FRANCESCO BACCINI: “QUESTO PONTE NON E’ UN SIMBOLO, FACCIA SOLO IL SUO SPORCO LAVORO”
IL CANTANTE NON SI UNISCE AL CORO DELLE CELEBRAZIONI: “NON REGALIAMOLO ALLA POLITICA E ALLE TIFOSERIE”
Lo raggiungiamo al telefono mentre sta realizzando un film-documentario su Luigi Tenco, lavoro impegnativo e ricco di stimoli. Francesco Baccini, cantautore, musicista ma anche attore, artista poliedrico ed eclettico, allergico all’omologazione e portatore di quella “direzione ostinata e contraria” condivisa a motto di vita con l’amico Fabrizio De Andrè.
Genovese doc, ex camallo del porto, fiero delle sue origini. Anche lei avrà un ricordo di quello che è stato il Ponte Morandi.
“Per me non è stato mai null’altro se non il Ponte di Brooklyn. Mio padre mi ci portava e mi diceva: “Bada bene che questo lo ha costruito chi ha disegnato e ideato il ponte di Brooklyn, quello americano”. Così, per me non aveva affatto la denominazione del Morandi. Quel ponte, infatti, era molto più ‘vissuto’ che nominato. Andavo a trovare, da ragazzo, uno dei miei più cari amici che abitava in via Fillak, a pochi metri dalle case di via Porro: quel viadotto ha accompagnato la mia infanzia e la mia adolescenza”.
Come ha appreso del crollo?
“Come tanti, credo. Mi arrivò la notifica sul cellulare con una foto del ponte mozzato. Ho pensato a un fake, un fotomontaggio ma solo per qualche minuto. Ho poi realizzato e ho chiamato mia sorella e le persone care che ho a Genova. Tanto, lo sgomento, l’incredulità , la pena per le vittime. E, poi, da ex lavoratore del porto, ho subito immaginato cosa volesse dire quel crollo dal punto di vista della tenuta logistica, portuale ed economica della città . Mi è venuta in mente l’immagine del taglio di un braccio. La città era amputata: nell’anima e nella sua fisicità ”.
Come giudica la ricostruzione?
“Ero molto scettico. Invece i tempi sono stati più che accettabili. Temevo che Genova diventasse L’Aquila o uno di quei casi in cui le opere si bloccano e rimangono solo delle cattedrali nel deserto delle intenzioni. È andata bene”.
Nel 2018, è possibile che un viadotto sbricioli su se stesso in meno di quindici secondi provocando vittime e fermando una città per due anni?
“Certo che no. Ma quello che manca ed è mancato, è la cultura della prevenzione e – aggiungo, anche se su questo molti sono meno onesti ad ammetterlo – una mentalità che favorisca la prevenzione. Immagini se il concessionario avesse previsto che il viadotto dovesse essere chiuso perchè non in sicurezza. Quanti si sarebbero sollevati contro un’iniziativa del genere? Io credo sarebbe scoppiato il finimondo. Perchè purtroppo, questo ed altri casi ci dicono (complici tutti, anche i cittadini) che senza le tragedie e il sangue non si muove nulla per evitare le stragi e le tragedie. Non c’è affatto cultura e mentalità per la prevenzione”.
Quale pensa sia l’atteggiamento giusto da tenere nei confronti dei famigliari delle vittime?
“Silenzio. Rispetto. Persone hanno trovato interrotta la loro vita mentre facevano il gesto di percorrere un viadotto. Bisogna avere profondo cordoglio per quelle vite finite così”.
Il Ponte San Giorgio può essere un simbolo di rigenerazione per la città ?
“No. E lo dico con rispetto per la cerimonia d’inaugurazione di domani. Il simbolo di Genova è la Lanterna- i nostri significati sono altri, a mio avviso. Non diamo questo ponte alla politica, alle tifoserie, alle strumentalizzazioni, consideriamo per quello che è: un viadotto. E che faccia lo sporco lavoro per cui è stato costruito. La rigenerazione di Genova nasca dal senso pragmatico della prevenzione. Solo facendo prevenzione eviteremo in futuro di versare altre lacrime”.
(da “Huffingtonpost”)
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