Marzo 4th, 2019 Riccardo Fucile
“AUGURI A ZINGARETTI, MA AFFLUENZA AI MINIMI”… LA REPLICA: “SI VEDE CHE GLI RODE, NON SI ASPETTAVA 1.800.000 VOTANTI”
“Buon lavoro al nuovo segretario, Nicola Zingaretti, e complimenti per l’organizzazione anche se
il dato di oggi è il minimo storico di partecipazione. Rispetto ogni singolo voto espresso ma non posso non vedere che negli ultimi 10 anni la partecipazione al voto alle primarie del Pd si è quasi dimezzata. Dagli oltre 3 milioni del 2009 sono passati nel 2013 (Renzi segretario) a 2.814.000 e nel 2017 a poco più di un milione e 800 mila”. Il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, commenta così la vittoria di Nicola Zingaretti.
Il nuovo segretario dem, dal canto suo, risponde a distanza: “Si vede che gli rode, come si dice a Roma, perchè non si aspettava 2 milioni di cittadini… Quando fa queste battute sono molto sereno, perchè significa che si chiudono nel bunker della gestione del potere”.
(da agenzie)
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Marzo 4th, 2019 Riccardo Fucile
APPELLI PER UN “CAMPO LARGO”
Il vincitore, Nicola Zingaretti, promette di essere “leader di una comunità “, il Partito Democratico, e apre alla costruzione di un “campo nuovo, largo e plurale” che abbia come avversario la destra di Matteo Salvini. Attorno al nuovo segretario si muovono le diverse anime del partito.
Matteo Renzi, in un colloquio con il Messaggero, vede arrivare dalle primarie del Pd “splendidi segnali di una comunità viva e di una stagione politica, quella del M5S, che volge al termine”. L’ex segretario ed ex premier parla di “vittoria bella e netta” di Nicola Zingaretti, che è “un leader forte”, legittimato dal voto del popolo dem.
“In coda ai gazebo c’erano anche molti elettori grillini” spiega soddisfatto. Sono quei delusi a cui dovrà puntare il Pd. “In qualche modo il Governo e questa maggioranza arriveranno a maggio. La vera partita inizia dopo”. “C’è un pezzo di Italia che guarda con interesse a ciò che facciamo” aggiunge, “godiamoci questa giornata” perchè loro “stanno morendo e noi torniamo in pista”.
Per Carlo Calenda fare lo scrutatore ai gazebo è stata “un’esperienza entusiasmante”. Vede un Pd “rafforzato” dalla partecipazione popolare, “c’è un’Italia che ne ha le scatole piene di grandi proclamo e di inconsistenze ancor più grandi” afferma in un’intervista al Messaggero.
“Il 60% degli italiani non è contento del Governo, ma il 50% dice di voler votare Lega o M5S. C’è dunque un problema di offerta politica. Che possiamo iniziare a coprire con liste di grande qualità per le elezioni europee. Tutti sanno che mi batto per una soluzione che unisca tutte le forze civiche e politiche europeiste. E questa giornata dà forza a questo progetto”.
Beppe Sala ha ancora negli occhi la manifestazione di sabato a Milano a favore dell’integrazione, contro i razzismi.
“Credo che il vento nazionale cambierà davvero se altre realtà faranno quello che sta facendo Milano” dice al Corriere della Sera il sindaco meneghino, “se altri territori decideranno di mettersi in gioco, di provarci. Se l’Italia segue Milano, può esserci un Paese diverso, capace di resistere alle chiusure di questo Governo. Per quanto mi riguarda – prosegue Sala – io sono disponibile ad aiutare chiunque voglia spendersi in questa missione”.
Proprio da Milano è “nata la riscossa” secondo Dario Franceschini.
In un’intervista alla Repubblica, l’ex ministro sottolinea che con Nicola Zingaretti “comincia un percorso nuovo, di cambiamento e unità , di opposizione a una destra reazionaria e sbruffona”. Dagli elettori, prosegue Franceschini, “ci giunge una forte domanda di discontinuità ” – a cui Zingaretti risponde “con una vocazione civile, mai rissosa” – e “di unità “. Davanti c’è il progetto di “un campo largo di opposizione”, contro il Governo gialloverde.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 4th, 2019 Riccardo Fucile
ARCHIVIATO IL RENZISMO, DAGLI ELETTORI UN NUOVO INVESTIMENTO DI FIDUCIA MA NON UN ASSEGNO IN BIANCO
C’è un popolo che è andato a votare in massa ai gazebo del Pd, oltre ogni previsione e aspettativa.
E non è cosa di poco conto.
E c’è un nuovo segretario, Nicola Zingaretti, nel pieno delle sue funzioni, non condizionato dal gioco delle correnti, legittimato da una larga investitura, forte, col suo 65 per cento, di una maggioranza assoluta nel partito che consentirà di aprire una “nuova stagione”.
E neanche questa è cosa di poco conto, in un partito finora paralizzato dal gioco delle correnti, dalle ossessioni politiciste, da una iperuranica lontananza rispetto al paese reale.
Parliamoci chiaro. Questa domenica, una bella domenica di democrazia, dice che il popolo, come spesso accade, è più avanti di chi lo dirige, o lo ha diretto finora.
O non lo ha diretto, paralizzato da un lutto non elaborato, chiuso nel fortino di certezze crollate.
È sbagliato leggere questo risultato come consenso al Pd, e alle sue poco entusiasmanti primarie, e leggerlo solo in chiave interna, con le lenti degli equilibri di potere, perchè il senso politico di ciò che è accaduto è che una moltitudine di anime democratiche alla ricerca di un corpo ha chiesto una sinistra capace di corrispondere a un gigantesco bisogno di alternativa, dopo un anno di governo gialloverde.
Aprendosi, rinnovandosi, cambiando non solo la “comunicazione”, ma la politica. Anzi, ricominciando a fare politica, con umiltà e senso di realtà .
In questo senso queste primarie del Pd sono già qualcos’altro che affida al Pd una responsabilità e una direzione di marcia.
A parità di affluenza, quelle di due anni fa rappresentarono un voto “statico” di consenso a una classe dirigente che si era arroccata in un fortino, incapace di leggere il 4 dicembre e avviata al bis il 4 marzo.
Queste, invece, rappresentano un voto “dinamico”, di cambiamento, in cui sono tornati a partecipare mondi delusi, chiedendo una svolta radicale per contrastare questo governo. Bastava fare un giro per i gazebo per intercettare non solo la militanza in senso stretto, ma tanti delusi che avevano voltato le spalle al Pd, magari avevano votato per i cinque stelle o erano rimasti a casa, e sono andati ai gazebo perchè “con questo governo non se ne può più”: le sue politiche securitarie, l’arroganza del potere, la cultura del nemico, il suo modello sociale anti-solidaristico, le aspettative franate nella realtà della recessione, la paralisi di una campagna elettorale permanente.
C’è tutto questo nella reazione popolare di oggi, emotiva, politica, sinceramente democratica, come la piazza anti-razzista di Milano, come la piazza della Cgil, come le tante manifestazioni di questi mesi, da Riace agli studenti.
Ecco, siamo di fronte a un nuovo investimento in termini di fiducia, verso un centrosinistra più largo, popolare che sappia intercettare queste ansie della società .
Non è un assegno in bianco, ma una fiducia da non tradire e una aspettativa da non deludere. Perchè non è irreversibile. È la richiesta di un nuovo inizio. Il mite Zingaretti, l’opposto – per cultura, formazione e stile – rispetto allo spirito della rottamazione, alla cultura della destrutturazione dei corpi intermedi, al populismo renziano di questi anni, alla narrazione presentista senza memoria e senza storia, questa richiesta e questo spirito del tempo l’ha colti.
Già nelle sue parole, nel primo discorso dopo la vittoria, c’è una discontinuità . Non c’è l’invettiva rispetto ai barbari, con lo spirito del primo della classe che spiega al popolo che non ha capito la lezione, ma il tentativo di ricostruire, senza arroganza, una connessione sentimentale smarrita, che è anche ricostruzione sentimentale con un bagaglio di valori, emozioni, sedimentazioni culturali profonde.
“Partigiani”, “disoccupati”, “femministe”, “l’appello al meglio della intellettualità italiana”, il porsi come l’interprete di una comunità e non come un capo.
È solo l’inizio ma sembra una rivoluzione copernicana rispetto al Pd di questi anni. Il passaggio dalla cultura del conflitto — “noi” e “loro” — a quella del “patto”, come chiave per costruire una alternativa: patto tra lavoro, cultura, impresa, con la politica chiamata a far camminare le idee sulle gambe degli uomini, attraverso una alleanza larga e radicata nella società .
Questo voto rappresenta l’archiviazione del renzismo, del suo spirito, delle sue politiche, dei suoi uomini che, con questi numeri, non hanno — per la prima volta da tempo — la forza per limitare i margini di movimento del nuovo leader.
Ed è un voto che rende complicata una scissione dell’ex segretario, perchè è assai difficile immaginare che una tale prospettiva possa incontrare una parte consistente di questo popolo che ha chiesto di cambiare, ma di cambiare assieme, contro il governo e non contro il segretario che stava per eleggere.
E forse non è un caso che la prima dichiarazione di Renzi sia collaborativa e conciliante. Quantomeno l’eventualità è rimandata. Da domani la domanda chiave non sarà più il “che farà Renzi”.
Ma il “che farà Zingaretti” per non tradire la fiducia che un popolo largo ha riposto, ancora una volta, nel Pd ben oltre i meriti dimostrati dal partito in questi mesi e anni. Il titolo funziona: “Un nuovo Pd, una nuova alleanza, un campo nuovo e largo. Unità , e ancora unità . Cambiamento, e ancora cambiamento”. Ora lo svolgimento. Concreto.
(da “Huffingtonpost”)
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