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SALVINI E’ TERRORIZZATO DAL PROCESSO (CUOR DI LEONE NON CAMBIA MAI)

Febbraio 4th, 2019 Riccardo Fucile

PER LA PRIMA VOLTA TIENE I TONI BASSI MENTRE SI PREFIGURA UNO SCAMBIO CON LA TAV… E IL GOVERNO E’ DI FATTO BLOCCATO

Magari non è un “baratto” esplicito tra impunità  giudiziaria e Tav, però la dinamica in atto dice ci assomiglia parecchio.
Ecco il Capitano, meno baldanzoso del solito, che dopo il week end degli insulti grillini, ospite di Quarta Repubblica, sdrammatizza sulla Tav: “Dovrebbe essere un vanto per l’Italia. Se i lavori partono, il primo treno passa nel 2030, ma non dipende solo da me, faccio parte di un’alleanza”.
Insomma, non è questione di vita o di morte.
Drammatizza, invece, sul voto in Giunta che lo riguarda: “Sarebbe un precedente grave, perchè vorrebbe dire che una parte della magistratura decide quello che il governo può o non può fare. Quello che ho fatto era nel programma di governo”.
Il che tradotto significa che sulla Tav la Lega non ha intenzione di far saltare il governo facendone una questione di vita o di morte, mentre un voto favorevole sull’autorizzazione lo metterebbe seriamente a rischio.
Sul primo dossier mette in conto di cedere, sul secondo si aspetta che ceda l’alleato.
La verità  è che, forse per la prima volta, il Capitano è sotto botta davvero, per la questione della Diciotti.
Perchè, chiacchiere a parte, è terrorizzato dall’idea di poter finire sotto processo e rischiare una condanna in primo grado per sequestro di persona.
Anche in un paese strano come l’Italia sarebbe difficile, in caso di condanna, rimanere in carica, continuando a saltellare da un palco all’altro con il giubbotto della polizia addosso, affidando all’abito quella rettitudine che il giudici hanno tolto al monaco.
È questa la chiave per capire ciò che in altri tempi sarebbe sembrato inspiegabile.
E cioè il suo atteggiamento quasi zen di fronte non ad una voce dal sen fuggita, ma a quella che sembra una sorta di “strategia della derisione”, messa in atto dai Cinque stelle in questa fase.
Perchè mai si era sentito un vicepremier bollare come “supercazzole” le ipotesi di accordo sulla Tav dell’altro vicepremier.
O il frontman della campagna elettorale grillina dire basta con queste “stronzate”, altrimenti “torni da Berlusconi e non rompa i coglioni”.
Parole brusche, che in parecchi dentro la Lega hanno interpretato come un cambio di fase: “Vogliono dimostrare che, in fondo, Matteo è il cazzaro verde, come dice Travaglio, che abbaia, abbaia, ma alla fine non morde se gli fai brutto”.
Mai però si era visto Salvini così calmo dopo essere stato insolentito, da avere stupito anche i suoi che, per l’ennesima volta, gli hanno ripetuto: “Guarda che così non reggiamo. Qui sta diventando un fatto di dignità “.
Ospite a Quarta Repubblica si limita a dire che “se qualcuno continua ad insultarmi e darmi del rompicoglioni le cose si fanno più complicate” e “non ho bisogno di una ripulitura, quella me la danno gli italiani”.
Il minimo sindacale, rispetto al suo repertorio, anch’esso assai colorito all’occorrenza. Chi ha parlato con lui in privato racconta che la sua linea è un classico “non cadiamo nelle provocazioni”, perchè “io voglio andare avanti con questo governo, semmai sono loro che non reggono”.
E chi gli ha chiesto una chiacchierata un po’ più approfondita, si è sentito rispondere: “Ne riparliamo dopo la Sardegna”.
Dopo l’Abruzzo e dopo la Sardegna, due elezioni dove sente odor di vittoria, secondo l’antico schema per cui di fronte all’impasse del Palazzo il vincitore può dire “il popolo è con me, vedete voi che vogliamo fare”.
Era prevedibile che le tensioni delle campagna elettorale si scaricassero sul governo, l’Abruzzo, la Sardegna, la Basilicata a marzo, poi le Europee, ma non era prevedibile che questa situazione producesse di fatto un “non governo”, perchè non c’è un solo dossier che non sia paralizzato, dalla Tav al Venezuela.
E una sorta di crisi strisciante che rende incerto ciò che finora era certo: “Il disegno — dice un leghista di rango — era un rimpasto dopo le europee. Ora bisogna vedere se ci si arriva”.
E anche come ci si arriva, con una linea che assomiglia tanto a un “ora ci meniamo, poi si vede”. Ma Salvini non vuole rompere, per ora, consapevole che non ci sono alternative perchè una crisi è una crisi, e magari sai come si apre ma non sai come va a finire: Mattarella, la paura di un manovrone di palazzo, i parlamentari preoccupati dalla cadrega.
Però qualcosa sta accadendo, se anche il mite Buffagni, a qualche leghista che gli ha detto “così con si va avanti” ha risposto “se volete andare al voto, noi siamo pronti”.
E, per la prima volta, dentro i Cinque Stelle è sdoganata la parola “rottura”.
Perchè se Salvini è sotto botta per la giustizia, sulla giustizia sono sotto botta anche i Cinque stelle, al bivio tra il perdere l’anima salvando il ministro degli Interni dai giudici o perdere il governo votando sì all’autorizzazione, una scossa oggettiva che a quel punto sarebbe più forte di tutte le buone volontà  soggettive ad andare avanti.
È questa la chiave, prima ancora della Tav e di tutti i dossier che, a cascata, sono paralizzati.
E che rischiano di esserlo ancor di più dopo l’Abruzzo o dopo la Sardegna dove una sconfitta dei Cinque Stelle produrrebbe un irrigidimento ulteriore, perchè sarebbe interpretata come il frutto di un cedimento sulle bandiere storiche del Movimento.
E semmai li renderebbe ancora più intransigenti, ad esempio, sulla Tav rendendo ancora più complicata la ricerca di quel compromesso che, ad oggi, non si vede.
Dicevamo, Salvini è sotto scacco sulla giustizia, i Cinque Stelle anche, perchè si trovano in una posizione lose lose.
E non è affatto detto che, in settimana, il ministro dell’Interno si presenterà  in Giunta a difendersi, anzi dopo aver visto le carte è al lavoro su una “memoria” scritta.
Così come ancora non è chiaro come si comporteranno i Cinque Stelle, pressati dalla loro opinione pubblica dopo giorni in cui sembrava scontato il no all’autorizzazione. Accade spesso che i proclami di guerra, in realtà  mascherano una debolezza e l’assenza di alternative, che a ben vedere al momento non ha Salvini ma non ha nemmeno Di Maio.
Ecco, magari non è un “baratto” esplicito tra salvezza giudiziaria e Tav, però la dinamica in atto dice che sulla Tav la Lega non ha intenzione di far saltare il governo, mentre un voto favorevole sull’autorizzazione farebbe cadere giù tutto.
Ognuno ha da perdere un po’ di anima per tener vivo il governo, sia essa l’anima del nord operoso o l’anima legalitaria.
Politicamente, come operatività , c’è la grande paralisi ma ciò che è paralizzato non è detto che cada, anzi.

(da “Huffingtonpost”)

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L’ISTAT RIVELA LA BUFALA GRILLINA: DIMEZZATI I BENEFICIARI DEL REDDITO DI CITTADINANZA, DA 5 MILIONI A 2,5

Febbraio 4th, 2019 Riccardo Fucile

META’ DELLE RISORSE ANDRANNO A CHI VIVE DA SOLO… PIU’ DELLA META’ SONO NEL SUD ITALIA … NON 780 EURO MA UNA MEDIA DI 420 EURO, PER UN SINGLE 370 EURO

Ridotta, anzi proprio dimezzata. La platea dei beneficiari del Reddito di cittadinanza passa dai 5 milioni di italiani di cui ha spesso parlato il vicepremier Luigi Di Maio ai 2,7 milioni di cittadini stimati dall’Istat.
Secondo l’Istituto nazionale di statistica italiana (e anche secondo l’Inps che abbassa la stima addirittura a 2,4 milioni di persone) il beneficio arriverà  nelle case di 1, 3 milioni di famiglie italiane.
Single, coppie (con e senza figli), casalinghe, studenti, laureati e anche persone che un lavoro ce l’hanno già .
Stilare un profilo tipo del percettore del Reddito di cittadinanza è una missione impossibile, viste le caratteristiche estremamente eterogenee dei componenti di tutti i nuclei familiari coinvolti da questa misura.
L’Istat però ha provato comunque a dare più informazioni possibili sulla platea dei beneficiari del provvedimento e ne sono emersi diversi aspetti interessanti.
Prima di tutto, l’importo annuo medio percepito da ogni famiglia sarà  pari a 5 mila 45 euro e il costo totale sostenuto dallo Stato sarà  di 6,6 miliardi di euro, sempre su base annua.
Tra le famiglie potenzialmente beneficiarie, si stima che la maggioranza viva al Mezzogiorno (752 mila ossia il 57%), seguita dal Nord (con 333 mila nuclei familiari) e infine dal Centro (222 mila). Calcolando le relative incidenze sui territori, secondo l’Istat le famiglie che percepiranno l’Rdc saranno il 9% di quelle residenti al Mezzogiorno, il 4,1% di quelle del Centro e il 2,7% del Nord.
I single costituiscono quasi la metà  (per la precisione il 47,9%) delle famiglie beneficiarie del Reddito.
A prenderlo saranno circa 626 mila e riceveranno a testa, in media, un sussidio annuo di 4 mila 469 euro (372 euro al mese)
Le coppie con figli minorenni che beneficeranno del sussidio sono circa 260 mila (il 19,6% delle famiglie beneficiarie) e percepiranno, in media, 6 mila 470 euro, quindi paradossalmente meno delle coppie con figli tutti adulti (che prenderanno invece in media 7 mila 41 euro).
Più dell’80% delle famiglie beneficiarie sono composte da soli cittadini italiani (si tratta di 1,56 milioni di nuclei familiari), mentre quelle formate da soli stranieri, cittadini dell’Ue ed extra-comunitari, si fermano a soli 150 mila (ossia l’11,5%).
Di queste ultime, quelle di soli cittadini extra-comunitari sono 95 mila (7,3%) mentre le famiglie miste di italiani e stranieri sono 102 mila (7,8%).
Complessivamente, comunque, l’85% dei percettori dell’Rdc sono italiani, mentre gli stranieri rappresentano poco meno dell’11%, in virtù delle modalità  previste di erogazione del contributo.
Del milione e 791 mila destinatari del Reddito in età  da lavoro (ossia tutti quelli che hanno tra i 16 e i 64 anni), 613 mila sono persone in cerca di occupazione (il 22,7% del totale), mentre tra le persone inattive spicca la rilevante presenza delle casalinghe: 422 mila (il 23,6% del totale).
Ben 428 mila percettori (il 15,8%) sono invece occupati.
Come è possibile? In realtà  non si tratta di un controsenso, ma del fatto che “sono persone che fanno parte di famiglie in cui c’è una dimensione reddituale compatibile con il reddito di cittadinanza – spiega all’Huffington Post il direttore del dipartimento per la produzione statistica dell’Istat Roberto Monducci —. Sono nuclei familiari a basso reddito che percepiranno un’integrazione grazie all’Rdc anche se al loto interno c’è qualcuno che lavora. Perchè comunque l’intera famiglia è considerata sotto soglia”.
Guardando al livello di istruzione dei percettori del Rdc, si scopre che ci sono circa 120 mila laureati.
Si tratta comunque di una minoranza, visto che tre beneficiari in età  da lavoro su cinque (più precisamente il 62,5%, pari a un milione 120 mila persone) hanno la terza media e il 13,4% (241 mila) ha al massimo la licenza elementare. Il 30,9% (553 mila) possiede invece un diploma di scuola superiore.
L’Istat infine ha fatto anche una valutazione complessiva dell’impatto della misura sulla disuguaglianza.
Osservando l’Indice di concentrazione del Gini (per il quale valori vicino allo 0 indicano una distribuzione egualitaria), ai ricercatori è risultato che il Reddito di Cittadinanza determinerebbe una riduzione della disuguaglianza di soli 0,2 punti percentuali, l’indice infatti passerebbe da 30,1 a 29,9%.

(da “Huffingtonpost”)

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SOLDI, NUMERI E SCADENZE SULLA TAV: ENTRO FINE MARZO L’ITALIA POTREBBE ESSERE CONDANNATA A RESTITUIRE I FINANZIAMENTI

Febbraio 4th, 2019 Riccardo Fucile

PROSSIMA SETTIMANA INCONTRO TONINELLI-BORNE PER DISCUTERE L’ANALISI COSTI-BENEFICI, A FINE MARZO ISPEZIONE DELL’INEA

Dopo il rumore del fine settimana irrompe l’Unione europea poichè, al di là  della campagna elettorale nostrana e delle reciproche esigenze di Lega e M5s, adesso ci sono accordi, date e scadenze da rispettare.
Quando il livello dello scontro sulla Tav Torino-Lione tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, nonostante i due vicepremier si trovassero in Abruzzo, ha raggiunto livelli ancora più alti, è arrivata l’Ue, ovvero dal finanziatore di buona parte dell’Alta velocità , a dare precise indicazioni.
Le parole giunte da Bruxelles non lasciano spazio all’interpretazione: “Non possiamo escludere, se ci sono ritardi prolungati, di dover chiedere all’Italia i contributi già  versati” per la Tav, oltre al “rischio che, se i fondi non sono impiegati, possano essere allocati ad altri progetti” europei, fa sapere un portavoce della Commissione Ue, che non ne può più delle incertezze tutte italiane che gravano sulla realizzazione della Torino-Lione. E poi ancora “l’attuale analisi costi-benefici” su cui lavora il governo italiano “non è stata richiesta dalla Commissione”, aggiunge ricordando che già  era stata presentata nel 2015.
Da qui parte infatti il ragionamento odierno, senza contare che la Francia potrebbe chiedere all’Italia di restituire anche i suoi di soldi e di pagare la copertura dei 25km di tunnel già  scavato.
Ma andiamo per ordine.
Il governo giallo-verde ha redatto un’analisi costi-benefici, ancora coperta da segreto, e da questo studio dovrebbe dipendere la decisione se realizzare o meno l’Alta velocità .
Nello stesso tempo però il vicepremier leghista ha commissionato una sua analisi, ritenendo quella realizzata da Marco Ponti e dal suo team composto da molti No-Tav troppo schierata.
Sta di fatto che la prossima settimana ci sarà  il primo appuntamento. Una data ancora non c’è ma entro una decina di giorni il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli dovrà  incontrare il suo omologo francese Elisabeth Borne per illustrare l’analisi costi-benefici del professore Ponti, che in teoria è quella ufficiale.
Anche se vi è il contro studio leghista e ciò la dice lunga sulle dinamiche interno al governo.
Il tempo è poco. Il 19 febbraio infatti si riunirà  a Parigi il consiglio di amministrazione di Telt, il promotore pubblico di proprietà  italiana e francese che è responsabile dei contratti firmati. Quindi la società  per quella data attende indicazione su cosa fare riguardo le gare, cioè riguardo gli appalti congelati e che dovevano essere già  stati sbloccati o annullati del tutto dal momento che il governo italiano aveva chiesto tempo fino al 31 dicembre. Il tempo in realtà  è già  scaduto.
Se entro il 19 febbraio non arrivano indicazioni in tal senso, sicuramente la pressione dell’Unione europea aumenterà  così come quella della Francia.
Infatti, non solo non è stata l’Ue a chiedere un’analisi costi-benefici, già  — come ricordato oggi — redatta nel 2015, ma neanche la Francia ne sentiva la necessità . Ed è per questo che la pazienza oltralpe è terminata, come ha fatto sapere venerdì scorso la ministra Borne: “Il tempo sta per finire”.
Tornando al calendario c’è un’altra data da segnare il rosso sul calendario. A fine marzo ci sarà  la riunione periodica dell’Inea, l’organismo dell’Unione europea che controlla l’avanzamento dell’opera e visita i cantieri per vedere a punto si è arrivati.
L’attenzione è alta, basti pensare che nel linguaggio europeo la Tav viene definita, così come il Brennero, “progetto faro” poichè ritenuta tra le principali e tra quelle dove sono stati investiti più soldi. L’opera insomma in cui si crede maggiormente.
A proposito di soldi, è necessario passare in rassegna le cifre.
L’Italia rischia di dover rimborsare all’Unione Europea, per i ritardi e l’eventuale abbandono del progetto ferroviario della Tav, circa 500 milioni di euro, fondi già  versati dal bilancio comunitario all’Italia, ma il conto potrebbe salire ulteriormente e avvicinarsi a 1,2 miliardi, se si tiene conto delle risorse nel bilancio Ue ancora disponibili per la Tav fino al 2020 e che verrebbero dunque riviste o cancellate.
Per il periodo di bilancio 2007-2013, l’Ue infatti ha effettuato esborsi pari a 370 milioni di euro per la Tav, a cui si aggiungono 120 milioni già  pagati per il 2014-2020.
Ci sono poi i fondi, già  approvati e stanziati, da versare quando ci sarà  l’aggiudicazione degli appalti per ora congelati.
Si parla di gare pari a 1,9 miliardi, di cui il 41%, quindi 813,8 milioni di euro, è finanziato dall’Unione europea. La restante parte, poco più di un miliardo, sarà  finanziata dall’Italia per il 57,9% e dalla Francia per il 42,1%. Per quanto riguarda l’Italia le risorse sono già  disponibili perchè impegnate nel Cipe del 2017.
A fronte di nessun passo, quindi a causa del mancato sblocco degli appalti, l’Inea potrebbe avviare un’istruttoria negativa e di conseguenza la commissione Europa potrebbe decidere uno stop ai finanziamenti.
Se così non fosse, quindi se venisse dato all’Italia ancora del tempo, il rischio è la rivolta di tutti gli altri Paesi europei che non si sono aggiudicati questi finanziamenti. Per questa ragione l’Ue oggi ha messo in chiaro che quei soldi saranno destinati ad altri Stati, non certo all’Italia.

(da “Huffingtonpost”)

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CORTE DEI CONTI E INPS SMONTANO QUOTA 100: RISCHIA DI SFASCIARE I CONTI PUBBLICI

Febbraio 4th, 2019 Riccardo Fucile

AUMENTO DEL DEBITO PER 38 MILIARDI IN TRE ANNI, SE DIVENTA STRUTTURALE BUCO DI 90 MILIARDI, PAGHERANNO LE FUTURE GENERAZIONI

Due grandi alert su quota 100.
Uno sui costi che graveranno sulle generazioni future, un altro sull’esodo di personale dagli uffici comunali.
§A lanciarli sono l’Inps, Corte dei Conti e l’Anci, l’associazione nazionale dei Comuni italiani.
Il grosso del costo di Quota 100 “graverà  comunque sulle generazioni future”, ha dichiarato il presidente dell’Inps, Tito Boeri, nel corso di una audizione alla Commissione Lavoro del Senato sul “Decretone” spiegando che se la misura resterà  sperimentale per tre anni (e fino al 2026 per la pensione anticipata) aumenterà  il debito implicito di 38 miliardi.
Se queste misure diventassero strutturali l’aumento del debito implicito lieviterebbe a oltre 90 miliardi.
Un impatto sui conti dell’Inps, a cui si aggiunge anche la revisione al ribasso della crescita del Pil per il 2019, anch’essa con conseguenze sui conti dell’Istituto previdenziale.
La revisione delle stime di crescita del Pil per il 2019, come quella operata dalla Banca d’Italia che stima una crescita dello 0,5%, rischia di comportare un ‘buco’ da 2 miliardi nelle entrate contributive dell’Inps.
E’ la stima fornita dal presidente dell’Istituto, Tito Boeri, nel corso dell’audizione sul decretone in commissione Lavoro del Senato.
Il bilancio preventivo 2019 dell’Inps, ha ricordato Boeri, è costruito su un incremento del Pil reale dello 0,9%.
“Un incremento dello 0,5% come quello previsto dalla Banca d’Italia (prima che l’Istat certificasse il calo dello 0,2% del Pil nel quarto trimestre 2018) o addirittura pari a zero – ha osservato Boeri – avrebbe un impatto immediato sulle entrate dell’Inps e, in prospettiva, sulle spese per le prestazioni a sostegno del reddito. La previsione di incremento delle entrate contributive è dell’1,4% rispetto all’assestato del 2018 che corrisponde a un incremento di 3,09 miliardi di euro. Una crescita dei contributi in linea con l’andamento del Pil nello scenario (a questo punto relativamente ottimistico) tratteggiato da Banca d’Itala porterebbe a circa due miliardi in meno di entrate contributive rispetto a quanto preventivato.
La quota 100 “ha un impatto significativo” sui conti pubblici: nell’audizione alla Commissione Lavoro del Senato sul “decretone”, anche la Corte dei Conti segnala che “l’anticipo dell’età  pensionistica comporta sia esigenze di cassa sia debito implicito, in quanto la componente retributiva non viene corretta tenendo conto della maggiore durata della prestazione stessa”.
“Gli obiettivi perseguiti dalla misura – in primis, stante quanto affermato nella relazione illustrativa, l’aumento dell’occupazione giovanile – sono condivisibili in linea generale, anche se di non semplice conseguimento”, ha detto Angelo Buscema, presidente della Corte dei conti, nel corso di un’audizione in Senato su quota 100.
“Gli auspicati meccanismi di sostituzione dei pensionati che “anticipano” l’uscita dal lavoro con nuove assunzioni sembrano non trovare conferma negli studi che pongono in relazione, per i diversi paesi, l’età  di uscita dal mondo del lavoro con la quota di occupazione giovanile”, ha aggiunto.
Con quota 100 nei Comuni “si rischia un esodo anticipato e massiccio di personale, soprattutto dirigenziale, che si è nell’impossibilità  di sostituire” viste le attuali regole sul turnover. Lo dice l’Anci nel documento consegnato alla commissione Lavoro del Senato per l’audizione sul decretone, nel quale si stima “in circa 50.000 dipendenti la platea dei probabili aventi diritto alla pensione” nei prossimi “12-18 mesi”.
Un esodo che “potrebbe mettere in serio pericolo l’erogazione di servizi essenziali” compresi quelli legati al reddito di cittadinanza.

(da “Huffingtonpost”)

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QUOTA 100 E OPZIONE DONNA, QUANTO SI PERDE DI PENSIONE

Febbraio 4th, 2019 Riccardo Fucile

CON QUOTA 100 SUBITO 15% IN MENO, NEL TEMPO IL 25%… CON OPZIONE DONNA SUBITO IL 30%, NEI PROSSIMI ANNI IL 37%

Quanto perde chi anticipa la pensione con Quota 100 e chi va in pensione con Opzione Donna?
Chi anticipa si accontenta di una pensione più bassa del 15% e incasserà  nel tempo che gli resta (in media 21 anni, in base alla speranza di vita calcolata da Istat) in tutto 350 mila euro contro 453 mila, quasi un quarto in meno, calcola Progetica, società  indipendente di consulenza.
L’opzione donna, spiega invece oggi Repubblica, è penalizzante per due motivi. Perchè, al contrario di quanto accade per quota 100, l’assegno viene ricalcolato interamente con il metodo contributivo (si prende quanto si è versato, non in proporzione agli ultimi stipendi).
E perchè si esce in base a due finestre molto lunghe: 12 mesi dal raggiungimento dei requisiti per le dipendenti, 18 mesi per le autonome.   La misura è stata riconfermata solo per il 2019, riservata alle 58-59enni (classe 1959-1960) che hanno compiuto gli anni entro il 31 dicembre 2018.
Tutte le lavoratrici nate un anno dopo i requisiti (1960-1961) sono fuori dall’opzione. Sono fuori anche da quota 100. E quindi andranno in pensione con le regole Fornero, sei o sette anni dopo.
Un esempio?   Una lavoratrice dipendente classe 1960, che versa i contributi dal 1983, se opta e va in pensione sei anni prima a 59 anni e 7 mesi — anzichè a 65 anni e 8 mesi — perde il doppio di un uomo in quota 100.
Un terzo dell’assegno e il 37% del “tesoretto” futuro, la “ricchezza a vita media”: 201 mila euro anzichè 541 mila.

(da “NextQuotidiano”)

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GINO STRADA E PADRE ZANOTELLI: “SALVINI VA PROCESSATO, NON CI SI SOTTRAE AL GIUDIZIO DELLA MAGISTRATURA”

Febbraio 4th, 2019 Riccardo Fucile

“SE E’ STATA SCELTA POLITICA, I GRILLINI SE NE ASSUMANO LA RESPONSABILITA’ E SI FACCIANO PROCESSARE PURE LORO, INVECE CHE SCAPPARE”

“Chiunque sia accusato di avere commesso un reato, perchè un reato sicuramente è stato commesso, deve essere processato. Il gioco di sottrarsi al giudizio della magistratura è profondamente antidemocratico”.
Gino Strada, fondatore di Emergency, interpellato dall’Adnkronos, torna sulla vicenda della nave Diciotti, e ribadisce la necessità  che il ministro dell’Interno Matteo Salvini sia processato, come chiesto dal Tribunale dei ministri di Catania.
“Se è stata una scelta politica se ne assumano, insieme con Salvini, la responsabilità , si facciano processare tutti. Non è che quando si dice ‘è una scelta politica’ diventa lecito tutto – sottolinea – Anche le deportazioni sono state una scelta politica, tanto che furono fatte delle leggi”.
Quanto alla posizione del M5S sul voto in Giunta per le autorizzazioni e al possibile uso della vicenda per ‘bilanciare’ le posizioni divergenti con l’alleato di governo sulla Tav Strada osserva: “Mi aspetto di tutto, non sarebbe la prima volta. La cosa che fa impressione è che il presidente del Consiglio dica che non è immunità . Cos’è? Trovi un’altra parola per definirla”.
Sempre l’Adnkronos intervista il padre missionario Alex Zanotelli sul caso Diciotti. “Il discorso è chiarissimo: Salvini ha violato leggi nazionali e internazionali, utilizzando persone stremate per un suo scopo politico. E un ministro non è sopra la legge, per questo va processato”, dice il religioso comboniano, per il quale “il consenso popolare, di cui indubbiamente gode in questa fase il leader della Lega, non può cancellare i fatti e neanche la realtà  sociale del nostro Paese, dove il problema non sono affatto i migranti, ma la povertà  e la disoccupazione nonchè l’incapacità  dei politici di mettere mano alla situazione economica che sfugge ai loro interventi perchè viene determinata dai grandi potentati economici e finanziari mondiali”.
Secondo padre Alex “Salvini ha voluto forzare l’Europa affinchè cedesse al progetto di equa distribuzione dei migranti, che in sè e per sè è una cosa giusta, ma che non si può e non si deve ottenere sulla pelle degli stessi migranti, infliggendo a chi ha già  tanto sofferto delle ulteriori sofferenze – accusa – Se la magistratura si è mossa, l’azione giudiziaria deve fare il suo corso, altrimenti la conseguenza è stabilire che chi è eletto può fare quel che cavolo vuole, senza rispondere delle sue azioni in base alle leggi ma soltanto all’elettorato”.
Questo, sottolinea padre Zanotelli, “in uno Stato democratico non è possibile, va contro la stessa Costituzione”. E a questo proposito, “se i Cinquestelle negassero l’autorizzazione a procedere, andrebbero in contraddizione con quanto hanno sempre predicato finora: M5s rinnegherebbe sè stesso e cancellerebbe tutto il percorso politico e di consenso elettorale costruito contro la ‘casta’, soprattutto quella politica, perdendo totalmente la faccia come persone e la stessa identità  del movimento”.

(da “Huffingtonpost”)

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COMMISSARIA UE ALLA GIUSTIZIA: “IN ITALIA POLITICI ALIMENTANO ODIO E RAZZISMO”

Febbraio 4th, 2019 Riccardo Fucile

VERA JOUROVA: “SE CERTI POLITICI PER PRIMI FOMENTANO L’ODIO, LA GENTE PENSA CHE SIA NORMALE”

Vera Jourova, Commissaria dell’Unione europea alla Giustizia, ha dichiarato che la Ue “segue con molta preoccupazione i discorsi di incitamento all’odio contro i migranti che non sono diffusi solo in Italia, ma anche in altri stati membri. Lavoriamo attivamente per combatterli”.
La Jourova ha fatto questa dichiarazione come risposta ai giornalisti che le ha chiesto di commentare l’aumento della retorica anti-immigrati in Italia e se secondo lei ne è responsabile Matteo Salvini. “Se le persone vedono tutti questi messaggi di odio pensano che ciò sia normale e questo succede anche quando sentono messaggi simili dai politici e per noi è un segno di grande preoccupazione”, ha aggiunto.

(da agenzie)

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IL PADRE DEL GIOVANE MANUEL: “A ROMA SI RISCHIA LA VITA PER NIENTE”

Febbraio 4th, 2019 Riccardo Fucile

L’APPELLO DI FRANCO BORTUZZO , IL PADRE DELLA GIOVANE PROMESSA DEL NUOTO, FERITO GRAVEMENTE PER STRADA… LA SICUREZZA NON SI FA CON I SELFIE, MA GARANTENDO AI CITTADINI LEGALITA’

“Adoro Roma, però qui c’è un problema da risolvere. Non è possibile che si rischi la vita per niente, anche andando a mangiare un semplice panino. Questo è un problema distante anni luce da Treviso, non sarebbe successo”.
A parlare è Franco Bortuzzo, padre di Manuel, il ventenne giovane promessa del nuoto ferito gravemente in strada ieri a Roma.
Il signor Bortuzzo ha lanciato un appello ai microfoni di Chi L’Ha Visto?: “Per i sacrifici che ho fatto in tutta la mia vita, per tenere sempre i figli lontani dalla strada, l’appello che faccio è: se qualcuno ha coraggio o voglia di dare un segnale, un avviso, per aiutare le autorità  giudiziarie a risolvere questo problema, io sarei grato anche perchè è impossibile che oggi ancora nelle strade succedono queste cose”, ha detto.
“Ho quattro figli, tutti e quattro nuotatori. Sono riuscito a portare mio figlio Manuel a fare parte del Centro Olimpico di Roma”, ha dichiarato. “Ho sempre cercato di toglierli dalla strada e oggi sono vittima di una cosa che è successa su una strada: una cosa che ha dell’incredibile nel 2019”.

(da “Huffingtonpost”)

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IL CONSIGLIERE LEGHISTA PARCHEGGIA L’AUTO PER UN’ORA SULLA CORSIA PREFERENZIALE, FULGIDO ESEMPIO DI RISPETTO DELLA LEGALITA’

Febbraio 4th, 2019 Riccardo Fucile

ROMA, MAURIZIO POLITI, EX MELONIANO, BECCATO CON L’AUTO PARCHEGGIATA SULLA CORSIA RISERVATA AI MEZZI PUBBLICI, ALLA FACCIA DEI COMUNI MORTALI

La macchina del consigliere comunale della Lega parcheggiata per almeno un’ora sulla nuovissima corsia preferenziale di via del Tritone, nel cuore di Roma.
Proprio di fronte all’ingresso della sede dei gruppi e delle commissioni capitoline.
Un debutto non proprio edificante per il partito di Matteo Salvini in Campidoglio. A essere colto in fallo, infatti, è stato Maurizio Politi, giovane consigliere capitolino recentemente fuoriuscito da Fratelli d’Italia e passato al Carroccio.
Intorno alle 11.15, IlFattoQuotidiano.it ha trovato la Toyota Yaris del 35enne ex meloniano già  parcheggiata, spenta, davanti alla sede di via del Tritone 142.
Sul cruscotto, oltre al permesso Ztl per l’accesso nell’area del centro storico, era esposto anche il contrassegno rilasciato dal Gabinetto della Sindaca ai consiglieri dell’Assemblea Capitolina “per l’accesso e la sosta sul colle capitolino Varco Tarpeo”.
Dunque, nulla che autorizzasse a sostare con il motore spento su una preferenziale dedicata ai mezzi pubblici.
L’automobile è rimasta nella stessa posizione — “tenuta d’occhio” da un collaboratore del consigliere — almeno fino alle 12.40, quando Politi è sceso intento ad andare via.
“Purtroppo in questa zona non c’è parcheggio ed è difficilissimo parcheggiare e dunque ottemperare in tempo all’esercizio delle proprie funzioni”, ha detto un po’ imbarazzato a IlFattoQuotidiano.it.
Una cattiva abitudine, fra l’altro, che sembra non essere appannaggio degli esponenti leghisti, visto che per qualche decina di minuti, pochi metri dietro, era fermo anche una mini suv con contrassegno “Roma Mobilità  — Quartiere Salario”.
“Che dire — ha aggiunto sorridendo il consigliere — speriamo che non mi abbiano fatto la multa”. Auspicio avveratosi, visto che in quell’ora abbondante nessun agente di polizia locale è intervenuto per sanzionare la sosta “allegra”.
Resta l’incidente di percorso da “cartellino giallo” per Politi.
Cattolico, da sempre vicino ai movimenti Pro-Life e oggi sulle posizioni del ministro Lorenzo Fontana, il consigliere è indicato dai più come uno dei più promettenti esponenti leghisti romani e possibile carta che il Carroccio potrebbe giocarsi in un futuro prossimo per correre alla conquista del Campidoglio. Un percorso tutto da compiere.
Magari iniziando nel rispettare il codice della strada.

(da “NextQuotidiano”)

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