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RAMI E ADAM: “DA GRANDI FAREMO I CARABINIERI”

Marzo 24th, 2019 Riccardo Fucile

DA FAZIO L’ABBRACCIO TRA I DUE RAGAZZINI E I DUE MILITARI CHE SONO INTERVENUTI

A “Che tempo che fa”, su RaiUno, questa sera Fabio Fazio ha invitato i due ragazzini, Rami Shehata e Adam El Hamami, che hanno dato l’allarme dall’autobus su cui Oyssenou Sy, 46 anni, origini senegalesi, aveva sequestrato due classi di seconda media con cinquantun studenti.
Rami, 13 anni, visibilmente emozionato, in studio ha confermato: “Da grande voglio fare il carabiniere”.
E’ stato lui a chiamare il 112 (e anche il 113). Ha detto, il ragazzo: “Quando Dybala tornerà  dalla Nazionale voglio andare a vederlo allo stadio”. Adam, 12 anni, spinto dall’amico, ha detto che anche lui vorrà  un futuro nell’Arma. Adam quel mercoledì mattina dal bus aveva chiamato la mamma con il telefonino.
In studio sono stati invitati i carabinieri che hanno salvato i due ragazzi, l’appuntato scelto Maurizio Atzori (che ha risposto alla telefonata di Rami) e il carabiniere scelto Aldo Alberto Leone, uno dei primi a intervenire.
Atzori ha raccontato: “Non ho mai pensato che quella telefonata fosse un falso, il nostro addestramento non ci permette di pensarlo. Ho ascoltato, ho provato a tranquillizzare il ragazzo e ho inviato la pattuglia. Devo dire che, grazie alle indicazioni di Rami, ho capito che il pullman era all’altezza del Comune di Zelo e quando il ragazzo mi ha parlato del negozio della Brico ho potuto dirigere con più precisione i colleghi”. Ancora il carabiniere: “Rami mi ha parlato dell’attentatore, diceva che teneva in ostaggio il professore con il coltello. E’ stata dura, ma noi siamo sempre presenti”.
In prima fila, in studio, questa sera c’erano i genitori dei due ragazzi. I carabinieri prima hanno appoggiato i loro cappelli d’ordinanza sulle teste degli studenti e poi glie li hanno regalati.

(da agenzie)

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TAP, CONTE PROMETTE 30 MILIONI, IL SINDACO DI MELENDUGNO LI RIFIUTA: “NON PRENDEREMO SOLDI DA CHI CI STA DISTRUGGENDO”

Marzo 24th, 2019 Riccardo Fucile

LITE FURIOSA, PER CONTE “E’ UNO SCHIAFFO RIFIUTARLI”, MA IL SINDACO HA LA SCHIENA DRITTA: “MAI SOLDI DALLA SOCIETA, CONTE E’ UN AVVOCATO D’AFFARI'”

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, durante la sua visita di domeinca a Lecce, ha lanciato il suo “ballon d’essai” su Tap: “Un pacchetto da 30 milioni di euro per la comunità  locale”, le compensazioni a fronte dell’approdo del gasdotto in arrivo in Puglia dall’Azerbaijan e della sua entrata in esercizio, dal 2020 fino ai prossimi cinquant’anni.
Lo ha fatto puntando il dito contro Marco Potì, il sindaco di Melendugno, comune salentino sul cui territorio è in costruzione l’opera: “L’ho invitato a confrontarsi — ha detto il premier — perchè lui ha una grande responsabilità , è il rappresentante di una comunità  locale, ma ha declinato il mio invito. Lo ritengo uno schiaffo non al premier, ma alla comunità  locale”.
Tirato per la giacchetta, Potì replica duramente: “Quando il presidente mi ha chiamato, qualche settimana fa, per prospettarmi queste ingenti somme, io gli ho risposto che sarei andato a parlare con lui se fossero state risorse statali — spiega a Ilfattoquotidiano.it — Mi ha confermato che provengono da Tap. Gli ho garbatamente detto che non ci pare giusto accettare soldi da chi sta distruggendo il nostro territorio. Lui si sta comportando come un avvocato d’affari, cosa che un sindaco non può fare”.
Conte era a Lecce per la firma di un accordo di ricerca tra Eni e Cnr e ha incontrato anche i gilet arancioni, gli olivicoltori che protestano per avere più attenzione nella lotta al disseccamento degli ulivi. Ha promesso un incremento della dotazione finanziaria fino a 300 milioni di euro entro il 2021, fondi da destinare a risarcimenti, ripristino della produttività , ma anche ad un piano specifico per la “rigenerazione” del territorio.
Inevitabile toccare il tasto Tap, anche perchè, in autunno, lo stesso Conte aveva annunciato che si sarebbe recato nel Salento per spiegare il perchè della scelta di andare avanti con l’opera, nonostante le promesse di stopparla fatte dal M5s in campagna elettorale.
Un’attesa vana per la popolazione locale, non necessaria, a detta del premier: “Io — ha rimarcato — ho già  spiegato le ragioni della scelta, addirittura l’ho fatto in una lettera aperta alla comunità  di Melendugno e a quelle limitrofe. Ho iniziato a studiare il tema, ho invitato il sindaco e gli ho detto di portare i suoi esperti. Sono venuti tecnici, avvocati, ingegneri del Comune. Io personalmente avevo promesso una cosa: rivedremo tutte le procedure e, se c’è possibilità  di annullare Tap, lo faremo. Siamo giunti alla conclusione che non è possibile tornare indietro. Con la comunità  di Melendugno io ci ho messo la faccia e sono stato chiaro. Ora sto lavorando: credo che non è che si debba   ‘compensare’, non è questa la logica perchè chi pensa di aver subito una ferita la manterrà  sempre, ma io ho l’obbligo di pensare a misure di rilancio di quella comunità . E stanno arrivando”.
Non ha specificato chi metterà  i soldi e a che cosa sarebbero destinati, però ha detto cosa farà : “Senza l’interlocuzione del sindaco, diffonderò le misure di rilancio. Se lui ha deciso di abdicare al suo ruolo pubblico, lo faccia e se ne assuma la responsabilità . Intanto, noi presenteremo le misure per il territorio per un totale di 30 milioni di euro”. Tanti soldi, per un comune che conta meno di 10mila abitanti. E che, però, con la multinazionale del gas non vuole convivere. Un caso politico emblematico, Melendugno, almeno per il M5s: centro dalla lunga storia socialista, alle scorse politiche ha votato in massa per i pentastellati, consegnando il 65 per cento delle preferenze a Barbara Lezzi, oggi ministra per il Sud.
Le elezioni europee di maggio daranno la misura del consenso che nel frattempo il Movimento ha perduto, almeno lì, dopo un dietrofront su Tap che non si riesce a digerire. E che rischia di diventare ancora più indigesto ora, dopo l’annuncio di Conte: “Il suo invito — racconta il sindaco Potì, al rientro dalla capitale dove ha partecipato alla manifestazione di sabato contro le grandi opere — mi è arrivato agli inizi di marzo, con una telefonata da Palazzo Chigi. Ho personalmente parlato con lui e ho dato la mia disponibilità  a recarmi a Roma solo se le somme prospettate fossero state pubbliche. Lui mi ha chiarito che lo Stato non può impegnare quelle cifre e che i soldi sono di Tap. Qualche giorno dopo, gli ho scritto una lettera (clicca sull’immagine per la risposta integrale, nda) per argomentare meglio il fatto che per me è una scelta di coerenza non accettare compensazioni”.
Poi la stoccata: “Lui mi ha pregato di tenere la notizia riservata. Oggi scopro che ne parla alla prima occasione in visita a Lecce, mettendola sul piano di uno sgarbo istituzionale. Io sono stato corretto con lui, non mi pare di poter dire lo stesso. Quando, la scorsa estate, sono andato a Roma, mi disse che se ci fossero state irregolarità  sulle procedure avrebbero fermato il gasdotto. Ricordo a Conte che al momento sono ancora in corso più inchieste della magistratura. Noi ci aspettiamo che lui faccia l’avvocato degli italiani e non delle multinazionali”.
A contestare le parole del premier c’è anche il Movimento noTap, che si rivolge direttamente a lui: “Lei non ha mai avuto il coraggio di parlare ai cittadini salentini, non si è mai degnato di mettere piede in una terra condannata anche da lei. Sono mesi e mesi che chiediamo i documenti ufficiali su questa impossibilità  a tornare indietro e nessuno ci ha mai mostrato nulla, perchè non esistono. Il Salento non è terra di conquista. Lei, oggi, con quei 30 milioni ha dimostrato che per questo governo la vita delle persone è quantificabile con delle briciole economiche. Si vergogni di questa sua sfacciataggine”.
Palazzo Chigi non ha al momento chiarito se quelle somme siano altra cosa rispetto ai 55 milioni di euro di investimenti aggiuntivi prospettati da Tap e Snam, nel novembre 2017 (governo Gentiloni), per tutto il Salento. Quella cifra lievitò nel giro di pochissimo tempo: due settimane prima, non superavano i 15 milioni di euro.
Erano quelli i giorni in cui si registrava una profonda spaccatura tra i sindaci leccesi, una parte dei quali (37 su 97) si disse favorevole a dismettere la linea intransigente e a trattare. Le due società  alzarono la posta: progetti per tirocini formativi, venti nuovi distributori di metano, un centro di ricerca sulla decarbonizzazione, efficientamento energetico per alcune scuole, una pista ciclabile e così via. Poi, di soldi non si è più parlato, almeno fino ad oggi.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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IL PADRE DI LORENZO ORSETTI: “DALLO STATO NESSUNO CI HA CHIAMATO DOPO LA MORTE DI MIO FIGLIO”

Marzo 24th, 2019 Riccardo Fucile

VERGOGNOSA ASSENZA DELLE ISTITUZIONI VERSO LA FAMIGLIA DEL PATRIOTA ITALIANO MORTO COMBATTENDO L’ISIS

Alessandro Orsetti guarda per l’ennesima volta il video-testamento lasciato da suo figlio Lorenzo, il 33enne italiano morto in Siria mentre combatteva al fianco dei curdi contro l’Isis.
“Lui sarebbe stato orgoglioso di questa vittoria – dice tra le lacrime negli studi di Mezz’ora in più, riferendosi alla recente vittoria dei curdi a Baghuz – Ci teneva a stare a fianco a questo popolo. È partito alla ricerca di qualcosa per cui valeva la pena spendersi. Insisteva spesso su come valesse la pena battersi per questa causa”.
Il padre di Lorenzo ha poi parlato dell’atteggiamento delle Istituzioni: “Siamo stati invitati al funerale. Spero di avere un aiuto allo stato italiano per andarci, o almeno per le pratiche burocratiche che ci saranno. Mi piacerebbe che lo Stato Italiano desse un riconoscimento ufficiale all’opera di questi giovani su scala internazionale. Anche perchè per ora non ci ha chiamato nessuno: ministri, governo, presidente della repubblica. Nessuno. Abbiamo saputo la notizia dai giornali. È stato un colpo. Poi mi è arrivata una telefonata con il cellulare di Lorenzo. Ho pensato: ‘probabilmente è stato uno sbaglio, meno male’. Invece era il comandante. Poi il giorno dopo ho sentito la Farnesina, il console. Io vorrei fosse sepolto qui. Nardella ci ha proposte le porte sante, il cimitero dei fiorentini. Ci stiamo pensando”.
“Lui non amava la guerra, la praticava solo come mezzo per realizzare questa società  più giusta e inclusiva. Io lo considero un uomo, che ha fatto una scelta e ha dato la sua vita e ha prendersi le conseguenze di tale scelta – ha aggiunto commosso – Qualcuno ha fatto delle osservazioni, però devo dire che non hanno molto senso. Ognuno fa quel che ritiene giusto”.

(da “Huffingtonpost”)

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LA VILLA DA 2,6 MILIONI CONFISCATA DALLO STATO A GALAN LASCIATA IN STATO PIETOSO DI ABBANDONO

Marzo 24th, 2019 Riccardo Fucile

CHE SENSO HA CONFISCARE UN BENE PER POI FARLO SVALUTARE FINO A UN QUINTO DEL SUO VALORE?

La villa dell’ultimo Doge, diventata per Giancarlo Galan la moneta di scambio con lo Stato per poter patteggiare una pena di due anni e dieci mesi di reclusione, è in uno stato pietoso.
È abbandonata, incustodita, violata dai ladri, accessibile a chiunque, immersa in un grande parco completamente incolto, con le statue e le suppellettili divelte.
Un bilancio disastroso a quasi cinque anni dallo scandalo Mose, a tre anni e mezzo dal momento in cui l’ex presidente della giunta regionale decise di abbandonare la propria residenza e ne accettò la confisca per pagare parte dei suoi debiti con la giustizia.
Il degrado dell’enorme edificio è documentato dalle fotografie e dai video degli interni. Accedere è facile. Nel parco ci sono numerosi punti dove la recinzione è divelta. Le imposte sono chiuse, ma sul retro è spalancata una porta, che qualcuno ha forzato un paio d’anni fa, visto che i ladri vi si sono introdotti. Nessuno ha provveduto a ripararla.
Ciò che appare nelle stanze è surreale. C’è un silenzio spettrale.
Immondizie, libri, oggetti rimasti dopo il trasloco avvenuto nell’ottobre 2015.
Eppure è una autentica villa veneta, con una decina di bagni, saloni, appartamenti di servizio, cantine, cucine e dispense.
Soltanto chi guadagnava soldi a palate poteva permettersi una magione del genere, all’altezza delle dimore dei patrizi veneziani della Serenissima Repubblica. Non solo per il prezzo d’acquisto, ma per il restauro e la manutenzione.
Ai tempi in cui Galan regnava sul Veneto (è stato eletto governatore per tre legislature dal 1995 al 2010, prima di diventare ministro), qui si tennero feste memorabili, con Silvio Berlusconi che arrivava in elicottero e la quintessenza del potere politico ed economico della regione che si radunava attorno ai tavoli imbanditi in giardino. Tutti ad omaggiare il presidente che dopo qualche anno, quando venne arrestato per lo scandalo Mose, finì agli arresti domiciliari proprio qui.
Quando la Procura di Venezia ottenne la confisca della villa che si trova a Cinto Euganeo, sui colli che circondano Padova, i magistrati dissero che si trattava di una importante acquisizione di beni, a ristoro seppur parziale delle tangenti pagate dal sistema ideato da Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova.
Perchè la villa fu valutata due milioni 600 mila euro il conto di Galan con lo Stato in realtà  è molto più alto, se si pensa che la Corte dei Conti lo ha condannato a rifondere più di 5 milioni di euro.
E proprio il restauro della villa era finito nei capi d’imputazione, in quanto prezzo del trattamento di riguardo che Galan aveva per i progetti del Mose.
Oggi non so quanto possa valere la villa nelle condizioni in cui è ridotta. Ma non credo che qualcuno sia disposto a spendere più di 500-600 mila euro. Perchè gli investimenti per rimetterla a posto sono imponenti”. A parlare è Lucio Trevisan, sindaco di Cinto Euganeo, che non ha remore ad evocare la parola “scandalo”. “Mi piange il cuore vedere il decadimento totale di Villa Rodella. Il Comune aveva anche fatto richiesta di acquisirla per iniziative civiche e sociali in base alle norme del federalismo demaniale. Avevo pensato di fare un bando di idee per il suo riutilizzo. Poi il segretario comunale mi ha dissuaso, vista la situazione di vincoli e ipoteche”.
Su Villa Rodella è infatti iscritta una ipoteca di Veneto Banca, a garanzia di un mutuo da oltre un milione di euro concesso a Galan per la ristrutturazione.
Poi l’ipoteca era stata cancellata, ma secondo il gip si trattava di una procedura anomala. E quindi Veneto Banca (acquisita da Banca Intesa dopo il crac finanziario) avrebbe ancora diritto al titolo. Nel momento in cui fosse venduta, quindi, parte degli introiti andrebbero all’istituto di credito. E’ per questo che il Comune ha fatto marcia indietro.
“In questa vicenda facciamo tutti brutta figura — commenta il sindaco — perchè è un bene pubblico depauperato. Il rischio è che tutto vada nel dimenticatoio, senza che la confisca abbia avuto un’utilità  pubblica”.
Il Doge Galan, in una delle ultime apparizioni in Tribunale aveva dichiarato.”Lo scandalo Mose? Mi hanno fatto una enorme porcata. La villa? Ho avuto una liquidazione milionaria da Publitalia. Non avevo certo bisogno di soldi. L’ultima mia dichiarazione dei redditi è stata di 461 milioni di lire, ed era il 1993. Poi ho preso un miliardo di lire di liquidazione. Non ero un povero cane. È chiaro che potevo permettermi villa Rodella e anche ristrutturarla. I soldi non mi sono mai mancati”. Quando l’aveva lasciato, i tecnici dell’Agenzia del Demanio avevano scoperto che si era portato via anche i termosifoni e i sanitari. E così, per evitare nuove condanne, si era affrettato a ripristinare lo stato dei luoghi.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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FURBETTI DELLA MULTA IN TICINO: L’80% SONO ITALIANI

Marzo 24th, 2019 Riccardo Fucile

900.000 EURO LA SOMMA NON VERSATA DAI NOSTRI CONNAZIONALI, IL DEBITO DEGLI SVIZZERI INVECE E’ DI CIRCA 350.000 EURO

E’ la guerra delle multe per violazione al codice della strada non pagate.
Così, dopo aver accusato gli automobilisti ticinesi esseri ligi fra le mira di casa, ma non altrettanto appena varcano la frontiera, ecco che il Consiglio di stato del Canton Ticino, fornisce numeri da far arrossire i lombardi, soprattutto quelle delle province pedemontane, come Como e Varese.
Il governo ticinese ha risposto all’interpellanza che un deputato aveva presentato a seguito di un servizio di Striscia la Notizia, in cui si gridava allo scandalo per le multe prese in Italia (Como e Milano in primis) e non pagate dagli automobilisti svizzeri: circa 350 mila euro
Nella risposta all’interpellanza il Consiglio di Stato scrive che ‘«vi sono importi di multa non pagati da parte di automobilisti residenti nell’Unione Europea» e che «per quel che riguarda le multe disciplinari di competenza della Polizia cantonale la percentuale di incasso per gli automobilisti residenti negli Stati confinanti si situa mediamente in questi ultimi anni fra il 70% e il 90 %’».
E ancora: «Con riferimento alle casistiche contenute nella nuova banca dati (stato a fine febbraio 2019), le ingiunzioni di pagamento scadute relative a contravvenzioni intimate a debitori residenti nell’UE ammontano a 6.653 casi, per un importo complessivo di 1.020 891 franchi (900 mila euro, ndr)». E subito dopo la stoccata: «Di questi, 5.412 casi (ovvero l’81%) sono riconducibili a debitori residenti in Italia, per uno scoperto complessivo di 782.014 franchi (poco meno di 700 mila euro, ndr)».
Dopo gli italiani, i cittadini europei che sfuggono di più alle multe prese in Ticino sono francesi e tedeschi. Insomma, ticinesi in Italia indisciplinati e morosi. Italiani in Ticino, molto di più. Per cui chi è senza peccato scagli la prima pietra. Anche se in realtà , numeri alla mano, nessuno può cimentarsi nel lancio delle pietre.
Attenzione: il governo ticinese fa presente anche che le targhe di coloro che non hanno pagato le multe sono contenute nella banca dati della Polizia cantonale.
Se beccati in Ticino si resta a piedi.

(da agenzie)

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POPOLO SOVRANO E’ ANCORA VIVO, MA FRECCERO POTREBBE UCCIDERLO

Marzo 24th, 2019 Riccardo Fucile

IN CRISI DI ASCOLTI FIN DALL’INIZIO, ORA E’ STATA SOSPESA

Su Popolo Sovrano Carlo Freccero non ha ancora deciso. Una delle due trasmissioni che l’autoproclamato genio della televisione italiana ha ideato per Raidue (l’altra è Povera Patria) è ormai in crisi d’ascolti palese ed   è stata sospesa dalla programmazione a causa degli scarsi ascolti.
E Repubblica ci racconta che anche le altre programmazioni non hanno risultati importanti. Fanno eccezione le cose che non ha ideato lui:
Non c’è pace per l’ex consigliere del cda, scelto dal Movimento 5 stelle per contrastare il potere leghista in Rai. Le cose che vanno meglio in termini di ascolti sono le serie tv La porta rossa, di Carlo Lucarelli, già  alla seconda stagione, e l’americana The good doctor, concessa da Raiuno.
Il dopo tg gestito dal direttore sovranista Gennaro Sangiuliano va molto peggio della trasmissione che l’ha preceduto,
Quelli che dopo il Tg, con Luca e Paolo e Mia Ceran (neanche quando ha avuto in studio Matteo Salvini è riuscito a raggiungere il 4 per cento).
La scelta di una trasmissione con i pezzi storici degli spettacoli di Beppe Grillo, pagata al manager del fondatore del Movimento 5 stelle 30mila euro per i diritti, si era rivelato un altro fallimento in termini di ascolti: 4,3 per cento.
E così su Popolo Sovrano Freccero è indeciso:
«Lunedì decido se chiudere Popolo sovrano o se spostarlo in seconda serata», dice il direttore di Raidue Carlo Freccero. Che si arrende all’insuccesso del talk show del giovedì sera senza difenderlo dagli ascolti impietosi. E che deve trovare ora una soluzione per onorare il contratto con Fremantle, la società  esterna con cui il programma era prodotto.
D’altro canto a tracciarne un ritratto che assomiglia a una fotografia in altissima risoluzione, oggi su Repubblica, è proprio Luca Bottura:
Debordista senza limitismo, Carlo non ha mai realmente sposato una tesi in vita sua. Esteta del reggipetto ai tempi de La Cinq, inventore della Italia 1 movimentista nell’era Mediaset (tipo Raitre, ma con le ragazze Fast Food al posto di Sandro Curzi), gauchista d’assalto nella Raidue di Santoro e Luttazzi, al solo scopo di vendicarsi dalla cacciata berlusconiana, oggi sovranista catodico sempre su quello che fu il secondo canale, interpreta di volta in volta l’onda dominante e la percorre a proprio esclusivo beneficio intellettuale in entrambe le direzioni. Quest’ultima, a favore di vento.

(da “NextQuotidiano”)

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BRUCIATA L’AUTO ALLA MILITANTE DI “LIBERA”: “NESSUN INCENDIO FERMERA’ LA NOSTRA PRIMAVERA”

Marzo 24th, 2019 Riccardo Fucile

IL RAID VICINO ALLA CASERMA DELLA FINANZA

Giovedì, il giorno della memoria organizzato da Libera, Palermo si è svegliata con il volto di Chiara Natoli, che su Rai 3 diceva: “Ricordare le vittime della mafia vuol dire impegnarsi concretamente per i diritti e la giustizia sociale”.
Poi, Chiara e i suoi compagni sono corsi a sistemare gli ultimi dettagli della grande manifestazione che ha attraversato la città . Due giorni dopo, nel cuore della notte, hanno bruciato l’auto di Chiara, che era parcheggiata sotto casa.
Una sfida. Chi ha distrutto la Nissan Pixo della referente di Libera ha agito a pochi passi dalla caserma della Guardia di finanza che si trova nel popolare quartiere del Borgo Vecchio, di fronte al porto. “Una sfida per tutti noi – ripete don Luigi Ciotti, l’instancabile animatore di Libera – ma noi siamo molti di più. Giovedì, c’erano quasi ventimila studenti nel centro di Palermo, mentre venivano letti i nomi delle 1.011 vittime della mafia”. E Chiara guidava la manifestazione.
“Lei lavora ogni giorno nei quartieri più difficili della città  – racconta don Luigi – si dà  un gran da fare in maniera concreta”.
Chiara e la sua battaglia. Ha 31 anni, è arrivata a Libera dopo il servizio civile al centro Pio La Torre, intanto ha fatto anche un dottorato in Letteratura italiana e adesso è fra gli animatori della bottega di Libera che si trova in centro città : accoglie gli studenti che arrivano da tutta Italia, racconta le storie di Palermo.
“Stamattina, la polizia mi ha spiegato quello che era accaduto, non avevo sentito nulla”, dice un po’ frastornata. “Una cosa che colpisce, ma Palermo è cambiata – ripete Chiara – vedo una grande voglia di partecipazione. E ce lo siamo ripetuti il giorno del ricordo, non si può delegare l’impegno contro la mafia a magistratura e forze dell’ordine. In attesa delle verifiche ribadisco che quelle fiamme non erano rivolte solo a me, ma colpiscono tutta Libera e i tantissimi che il 21 marzo sono stati con noi in piazza.
Un noi che a Palermo e in Sicilia sta facendo rifiorire una nuova primavera. Una primavera che nessun incendio, nessuna intimidazione può fermare””.
Giovedì, c’erano anche i ragazzi dei quartieri difficili di Palermo davanti al Teatro Massimo, gli studenti con cui Libera sta facendo un percorso importante.
E poi c’erano i vertici delle forze dell’ordine, i magistrati, il sindaco Orlando, c’era la prefetta Antonella De Miro, che continua a ribadire: “L’organizzazione mafiosa, ancorchè colpita dagli arresti, è viva e tenta con raffinata strategia di nascondimento di infiltrarsi nella società  e nell’economia legale”. È la sfida degli scarcerati tornati in libertà  dopo aver scontato il loro debito con la giustizia. Al Borgo Vecchio, il quartiere dell’intimidazione, ce ne sono diversi. E la zona resta un’enclave di Cosa nostra a due passi dal salotto della città .
Ora, la polizia cerca due giovani per il raid contro la referente di Libera: in un video, estratto da una telecamera della zona, si vedono di spalle mentre vanno a colpo sicuro. “Dobbiamo essere ancora di più – è l’appello di Luigi Ciotti – E ci vuole continuità  nel fare le cose. Perchè non si può stare in silenzio di fronte a tutto quello che ci accade attorno”. Chiara e i suoi compagni di Libera sono già  al lavoro per organizzare una nuova iniziativa per Palermo.
A Chiara oggi è giunta la solidarietà  di numerosi esponenti politici, da Dario Chinnici (Pd) a Giusto Catania (Sinistra comune), da Francesca Busionarolo (M5S), presidente della Commissione Giustizia alla Camera, al sindaco Leoluca Orlando:   “Piena e affettuosa solidarietà  a Chiara Natoli e a Libera per il grave atto compiuto stanotte, a pochi giorni dalla importante Giornata della memoria che ha portato migliaia di palermitani in piazza – ha detto Orlando – proprio quella manifestazione è la conferma che la mafia è sempre più minoritaria nella società  e nella cultura dei palermitani. Una condizione di marginalità  sociale che spinge ad attaccare con violenza proprio coloro che, come Chiara, animano l’azione civile e culturale del movimento antimafia”.
Claudio Fava, presidente della commissione antimafia all’Ars ha detto che   “La nostra non è certamente una vicinanza rituale e Chiara Natoli sa di non essere sola e di poter contare sul sostegno pieno delle istituzioni e della società  palermitana. Nessun atto vigliacco potrà  fermare, come ha ribadito la dirigente di Libera, il percorso di liberazione dalla mafia”.   Fava ha   comunicato che Chiara Natoli, insieme agli altri responsabili regionali di Libera, sarà  audita dall’antimafia all’Ars.
“Ringrazio tutti per la vicinanza, il sostegno e nutro massima fiducia nei confronti delle forze dell’ordine e della magistratura che si stanno adoperando per individuare i responsabili – ha detto la vittima dell’intimidazione –   In particolare, ringrazio la prefetta Antonella De Miro che,s in dalle prime ore, mi ha espresso personalmente la vicinanza dello Stato”.

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DATI UFFICIALI DEL VIMINALE: GRAZIE A SALVINI IN ITALIA ABBIAMO 44.000 IRREGOLARI IN PIU’

Marzo 24th, 2019 Riccardo Fucile

ESPULSI DAL CIRCUITO DI INTEGRAZIONE E NON ALLONTANATI DALL’ITALIA, ORA SONO ABBANDONATI A LORO STESSI… ITALIA SOLO QUINTA PER ACCOGLIENZA, FINISCE UN’ALTRA BALLA SALVINIANA (1° GERMANIA, 2° FRANCIA DI MACRON)

Dal giorno dell’entrata in vigore del decreto sicurezza in Italia ci sono oltre 40.000 stranieri irregolari in più.
La stima è stata diffusa dall’Ispi, istituto di ricerca su temi internazionali che già  prima del varo della nuova legge aveva avvertito sui rischi connessi alla stretta sui permessi umanitari.
Secondo gli esperti, infatti, il boom degli stranieri «fantasma» è dovuto al fatto che migliaia di immigrati hanno perso le tutele di legge ma non sono stati espulsi dal territorio italiano.
L’Ispi non è l’unica «antenna» ad aver captato questa novità . la Caritas, ad esempio ha deciso di incrementare l’accoglienza riservata proprio ai nuovi irregolari che non hanno nessun mezzo per mantenersi se non l’illegalità .
Il saldo negativo
La stima formulata dall’Ispi si basa su dati del ministero dell’interno e prende in considerazione il periodo giugno 2018-febbraio 2019 (quindi anche alcuni mesi precedenti al cosiddetto decreto Salvini): è stato calcolato che 49.460 migranti hanno ricevuto il diniego a qualsiasi richiesta di asilo.
Nello stesso periodo appena 4.806 stranieri sono stati fisicamente messi su un’aereo o su una nave e allontanati dall’Italia.
Ne esce un saldo negativo di 44.654 casi, tutte persone privati di ogni «ombrello» di legge ma che devono in qualche maniera campare.
L’aumento degli irregolari, secondo Ispi è il frutto di due misure adottate dal governo: l’iniziale circolare distribuita alle prefettura con le quali si sollecitava maggiore severità  nella concessione della protezione umanitaria e poi il decreto sicurezza che ha ulteriormente ristretto le possibilità  per i richiedenti asilo.
La risposta del volontariato
Chi è impegnato sul fronte dell’assistenza agli stranieri ha già  avvertito tali effetti e sta cercando di correre ai ripari. La Caritas Ambrosiana, che fa capo alla diocesi di Milano, ha istituito un «fondo di solidarietà  per gli esclusi dall’accoglienza» destinato proprio agli stranieri che si sono visti interrompere il percorso di integrazione a causa delle nuove norme e sono stati allontanati dai centri di accoglienza che fano capo alle prefetture.
Caritas stima che nella sola Milano già  200 persone si sono ritrovate in questa situazione. «Il Decreto Sicurezza, al contrario di quanto promesso, produrrà  una situazione di emergenza nel nostro Paese. Abbiamo deciso di farvi fronte, come si fa in questi casi, mettendo a disposizione strutture e risorse e chiedendo a tutti coloro che lo desiderano di darci una mano» ha dichiarato il direttore della Caritas Luciano Gualzetti in un comunicato dell’organizzazione stessa.
I dati Ue: Italia quinta per accoglienza
La nuova emergenza si fa strada in Italia in un momento in cui i volumi dell’immigrazione calano: non solo gli sbarchi – scesi a poche centinaia – ma anche le richieste di asilo, come ha sottolineato un report
di Eurostat (l’istituto di statistica della Ue) datato 14 marzo.
Le domande applicate in tutto il 2018 sono state 580.000 con un calo dell’11% rispetto all’anno precedente, ma la metà  in meno rispetto alla grande crisi migratoria del 2015.
Siria, Iraq e Afghanistan restano le principali zone di provenienza.
Nonostante non abbiano sbarchi, i due stati europei che hanno dato assistenza al maggior numero di asilanti sono la Germania (28% del totale) e la Francia (19%). A seguire in graduatoria la Grecia e la Spagna (rispettivamente 11 e 9%).
L’Italia è la quinta avendo accolto 49.000 richiedenti asilo pari all’8% del totale europeo.

(da “Il Corriere della Sera”)

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COME SALVINI RIMUOVE FOTO DA FACEBOOK PER NON FARSI CONDANNARE

Marzo 24th, 2019 Riccardo Fucile

DOPO LA DENUNCIA DELL’AUTORE DELLA FOTO, CUOR DI LEONE RIMUOVE ZITTO ZITTO L’IMMAGINE DELLA CONTESTATRICE CHE AVEVA ESPOSTO AL LINCIAGGIO MEDIATICO

Matteo Salvini rimuove fotografie da Facebook quando rischia una causa, ma ovviamente “dimentica” di spiegarlo ai suoi followers.
L’occasione è data dallo scatto che ritraeva Giulia Viola Pacilli, la ragazza che ha avuto la “fortuna” di essere messa alla gogna due volte dall’attuale ministro dell’Interno.
Pacilli nella foto mostrava un cartello con la scritta “Meglio buonista e puttana che fascista e salviniana”,mentre qualche tempo fa esibiva un cartello che recitava “Migranti, non lasciateci soli con i fascisti”   in occasione di una manifestazione dopo i fatti di Macerata.
Per questo gli scatti sono stati pubblicati sulla pagina Facebook del ministro dove i suoi fans hanno passato la giornata insultandola.
Finchè non è intervenuto Luca Cortese, autore della foto di Giulia Viola Pacilli, che ha chiesto al ministro di rimuovere la fotografia utilizzata ventilando, in caso contrario, la possibilità  di adire le vie legali.
Cortese su Facebook ha scritto a Salvini chiedendo formalmente la rimozione del post al gestore delle pagine social del ministro: «Sono l’autore della fotografia di Giulia, che vedete qui allegata. Ho condiviso l’immagine sulla pagina dell’evento People-Prima le persone dopo la bellissima manifestazione di sabato 2 marzo. Sono furioso per l’uso indegno della mia immagine fatto dallo staff di comunicazione del ministro Salvini e per la gogna mediatica a cui è sottoposta Giulia in queste ore. Tutta la mia solidarietà  per lei».
Detto, fatto: il 21 marzo scorso, come ha fatto sapere lo stesso autore degli scatti, Salvini ha rimosso la foto.
Cortese ha commentato così:
La procedura per violazione del diritto d’autore e la minaccia di azioni legali ha dato i suoi frutti.
Non è una vittoria: l’effetto che volevano ottenere (la gogna per Giulia e l’attacco alla manifestazione) è stato ottenuto. Ma la cancellazione del post , seppur a distanza di quasi 20 giorni, ci insegna qualcosa: il ministro e il suo staff, che sui social media fanno becera propaganda a volte violando, come in questo caso, regole e leggi, non sono intoccabili. E usando correttamente gli strumenti disponibili li si può ostacolare efficacemente, costringendoli a tornare sui loro passi.
Sono consapevoli di agire fuori dalle regole (e per un rappresentante delle istituzioni è gravissimo), e messi all’angolo rinunciano e cancellano, forse sperando che la cosa non sia notata. Beh, per loro vergogna e fastidio è stata notata. E ne parlo per evitare che lo possano fare di nuovo, usando i contenuti di chiunque a danno di altri. I social non sono un territorio senza regole. E non lo è il nostro Paese.

(da “NextQuotidiano”)

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