Destra di Popolo.net

I RICERCATORI PREMIATI DA MATTARELLA PER AVER ISOLATO IL CEPPO COVID SONO ANCORA PRECARI

Novembre 29th, 2020 Riccardo Fucile

E IN DUE SI SONO PRESI PURE IL VIRUS… COME L’ITALIA RIPUDIA I SUOI FIGLI MIGLIORI

Abbiamo parlato con le tre virologhe ricevute al Quirinale, insieme a un collega e al capo del team, per l’importante scoperta scientifica. Sul lavoro la situazione è rimasta quella di prima
«Ce l’abbiamo fatta, ce l’abbiamo fatta». Le abbiamo lasciate così le tre ricercatrici del Sacco di Milano, Alessia Lai, Annalisa Bergna e Arianna Gabrieli mentre, insieme al collega Maciej Tarkowski e ai loro coordinatori, l’infettivologa Claudia Balotta (a capo del team) e il professor Gianguglielmo Zehender, festeggiavano il grande successo.
Quello di essere riuscite a isolare il ceppo italiano del Coronavirus. «Credetemi, è stato tutto incredibile, anche perchè ci aspettavamo solo qualche campione da analizzare e, invece, con l’esplosione della pandemia, siamo stati travolti. Avevamo riempito tutto il laboratorio. Così ci siamo messi al lavoro, per 13 ore al giorno, e non ci siamo mai fermati fino a quando non abbiamo raggiunto il risultato che speravamo», ci racconta Alessia Lai.
Un lavoro di squadra che ha dato un contributo rilevante alla lotta al Covid, specialmente nella ricerca di nuovi farmaci e vaccini. Per questo i giovani ricercatori sono stati premiati dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Eppure, premi a parte, la loro vita, a distanza di nove mesi, non è cambiata molto. Precari erano e precari sono. Per di più due di loro hanno anche contratto il Coronavirus.
Sognano l’indeterminato: hanno ancora contratti da 8 mesi o 3 anni
Arianna ha un contratto a tempo determinato di 8 mesi, con scadenza a febbraio 2021, come dirigente biologa al Sacco di Milano; Annalisa ha iniziato il suo dottorato che durerà  tre anni, dunque fino al 2023. Poi chissà . Alessia, anche lei, ha un contratto a tempo determinato da ricercatrice per tre anni a partire da luglio 2020; Maciej, invece, è un libero professionista con partita Iva. Di origini polacche, si è laureato presso la Facoltà  di Biologia e Scienze della Terra dell’Università  di Lodz. Ha lavorato all’Accademia polacca delle Scienze e dal 2007 si è trasferito in Italia.
Chi si aspettava che i quattro ricercatori fossero stati ricompensati, anche in termini economici e di carriera, purtroppo, dovrà  ricredersi. I diretti interessati, in realtà , non si aspettavano nulla. Sapevano che sarebbe andata così, ci raccontano, anche se qualcuno continua ancora a sperarci e non nasconde la delusione
«Impossibile crearsi una famiglia, c’è troppa incertezza»
«Dall’ospedale in cui lavoro mi aspetterei la stabilizzazione a tempo indeterminato o almeno un rinnovo, finiti gli otto mesi, del contratto a tempo determinato. Non vorrei più tornare ad essere una partita Iva senza ferie nè malattie nè contributi pagati», ci confida Arianna Gabrieli, 38 anni, che viene da Galatina, in provincia di Lecce. Costretta a lasciare la sua terra per cercare fortuna, ha prima studiato a Roma, laureandosi in Biotecnologie mediche, e poi si è trasferita a Milano. Al Sud, ci confida, «è impossibile fare questo lavoro».
Così come diventa difficile avere (e mantenere) una famiglia: «E come faccio? Non posso pensare a un matrimonio o a un figlio. Ho uno stipendio dignitoso ma sono precaria. Che ne sarà  di me tra alcuni mesi? Tornerò alla partita Iva?».
A salvarla da questo vortice di incertezza c’è la passione, quella che non è mai stata “precaria” nella sua vita: «Devo tutto alla mia insegnante di Scienze naturali del liceo. Lì ho capito cosa avrei fatto da grande, scoprendo la passione per la biologia. Poi, infatti, ho deciso di restare qui, nel mio Paese, senza mai pensare di andare all’estero, perchè credo nella ricerca in Italia, anche se poco finanziata».
«Non ci aspettavamo nulla, sogno di diventare prof»
«Non mi aspettavo nulla in realtà , ero certa che sarebbe andata così. Nei prossimi anni vorrei ottenere un contratto che mi dia quanto meno la certezza di intraprendere la carriera accademica visto che, al momento, non ho una prospettiva certa», dice Alessia Lai, 41 anni, partita Iva, come il collega Maciej.
Da 15 anni al Sacco, si è avvicinata alla ricerca scientifica già  alle superiori quando ha capito di voler fare virologia. Da lì gli studi in Biologia alla Statale di Milano, poi l’internato di ricerca e infine il dottorato. Si è occupata di HIV ed è sempre stata affascinata dal fatto che «agenti così piccoli potessero fare danni così grandi». E con il Covid ne ha avuto la prova. «Mai nella mia vita mi sarei aspettata una cosa del genere, mai», ci dice
Ma non è stato tutto rose e fiori. Anzi. Tra un contratto a termine e l’altro — perchè così lavorano i ricercatori in Italia — ha fatto la supplente in un istituto superiore a Rho. Ha insegnato Scienze della terra e Biologia, per 4 mesi. Le era stato proposto anche di «andare all’estero con un dottorato» ma ha rinunciato perchè molto legata alla sua Parabiago, dove ancora vive. «Con fatica sono arrivata dove volevo, certo ora manca solo la ciliegina sulla torta. Diventare professoressa associata del mio ateneo a cui ormai sono affezionata», ammette.
«L’amore per la biologia nasce a 13 anni»
La più giovane di tutte, Annalisa Bergna, 30 anni, si dice «soddisfatta del suo dottorato», questo è «il percorso che sognava» ed è ancora emozionata per il giorno in cui ha conosciuto Mattarella: «Una giornata quasi surreale, bellissima». Ama lo sport — soprattutto la pallavolo che, però, «non pratica da tre anni» — e anche lei è sempre stata precaria: per sua fortuna non è dovuta emigrare altrove, essendo originaria di Paderno Dugnano, nel Milanese, dove vive con il suo compagno.
Laureatasi nel 2016 in Biologia alla Bicocca di Milano ha svolto un anno di tirocinio al Sacco dove poi è rimasta: «Mai pensato di andare all’estero. Certo, se fosse andata diversamente, un pensierino l’avrei fatto. Ma sono stata fortunata». Un amore, quello per la biologia, che nasce addirittura a 13 anni quando, con grande coraggio, ha scelto l’istituto tecnico biologico anzichè il liceo come le sue amiche.
Due di loro hanno preso il Covid
Due di loro, intanto, hanno preso il Covid: stanno bene e lavorano da casa, nel limite del possibile. Tutti gli altri, invece, sono stati sottoposti continuamente a test antigenici e test sierologici («anche quotidianamente», ci dicono) e, almeno fino ad ora, l’hanno scampata. «Sempre negativi». La paura è stata tanta. Ora, però, resta l’amaro in bocca.
I quattro ricercatori, infatti, hanno lavorato 13 ore al giorno senza conoscere pause, si sono allontanati dalle loro famiglie per non metterle in pericolo, poi hanno isolato il ceppo del Coronavirus, sono finiti su tutte le prime pagine dei giornali e, infine, sono stati premiati al Quirinale.
Il risultato? Oltre ad essersi beccati il Covid, i loro contratti sono rimasti quelli di prima. Una vita da precari, sempre e comunque.

(da Open)

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LO SCONCIO DI CHI MANDA LO SFRATTO ALL’HOTEL COVID AL CENTRO DI MILANO, “MINACCIA PER IL QUARTIERE”

Novembre 29th, 2020 Riccardo Fucile

LA SOCIETA’ PROPRIETARIA DELL’IMMOBILE MANDA LA DIFFIDA AI GESTORI DELL’HOTEL CHE SI ERA MESSO A DISPOSIZIONE DEI CITTADINI

L’immobiliare proprietaria dello stabile in cui risiede il King Mokinba Hotel, la Denas srl, rappresentata dal legale Pietro Longhini, ha diffidato i gestori, che hanno ricevuto lo sfratto.
Il provvedimento perchè l’hotel, secondo gli accordi presi con l’Ats e la regione Lombardia, avrebbe a breve dovuto entrare far parte della rete di alberghi adibiti all’accoglienza dei pazienti Covid.
Si tratta di strutture alberghiere che, in difficoltà  per la mancanza di turisti, possono risollevarsi e allo stesso tempo aiutare la comunità , accogliendo i positivi in isolamento monitorati dai medici, che non possono terminare il loro percorso di quarantena e guarigione all’interno della propria abitazione.
Ma la società  non c’è stata, dando come motivazione nella mail inviata al direttore Ats e all’assessore regionale alla Sanità  il fatto che l’hotel è “adiacente ad altre attività  che ne risentirebbero negativamente”.
“Positivi minaccia per il quartiere”
A pubblicare la notizia Il Corriere della sera, che racconta di come nella tarda mattinata di giovedì 26 novembre è arrivata la comunicazione da parte del legale della società  dopo aver appreso che nei giorni scorsi l’Ats stava per chiudere un accordo che riguardava il palazzo di corso Magenta 19, nel cuore di Milano.
Nella mail, che è una diffida, si legge: “Qualsiasi operazione di trasformazione in Covid hotel deve essere immediatamente interrotta e non proseguita, perchè l’albergo si trova in diretta adiacenza ad altre attività  e immobili residenziali che potranno risentire negativamente della presenza di soggetti ad alto rischio contagio, ovvero portatori di malattia”.
Alla base della motivazione dell’immediato sfratto ci sarebbe una rata d’affitto non pagata, che avrebbe provocato l’immediata disdetta del contratto d’affitto dell’a struttura, ma che risulta già  saldata.

(da Fanpage)

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“I NEGAZIONISTI SI SCUSANO DOPO ESSERE STATI CURATI”

Novembre 29th, 2020 Riccardo Fucile

IL DIRETTORE DELLA TERAPIA INTENSIVA DEL GEMELLI: “I NOSTRI MORTI MERITANO RISPETTO, CHE SENSO AVREBBE UN NATALE COME SE NIENTE FOSSE?”

In un’intervista al Corriere della Sera Massimo Antonelli, direttore della terapia intensiva del Policlinico Gemelli, componente del Cts, racconta la sua esperienza diretta con l’emergenza COVID, e il rischio di una terza ondata
Cosa le ha insegnato questa esperienza?
«Tanto. Un’esperienza unica dal punto di vista professionale e delle emozioni. È duro, durissimo veder morire persone che hai sperato ce l’avrebbero fatta e che invece, dopo settimane di sforzi, ci lasciano. È frustrante perchè alla fatica psicologica si aggiunge quella fisica. Lavorare con addosso quella bardatura, il sudore, le ferite sul volto lasciate dalla maschera, le mani incapsulate in due paia di guanti. La frustrazione più grande però è un’altra».
Quale?
«Non poter essere visto da chi ci guarda dal letto, ed è solo. Dover comunicare soltanto con gli occhi. È toccante infine dover parlare al telefono con i familiari, ogni tanto in videochiamata. Si aggrappano alle nostre poche parole».
E quindi massimo rigore.
«I nostri morti meritano rispetto. Che senso avrebbe un Natale come se niente fosse o andare sulla neve? Tante persone tendono a porre l’accento sugli aspetti economici e le difficoltà  degli esercizi commerciali. Comprendo. Tante altre invece perdono inconsciamente la percezione di una situazione drammatica».
Negazionisti, ne esistono ancora?
«Ne abbiamo curati tanti al Gemelli. Una volta fuori, si sono scusati. Professore, le prometto che farò di tutto per aiutarvi».
È d’accordo quindi con le restrizioni.
«E come non potrei? I numeri parlano. Oltre alla mortalità , l’incidenza dei nuovi casi resta alta, siamo oltre 320 su 100 mila abitanti. Alcune regioni superano i 700-800 casi al giorno. È vero la curva rallenta, l’Rt è sceso sotto l’unità . Però…».
Però?
«Allentare significa andare incontro a una terza ondata. Non è un rischio. È una certezza. Allentare per cosa, poi? Capisco per riaprire le scuole, in questo caso il rischio sarebbe accettabile perchè parliamo di un bene superiore.

(da agenzie)

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IL MEDICO DI FAMIGLIA: “GETTATO IN PRIMA LINEA SENZA PROTEZIONI, ORA SONO IN FIN DI VITA”

Novembre 29th, 2020 Riccardo Fucile

FORSE SI E’ INFETTATO FACENDO I TEST RAPIDI AGLI ASSISTITI

“Caro presidente Conte, sono un medico di famiglia e, come tanti altri contagiati, sono ricoverato in terapia semintensiva con una polmonite bilaterale. Io non so se rivedrò mia moglie e i miei figli e ora, da questo letto, mi sento di dirle che lei dovrebbe rimuovere chi non è stato all’altezza della situazione”.
Il testamento di un medico di base è un appello al premier Giuseppe Conte. Domenico Minasola, 59 anni, di Padova, usa la forza delle immagini per fare arrivare a destinazione le sue parole: gira la telecamera del suo smartphone e si riprende con il respiratore.
“Sono uno dei tanti medici vittima del servizio, mi hanno sempre insegnato a rispettare le istituzioni, ma sono indignato dal comportamento dei suoi comitati e dei commissari che si sono fatti trovare impreparati in questa seconda ondata di pandemia”.
Minasola è ricoverato in ospedale da martedì mattina, da quando le sue condizioni sono peggiorate. Veniva da giorni di lavoro intenso durante i quali, oltre alla normale attività , ha dovuto effettuare anche un grande numero di tamponi. È proprio nel contesto lavorativo che, probabilmente, ha contratto il virus.
“I suoi collaboratori non hanno capito che gli studi dei medici di famiglia sono diventati ambulatori Covid. E come tali andavano protetti con procedure e indicazioni di sicurezza che non sono mai arrivate”.
Il medico cinquantanovenne ha uno studio in zona Sacro Cuore, un quartiere popoloso e multietnico di Padova. “Avrebbero dovuto vestirci con tute e scafandro e non solo con mascherine e camici”, si sfoga dal letto d’ospedale, comunicando esclusivamente con i messaggi Whatsapp, nei momenti in cui le forze glielo consentono.
“Ci voleva organizzazione da parte del ministero della Salute e del comitato tecnico scientifico, che doveva darci disposizioni precise di protezione individuale e non solo imporre nuove misure verso i nostri assistiti”.
Anche lui, come tanti altri colleghi, si è dovuto organizzare per fare i test antigenici, come conseguenza dell’accordo sindacale firmato a livello nazionale e ripreso da un’ordinanza della Regione Veneto. Gli spazi interni erano inadeguati e allora si è inventato una specie di drive-in esterno.
Si è parlato spesso della medicina di territorio come di un fattore strategico nella lotta alla pandemia, per evitare di gravare troppo sugli ospedali.
“Condivido la strategia – dice Minasola – Ma con protezione, istruzione e sanificazioni degli ambulatori, che invece abbiamo sempre dovuto organizzare noi. Perchè devo rischiare la mia vita, quando c’è chi passa le giornate a commentare l’indice Rt? Nessuno si è ancora reso conto di cosa sta accadendo alla medicina territoriale”. Minasola fa il medico da 35 anni e giura di non essersene mai pentito una sola volta, nemmeno ora che le acque si sono fatte burrascose. “Io mi rivolgo a Conte, mi aspetto la sua vicinanza e, soprattutto, che agisca subito: se c’è da migliorare qualcosa bisogna farlo adesso. Questa è una battaglia che dobbiamo vincere e affrontare insieme”.

(da agenzie)

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L’IMMAGINE DEGLI INFERMIERI DELLA TERAPIA INTENSIVA CON UNA FOTO DEL VISO SORRIDENTE ATTACCATA AL PETTO

Novembre 29th, 2020 Riccardo Fucile

L’INIZIATIVA DEL PERSONALE SANITARIO DELL’OSPEDALE SANTO STEFANO DI PRATO

Non possono vedere il nostro viso sorridente coperto dai caschi, glielo mostriamo con una foto sul petto.
Questo il pensiero del gruppo di infermieri terapia intensiva dell’ospedale Santo Stefano di Prato che hanno scelto di mostrare ognuno il proprio volto sorridente anche attraverso le tute e i caschi con cui si bardano per proteggersi dal Covid.
Il solo modo per farlo era prendere una propria foto sorridente con la divisa da infermieri e appuntarsela al petto per quei pazienti che si ritrovano soli ricoverati in terapia intensiva a causa del coronavirus.
Tutti quanti raggruppati con le loro divise da infermieri in prima linea contro il Covid, sorridono attraverso le fotografie che si sono appuntato al petto.
La bellissima immagine che ci racconta della vita in trincea e della precisa intenzione di far stare bene i malati, fosse anche con la fotografia di un sorriso, è stata apprezzata moltissimo sul web e celebrata anche dal presidente della regione Toscana Eugenio Giani.
Il presidente della Regione Toscana ha scelto di omaggiare gli infermieri della terapia intensiva dell’ospedale Santo Stefano di Prato che ogni giorno curano e stanno accanto a chi è malato di Covid: «Hanno dovuto coprire ogni parte del loro corpo per proteggerci dal Covid-19. In quegli occhi si celano identità  di donne e uomini che hanno sacrificato parte della vita per dedicarsi interamente alla loro missione: donarsi all’altro per aiutarlo a salvarsi. Grazie ragazze e ragazzi, non mi stancherò mai di dirlo!».
La foto è stata accolta con molto calore in Toscana, che rimarrà  in zona rossa fino al 4 dicembre.

(da agenzie)

argomento: emergenza | Commenta »

IL NEO-COMMISSARIO DELLA SANITA’ IN CALABRIA: “IO COME SAN TOMMASO? SONO PEGGIO. CI SARA’ DA LAVORARE, MA NON HO PAURA”

Novembre 29th, 2020 Riccardo Fucile

IL NEO COMMISSARIO LONGO: “SONO SEMPRE ANDATO DOVE LO STATO MI HA CHIESTO DI ANDARE”

«Sono un tipo puntiglioso, nei prossimi giorni voglio toccare con mano, vedere con i miei occhi qual è la situazione. È il mio metodo di lavoro. Io come San Tommaso? Sono peggio».
A parlare è Guido Longo, neo commissario alla Sanità  in Calabria, incaricato il 27 novembre dal governo Conte di prendere possesso di quella poltrona che, nelle ultime settimane, è stata al centro di clamorosi scivoloni, veti incrociati e rumorose rinunce. «Dopo aver ricevuto la proposta dal ministro dell’Interno (Luciana Lamorgese, ndr) d’accordo con il premier Conte, ho subito accettato», racconta Longo in un’intervista al Corriere della Sera.
L’incarico è gravoso, ma — continua Longo — «io non ho paura, non l’ho mai avuta nella mia vita di uomo delle istituzioni e sono sempre andato là  dove lo Stato mi ha chiesto di andare. Sarà  così anche questa volta».
«In Calabria c’è la ‘ndrangheta, è vero», dice il neo commissario. «Ma ci sono anche tanti, tantissimi calabresi per bene, probi, che lavorano e hanno voglia di lavorare. Insieme a loro sono convinto che potremo provare a risollevare la sanità  regionale, io di sicuro farò la mia parte, ognuno dovrà  fare la propria»
«L’ospedale di Vibo? Era il mio pallino, ora sono tornato»
Longo, 68 anni, un passato da questore a Reggio Calabria, Caserta e Palermo sa che «ci sarà  molto da lavorare, non c’è dubbio. Però da prefetto di Vibo Valentia ricordo che convocai un tavolo tecnico per dare il via alla costruzione del nuovo ospedale, di cui la città  aveva un gran bisogno. Era un mio pallino, il nuovo ospedale di Vibo».
L’opera non fu mai completata: «Nel 2018 andai in pensione», dice Longo. «Ma ora sono tornato».

(da agenzie)

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SPACCATURA AL CONGRESSO DELLA AFD IN GERMANIA

Novembre 29th, 2020 Riccardo Fucile

MODERATI E NEONAZISTI ALLA RESA DEI CONTI

“Portiamo le mascherine solo perchè dobbiamo”. È questa frase lapidaria a segnare la prima parte del Congresso dell’estrema destra tedesca. Un Congresso svolto nonostante la pandemia. Seicento delegati più un centinaio di altre persone si sono ritrovate nella città  di Kalkar, piccolo centro al confine con l’Olanda, in un impianto di energia nucleare realizzato nel 1985 ma mai entrato in funzione ed oggi riconvertito in un parco con annesso un centro fieristico.
La scelta di svolgere il Congresso in presenza, diversamente da quanto fatto dai Verdi che l’hanno tenuto online o dalla Cdu che l’ha rimandato al 2021, ha dominato il dibattito mediatico tedesco. Eppure la decisione non avrebbe dovuto sorprendere considerato che AfD ritiene che le misure di contrasto alla pandemia siano eccessive, inutili e inaccettabili.
All’ordine del giorno del partito c’erano due questioni. La prima era l’elezione di due membri del consiglio di presidenza dopo le dimissioni del tesoriere (Klaus Fohrmann) e l’espulsione del neonazista Andreas Kalbitz. I nuovi membri (il tesoriere Carsten Hà¼ttere e Jaona Cotar), entrambi esponenti della corrente moderata, sono stati eletti con una maggioranza risicatissima. La seconda questione all’ordine del giorno era la votazione di una proposta in ambito sociale con una proposta di riforma del sistema pensionistico. Un argomento già  concordato nel partito nei primi mesi di quest’anno e puntualmente votato.
La sfida del presidente
Come spesso accade nei veri Congressi di partito, non sono mancate le sorprese. Il presidente del partito, Jà¶rg Meuthen, ha sorpreso tutti con un discorso durissimo. Si è trattato di una chiamata all’ordine e alla disciplina di partito che è sfociata in un regolamento di conti interno.
“Non otterremo più successo diventando più aggressivi, più grossolani, più disinibiti. Non si può andare avanti”. Parole rivolte alle frange più estreme del partito che manifestano con movimenti antidemocratici, negazionisti e cospirazionisti. Meuthen ha ridicolizzato i compagni di partito che sostengono vi sia una dittatura del Covid-19 (“Se ci fosse veramente una dittatura non saremmo qui a svolgere il nostro Congresso”) e attaccato chi ha paragonato la recente legge sulle infezioni votata dal Parlamento con la legge dei pieni poteri con cui Adolf Hitler instaurò la dittatura (“una banalizzazione implicita della barbarie nazista”).
Con il suo discorso il presidente di AfD ha lanciato la sua sfida per l’immediato futuro: fare di AfD un partito conservatore nazionale, borghese, antieuropeista ma democratico e rispettoso delle regole istituzionali. Ha posto una questione esistenziale: “Cosa vogliamo essere?” A meno di un anno dalle elezioni, secondo Meuthen, se AfD non si dà  un profilo credibile verrà  spazzata via e il consenso diminuirà  drasticamente. Le elezioni saranno tra meno di un anno, il 26 settembre 2021.
Le parole di Meuthen, che hanno suscitato pochi applausi e qualche piccola protesta, erano rivolte anche ad Alexander Gauland e ad Alice Weidel, due pezzi da novanta che con il loro linguaggio radicale e violento strizzano l’occhio ai movimenti di protesta. Entrambi non l’hanno preso bene: il primo lo ha considerato un discorso divisivo e fuori luogo e la seconda una diffamazione dei movimenti di protesta con cui AfD manifesta contro le misure di contenimento alla pandemia.
Meuthen non è il primo a cercare di trasformare AfD da partito di protesta che cavalca il malcontento sociale e politico in un partito conservatore moderno. Prima di lui ci aveva provato Bern Lucke che dovette uscire dal partito e successivamente Frauke Petri che dovette subire un umiliante Congresso in cui venne duramente criticata. Dopo le elezioni del 2017 ha abbandonato il partito.
Durante il Congresso si è aperta la questione della leadership che, tuttavia, dopo un lungo dibattito e qualche tensione si è deciso di posticipare senza che ci fosse una votazione su Meuthen.
Il tentativo del presidente è significativo perchè mostra che AfD ha effettivamente intrapreso una deriva estremista preoccupante tanto che sezioni regionali del partito sono già  sotto osservazione da parte dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione (Verfassungsschutz) e presto potrebbe esserlo tutto il partito. In questo senso il presidente onorario Gauland, prima di lasciare il Congresso in ambulanza per un malore improvviso, ha addirittura affermato che AfD deve lottare contro l’Ufficio federale per la Protezione della Costituzione perchè c’è troppa sottomissione nei confronti del suo ruolo.
Un lezione per l’Italia
Il Congresso di AfD è anche un avviso e un monito alla destra italiana che sin dall’inizio ha dialogato con l’estrema destra tedesca ed è a sua volta lacerata dalla competizione tra Meloni, Salvini e Berlusconi, che ormai incarnano tre destre diverse e che oscillano tra naturale inclinazione alla polarizzazione e alla violenza verbale e un oramai lontano senso di responsabilità  istituzionale. È certamente troppo presto per dire che il sovranismo populista degli ultimi anni si stia scontrando con i propri stessi limiti, ma il Congresso di AfD e la frattura interna mostrano che si è aperto un fronte di conflitto interno.

(da “Huffingtonpost”)

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TRUMP LE PERDE TUTTE: LA CORTE SUPREMA DELLA PENNSYLVANIA RESPINGE IL SUO RICORSO

Novembre 29th, 2020 Riccardo Fucile

FALLITO IL TENTATIVO DI FERMARE LA CERTIFICAZIONE DEI RISULTATI DELLE ELEZIONI PRESIDENZIALI CHE DANNO LA VITTORIA A BIDEN

Le perde tutte: schiaffo a Donald Trump anche dalla Corte suprema dello stato della Pennsylvania, che ha respinto il ricorso dei repubblicani volto a fermare la certificazione dei risultati delle elezioni presidenziali che danno la vittoria a Joe Biden
Settimana decisiva – intanto – per il futuro governo di Biden.
Ufficializzato il team che si occuperà  di politica estera e sicurezza, il presidente eletto degli Stati Uniti è pronto ad annunciare nei prossimi giorni la sua squadra economica, indicando chi alla Casa Bianca e nell’esecutivo affiancherà  l’azione del segretario al Tesoro Janet Yellen.
Restano invece ancora da sciogliere i nodi della Giustizia, del Pentagono e della Cia. Mentre è in arrivo uno ‘zar del Covid’ che avrà  il compito di coordinare e supervisionare la lotta alla pandemia, compresa la sfida della distribuzione del vaccino.
L’obiettivo è avere un quadro il più completo possibile delle nomine per il 14 dicembre, giorno in cui il collegio dei grandi elettori voterà  formalmente l’elezione del nuovo presidente.
Così mentre Donald Trump nella sua prima uscita da Washington dopo le elezioni si è riunito con la famiglia a Camp David per passare il weekend del Thanksgiving, Biden nella sua dimora di Wilmington è alle prese con decine di telefonate e di collegamenti via Zoom, nel tentativo di mettere ogni casella al suo posto.
Compito tutt’altro che facile, dovendo fare i conti con le pressioni dell’ala progressista dei democratici e con la necessità  di rispettare il suo impegno di un governo che sia “lo specchio dell’America”, con una presenza senza precedenti di donne ed esponenti delle minoranze afroamericana e ispanica.

(da agenzie)

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L’ESERCITO DELLA SALVEZZA: PER IL RECOVERY FUND REGIA A TRE, 6 MANAGER E UNA MAXI TASK FORCE

Novembre 28th, 2020 Riccardo Fucile

UNA SQUADRA DI OLTRE 300 PERSONE CON LA TESTA POLITICA CHIGI-MEF-MISE

Una nuova maxi task force, un Comitato interministeriale affari europei, un organo politico, un comitato esecutivo costituito da sei manager.
Ecco la gigantesca macchina che gestirà  nei prossimi mesi i 209 miliardi in arrivo dall’Europa per attuare un piano di ripresa, il Recovery Fund.
Si è discusso di questo durante l’incontro a Palazzo Chigi tra il premier Conte e due rappresentanti per ogni partito di maggioranza.
Presenti anche i ministri dell’Economia Roberto Gualtieri (Pd), degli Affari europei Enzo Amendola (Pd) e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro (M5S). Durante il vertice non sono mancati momenti di tensione sul Meccanismo europeo di stabilità , con il Movimento 5 Stelle profondamente contrario al suo utilizzo in ambito sanitario.
Intanto prende forma una struttura che vede un organo politico e un organo tecnico-esecutivo. L’organo politico ruota attorno al Ciae, il Comitato interministeriale per gli affari europei, guidato dal ministro Amendola (delegato ai rapporti con Bruxelles) e ha come figure di riferimento il premier Conte e i ministri Gualtieri (Economia) e Patuanelli (Sviluppo economico).
L’organo tecnico avrà  un comitato esecutivo costituito da 6 manager, responsabili degli obiettivi del Recovery Fund, anche con poteri sostitutivi rispetto ai soggetti attuatori, coadiuvati da una task force di 300 persone.
Durante l’incontro, come si è detto, si è discusso anche del tema più spinoso, quello del Mes su cui le posizioni all’interno della maggioranza sono diverse.
Secondo alcuni retroscena il M5S avrebbe proposto di scrivere una risoluzione di maggioranza che specifichi il fatto che l’Italia non farà  ricorso al Mes sanitario. “La nostra linea è che la riforma del Mes si discute in Parlamento e, comunque, va messo nero su bianco che non si userà ”, fanno sapere all’Adnkronos fonti di governo pentastellate.
“Ma come si fa, nel pieno della seconda ondata a rifiutare i miliardi del Mes? Questo è uno scambio inaccettabile”, avrebbe replicato durante la riunione Luigi Marattin, di Italia Viva. Sulla stessa linea di rappresentanti del Pd.
Poco più tardi fonti di governo chiariscono che la firma della riforma del Mes all’Eurogruppo di lunedì è una questione distinta e non ha nulla a che fare con il ricorso al Mes o al Mes sanitario.
Sarebbe stato questo il punto ribadito dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri nel corso della riunione.
Una riunione preliminare in vista dell’audizione del titolare del Mef in programma per lunedì mattina, che non si concluderà  nè con risoluzioni nè con voti.
Gualtieri, sempre a quanto s’apprende, ha spiegato quanto la riforma sia migliorativa rispetto a quella già  trattata dal primo Governo Conte e come non sia possibile procedere ponendo veti sugli strumenti messi in campo dall’Europa, come fa il premier ungherese Orban, strumenti positivi per il nostro Paese e che tutti i nostri alleati caldeggiano.
La riforma era stata concordata a livello di Eurogruppo nel dicembre del 2018 e prevede tra le altre cose la possibilità  che il Mes agisca come backstop (supporto al Fondo di risoluzione unico) nelle crisi bancarie.
La risoluzione di maggioranza dell’11 dicembre 2019 poneva come condizioni per la sottoscrizione della riforma, l’esigenza che essa fosse collocata in un pacchetto più ampio di riforme economiche europee e venissero esclusi ogni ponderazione del trattamento prudenziale dei titoli di stato e ogni ristrutturazione automatica del debito. Su questi ultimi due punti nelle settimane successive l’Italia aveva ottenuto le necessarie garanzie, poi con la decisione di varare il programma Next Generation EU il governo si dice soddisfatto.
Ed è per questo che vuole andare avanti con la riforma perchè bloccare l’accordo, fortemente sostenuto da tutti gli altri paesi dell’area euro e in particolare da quelli a noi più vicini come Francia, Spagna e Portogallo, apparire controproducente agli occhi dell’esecutivo.

(da “Huffingtonpost”)

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