solo alla sfida congressuale, ma soprattutto al dopo.
Martina e Giachetti, d’altro canto, sembra stiano giocando una partita tutta loro, che vede come convitato di pietra Matteo Renzi.
È uno scontro che nasconde il grande travaglio interno ai renziani, con un’ala dura che si rafforza e che trova in Giachetti l’elemento identitario unificante, forte del buon risultato nei circoli (11,13%), mentre un’area più dialogante vuole trovare il modo di continuare a vivere dentro il Pd e cerca nell’affermazione dell’afflato unitario di Martina la condizione indispensabile a questo scopo.
Dietro le quinte, intanto, si ragiona già delle liste per l’Assemblea nazionale da presentare alle primarie, stando ben attenti a evitare conte identitarie che potrebbero finire male, ma anche il modo per valorizzare l’apporto di singoli dirigenti a livello locale.
Giachetti si pone in assoluta continuità con la gestione renziana. Parla di una “linea già tracciata”, che bisogna solo “potenziare”. Stuzzica gli ex ministri, ricordando che “ci stavate voi al governo” quando è stato fatto quello che “nelle vostre mozioni pensano che debba essere cancellato, mentre noi lo difendiamo”.
Prova a ridimensionare il risultato elettorale come una “sconfitta” e non la “morte definitiva”, dovuta al fatto che “per cinque anni abbiamo fatto un racconto delle cose che abbiamo realizzato peggiore di quello fatto dai nostri avversari”.
E, ovviamente, cerca lo scontro diretto con i due che lo precedono nella conta, come deve fare chi sa di dover recuperare consensi.
“Il congresso – dice – non è il momento dell’unità , altrimenti ci sarebbe stato un solo candidato. L’unità deve venire dopo, deve accadere quello che non è accaduto nei cinque anni scorsi”. E propone: “Andiamo a fare dibattiti in tutta Italia e sui media. Lucia Annunziata mi ha già chiesto se sono disponibile a partecipare a un confronto. Io ho risposto di sì, mi auguro che anche gli altri lo facciano”.
Martina si trova nella difficile condizione di dover combattere su due fronti, contro la rimonta di Giachetti dietro di lui e su Zingaretti che lo precede.
Ma, pesando le sue parole sul palco, è il primo quello che sembra preoccuparlo maggiormente. Rivendica “quello che ho fatto” con “orgoglio”, ripercorrendo i suoi atti da ministro. Spiega che “l’unità non te la inventi il giorno dopo se prima, durante il congresso, ne hai minato i presupposti”.
E punge chi già si sente con un piede fuori, chi pensa che “l’alternativa nasca dalle ceneri del Pd” e per questo immagina la sua fine: “L’unica alternativa è un piccolo partito”. Un messaggio rivolto ai turborenziani di Giachetti ma anche a chi, tra i suoi sostenitori originari, pensa di cambiare rotta in vista delle primarie, passando intanto con il deputato romano e poi chissà …
Ci pensa Carlo Calenda, nel dibattito successivo (dominato dagli interventi dei delegati giachettiani), a invitare a uscire da questo loop: “Anche io ho litigato con Renzi, poi sono stato con Renzi, l’ho fatto anch’io questo casino. Ora però basta”.
E mette in chiaro: “Io qua dentro sto e qua dentro rimango. Mi prenderebbero per pazzo se uscissi dal Pd per fare un partito che poi si allea con il Pd”. L’ex ministro si è innervosito per la presentazione di un documento degli europarlamentari dem sulla linea da seguire in vista delle europee, che era apparso in contrapposizione al suo. Un incidente rientrato apparentemente senza conseguenze, con i tre candidati che sottoscrivono entrambi.
Se la parola d’ordine di Martina è “unità “, quella di Zingaretti è “pluralismo”.
“Nessuno cerca abiure – dice il Governatore del Lazio – ma dobbiamo ammettere che ci sono stati degli errori”, a partire dalla difficoltà a “leggere che c’erano difficoltà diffuse” dovute “all’aumento delle disuguaglianze”.
E critica anche quell'”isolamento borioso” che ha caratterizzato la propaganda del Pd negli ultimi anni, che “non sposta i rapporti nella società “. Ma poi chiarisce: “Basta con un partito fondato sugli antirenziani, gli antifranceschiniani, gli antiboschiani. L’Italia si aspetta che tornino i Democratici, a chi ha bisogno non interessa nulla delle nostre piccolezze”.
Zingaretti afferma in premessa che l’obiettivo del congresso deve essere di “indicare la via per ritornare a vincere e rimettere il Paese sui giusti binari”.
E in effetti, per gran parte del suo intervento – come aveva fatto anche Martina, d’altra parte – si rivolge già all’esterno, alzando la critica al governo e provando a immaginare la posizione del Pd per “rompere la tenaglia che sta stritolando l’Italia, tra la fiducia e le aspettative affidate a questo governo e l’incapacità a soddisfare queste aspettative”.
Tuttavia, non aggira le critiche che gli vengono rivolte dagli avversari, ribadendo che “non voglio favorire alcuna alleanza con i Cinquestelle”, ma che dobbiamo porci il problema di riconquistare l’elettorato” che votava Pd ed è passato da quella parte.
E, su un presunto spostamento a sinistra del Pd sotto la sua guida, chiarisce: “Non è antico, ma è modernissimo dire che bisogna accorciare le distanze tra chi ha troppo e chi non ha nulla”.
La partita vera inizia adesso.
Zingaretti nel frattempo incassa il sostegno di Francesco Boccia, il cui 4% tra gli iscritti lo spinge oltre il 51%, mentre con Martina si schiera l’unica donna candidata, Maria Saladino (0,7%). I
l rischio che la campagna si avveleni rimane forte, soprattutto sul tema della discontinuità rispetto alla stagione renziana. E più che la vittoria finale, il tema sul tavolo rimane l’unità del Pd, soprattutto dopo il passaggio decisivo delle elezioni europee.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 3rd, 2019 Riccardo Fucile
“IL PORTO E’ DELLA MARINA MILITARE, MI SAREI ASPETTATO UN INTERVENTO DEL CAPO DI STATO MAGGIORE”…”LE PERSONE SALVATE IN MARE VANNO SEMPRE SBARCATE”
“Non posso negare che la Marina sia stata umiliata nella vicenda Diciotti”. 
A dirlo è il senatore ex M5s Gregorio De Falco a Mezz’ora in più su RaiTre. “Ho parlato con il comandante della Diciotti – aggiunge -. Non fa passare le emozioni ma posso dire che ha fatto il suo dovere”.
Sulla questione Sea Watch, De Falco commenta: “In questa situazione, andavano fatti sbarcare: quando si prendono delle persone ‘per i capelli’ dal mare le si devono portare a terra. Questo lo affermano almeno tre convenzioni internazionali a cui abbiamo aderito”.
Il senatore ex M5s aggiunge: “Neanche il legislatore può porre dei limiti al soccorso perchè lo Stato italiano ha preso questo obbligo su di sè. I porti, in realtà , hanno l’attitudine ad offrire rifugio alle navi. È il luogo di rifugio delle navi: una nave che abbia raccolto dei naufraghi in mare deve potere accedere sempre ad un porto”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 3rd, 2019 Riccardo Fucile
IL M5S NON PUO’ PERDERE LA FACCIA SULLA TAV, SALVINI HA PAURA DI FINIRE IN GALERA: IL FINALE DELLA FARSA E’ SCONTATO
«Se Salvini ci provoca con Chiomonte, allora finisce qui»: Luigi Di Maio non ha apprezzato molto la visita del leader della Lega al cantiere (per lui inesistente) dell’Alta Velocità in Val di Susa, tanto da tirare fuori nei colloqui con i suoi l’arma finale: la caduta del governo Conte in caso di ripensamenti o arretramenti sulla TAV.
Con una minaccia in più, secondo alcuni retroscena: quello che mette sullo stesso piano il processo sulla Diciotti che Matteo vuole a tutti i costi evitare e che il M5S vorrebbe evitargli sì, ma soltanto se si rispettano i patti.
E allora sul piatto della bilancia c’è da una parte la TAV e dall’altra la Diciotti. Sta ai leghisti scegliere. Con un’avvertenza.
La tanto attesa analisi costi-benefici non solo è pronta, ma è pronta anche la sua traduzione in inglese e francese. Fonti qualificate del ministero delle Infrastrutture fanno trapelare che sta emergendo un saldo fortemente negativo a carico della prosecuzione dell’opera.
La Stampa racconta che l’arrabbiatura è tale che Di Maio non nasconde ai suoi collaboratori che «la faccenda del processo è tutt’altro che chiusa, e ancora non è detta l’ultima parola».
È il grillino a tenere la mano pronta a schiacciare il pulsante che manderà Salvini davanti ai giudici. Una minaccia di rappresaglia figlia anche delle critiche che più passano i giorni più il leader riceve da opinionisti vicini e parlamentari, contro una linea garantista a favore del leghista che si sta rivelando perdente.
Anche Repubblica dice che il Salva-Salvini non è più così scontato:
Ecco, quel salvataggio a questo punto non è affatto scontato, nè in giunta per l’immunità , nè in aula, quando si voterà al Senato sulla richiesta dei giudici di Catania. Anzi, stando a quanto trapela dal Movimento, l’indirizzo che prevarrebbe in queste ore andrebbe nella direzione opposta. La minaccia di crisi formulata di fatto da Luigi Di Maio («Con noi al governo non si fa») e gli insulti del pasdaran Di Battista al suo fianco nella campagna d’Abruzzo («Salvini torni con Berlusconi e non rompa i…») sono un altolà reale, anzi definitivo, fanno sapere dal quartier generale M5S.
C’è il tentativo di mediazione — l’ennesimo — imbastito in serata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, è vero, concordato più con quell’area del governo. Accenna a una possibile «revisione del progetto» Tav, come previsto dal contratto, ma vincolata all’analisi costi benefici.
Ma non dovrà essere un escamotage per tirare a campare, per prendere quei tre mesi di tempo sui quali punta la Lega per scavallare le Europee e risedersi al tavolo a bocce ferme, fuori dal clima elettorale.
E rimettere mano al progetto Torino-Lione, magari con corposi tagli da 1,5 miliardi sui cantieri italiani. No, nulla di tutto questo sarà possibile, fanno sapere ora Di Maio e Di Battista.
In campo c’è anche Giuseppe Conte. Ma stavolta non farà da paciere, come si è vantato con Angela Merkel, bensì si schiererà anche lui per il no e in pochi giorni Matteo Salvini resterà col cerino della Tav in mano, ma spento.
Anche perchè, come va ripetendo il ministro delle Infrastrutture Toninelli ai suoi interlocutori in queste ore, è dalla sua scrivania che dovrebbero partire, controfirmati, i contratti per l’apertura dei vari lotti della Torino-Lione. Ma quelle firme, analisi alla mano, non saranno mai apposte.
Anche perchè, scrive oggi Luca De Carolis sul Fatto, tra le condizioni che Alessandro Di Battista ha posto per tornare a dare una mano al MoVimento 5 Stelle in vista delle elezioni europee e in tempi di sondaggi calanti c’è proprio quella di non fare un’altra figuraccia epocale come con il TAP, quando l’ex deputato si spese pubblicamente per il blocco in quindici giorni e alla fine i suoi video sono finiti a fare il giro dell’Internet insieme all’accordo sul TAP che lo ha lasciato con il cerino acceso in mano.
E da lì riparte Di Maio: “Il discorso sull’opera è chiuso: possiamo semplicemente dire che finchè il M5S sarà al governo quel cantiere non inizierà , perchè non è stato scavato neanche un centimetro”.
Sillabe per tenersi in equilibrio, perchè il vicepremier combatte con mille fronti, esterni e interni: quindi ha bisogno di un centro di gravità permanente. E il no senza sconti al Tav è essenziale. Anche per rispondere al Salvini che pretende e probabilmente otterrà il no del Movimento alla richiesta di processo nei suoi confronti per sequestro di persona, arrivata dal Tribunale dei ministri di Catania.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 3rd, 2019 Riccardo Fucile
E’ SOLO L’ULTIMO ANELLO DELLA CAMPAGNA DI DELEGITTIMAZIONE DEI GIORNALISTI CONDOTTA DAL GOVERNO CHE AMA I SERVI E TEME LE SCHIENE DRITTE
Ma davvero vi stupite che sia stata revocata la scorta a Sandro Ruotolo? 
Davvero credevate che tutti questi mesi di melmosa propaganda sulle scorte come benefici e costi per gli italiani, utilizzata per colpire il nemico di turno e per alimentare l’indignazione che riempie le pance dei social e i voti di alcuni partiti alla fine sarebbero passati come uno scherzo?
Ma davvero avete creduto che trattare le mafie come criminalità spiccia che si possa atterrire con un semplice colpo di ruspa non avrebbe delegittimato centinaia di giornalisti che lavorano meticolosamente sul tema rifuggendo dalle facili semplificazioni e ben consapevoli che non esiste mafia dove non c’è anche mala politica
Ma davvero credete che questa lunga, logorante, incessante campagna di delegittimazione contro i giornalisti e il giornalismo alla fine non avrebbe prodotto danni credevate che passasse come un semplice pour parler senza invece esporre a ulteriori rischi un’intera categoria, completamente bistrattata, tutta in un unico calderone in cui stanno i servi di qualche potere e le schiene dritte (come Sandro, appunto) senza nessuna distinzione?
Ma davvero credete che il puerile scontro del ministro dell’interno Salvini contro Saviano e la sua scorta metta molto in pericolo i giornalisti che non hanno la visibilità di Saviano e ancora, nel 2019, devono giustificarsi del fatto di essere protetti?
Davvero c’è qualcuno che è ancora convinto che, nonostante le mille rassicurazioni di ogni benedetto governo, le scorte non siano figlie di determinate scelte politiche, tanto c’è sempre un modo per mettere le carte a posto come già disse Giovanni Falcone?
Avete mai messo il naso nella disparità di atteggiamento tra i collaboratori di giustizia, tra i testimoni di giustizia e tra le personalità ?
Sapete che mentre veniva revocata la scorta a Sandro Ruotolo è uscita la notizia che la figlia di una nota show girl è scortata per le minacce di un fan?
Ma davvero credete che il continuo bullizzare i nemici di questo governo (con fare più da bamboccione che da ministro) alla fine non si realizzerà in un boicottaggio appena gli sarà possibile?
Davvero non avete capito che ormai non esiste un blocco sociale? È un noi contro di voi?
Ma davvero non avete capito che la scorta a Sandro Ruotolo (come altri, giornalisti e magistrati) è iniziata silenziandolo, delegittimandolo, non dando il giusto risultato a inchieste che in un Paese normale avrebbero dovuto aprire un dibattito politico e invece sono rimaste lì, come giornalismo di testimonianza?
Ma davvero credete che questo disamoramento sui temi delle mafie e dell’antimafia non renda infinitamente più semplice zittire le voci scomode?
Ma davvero credete che banalizzare la mafia promettendo di sconfiggerla in qualche mese sia una frase accettabile in un Paese che con le mafie convive, tratta e converge da decenni?
Alla luce di questo, ma davvero vi stupite che sia stata revocata la scorta a Sandro Ruotolo? Davvero?
(da Globalist)
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Febbraio 3rd, 2019 Riccardo Fucile
ANCHE IL WEB SI E’ MOBILITATO CONTRO LA DECISIONE DELL’UFFICO CENTRALE INTERFORZE
La revoca della scorta a Sandro Ruotolo, il giornalista che ha raccontato e denunciato molti gravi fatti di cronaca legati alla Camorra, continua a far discutere.
La decisione dello stop da parte dell’Ufficio centrale interforze ha provocato numerose reazioni per la delicatezza della sospensione del provvedimento e dei rischi che ora il cronista rischia di correre dopo le minacce — già ricevute in passato — dei clan camorristi che da anni lo hanno messo nel mirino.
Una scelta che è stata criticata anche dal Procuratore Nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho.
La revoca della scorta al cronista Sandro Ruotolo «deriva evidentemente da valutazioni che gli organismi, ai quali compete, esprimono — spiega il Procuratore antimafia De Raho a margine della conferenza ‘Contromafiecorruzione’ in corso a Trieste -. Sono del parere che i soggetti a rischio vanno sempre protetti. Di volta in volta i parametri sono quelli anche della maggiore visibilità , del tipo di inchieste, di tutto ciò che si esprime nell’ambito di un’attività lavorativa giornalistica».
Dettagli che sembrano essere sfuggiti a chi ha deciso di non rinnovare il servizio di scorta a Sandro Ruotolo, minacciato più volte dal clan dei Casalesi legato a Michele Zagaria dopo le sue inchieste sui traffici e gli affari loschi della Camorra a Napoli e dintorni.
«È evidente — ha proseguito il Procuratore Nazionale antimafia — che lo Stato si trova ad affrontare tantissime problematiche proprio in ordine al rischio delle persone. È anche evidente, però, che il diritto alla sicurezza non deve mai ridurre la sicurezza dei diritti».
De Raho ha poi ricordato un incontro avvenuto in passato con Paolo Borrometi, un giornalista siciliano minacciato dal boss Gianbattista Ventura — reggente del clan ‘Carbonaro-Dominante’ di Vittoria, in provincia di Ragusa — presente anche lui all’evento di Trieste.
«Ha raccontato tanti episodi che sono avvenuti in suo danno — ha spiegato il Procuratore -. Questo perchè non si è intervenuti in tempo. Però si è potuto salvare la sua vita perchè una scorta gli è stata data e gli è stata mantenuta. Questo senza voler creare polemiche, spettano ad altri organismi»
(da agenzie)
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