Ottobre 3rd, 2019 Riccardo Fucile
LA RINOMATA GUIDA ENOGASTRONOMICA RIVELA LA RICETTA ORIGINALE DEL SETTECENTO IN CUI IL PIATTO SI PREPARAVA SENZA MAIALE… SONO STATI IDEATI DA UN RINOMATO CHEF DELL’EPOCA, FRANCESCO LEONARDI, EX CUOCO PERSONALE DI CATERINA II DI RUSSIA
Il “tortellino dell’accoglienza“, promosso dalla curia di Bologna per la festa di San Petronio di venerdì 4 ottobre, che propone un ripieno di pollo e non di maiale per coloro che non mangiano questo tipo di carne, ha suscitato le critiche del leader della Lega Matteo Salvini.
L’ex primo ministro ha detto in una diretta Facebook che non si può snaturare la ricetta tipica dei tortellini perchè sarebbe come “proporre il vino senza uva”.
“Aveva ragione Oriana Fallaci, il problema sono alcuni italiani che dimenticano le loro radici, negano la nostra storia, dal tortellino al crocifisso. Ma devo essere io a difendere la fede e i valori? Io che sono un peccatore…” , ha continuato Salvini.
I candidati Lega e Fratelli d’Italia alle elezioni regionali dell’Emilia Romagna hanno concordato con lui sull’assurdità di cambiare una ricetta italiana consolidata.
Ora si scopre che la ricetta più antica dei tortellini prevedesse di usare proprio il petto di pollo, e non il maiale, come tutti noi abbiamo sempre pensato.
A farlo sapere è il Gambero Rosso, la casa editrice italiana specializzata in enogastronomia più accreditata di sempre.
Secondo gli autori della guida, infatti, nei ricettari medievali esistevano diverse varietà di tortellini, ma i primi veri “alla bolognese” erano stati ideati alla fine del Settecento da un rinomato chef dell’epoca, ex cuoco personale di Caterina II di Russia, Francesco Leonardi, che all’interno dell’opera “L’Apicio Moderno”, ne aveva annotato la ricetta.
“Pestate nel mortajo del petto di pollo arrosto, aggiungetemi midollo di manzo ben pulito, parmigiano grattato, un pezzetto di butirro, sale, noce moscata, cannella fina, e due rossi d’uova crudi”, recita la ricetta pubblicata ora dal sito del Gambero Rosso.
La prima volta che il maiale appare nel ripieno dei tortellini è nel 1871: le ricette dell’epoca prevedevano un un mix dei due tipi di carne, il pollo e il maiale.
Si tratta dei “Cappelletti alla bolognese” descritti ne “Il cuoco sapiente”: “Prendete a parti eguali del petto di pollo cotto, sia lesso che arrosto, e del magro di majale nell’arista, egualmente già cotto; tritate minutamente questa carne sul tagliere; mettete indi tale battuto in un tegame, unitevi uno o più uova, secondo la quantità della carne che avrete adoperata, un poco di ricotta, parmigiano grattato in abbondanza, e spezie, compreso un po’ di noce moscada”, suggeriva la ricetta.
È nel 1891 che per la prima volta un cuoco esclude il volatile dalla preparazione: è Pellegrino Artusi, l’autore dell’opera culinaria “La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene“, da cui tantissime casalinghe hanno preso spunto e imparato a cucinare in Italia, e che si tramanda di generazione in generazione fino ad oggi.
Artusi scrive che nei tortellini ci vogliono due varianti di salumi e il midollo di bue, omettendo del tutto il pollo.
Sembra che fino a quando la “ricetta tradizionale dei tortellini”, con il maiale, non è stata depositata alla Camera di commercio di Bologna il 7 dicembre 1974, le due varianti e la versione “mista” abbiano continuato a coesistere.
Ma oggi tutti i bolognesi conoscono solo una ricetta, sacra come le varianti che ogni famiglia custodisce per sè, in cui però il ripieno di maiale non è mai stato messo in discussione.
Eppure la storia della ricetta dei tortellini arrivata fino ai nostri giorni mostra come anche le tradizioni più antiche sono il frutto di un mutamento.
Poi ci sono i cretini che non cambiano mai.
(da TPI)
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Ottobre 3rd, 2019 Riccardo Fucile
IUS CULTURAE: DIETRO LA NEGAZIONE DI UN DIRITTO TANTE INGIUSTIZIE
Mi ricordo quella volta che a 16 anni dovevo partire per un gemellaggio in Olanda con i miei
compagni di scuola. Tutto pronto, valigia in mano, stavo per salire sull’aereo quando sono stata bloccata all’ingresso. L’hostess mi ha fermata: «Scusi, ma con il permesso di soggiorno non può partire». Tutti si sono girati a guardarmi.
Come se fossi una trafficante di droga, mi hanno portata in uno stanzino con la professoressa che doveva accompagnarci nel viaggio. Erano stati allertati gli agenti della polizia di frontiera e, per farmi partire, la direttrice dell’aeroporto ha dovuto firmare un’autorizzazione. L’ha fatto perchè ha avuto buon senso e ha capito la situazione.
Ora, ho 29 anni, e ci farei una risata. Allora mi ricordo la vergogna, la confusione, e nella mente continuavo a ripetere: «Vi prego, fatemi andare con i miei amici».
Mi ricordo anche quando tre anni fa ho fatto il concorso per entrare nella scuola di giornalismo. Sapevo che era troppo costosa, tentai lo stesso il test. Arrivai prima in graduatoria. Decisi allora di provare a chiedere un prestito in banca, uno di quelli ad honorem per gli studenti che si laureano con il massimo dei voti.
Ricordo la persona che visionò la mia pratica, mi guardò e disse: «I requisiti ci sono, ma non hai la cittadinanza, non possiamo concederti un prestito». Mi arrabbiai tantissimo, scrissi al direttore di banca. Il prestito mi fu concesso. Di nuovo grazie al buon senso di una persona.
L’elenco è lungo, include tanti «mi ricordo»: da quella volta che sono stata esclusa dal progetto Erasmus, e ho dovuto lottare contro la burocrazia per poter partire, a quella in cui ho rischiato di perdere il mio primo lavoro perchè l’Ordine dei giornalisti si rifiutava di riconoscermi il praticantato.
Per sbloccare la situazione sono intervenuti i direttori della mia scuola e il presidente dell’ordine delle Marche dove sono iscritta. È così la vita degli italiani senza cittadinanza, legata al buon senso delle persone. Speri sempre di incontrare qualcuno che capisca la situazione, che chiuda un occhio, che guardi oltre la burocrazia
Chi sono
Mi chiamo Olga, sono nata 29 anni fa vicino a Odessa, al confine con Russia e Ucraina. Sono venuta in Italia con mia mamma a 7 anni. Quando è caduta l’Urss, lei ha perso il suo lavoro da insegnante ed è dovuta partire, portandomi con sè.
Oggi alla Camera riprende l’esame della legge sullo ius culturae che dovrebbe semplificare l’iter per l’ottenimento della cittadinanza italiana ai ragazzi come me.
E mentre nei palazzi si parla di politica, di quanto approvare una norma simile sia “troppo di sinistra” quindi “impopolare”, di come «la cittadinanza non possa essere regalata», la mia domanda per ottenerla, da quattro anni, è chiusa in qualche cassetto del Viminale.
Sul sito del ministero dell’Interno, da mesi, se cerco il numero della mia pratica compare scritto: «Sono in corso verifiche istruttorie».
Inutile mandare mail, sollecitare e chiedere chiarimenti. Intanto tra poco scadrà il bando per il concorso in Rai, e io devo ringraziare di avere un lavoro, perchè se non lo avessi probabilmente non potrei nemmeno accedere alla competizione: il mio permesso di soggiorno è in via di rinnovo, mentre il bando chiede per chi è nato fuori dall’Ue un permesso «in corso di validità ».
Nel 2017, quando la legge sullo ius soli si arenò in Senato, non lavoravo ancora come giornalista, leggevo però i giornali e mi arrabbiavo perchè passava l’idea che la cittadinanza fosse un “semplice foglio di carta”, che in fondo ci si poteva sentire italiani anche senza.
Mi arrabbiavo perchè non avere la cittadinanza per chi come me ha studiato, vissuto e lavora in Italia porta con sè una serie di ingiustizie e ostacoli pratici con cui ci si scontra quasi quotidianamente.
Mi ero promessa allora che se un giorno fossi diventata giornalista, nel mio piccolo, avrei cercato di portare il focus sul vero problema.
Un problema pratico, reale, che tocca la vita di migliaia di ragazzi come me. Un problema di quelli in cui il colore politico dovrebbe entrare molto poco.
Olga Bibus
(da Open)
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Ottobre 3rd, 2019 Riccardo Fucile
RIPRENDE L’ITER PARLAMENTARE: “BISOGNA RISPONDERE ALLE MOLTE ASPETTATIVE DEI GIOVANI CHE CHIEDONO DI DIVENTARE ITALIANI”… POLVERINI: “GRAVE ATTO DI OSTRUZIONISMO NEI MIEI CONFRONTI, IL PARTITO HA PERSO I SUOI VALORI LIBERALI, MOLTI LA PENSANO COME ME, FARO’ LE MIE VALUTAZIONI”
La Commissione Affari costituzionali della Camera ha ripreso formalmente l’esame del ddl sullo ius culturae, iniziato il 24 ottobre 2018 e subito sospeso.
Lo ha annunciato in Commissione il presidente Giuseppe Brescia, che ha anche assunto il ruolo di relatore, in sostituzione di Roberto Speranza, ora ministro. L’esame riprenderà con le audizioni di Anci e Unicef.
“La sola comunicazione della sostituzione del relatore, con la conseguente ripresa dei lavori” della Commissione del ddl sullo ius culturae, “ha suscitato nell’opinione pubblica un dibattito sociale, ancor prima che politico, molto forte. Un dibattito fatto anche di storie di speranza, come quelle che ho potuto leggere da diverse lettere che mi sono arrivate in questi giorni”. ha detto Brescia.
“Da queste lettere scritte da giovani che vivono in Italia – ha aggiunto – e chiedono di diventare italiani emergono un forte senso di appartenenza alla nostra comunità e una domanda di concretezza e di giustizia che chiama in causa la Commissione e questo Parlamento. Mi auguro che a queste legittime istanze sapremo dare con convinzione risposte di buonsenso” ha concluso.
“Lo ius culturae non era nel nostro programma di governo quindi è giusto che su un tema così delicato sentiamo gli iscritti sulla piattaforma Rousseau”, ha detto Vittoria Baldino (M5s)
Le proposte attualmente sul tappeto sono tre: quella a firma di Laura Boldrini, quella di Renata Polverini e quella del Pd Orfini.
La Polverini si è autosospesa da Forza Italia perchè non condivide la linea del gruppo.
“Questa mattina, in Commissione Affari Costituzionali, ho subito un grave atto di ostruzionismo da parte del capogruppo di Forza Italia Sisto che non ha consentito, con una banale scusa che nasconde una evidente ostilità verso l’iniziativa, l’abbinamento d’ufficio, come sempre accaduto, della mia proposta di legge sullo ius-culturae a quella dell’onorevole Boldrini sullo ius-soli. È la prima volta che accade una cosa simile ed è del tutto evidente che siamo di fronte al tentativo di affossare una legge che, invece, in questi giorni ha raccolto il consenso di altri autorevoli parlamentari del partito e non solo. A questo punto ritengo di dovermi autosospendere dal gruppo di Forza Italia alla Camera dei Deputati anche per avviare una serena riflessione sulla possibilità di continuare le battaglie che hanno sempre caratterizzato la mia attività politica e professionale in un partito che sembra aver smarrito lo spirito liberale e riformista delle origini”.
(da agenzie)
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Ottobre 3rd, 2019 Riccardo Fucile
LA GIOVANE PRIMA ERA STATA PURE OFFESA DA UN CONTROLLORE DONNA DI TRENORD… QUANDO COMINCERA’ A REAGIRE NESSUNO SI LAMENTI
Un episodio di razzismo è avvenuto a bordo di un convoglio Trenord Milano-Brescia ai danni
di una ragazza di origine marocchina di 21 anni nata a Brescia.
A raccontarlo è proprio lei, la vittima della aggressione avvenuta da parte di un uomo che l’avrebbe prima offesa e poi malmenata: un’aggressione anticipata da un primo episodio di razzismo da parte di un controllore donna dell’azienda di trasporti che avrebbe a sua volta sbeffeggiato la giovane.
La vicenda risale allo scorso 14 settembre. A raccogliere la testimonianza della 21enne è la redazione di Radio Onda d’Urto che riporta quanto accaduto. È tardo pomeriggio: la giovane è da sola su un treno diretto da Milano e partito dalla stazione di Brescia, nel capoluogo lombardo la attendono alcuni amici per trascorrere la serata insieme. Poco dopo la partenza del convoglio sale a bordo il controllore, una donna, dipendente Trenord: quando si avvicina alla 21enne e alla sua vicina di posto e chiede a quest’ultima il biglietto, questa, una ragazza italiana, le dice che ne è sprovvista. “Ora anche chi è meno sospettabile non ha il biglietto…”, commenta il controllore ripetendo la frase per due volte.
A questo punto la 21enne le chiede spiegazioni: “Cosa intende con questa frase?”. E il controllore risponde che non è questione di razzismo ma che forse ci sono persone che sono meno sospettabili di altre.
“Quali sono le persone sospettabili?”, chiede allora la 21enne. Allora la dipendente Trenord asserisce farfugliando che forse quelli “color caffè-latte” sono più sospettabili di altri, tentando di giustificare la sua frase spiegando di non riferirsi a persone come lei ma piuttosto a “zingari” che chiedono l’elemosina sui treni: “Ma non posso dire la parola zingari, se no mi licenziano”, avrebbe concluso il controllore.
Poco dopo la 21enne sarebbe stata avvicinata da un uomo che avrebbe iniziato ad offenderla ripetutamente: “Put…, fai il biglietto… torna al tuo paese, risorsa boldriniana”. Accuse ferme e violente alle quali la ragazza avrebbe risposto dicendo non solo di essere munita di biglietto ma anche di essere nata in Italia. L’uomo non contento avrebbe continuato ad inveire contro di lei fino ad arrivare ad aggredirla anche fisicamente.
Prima le avrebbe strappato le cuffiette dalle orecchie poi l’avrebbe picchiata scagliandosi su di lei con numerosi schiaffi. Una scena che la 21enne è riuscita a riprendere per alcuni secondi col proprio cellulare.
Una scena però di fronte alla quale nessuno sarebbe intervenuto, tranne due passeggeri che hanno allontanato l’uomo, evidentemente alterato, e hanno scortato la giovane sino all’arrivo in stazione.
Mentre l’aggressore avrebbe continuato a insultarla per tutto il resto del viaggio.
Il controllore Trenord invece che nel frattempo si era allontanata, non assistendo così all’accaduto, sarebbe tornata indietro solo per commentare: “Ringrazio il Signore che ti ha dato una lezione, perchè il tuo buonismo non porta da nessuna parte…”.
Ieri gli attivisti del Magazzino 47 hanno fatto un blitz in stazione a Brescia: armati di striscione hanno voluto rendere noto l’episodio di razzismo avvenuto lo scorso 14 settembre.
(da Fanpage)
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Ottobre 3rd, 2019 Riccardo Fucile
ERA IL MEDICO DI TOTO’ RIINA, L’UOMO DEL PAPELLO
Non si ferma l’inchiesta della procura di Caltanissetta per provare a dare un nome ai mandanti delle bombe del 1992.
I magistrati hanno messo sotto inchiesta per la strage Borsellino il dottore Antonino Cinà , il medico di Totò Riina, l’uomo che avrebbe preso in consegna il “papello” scritto dal capo dei capi, con le sue condizioni per fermare la stagione delle stragi. “Papello” poi consegnato all’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, che nell’estate 1992 intratteneva un dialogo segreto con alcuni carabinieri del Ros.
Cinà è stato già condannato a 12 anni nel processo “Trattativa Stato-mafia”, la stessa condanna hanno avuto gli ex ufficiali Mario Mori e Antonio Subranni, protagonisti con l’allora capitano Giuseppe De Donno (ha avuto 8 anni) degli incontri con Ciancimino.
Del nuovo filone d’indagine sulle stragi, riguardante Antonino Cinà ,si apprende solo adesso, perchè il gip di Caltanissetta Valentina Balbo ha rigettato la richiesta di archiviazione presentata dal pool nisseno coordinato dal procuratore Amedeo Bertone e dall’aggiunto Gabriele Paci.
Il giudice delle indagini preliminari ha fissato un’udienza per discutere del caso, si terrà il 28 ottobre, al palazzo di giustizia di Caltanissetta. Il magistrato potrebbe disporre nuovi approfondimenti.
Dice l’avvocato Fabio Repici, parte civile nei processi delle stragi al fianco di Salvatore Borsellino, il fratello del giudice Paolo: “Con il rigetto della richiesta di archiviazione formulata dalla procura di Caltanissetta, si prospetta la preziosa opportunità di un ulteriore importante approfondimento nella ricostruzione dei tempi e delle ragioni della strage di via D’Amelio e dell’accelerazione nella sua esecuzione. Sulla posizione di Cinà , infatti, possono trovare un formidabile punto di saldatura gli scenari illustrati dalla corte di assise di Caltanissetta nella sentenza del processo Borsellino quater e dalla corte di assise di Palermo nella sentenza sulla trattativa Stato-mafia”.
I giudici del processo Trattativa hanno ipotizzato che Borsellino sia stato ucciso perchè aveva scoperto il dialogo segreto fra un pezzo dello Stato e i vertici di Cosa nostra.
Cinà , di certo, conosce il segreto della Trattativa. Ma è sempre rimasto un irriducibile, da anni ormai è detenuto al carcere duro, con una condanna all’ergastolo, in quanto ritenuto mandante dell’omicidio di un giovane capomafia palermitano non rispettoso delle regole dell’organizzazione.
(da agenzie)
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Ottobre 3rd, 2019 Riccardo Fucile
CHIESTI 18 ANNI DI CARCERE PER I DUE CARABINIERI ACCUSATI DI OMICIDIO PRETERINTENZIONALE
Diciotto anni di reclusione per i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro,
accusati di omicidio preterintenzionale, in relazione al pestaggio e alla morte di Stefano Cucchi. E’ la richiesta di condanna avanzata dal pm Giovanni Musarò nel processo in corte d’assise.
“Nella vicenda Cucchi i depistaggi hanno toccato picchi da film dell’orrore. La responsabilità è stata scientificamente indirizzata verso tre agenti della polizia penitenziaria. Ma il depistaggio ha riguardato anche un ministro della Repubblica che è andato in Senato e ha dichiarato il falso davanti a tutto il Paese”.
Lo ha detto il pm Giovanni Musarò, durante la sua requisitoria nell’aula bunker di Rebibbia nel corso del processo bis sulla morte di Stefano Cucchi.
Sul banco degli imputati ci sono 5 carabinieri per i quali il pm farà le sue richieste: Francesco Tedesco, che a nove anni di distanza ha rivelato che il geometra 31enne venne ‘pestato’ da due suoi colleghi, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, accusati come lui di omicidio preterintenzionale. Tedesco è accusato anche di falso e calunnia (nei confronti degli agenti penitenziari) assieme al maresciallo Roberto Mandolini, mentre solo di calunnia risponde il militare Vincenzo Nicolardi.
“Questo non è un processo all’Arma dei Carabinieri, ma è un processo contro cinque esponenti dell’Arma dei Carabinieri che nel 2009 violarono il giuramento di fedeltà alle leggi e alla Costituzione, tradendo innanzitutto l’Istituzione di cui facevano e fanno parte”.
Così il Pm Musarò nella parte conclusiva della sua requisitoria al processo per la morte di Stefano Cucchi.
Per il rappresentante dell’accusa (il quale ha precisato che “i depistaggi del 2009 hanno assunto grande rilevanza, perchè hanno condizionato la ricostruzione dei fatti” oggetto di questo processo) “la migliore riprova di tale assunto è rappresentata dal fatto che l’acquisizione di alcuni elementi decisivi, sia ai fini di questo processo sia ai fini di quello sui depistaggi del 2015, è stata possibile grazie alla leale collaborazione offerta nel 2018 e nel 2019 proprio dall’Arma dei Carabinieri, in particolare dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Roma, dal Reparto Operativo e dal Nucleo Investigativo, i cui componenti hanno profuso impegno e intelligenza ai fini della esatta ricostruzione dei fatti”.
“Se un ministro va in Aula e dichiara il falso sulla base di atti falsi, questo è un fatto di una gravità inaudita. Di questo stiamo parlando in questo processo, anche se è una verità scomoda”, ha proseguito Musarò, durante la requisitoria nell’aula bunker di Rebibbia nel corso del processo bis sulla morte di Stefano Cucchi, arrestato il 15 ottobre del 2009 per droga e deceduto una settimana dopo all’ospedale Sandro Pertini di Roma.
Il riferimento del pm romano è alla giornata di martedì 3 novembre 2009 quando nell’Aula del Senato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, nell’ambito dell’informativa del governo sul decesso di Cucchi, venne chiamato a riferire sulle circostanze della morte del geometra romano. Sul banco degli imputati ci sono 5 carabinieri: Francesco Tedesco, che a nove anni di distanza ha rivelato che il geometra 31enne venne ‘pestato’ da due suoi colleghi, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, accusati come lui di omicidio preterintenzionale.
(da agenzie)
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Ottobre 3rd, 2019 Riccardo Fucile
E L’OLIGARCA RUSSO MALOFEEV CONFERMA LA TRATTATIVA SULLA COMPRAVENDITA DI GASOLIO CON LA PERCENTUALE DEL 4% PER LA LEGA
Un video che verrà mostrato a Report nella puntata del 21 ottobre mostra Gianluca Savoini e Matteo Salvini insieme il giorno prima dell’incontro con i russi del Metropol a Mosca.
La storia la racconta oggi Repubblica in un articolo a firma di Sandro De Riccardis:
Savoini, ex portavoce proprio di Salvini e presidente dell’associazione Lombardia- Russia, è seduto in prima fila nella sala dell’hotel Lotte, dove Confindustria Russia ha organizzato un incontro con gli imprenditori. E Salvini è proprio lì, di fronte, sul palco. A confermarlo, un video di Report, che sarà nella puntata di lunedì 21 ottobre, alle 21.15, su Rai3. Un estratto del filmato è in anteprima sul sito di Repubblica.
Salvini e Savoini. Il giorno prima della trattativa al Metropol. A pochi metri di distanza l’uno dall’altro. Immagini che rendono poco credibile la versione che da mesi viene data dall’ex viceministro italiano. E cioè che lui, dell’incontro della mattina dopo al Metropol, non ha mai saputo nulla.
Nell’inchiesta di Giorgio Mottola, anche un’intervista esclusiva all’oligarca russo Konstantin Malofeev, titolare di un fondo di investimento da un miliardo di dollari, che conferma a Report l’esistenza di una trattativa sulla compravendita da 1,5 miliardi di dollari di gasolio, con uno sconto sul prezzo del 10 per cento: il 4 per la Lega, il 6 per i russi:
Malofeev non ha mai nascosto la sua vicinanza con l’estrema destra. L’aveva confessata anche a Repubblica in un’intervista uscita il 6 settembre. Report racconta come Malofeev abbia fatto ottenere, tramite una banca russa, un prestito da 2 milioni di euro ai neofascisti di Jean Marie Le Pen. E, secondo le accuse mosse contro di lui in Francia, avrebbe aiutato il Fronte Nazionale di Marine Le Pen a incassare 11 milioni da una banca cipriota.
Nonostante sia stato inserito nel 2014 nella lista nera delle persone non desiderate dell’Unione Europea, Matteo Salvini lo ha incontrato più volte. «Mi piace Matteo Salvini — dice ridendo nell’intervista — La prima volta che l’ho incontrato sono rimasto molto impressionato, ha idee molto forti. L’ultima volta è stato poco prima che diventasse vice primo ministro».
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 3rd, 2019 Riccardo Fucile
I DATI UFFICIALI DEL MINISTERO CONFERMANO CHE ANCHE QUOTA100 NON E’ SERVITA A UNA MAZZA
Il Reddito di Cittadinanza? Fino ad oggi non è servito a far aumentare il tasso di occupazione. 
Lo scrive nero su bianco il Ministero dell’Economia nella Nota di aggiornamento al DEF (NADEF) pubblicata nei giorni scorsi.
Il motivo? Il RdC è partito prima che tutta la struttura per far trovare lavoro ai disoccupati e ai beneficiari del sussidio fosse pronta. In buona sostanza: Luigi Di Maio ha lanciato il Reddito di Cittadinanza troppo presto, e così i percettori si sono trovati a ricevere gli accrediti sulla famosa card senza che lo Stato fornisse gli strumenti per trovare lavoro.
Partiamo da quello che scrive il Ministero nella NADEF. Innanzitutto la riduzione del tasso di disoccupazione, che c’è stata, «riflette principalmente il miglioramento del mercato del lavoro riscontrato nei primi sette mesi dell’anno in corso». Un miglioramento che non è dovuto all’erogazione del RdC (che è iniziata poco prima delle elezioni europee): «dai dati dell’indagine sulle forze di lavoro non emerge ancora pienamente l’incremento del tasso di partecipazione che sarebbe dovuto scaturire dall’adesione al reddito di cittadinanza e dal conseguente patto per il lavoro».
Il problema è appunto che i percettori del RdC non hanno ancora firmato il patto per il lavoro quindi di fatto anche volendo non possono partecipare ai corsi di formazione, non sono ancora seguiti dal “navigator” e non hanno ricevuto in tutti questi mesi nessuna delle tre offerte vincolanti rifiutate le quale perderebbero il diritto a ricevere il sussidio.
Di fatto lo Stato in questi mesi ha erogato il Reddito di Cittadinanza senza chiedere nulla in cambio. Secondo il MEF il problema è appunto il fatto che la completa attuazione della misura fortemente voluta dal MoVimento 5 Stelle sta avvenendo con un certo ritardo rispetto alla previsione iniziale
Di conseguenza, si legge nella NADEF «l’incremento del tasso di partecipazione che nel DEF era stato attribuito principalmente al primo anno di entrata in vigore del provvedimento, è stato ora traslato in parte anche sul 2020, attraverso un moderato incremento del tasso di crescita delle forze lavoro». Nelle previsioni del MEF questo significa che il tasso di disoccupazione aumenterà al 10% per poi ridursi al 9,5% entro il 2022.
A contribuire al problema anche la completa inefficacia di Quota 100 nel favorire il ricambio generazionale e le nuove assunzioni. Come evidenziava ieri Francesco Seghezzi di ADAPT la misura ha fallito perchè nella fascia 15-24 non è stato creato nessun nuovo posto di lavoro, anzi il tasso di occupazione è sceso di 0,1 punti percentuali.
Ma l’impatto sull’occupazione non è l’unico effetto mancato del RdC. Nel DEF del governo Conte 1 era scritto che il Reddito di Cittadinanza e Quota 100 sarebbero servite a rilanciare i consumi perchè avrebbero messo dei soldi in tasca delle famiglie italiane. Non è stato così.
Anche perchè il numero delle adesioni per il RdC e Quota 100 è stato inferiore alle ipotesi. Per quanto riguarda il Reddito di Cittadinanza i dati disponibili ad agosto indicano che su un totale di 1,5 milioni di domande presentate «in termini di nuclei familiari, i percettori ammontavano già a circa 922 mila» dei quali 122 mila destinatari della Pensione di Cittadinanza. Complessivamente i beneficiari del RdC è di poco superiore ai 2 milioni di italiani (laddove il M5S aveva promesso un RdC per nove milioni di cittadini)
E così mentre un paio di giorni fa Luigi Di Maio e il MoVimento 5 Stelle festeggiavano il calo della disoccupazione e della disoccupazione giovanile gli ultimi dati ISTAT sottolineano invece un aumento del tasso degli inattivi (coloro che sono disoccupati e non cercano lavoro).
Per quanto riguarda la fascia 15-24 siamo al 74% (+1% rispetto a luglio) mentre nella fascia 25-34 il valore si assesta al 26,7%. Nel complesso l’Istituto di statistica rileva che la stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni ad agosto è in aumento (+0,6%, pari a +73 mila unità a fronte di una diminuzione dei disoccupati di 87 mila unità ) e che il tasso di inattività sale al 34,5% (+0,2 punti percentuali).
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 3rd, 2019 Riccardo Fucile
DOPO LA FRANCIA, SIAMO IL PAESE CHE SUBIRA’ MAGGIORMENTE: CROLLO DELL’EXPORT SULL’AGRO-ALIMENTARE
Lo spettro di dazi Usa su prodotti europei e il timore di una recessione economica globale scuotono i mercati, con i listini del Vecchio Continente che ieri sono scivolati ai minimi da un mese.
A far precipitare la situazione è stata la decisione del Wto che ha dato il via libera agli Usa che potranno imporre dazi ai beni europei per 7,5 miliardi di dollari come compensazione per gli aiuti illegali concessi al consorzio aeronautico Airbus. A risentirne è il comparto dell’automobile. Ma presto il conto per l’agroalimentare italiano potrebbe arrivare a un miliardo secondo le stime di Coldiretti.
Spiega oggi il Corriere della Sera:
Il mercato americano vale per il nostro alimentare circa 5,2 miliardi di dollari (dati Ice, 2018). Vino, liquori e spumanti coprono un fatturato di circa 2 miliardi; poi ci sono pasta, salumi, formaggi, olio di oliva, caffè, frutta in scatola e altro ancora. E se vino,pasta e olio dovrebbero essere risparmiati –secondo la lista dei prodotti diffusa dall’Ufficio del rappresentante al Commercio Usa–formaggi e prosciutto sarebbero colpiti da tariffe all’import del 25%: e vendite di prodotti dop come Parmigiano Reggiano e Grana potrebbero crollare.
Un’opportunità interessante potrebbe arrivare all’inizio del prossimo anno, quando sempre il Wto dovrà stabilire se sanzionare anche la Boeing, destinataria di finanziamenti pubblici per 19 miliardi di dollari.
A quel punto potrebbero essere gli europei a poter imporre dazi agli Stati Uniti. Oppure potrebbe maturare, finalmente, un’intesa: disarmo bilaterale, via tutte le tariffe. Cesare Baldrighi, presidente del Consorzio di tutela del Grana padano che negli Stati Uniti esporta circa 180 mila forme all’anno, spiega al quotidiano: «Dazi superiori al 20%non sarebbero sopportabili dal mercato statunitense: con un prezzo di 50 euro al chilo, i volumi del Grana padano crollerebbero. Ma il vero obiettivo degli americani è ottenere che la Ue molli la presa sulla tutela delle denominazioni per poter vendere più Parmesan. Anche in Europa».
Basta scorrere i dati dell’export italiano negli Stati Uniti, che sono, dopo Germania e Francia, il terzo Paese destinatario in ordine di importanza. Dati crescenti: 36,8 miliardi nel 2016, 40,4 l’anno successivo, 42,4 nel 2018, ancora meglio nell’anno in corso. Grosso modo il 10%, cioè oltre 4 miliardi, è il totale delle esportazioni dei due settori più colpiti dalle ritorsioni di Trump: prodotti alimentari e bevande.
Anche se per calcolare con esattezza l’impatto dei dazi sull’export italiano bisognerà fare i calcoli oggi dopo che ieri a tarda sera il Dipartimento del Commercio Usa ha dato la lista dei beni che vuole colpire con dazi del 25% ma che possono in teoria arrivare fino al 100%. Se l’elenco non si discosterà da quello annunciato mesi fa, l’Italia potrebbe essere il secondo Paese più colpito (dopo la Francia) e il settore agroalimentare quello destinato a pagare il conto più salato.
(da “NextQuotidiano”)
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