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IL VIDEO CHE MOSTRA GLI ASSEMBRAMENTI SENZA MASCHERINE AL PAPEETE

Agosto 18th, 2020 Riccardo Fucile

IL PROPRIETARIO LEGHISTA IERI SI ERA SCAGLIATO CONTRO IL GOVERNO PER IL DIVIETO DI BALLARE NELLE DISCOTECHE PARLANDO DI “COMPLOTTO”… FORSE AVREBBE FATTO MEGLIO A CONTROLLARE IL SUO LOCALE

Ieri Massimo Casanova, europarlamentare della Lega e proprietario del Papeete di Milano Marittima, intervistato dall’Adnkronos ha sostenuto che il governo ha chiuso le discoteche per rinviare le elezioni regionali:
“Credo che ci siano dietro doppi fini: vogliono partire dalle discoteche per poi vietare gli eventi nelle piazze”. “A settembre ci sono le regionali — ha aggiunto — non voglio pensare male ma da questo governo ci si deve aspettare di tutto”.
Ieri il Partito Democratico ha pubblicato sulla sua pagina Facebook un video “che risale ad appena due sere fa e il mega assembramento che potete ammirare non proviene da Palazzo Chigi ma da Villa Papeete, discoteca notturna di cui Massimo Casanova è proprietario. Nessun distanziamento, nessuna mascherina, nonostante le regole”.
Solo pochi giorni fa su Facebook, invece, Casanova condivideva foto del locale affollato: “Sono strafelice che la gente scelga di divertirsi e riesca a gioire di questi momenti, alla faccia di questo governo che, oltre ad averci svuotato le tasche, vorrebbe toglierci anche il sorriso!”.

(da agenzie)

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L’ALLARME DI DRAGHI: “A RISCHIO IL FUTURO DEI GIOVANI”

Agosto 18th, 2020 Riccardo Fucile

L’EX GOVERNATORE DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA INTERVIENE AL MEETING DI RIMINI E INCALZA SU ISTRUZIONE E FORMAZIONE

“Ai giovani bisogna dare di più”: dopo la catastrofe della pandemia bisogna affrontare la fase difficile e disseminata di insidie della ricostruzione, che dovrà  essere improntata alla flessibilità , al pragmatismo, ma anche alla trasparenza. E i giovani vanno messi al centro di ogni riflessione per rimettere in moto i loro percorsi formativi: è questo il cuore del discorso che Mario Draghi ha dedicato all’apertura del Meeting di Rimini, proprio nei giorni in cui il governo sprofonda nell’ennesimo caos sulle riaperture delle scuole a settembre.
Già  nelle sue prime Considerazioni finali da governatore della Banca d’Italia, ormai quindici anni fa, Draghi aveva voluto sottolineare il dramma dei quindicenni italiani che rimanevano indietro in matematica rispetto ai loro coetanei europei. L’importanza dell’istruzione è un filo rosso che l’ex presidente della Bce non ha mai abbandonato.
Senza mai accennare all’Italia per non farsi trascinare nelle speculazioni, ricorrenti quanto infondate, su un suo fantomatico arrivo a Palazzo Chigi, Draghi ha tracciato anche un percorso preciso per riemergere dalle secche della peggiore crisi del secolo. A partire dai sussidi che molti Paesi europei, tra cui la Germania, la Francia o l’Italia, hanno garantito a un’economia precipitata in un avvelenato letargo: “Servono a sopravvivere, a ripartire”, sottolinea.
Ma quando si esauriranno, il rischio è che ai giovani resti “la mancanza di una qualificazione professionale, che potrà  sacrificare la loro libertà  di scelta e i loro redditi futuri”. Il rischio reale è quello di una “distruzione di capitale umano di proporzioni senza precedenti dagli anni del conflitto mondiale”.
Il discorso di Draghi parte dalle macerie del coronavirus per elogiare keynesianamente la “flessibilità  e il pragmatismo” con cui è stata affrontata, anche in Europa. E per formulare un “appello ad affrontare insieme le sfide che ci pone la ricostruzione”.
Da questa crisi l’Europa “può uscire rafforzata”. Ma “la responsabilità  si accompagna e dà  legittimità  alla solidarietà . Perciò questo passo avanti dovrà  essere cementato dalla credibilità  delle politiche economiche a livello europeo e nazionale”. La situazione di oggi, osserva, “richiede un impegno speciale”.
L’emergenza ha richiesto “maggiore discrezionalità  nella risposta dei governi, che non nei tempi ordinari: maggiore del solito dovrà  allora essere la trasparenza delle loro azioni, la spiegazione della loro coerenza con il mandato che hanno ricevuto e con i principi che lo hanno ispirato”.
In un altro passaggio chiave, Draghi sottolinea che “la costruzione del futuro, perchè le sue fondazioni non poggino sulla sabbia, non può che vedere coinvolta tutta la società  che deve riconoscersi nelle scelte fatte perchè non siano in futuro facilmente reversibili. Trasparenza e condivisione sono sempre state essenziali per la credibilità  dell’azione di governo; lo sono specialmente oggi quando la discrezionalità  che spesso caratterizza l’emergenza si accompagna a scelte destinate a proiettare i loro effetti negli anni a venire”.
L’Europa stava appena riemergendo dall’abisso della “più grande distruzione economica mai vista in periodo di pace”, la crisi economica e finanziaria degli anni ’10, quando la pandemia l’ha precipitata in un buco ancora più profondo, che “minaccia non solo l’economia, ma anche il tessuto della nostra società “, che “diffonde incertezza, penalizza l’occupazione, paralizza i consumi e gli investimenti”.
Il ritorno a una crescita “che rispetti l’ambiente e non umili le persone è un imperativo assoluto”, per Draghi. Ma “una vera ripresa dei consumi e degli investimenti si avrà  solo col dissolversi dell’incertezza che oggi osserviamo e con politiche economiche che siano allo stesso tempo efficaci nell’assicurare il sostegno delle famiglie e delle imprese credibili, perchè sostenibili nel tempo”.
Quello dell’ex presidente della Bce è un invito a uno scatto di reni come fu l’accordo di Bretton Woods del 1944 o le riflessioni del 1943 di Alcide de Gasperi sull’Italia democratica. Prime pose di architetture post-belliche arrivate ben prima della fine del conflitto e dei fascismi.
Non sappiamo, ammonisce l’economista italiano, se torneremo mai a una normalità  pre-coronavirus. Meglio prepararsi a un mondo in cui bisognerà  fare in modo che i colossali debiti accumulati in questa fase restino “buoni” e non si trasformino mai nel veleno che potrebbe distruggere l’ordine costituito – e la grande crisi economica e finanziaria del 2008 ci ha insegnato che ciò può avvenire molto rapidamente.
Finchè non si troverà  un rimedio all’epidemia dobbiamo adattarci; e “dalla politica economica ci si aspetta che non aggiunga incertezza a quella provocata dalla pandemia e dal cambiamento”. Di più – e Draghi echeggia la famosa esortazione rooseveltiana a non farsi attanagliare dalla paura: “finiremo per essere controllati dall’incertezza invece di essere noi a controllarla. Perderemmo la strada”.
L’ex allievo di Federico Caffè aveva già  paragonato la peste del nuovo secolo alle guerre mondiali in un articolo sul Financial Times uscito nelle settimane più virulente dei contagi, che aveva fatto discutere soprattutto per l’esortazione esplicita ai Paesi europei a indebitarsi senza timidezze.
Citando John Maynard Keynes e la sua grande lezione sulla necessità  di adattare il proprio pensiero alla realtà  che cambia, Draghi torna su quell’immagine e su quell’esortazione, distinguendo il debito “buono” da quello “cattivo”.
Sarà  “buono” se “sostenibile se utilizzato a fini produttivi ad esempio investimenti nel capitale umano, nelle infrastrutture cruciali per la produzione, nella ricerca”. Sarà  debito “cattivo” se utilizzato “per fini improduttivi”.
I bassi tassi di interesse “non sono di per sè una garanzia di sostenibilità : la percezione della qualità  del debito contratto è altrettanto importante. Quanto più questa percezione si deteriora tanto più incerto diviene in quadro di riferimento con effetti sull’occupazione, l’investimento e i consumi”.
Draghi consegna alla platea del Meeting un bilancio positivo degli accordi europei raggiunti nei mesi scorsi – anche se non senza qualche amarezza – ma avverte che le macerie della crisi rischiano di seppellire anzitutto i giovani.
Dopo gli smottamenti degli anni scorsi provocati dai rigurgiti populisti e anti-europei, ma anche da regole europee che avevano cominciato a mostrare la corda, l’ex governatore della Banca d’Italia sostiene che “dobbiamo pensare a riformare l’esistente senza abbandonare i principi generali che ci hanno guidati in questi anni”: la coesione europea, il multilateralismo nelle relazioni globali, l’adesione a un ordine giuridico mondiale. Quei cardini che ci hanno garantito un lunghissimo periodo di pace.
“Il futuro non è in una realtà  senza più punti di riferimento che porterebbe, come è successo in passato, si pensi agli anni Settanta del secolo scorso, a politiche erratiche e certamente meno efficaci, a minor sicurezza interna ed esterna, a maggiore disoccupazione, ma è nelle riforme anche profonde dell’esistente”.
Tuttavia, è anzitutto la traiettoria interrotta della scuola, dell’università , dell’istruzione e della formazione angosciano Draghi, l’economista che studiò negli Stati Uniti ed ebbe il privilegio di cinque premi Nobel come professori.
Anche perchè non è chiaro se il virus ci consentirà  mai di tornare a una vita normale, alla vita cui eravamo abituati prima dello scoppio della peste del nuovo secolo. “La situazione presente rende imperativo e urgente un massiccio investimento di intelligenza e risorse finanziarie” nell’istruzione, ammonisce.
Anche per una ragione morale: saranno i giovani a ereditare la nostra montagna di debiti, ereditata da decenni di scelte scriteriate, ingigantite dalla pandemia. “Per anni una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità  umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico: ciò non è più accettabile oggi. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza”.
Quanto al Recovery Fund e al Bilancio pluriennale, insomma agli importanti accordi raggiunti a luglio, Draghi non entra nel merito.
Ma osserva che se il negoziato ha rischiato di spaccare nuovamente il continente, l’Europa ne può uscire comunque “rafforzata”. E l’azione dei governi poggia “su un terreno reso solido dalla politica monetaria”.
Le decisioni prese di recente, secondo Draghi, “sono importanti e possono diventare il principio di un disegno che porterà  a un ministero del Tesoro comunitario”. Dopo decenni di prevalenza dell’intergovernativo, l’economista italiano vede la Commissione tornata “al centro dell’azione”.
Un sollievo, per Draghi: “non dobbiamo dimenticare le circostanze che sono state all’origine di questo passo avanti per l’Europa: la solidarietà  che sarebbe dovuta essere spontanea, è stata frutto di negoziati”. Ma è anche vero che il passo in avanti “dovrà  essere cementato dalla credibilità  delle politiche economiche”. Allora “non si potrà  più, come sostenuto da taluni, dire che i mutamenti avvenuti a causa della pandemia sono temporanei”.
La filosofia dei prossimi mesi e anni, secondo l’ex presidente della Bce, dovrà  essere improntata alla famosa preghiera di Reinhold Niebuhr a Dio, perchè gli desse “la serenità  per accettare le cose non può cambiare, il coraggio di cambiare quelle che può cambiare e la saggezza di capire la differenza”.

(da agenzie)

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E’ MORTO CESARE ROMITI, PROTAGONISTA DEL CAPITALISMO ITALIANO, DALLA FIAT ALLA CINA

Agosto 18th, 2020 Riccardo Fucile

IL BRACCIO DESTRO DI GIANNI AGNELLI AVEVA 97 ANNI… HA SEGNATO LA STORIA DEL LINGOTTO

Cesare Romiti è morto all’età  di 97 anni. La sua storia di protagonista del capitalismo italiano resterà  legata indissolubilmente ai 25 anni passati al Lingotto, dove arriva nel 1974 e che lascia nel 1998 dopo esserne stato amministratore delegato e presidente.
Nato a Roma il 24 giugno 1923, dopo la laurea in Scienze Economiche e Commerciali, entra a far parte, nel 1947, del Gruppo Bombrini Parodi Delfino, di cui divenne Direttore Generale. Nel 1968, a seguito della fusione BPD-Snia Viscosa, assume l’incarico di Direttore Generale Finanziario di Snia Viscosa.
Nel 1970 il suo ingresso in Alitalia come direttore generale ed amministratore delegato e, successivamente, nel 1973, passa ad Italstat con lo stesso incarico.
Nel 1974 entra in Fiat nel momento della crisi energetica, si dedica innanzitutto all’opera di risanamento finanziario, prosegue sviluppando la dimensione internazionale dell’azienda e rafforzando gli insediamenti produttivi in Italia.
È nel luglio 1980 quando Umberto Agnelli lascia gli incarichi operativi in Fiat che Romiti, che ha la fiducia di Cuccia, diventa amministratore delegato unico del gruppo.
Affronta uno scontro durissimo con i sindacati, Mirafiori è bloccata dai sindacati per oltre un mese. Il 14 ottobre 1980, dopo 35 giorni di scioperi, 40 mila quadri della Fiat scendono in piazza contro il sindacato.
Romiti, rimasto solo al comando di Fiat, arriva a un accordo che prevede una pesante riorganizzazione. Il 1980 è anche l’anno della Fiat Uno, lanciata in anteprima a Cape Canaveral.
Nel 1987 la Fiat ha un fatturato proiettato ai 40 mila miliardi di lire, secondo gruppo italiano dietro l’Iri. Il merito è anche di Vittorio Ghidella, il responsabile del settore auto. Diversi i modelli lanciati in questo periodo: Uno, Thema, Y10, Croma.
Nel 1989 gli utili netti toccano i 3.300 miliardi di lire, per l′85% dal settore auto. Poi arriva la Guerra del Golfo e anche l’attività  ne risente. “La festa è finita”, dirà  Gianni Agnelli
Nel 1998 da presidente lascia la Fiat dopo 24 anni ai vertici, con una buonuscita da 101,50 milioni lordi che lo impegnava a non rivelare segreti sugli affari del gruppo.
Dopo l’uscita dalla azienda degli Agnelli, Romiti è presidente di Rcs, dal 1998 al 2004, e della società  di costruzioni Impregilo, dal 2005 al 2007, presidente della Accademia di Belle Arti di Roma fino al luglio 2013.
Nel 2003 costituisce la Fondazione Italia-Cina, nella quale poi copre la carica di presidente onorario. Romiti ha la medaglia di Cavaliere del lavoro nel 1978, il titolo di cittadino onorario della Cina, il titolo di professore onorario dell’Università  Donghua di Shanghai e molti altri riconoscimenti.
Il 13 ottobre 2006 a Pechino la “Chinese People’s Association for Friendship with Foreign Countries” gli conferisce la cittadinanza onoraria della Repubblica Popolare Cinese per il suo impegno nel rafforzamento dei rapporti bilaterali sino-italiani.
Viene insignito dell’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine Nazionale della Legion d’Honneur francese. Il 7 ottobre 2010 è premiato dal primo ministro Wen Jiabao in occasione dell’Anno della cultura cinese in Italia.

(da “Huffingtonpost“)

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