PONTE DI GENOVA, C’E’ POCA VOGLIA DI FARE FESTA: “BASTAVA IL TAGLIO DEL NASTRO, SONO MORTE 43 PERSONE”
SODDISFATTI MA AMAREGGIATI, SFOLLATI E FAMILIARI DELLE VITTIME NON CI SARANNO… LA CITTA’ RIFIUTA LO SPETTACOLO
Che poca voglia di fare festa. Potrebbe essere una canzone del genovese Ivano Fossati, anzi in qualche modo lo è: Così canta in uno dei suoi tanti album belli, Lindbergh: “Che poca voglia di fare il soldato, io sono nato qui, per stare qui”.
Le persiane sono ancora aperte, sui balconi sono intatti stendini e tavolini. Eppure il palazzone di via Porro 5, i cui cornicioni cadenti sembrano sfiorare il nuovo Ponte di Genova, è disabitato da due anni.
A differenza di altre abitazioni non è stato buttato giù. È lì a ricordare che di un intero quartiere, sorto all’ombra dell’ex Ponte Morandi, crollato il 14 agosto del 2018 inghiottendo 43 persone, è rimasto ben poco.
È rimasta la rabbia per quella che qui considerano una tragedia annunciata. Gli abitanti hanno lasciato le proprie case, ora sono sparsi un po’ ovunque, hanno ricevuto gli indennizzi per acquistarne un’altra ma gli manca il luogo dove sono nati e dove vorrebbero stare.
Nello stesso tempo vi è la soddisfazione dovuta al fatto che in due anni, rarità assoluta per l’Italia, è stato costruito il nuovo ponte San Giorgio e lunedì sarà inaugurato sulle note dell’Inno d’Italia, con il passaggio della prima auto, quella del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al suono di ‘Cràªuza de mऒdel genovese Fabrizio De Andrè, interpretata da dieci cantautori.
È tutto pronto, anche il palco sul ponte dal quale parleranno le autorità , il premier Conte, il commissario e sindaco Bucci, il presidente della Regione Toti, ma i genovesi non hanno voglia di festeggiare e i comitati degli sfollati e dei parenti delle vittime non saranno presenti.
“Sarebbe stata sufficiente una cerimonia più sobria. Come siamo noi genovesi”, Giusy Moretti parla a nome del comitato degli sfollati. Abitava anche lei in via Porro e la sua casa è stata demolita: “Bastava un taglio del nastro, bastava la presenza del Capo dello Stato, è un ponte che andava rifatto ma bisogna sempre ricordare il motivo per cui è stato costruito. Perchè lì sono morte 43 persone. Ci siamo sentiti presi in giro, abbiamo sempre vissuto vicino al Ponte Morandi segnalando che quel ponte cadeva a pezzi già da tempo. È colpa solo di Autostrade? No, direi di no”.
La poca voglia di esserci risiede nel fatto che la cerimonia di domani possa diventare un comizio: “Ci sono le elezioni a settembre, sul palco ci saranno anche i politici, era meglio riaprire il ponte e non fare alcuna cerimonia”.
Egle Possetti, che nella tragedia del crollo, ha perso la sorella, il cognato e i nipoti, non ne vuole sapere di salire sul ponte per la cerimonia. Incontrerà in privato insieme al comitato ‘Parenti delle vittime’ il Capo dello Stato e a lui diranno cosa pensano: “E’ stato molto poco per noi in questi anni, abbiamo dovuto sostenere da soli le spese legali e non tutti riescono. Inoltre viene inaugurato il ponte ma non ci sarà un memoriale per ricordare i morti. Abbiamo chiesto anche di creare un parco vicino al torrente Polcevera e di dedicarlo alle vittime, aspettiamo risposta”.
Un signore, di nome Maurizio, sta entrando in un condominio di via Fillak, l’altra strada che passa sotto il ponte: “In città , in questi due anni, si è sentita molto crisi, ci mancava anche il Covid. Io lavoro dall’altra parte del ponte e per arrivarci devo fare il giro dell’oca. Ma tutta la Liguria è così, è tutta bloccata, le gallerie sono chiuse, le strade sbarrate”.
E in effetti basta salire in auto, imboccare un’autostrada qualunque per leggere sempre la stessa scritta mentre si sta incolonnati: “Rallentare. Uomini strada”.
Code di auto nel primo week end di agosto, ma è così dall’inizio dell’estate. Si viaggia su un’unica corsa e nelle gallerie vi è il senso alternato. “Come fanno a viaggiare le merci? Genova è una città di mare, c’è il porto. E adesso?”, domanda Maurizio. Negli anni Sessanta gli operai al Porto erano più di diecimila, oggi non sono più di un migliaio.
Elena attende il bus su via Fillak: “Qui è un disastro. Vado a lavorare alle sei del mattino per una ditta di pulizie, prima accompagno mio marito che lavora dall’altra parte del ponte e poi all’improvviso trovo le strade bloccate. Speriamo che con l’inaugurazione e con la fine dei lavori la città sia più vivibile”.
La costruzione ormai è ultimata, gli operai che lavorano qui da ottobre scorso stanno per tornare nelle loro città . Un gruppo di loro sta mangiando un panino: “Ci siamo occupati della verniciatura del ponte, abbiamo lavoro in turni di otto ore, giorno e notte, senza mai fermarci, neanche durante il lockdown”. Così è stato possibile realizzare il ponte in tempi record. Ed ecco arrivare altre quattro persone: “No, non abitiamo qui. Siamo turisti, arriviamo da Venezia e da Trento. Siamo venuti qui a fotografare il ponte, domani lo inaugurano”. Ecco la voglia di non rinunciare al gusto di spettacolarizzare un luogo dove comunque c’è stata una tragedia.
(da “Huffingtonpost”)
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