Agosto 2nd, 2020 Riccardo Fucile
LA RISPOSTA GLI E’ ARRIVATA GIA’ IL 3 LUGLIO E NON CI SONO ATTI DEL CDM SU GREGORETTI… MEGLIO UNA BORSA DI GHIACCIO SULLA TESTA, IL SOLE PICCHIA FORTE A MILANO MARITTIMA
Matteo Salvini oggi si è lamentato pubblicamente del fatto che Palazzo Chigi non risponda ai suoi legali su nave Gregoretti e il processo che inizierà a ottobre.
Il leader della Lega ha inviato una nota stampa stamattina per lamentarsene: “Da più di due mesi il mio avvocato attende che Palazzo Chigi trasmetta gli atti in suo possesso sul caso Gregoretti: un ritardo così significativo, dal 25 maggio a oggi, potrebbe far pensare che voglia nascondere qualcosa. Magari perchè nelle carte è confermato il ruolo attivo di tutto il governo”
Ci sono però un paio di problemi.
Il primo è che, come ha scritto l’agenzia di stampa ANSA, il segretario generale di Palazzo Chigi Roberto Chieppa ha inviato lo scorso 3 luglio una lettera alla difesa di Matteo Salvini con gli atti richiesti sulla vicenda Gregoretti.
La lettera, a quanto scrive l’agenzia citando fonti del Segretariato generale di Palazzo Chigi, è datata 3 luglio e firmata da Chieppa ed è indirizzata alla segreteria dell’avvocato Giulia Bongiorno. Il documento ha ad oggetto le “investigazioni difensive nell’interesse dell’assistito senatore Salvini”.
Il secondo problema è che nella lettera c’è scritto che il consiglio dei ministri non si è mai occupato del caso Gregoretti:
“Come risulta dagli atti dell’Ufficio di segreteria del Consiglio dei ministri, nel periodo 25 luglio-31 luglio 2019 il Consiglio dei ministri si è riunito una sola volta (in data 31 luglio) al fine di adottare i provvedimenti indicati nell’ordine del giorno, tra cui non figurava la questione relativa alla vicenda della nave Gregoretti, che non è stata oggetto di trattazione nell’ambito delle ‘varie ed eventuali’ nel citato Consiglio dei ministri, nè dei Consiglio successivi”.
L’agenzia aggiunge che alla lettera di risposta sarebbe stata allegata una nota degli uffici di diretta collaborazione di Conte, sulle interlocuzioni avute tra il 27 e il 31 luglio sul ricollocamento dei migranti con ministeri e organismi internazionali.
Ricapitolando, nessun avvocato sta aspettando da due mesi, la risposta è stata fornita e non ci sono riunioni del CdM sul caso.
E anche oggi la tattica di trascinare qualcun altro a giudizio per condividere le colpe e alleggerire la propria posizione funziona domani.
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 2nd, 2020 Riccardo Fucile
LA DIFFUSIONE DI FAKE-NEWS NON E’ UN FATTO ISOLATO MA ORGANIZZATO
Il primo agosto 2020 l’utente Gaetano pubblica un post Facebook con una foto dove vengono ritratte due
persone, tra queste un uomo dalla pelle nera con delle enormi cuffie per ascoltare musica (insieme a quello che sembra un enorme orologio costoso) e un altro in giacca e cravatta: «Ma lo sapevate che il figlio della LAMORGESE gestisce un centro d’accoglienza — adesso lo sapete ! RM. ( se MAGNA )».
Nella foto, però, non ci sono nè il figlio del ministro dell’Interno italiano nè un immigrato ospitato in qualche centro d’accoglienza.
Le persone ritratte nella foto, infatti, sono il procuratore sportivo Federico Pastorello e il calciatore Romelu Lukaku, nazionale belga e attaccante dell’Inter. Troviamo la stessa foto, completa, nel sito Passioneinter.com in un articolo del 22 marzo 2020.
(da agenzie)
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Agosto 2nd, 2020 Riccardo Fucile
A UN ANNO DI DISTANZA CI HANNO RIMESSO ENTRAMBI… DI CONVERSO A VINCERE SONO STATI CONTE E ZINGARETTI
Il ministro Di Maio si è scelto un ruolo “calcistico” ben preciso nel governo, quello dell’ala destra. È un ruolo che egli interpreta con naturalezza ed è anche un ruolo tatticamente sensato, poichè copre una “fascia” nella quale nessun altro gioca nel governo giallo-rosso, ad eccezione di Giuseppe Conte e di Matteo Renzi.
I due ex premier però non possono (come invece può fare Di Maio) schiacciare l’acceleratore in tema d’immigrazione ed ecco quindi il ministro degli Esteri trovare campo libero su quel fronte.
Si potrebbe quindi pensare che ciò indichi una condizione ottimale per l’ex coordinatore del M5S, che però si rivela assai meno presente se guardiamo i fatti in prospettiva, tornando con la memoria ad un anno fa, cioè al tempo del Papeete prima maniera.
Cos’è infatti il governo giallo-verde in estrema sintesi?
È una diarchia con uso di Primo Ministro, in cui i due vincitori delle elezioni (Di Maio e Salvini) dispongono di tutte le leve politiche per condizionare ogni decisione e che vede un abile e “presentabile” professore universitario nella posizione di front man del governo (privo però di autonomia politica).
In quel governo I due “dioscuri” non conoscono rivali: una volta trovata la “quadra” tra loro possono portare il governo dove vogliono, possono dare corpo ad una rivoluzione che porta alla guida del paese per la prima volta (e congiuntamente) due partiti populisti e sovranisti, facendo dell’Italia un caso unico nell’Europa tutta.
Su questa indiscutibile novità piomba l’agosto incredibile dell’anno passato, un mese che vede i due protagonisti di questa storia perdere il filo del dialogo, iniziare a beccarsi in pubblico a suon di tweet e post per poi finire con l’uscita della Lega dal governo e la nascita (esclusa per migliaia di volte in pubbliche dichiarazioni) di una nuova maggioranza parlamentare tra il M5S ed il suo nemico storico, quel Pd che pur sconfitto alle elezioni del 2018 torna a governare un anno dopo nel tripudio di applausi di quasi tutto l’establishment nazionale, europeo ed atlantico.
Insomma un bel ribaltone che ci permette adesso di confrontare la posizione di allora di Salvini e Di Maio con quella di adesso, vedendo con chiarezza che ci hanno rimesso tutti e due.
Cominciamo da Salvini, che proprio in queste ore è tornato al Papeete. Un anno fa era il potente ministro dell’Interno e vice premier, capo del partito più forte del continente (34 % alle europee 2019), punto di riferimento di tutta la destra dentro e fuori Ue. Godeva del monopolio sul tema suo cavallo di battaglia, cioè l’immigrazione, di cui aveva anche la delega istituzionale ed operativa e disponeva della garanzia di copertura politica dell’alleato grillino, che non a caso vota contro la prima richiesta di autorizzazione a procedere avanzata dalla magistratura. Insomma Salvini era forte, anzi fortissimo.
Anche Di Maio però non era da meno: titolare di due ministeri pesantissimi (Sviluppo Economico e Welfare) e capo politico del movimento era al centro di tutte le decisioni, anche se aveva dovuto subire lo smacco di un secco ridimensionamento nelle urne per l’elezione del Parlamento Europeo.
Veniamo al presente e osserviamo la situazione. Al governo c’è il Pd, non in grande salute in termini di consensi ma fortissimo nei posti di potere che contano, non solo in Italia.
Un Pd che può contare sul Capo dello Stato, sul Presidente del Parlamento di Bruxelles, sul commissario UE e sui ministri dell’Economia, delle Infrastrutture, della Difesa e molto altro ancora.
Al governo però c’è anche Giuseppe Conte, che è passato da timoroso esecutore della volontà dei “diarchi” a protagonista della situazione, in grado di calamitare consensi sulla sua persona che saranno assai utili in futuro per molte battaglie, compresa quella per il Quirinale del 2022.
Salvini invece ha perso dieci punti nei sondaggi e viene insidiato da Giorgia Meloni, si trova fuori dal governo e con due processi in arrivo, senza considerare l’isolamento in Europa per il ritrovato vigore degli accordi tra popolari e socialisti (intuiti per tempo dai grillini che a luglio 2019 votano a favore della nuova Presidente UE Ursula von der Leyen).
Di Maio è certamente ancora nell’esecutivo (ma con una delega tanto prestigiosa quanto marginale sul piano operativo) e però non è più capo politico del partito e soprattutto deve fare i conti ogni giorno con un Pd che è naturalmente vocato all’azione di governo, quindi portato ad occupare tutti gli spazi.
Insomma a un anno dalla stupefacente crisi di governo del 2019 possiamo dire che l’incapacità di Salvini e Di Maio di mettersi d’accordo ha prodotto due vincitori (Conte e il PD) e due sconfitti (i medesimi Salvini e Di Maio, pur con diversa “gradazione”).
A Bruxelles (e Washington) molti si fregano le mani per la soddisfazione.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 2nd, 2020 Riccardo Fucile
IL CANTANTE NON SI UNISCE AL CORO DELLE CELEBRAZIONI: “NON REGALIAMOLO ALLA POLITICA E ALLE TIFOSERIE”
Lo raggiungiamo al telefono mentre sta realizzando un film-documentario su Luigi Tenco, lavoro
impegnativo e ricco di stimoli. Francesco Baccini, cantautore, musicista ma anche attore, artista poliedrico ed eclettico, allergico all’omologazione e portatore di quella “direzione ostinata e contraria” condivisa a motto di vita con l’amico Fabrizio De Andrè.
Genovese doc, ex camallo del porto, fiero delle sue origini. Anche lei avrà un ricordo di quello che è stato il Ponte Morandi.
“Per me non è stato mai null’altro se non il Ponte di Brooklyn. Mio padre mi ci portava e mi diceva: “Bada bene che questo lo ha costruito chi ha disegnato e ideato il ponte di Brooklyn, quello americano”. Così, per me non aveva affatto la denominazione del Morandi. Quel ponte, infatti, era molto più ‘vissuto’ che nominato. Andavo a trovare, da ragazzo, uno dei miei più cari amici che abitava in via Fillak, a pochi metri dalle case di via Porro: quel viadotto ha accompagnato la mia infanzia e la mia adolescenza”.
Come ha appreso del crollo?
“Come tanti, credo. Mi arrivò la notifica sul cellulare con una foto del ponte mozzato. Ho pensato a un fake, un fotomontaggio ma solo per qualche minuto. Ho poi realizzato e ho chiamato mia sorella e le persone care che ho a Genova. Tanto, lo sgomento, l’incredulità , la pena per le vittime. E, poi, da ex lavoratore del porto, ho subito immaginato cosa volesse dire quel crollo dal punto di vista della tenuta logistica, portuale ed economica della città . Mi è venuta in mente l’immagine del taglio di un braccio. La città era amputata: nell’anima e nella sua fisicità ”.
Come giudica la ricostruzione?
“Ero molto scettico. Invece i tempi sono stati più che accettabili. Temevo che Genova diventasse L’Aquila o uno di quei casi in cui le opere si bloccano e rimangono solo delle cattedrali nel deserto delle intenzioni. È andata bene”.
Nel 2018, è possibile che un viadotto sbricioli su se stesso in meno di quindici secondi provocando vittime e fermando una città per due anni?
“Certo che no. Ma quello che manca ed è mancato, è la cultura della prevenzione e – aggiungo, anche se su questo molti sono meno onesti ad ammetterlo – una mentalità che favorisca la prevenzione. Immagini se il concessionario avesse previsto che il viadotto dovesse essere chiuso perchè non in sicurezza. Quanti si sarebbero sollevati contro un’iniziativa del genere? Io credo sarebbe scoppiato il finimondo. Perchè purtroppo, questo ed altri casi ci dicono (complici tutti, anche i cittadini) che senza le tragedie e il sangue non si muove nulla per evitare le stragi e le tragedie. Non c’è affatto cultura e mentalità per la prevenzione”.
Quale pensa sia l’atteggiamento giusto da tenere nei confronti dei famigliari delle vittime?
“Silenzio. Rispetto. Persone hanno trovato interrotta la loro vita mentre facevano il gesto di percorrere un viadotto. Bisogna avere profondo cordoglio per quelle vite finite così”.
Il Ponte San Giorgio può essere un simbolo di rigenerazione per la città ?
“No. E lo dico con rispetto per la cerimonia d’inaugurazione di domani. Il simbolo di Genova è la Lanterna- i nostri significati sono altri, a mio avviso. Non diamo questo ponte alla politica, alle tifoserie, alle strumentalizzazioni, consideriamo per quello che è: un viadotto. E che faccia lo sporco lavoro per cui è stato costruito. La rigenerazione di Genova nasca dal senso pragmatico della prevenzione. Solo facendo prevenzione eviteremo in futuro di versare altre lacrime”.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 2nd, 2020 Riccardo Fucile
SODDISFATTI MA AMAREGGIATI, SFOLLATI E FAMILIARI DELLE VITTIME NON CI SARANNO… LA CITTA’ RIFIUTA LO SPETTACOLO
Che poca voglia di fare festa. Potrebbe essere una canzone del genovese Ivano Fossati, anzi in qualche modo lo è: Così canta in uno dei suoi tanti album belli, Lindbergh: “Che poca voglia di fare il soldato, io sono nato qui, per stare qui”.
Le persiane sono ancora aperte, sui balconi sono intatti stendini e tavolini. Eppure il palazzone di via Porro 5, i cui cornicioni cadenti sembrano sfiorare il nuovo Ponte di Genova, è disabitato da due anni.
A differenza di altre abitazioni non è stato buttato giù. È lì a ricordare che di un intero quartiere, sorto all’ombra dell’ex Ponte Morandi, crollato il 14 agosto del 2018 inghiottendo 43 persone, è rimasto ben poco.
È rimasta la rabbia per quella che qui considerano una tragedia annunciata. Gli abitanti hanno lasciato le proprie case, ora sono sparsi un po’ ovunque, hanno ricevuto gli indennizzi per acquistarne un’altra ma gli manca il luogo dove sono nati e dove vorrebbero stare.
Nello stesso tempo vi è la soddisfazione dovuta al fatto che in due anni, rarità assoluta per l’Italia, è stato costruito il nuovo ponte San Giorgio e lunedì sarà inaugurato sulle note dell’Inno d’Italia, con il passaggio della prima auto, quella del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al suono di ‘Cràªuza de mऒdel genovese Fabrizio De Andrè, interpretata da dieci cantautori.
È tutto pronto, anche il palco sul ponte dal quale parleranno le autorità , il premier Conte, il commissario e sindaco Bucci, il presidente della Regione Toti, ma i genovesi non hanno voglia di festeggiare e i comitati degli sfollati e dei parenti delle vittime non saranno presenti.
“Sarebbe stata sufficiente una cerimonia più sobria. Come siamo noi genovesi”, Giusy Moretti parla a nome del comitato degli sfollati. Abitava anche lei in via Porro e la sua casa è stata demolita: “Bastava un taglio del nastro, bastava la presenza del Capo dello Stato, è un ponte che andava rifatto ma bisogna sempre ricordare il motivo per cui è stato costruito. Perchè lì sono morte 43 persone. Ci siamo sentiti presi in giro, abbiamo sempre vissuto vicino al Ponte Morandi segnalando che quel ponte cadeva a pezzi già da tempo. È colpa solo di Autostrade? No, direi di no”.
La poca voglia di esserci risiede nel fatto che la cerimonia di domani possa diventare un comizio: “Ci sono le elezioni a settembre, sul palco ci saranno anche i politici, era meglio riaprire il ponte e non fare alcuna cerimonia”.
Egle Possetti, che nella tragedia del crollo, ha perso la sorella, il cognato e i nipoti, non ne vuole sapere di salire sul ponte per la cerimonia. Incontrerà in privato insieme al comitato ‘Parenti delle vittime’ il Capo dello Stato e a lui diranno cosa pensano: “E’ stato molto poco per noi in questi anni, abbiamo dovuto sostenere da soli le spese legali e non tutti riescono. Inoltre viene inaugurato il ponte ma non ci sarà un memoriale per ricordare i morti. Abbiamo chiesto anche di creare un parco vicino al torrente Polcevera e di dedicarlo alle vittime, aspettiamo risposta”.
Un signore, di nome Maurizio, sta entrando in un condominio di via Fillak, l’altra strada che passa sotto il ponte: “In città , in questi due anni, si è sentita molto crisi, ci mancava anche il Covid. Io lavoro dall’altra parte del ponte e per arrivarci devo fare il giro dell’oca. Ma tutta la Liguria è così, è tutta bloccata, le gallerie sono chiuse, le strade sbarrate”.
E in effetti basta salire in auto, imboccare un’autostrada qualunque per leggere sempre la stessa scritta mentre si sta incolonnati: “Rallentare. Uomini strada”.
Code di auto nel primo week end di agosto, ma è così dall’inizio dell’estate. Si viaggia su un’unica corsa e nelle gallerie vi è il senso alternato. “Come fanno a viaggiare le merci? Genova è una città di mare, c’è il porto. E adesso?”, domanda Maurizio. Negli anni Sessanta gli operai al Porto erano più di diecimila, oggi non sono più di un migliaio.
Elena attende il bus su via Fillak: “Qui è un disastro. Vado a lavorare alle sei del mattino per una ditta di pulizie, prima accompagno mio marito che lavora dall’altra parte del ponte e poi all’improvviso trovo le strade bloccate. Speriamo che con l’inaugurazione e con la fine dei lavori la città sia più vivibile”.
La costruzione ormai è ultimata, gli operai che lavorano qui da ottobre scorso stanno per tornare nelle loro città . Un gruppo di loro sta mangiando un panino: “Ci siamo occupati della verniciatura del ponte, abbiamo lavoro in turni di otto ore, giorno e notte, senza mai fermarci, neanche durante il lockdown”. Così è stato possibile realizzare il ponte in tempi record. Ed ecco arrivare altre quattro persone: “No, non abitiamo qui. Siamo turisti, arriviamo da Venezia e da Trento. Siamo venuti qui a fotografare il ponte, domani lo inaugurano”. Ecco la voglia di non rinunciare al gusto di spettacolarizzare un luogo dove comunque c’è stata una tragedia.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 2nd, 2020 Riccardo Fucile
“FONTANA AVEVA LA PROCURA DAL 1997, SAPEVA TUTTO”
In una intervista a Repubblica il legale osserva come Fontana non potesse non sapere del primo conto in
Svizzera, avendone avuto la procura tra il 1997 e il 2005
«Quello alle Bahamas non era un trust. Ma una società commerciale fantasma. Creata col solo scopo di evitare di pagare, sul conto svizzero, l’”euro ritenuta”, l’imposta al 15% sui capitali degli italiani detenuti nelle banche elvetiche».
L’accusa, forte, arriva da uno degli avvocati tributaristi più conosciuti di Milano, Sebastiano Stufano. Il legale, che nel 2017 ha vinto il Premio Loy come “fiscalista dell’anno”, in una intervista rilasciata a la Repubblica ha affermato che «di società fittizie come la Montmellon Valley, costituita dalla filiale alle Bahamas della banca svizzera Ubs e agganciata al conto della mamma di Fontana, ne ho viste a centinaia. A differenza di un vero trust, la movimentazione del conto non è soggetta ad alcun vincolo, ma è totalmente libera».
Stufano, come spiega Repubblica, ha avuto modo di esaminare le carte relative al conto corrente svizzero intestato alla madre del governatore della Lombardia, quelle che rimandano alle Bahamas, la voluntary disclosure di cui beneficiò Fontana e la dichiarazione di successione presentata nel 2016.
Sulla possibilità che Fontana avesse saputo dei soldi in Svizzera solo alla morte della madre, avendo però, a quanto risulterebbe, avuto dal 1997 al 2005 la procura di un primo conto svizzero, Stufano è chiaro: non poteva non sapere.
«Chi ha la procura di un conto — ha spiegato il tributarista — deve andare personalmente a depositare la firma in banca. Significa — ha aggiunto — poter disporre del denaro, sia in entrata sia in uscita, e poter dare disposizioni di investimento. La banca deve eseguire».
Il legale poi ha spiegato le operazioni che, nel 2005, hanno portato all’apertura di un secondo conto, intestato proprio alla Montmellon Valley, dove sarebbero stati riversati i soldi che erano nel primo. «Tecnicamente — ha osservato — si tratta di una international business company. Le banche svizzere ne hanno costituite a iosa nel 2005, per proteggere i capitali dei loro clienti dall’euro-ritenuta».
Sulla mancata denuncia, in un primo momento, del conto svizzero nella dichiarazione di successione presentata nel 2016 da Fontana, Stufano ha osservato che il governatore avrebbe potuto farlo: «Aveva tempo un anno dal decesso per dichiarare l’eredità . Però aveva scelto di aderire alla voluntary disclosure e la pratica era in corso. Se l’avesse messo in dichiarazione prima che la pratica della voluntary si fosse perfezionata, non avrebbe potuto averei benefici e gli sconti previsti dalla legge».
«Se la voluntary si è chiusa dopo il giugno del 2016, nel suo caso il termine ultimo per presentare la dichiarazione di successione, Fontana ha trascorso un periodo di limbo — ha proseguito Stufano -. Nel quale bisogna decidere cosa fare: regolarizzare immediatamente per evitare ogni tipo di problema o incomprensione col Fisco, oppure aspettare», ha concluso.
Insomma, un movimento per eludere il fisco. E del quale Fontana non poteva non sapere.
(da agenzie)
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Agosto 2nd, 2020 Riccardo Fucile
DALLA FOTO VECCHIA DI 6 ANNI DI GORI PER FINIRE AL CONVEGNO SUI DISABILI
Come si alimenta la propaganda leghista? A suon di bufale.
Protagonista, ancora una volta, il deputato della Lega Alessandro Morelli che, in meno di 24 ore, si è dimostrato più bomber di Ciro Immobile.
In questo lasso di tempo, infatti, è riuscito a condividere sulla sua bacheca Facebook due clamorose bufale che hanno dato il via alla solita gogna mediatica.
La prima riguarda il sindaco di Bergamo Giorgio Gori; la seconda è una libera e forzata interpretazione in cui si prende in giro Giuseppe Conte che suona i tamburi.
Peccato che il Presidente del Consiglio stesse partecipando a un evento per i disabili (sì, quelli che la Lega dice di difendere).
Partiamo da Giuseppe Conte. Ecco cosa ha condivido Alessandro Morelli su Facebook.
«L’Italia affonda e loro suonano il tamburo» si legge nel testo che accompagna il video brandizzato da Alessandro Morelli.
Ma si trattava di un’iniziativa di inclusione dei disabili fuori da Montecitorio a cui hanno partecipato Giuseppe Conte, Roberto Fico e i ministri Bellanova e Gualtieri.
Insomma, un evento che serve a risvegliare le coscienze su un tema spesso dimenticato. Anzi, era proprio la Lega ad aver accusato l’Esecutivo di non aver aiutato i disabili in questa fase di emergenza.
Insomma, indelicatezza per fare propaganda e generare una gogna mediatica priva di senso che ha dato il via libera alla solita sagra di beceri commenti.
Ma un gol sono in grado di farlo tutti. Una doppietta, invece, è un risultato che solo i veri bomber sono in grado di raggiungere.
Così, dando retta all’adagio che in rete c’è solo la verità , il leghista Morelli fa il bis pubblicando questa immagine.
Ovviamente si tratta di una bufala. L’immagine è reale, ma come spiegato — ancor prima della condivisione di Alessandro Morelli — da FactaNews, quella foto è tutt’altro che recente.
L’immagine, infatti, è stata scattata ad agosto del 2014 e pubblicata su Vanity Fair. All’epoca Giorgio Gori non era sindaco di Bergamo, carica che ottenne nel 2014. Questa è la classe politica nostrana leghista: fidarsi della Savana per i clic e non rettificare mai le bufale che si condividono. Morelli è l’espressione di tutto ciò. Ah, ricordiamo che lui è anche giornalista.
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 2nd, 2020 Riccardo Fucile
L’INCONTRO SEGRETO A ROMA TRA UN POLITICO DI PRIMO PIANO DEL CARROCCIO E I TRE COMMERCIALISTI DELLA LEGA
Spunta un dirigente della Lega nella vicenda della Lombardia Film Commission. Per ora il nome non viene
fatto, ma Repubblica racconta di un incontro segreto a Roma tra un politico di primo piano del Carroccio e i tre commercialisti Scillieri, Di Rubba e Manzoni.
Dalla fine di febbraio, Sostegni minaccia di rivelare alla stampa i dettagli di quell’operazione immobiliare che aveva garantito al cerchio magico dei professionisti leghisti «una distrazione di fondi pubblici» pari a 800mila euro.
Lui, con il solo diploma di terza media e senza alcuna occupazione in Italia, era stato nominato da Scillieri prima legale rappresentante e poi liquidatore di Paloschi srl, la società nella quale lo stesso Scillieri — nel cui studio era stata registrata e domiciliata la lista “Lega per Salvini Premier” — aveva fatto confluire l’immobile di Cormano.
Un capannone, ha accertato l’indagine del procuratore aggiunto Eugenio Fusco e del pm Stefano Civardi, in «pessimo stato di conservazione e manutenzione», venduto per 400mila euro da Paloschi srl ad Andromeda — formalmente intestata a un altro prestanome, ma amministrata di fatto sempre da Scillieri — e poi rivenduto a 800mila euro a Lombardia Film Commission.
L’operazione è, per il gip Giulio Fanales, «uno schermo giuridico» utilizzato per «occultare l’unico intendimento perseguito, ossia la distrazione del fondo erogato dall’ente pubblico a favore dell’allora presidente Di Rubba e dei suoi complici», ora indagati per turbativa d’asta e peculato.
È nel mezzo di questa «escalation di pressioni» che Scillieri, Di Rubba e Manzoni incontrano un dirigente leghista a Roma dove Di Rubba e Manzoni, custodi della cassaforte leghista, sono di casa. Bergamaschi, soci di studio, quarantenni, vicini al parlamentare e attuale tesoriere del partito Giulio Centemero, i due commercialisti sono stati i revisori dei conti dei gruppi parlamentari del Carroccio alla Camera e al Senato.
L’incontro però avviene lontano da occhi indiscreti, a debita distanza da sedi istituzionali. Gli investigatori mantengono il massimo riservo sull’identità del politico leghista. Ma considerano l’incontro a Roma un importante elemento di connessione tra l’affaire di Cormano e i misteri che avvolgono la più ampia e misteriosa gestione dei fondi del partito.
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 2nd, 2020 Riccardo Fucile
UTILIZZA I MINORI PER LA SUA PROPAGANDA NEGAZIONISTA
Ha sempre detto di non utilizzare minori per la sua propaganda (venendo sempre smentito da quel che
condivide sui social). Ora però, si aggiunge un nuovo tassello.
Ieri sera a Cervia (in provincia di Ravenna) Matteo Salvini stava partecipando alla festa della Lega. Mentre si trovava sul palco, ha invitato un ragazzo adolescente al suo fianco per parlare di scuola e dei banchi con le rotelle.
Prima di farlo parlare, però, ha chiesto al giovane di togliersi la mascherina. Ma lui si è rifiutato. La storia Salvini ragazzo mascherina si conclude con un invito del leghista ad andare al Papeete con lui.
Durante il suo comizio da Cervia, il segretario del Carroccio ha invitato un giovanissimo ragazzo a salire sul palco con lui. Prima di dargli il microfono, però, Matteo Salvini gli dice di togliersi la mascherina. L’adolescente si rifiuta dicendo che ama molto quel dispositivo perchè ha i colori della sua Regione, il Veneto.
Il giovane viene interrogato sui banchi con le rotelle che definisce un’assurdità , provocando una fragorosa risata da parte di Matteo Salvini. Poi, prima di farlo scendere dal palco, Salvini dice all’adolescente: «Andiamo al Villa Papeete dopo?». Anche in questo caso facendo scoppiare un grande coro di approvazione tra i sostenitori accorsi a Cervia per ascoltare il suo comizio.
Ma la vicenda Salvini ragazzo mascherina a Cervia si conclude con il classico riferimento nei confronti di chi lo contesta: «Ti voglio bene, non abbiamo solo una gioventù che si ammazza di canne». Immaginiamo che, da grande frequentatore quale lui è, sulla spiaggia di Milano Marittima non ci sia alcun giovane che fumi erba e cannabis.
(da “NextQuotidiano”)
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