Marzo 11th, 2021 Riccardo Fucile
CHI SONO ALLORA I CONNIVENTI CON I PAESI FONDAMENTALISTI ISLAMICI?
Giorgia Meloni sostiene che la sinistra (non Renzi) è responsabile di connivenza con gli stati fondamentalisti islamici. Questo nell’ambito della sua campagna xenofoba che punta sulla islamofobia per alimentare l’equazione immigrazione uguale fondamentalismo islamico ergo sinistra che tace.
«È terrificante quanto emerge da questo servizio de Le Iene sul principe bin Salman e l’omicidio del giornalista Khashoggi. Invito tutti voi a guardarlo e farlo girare. Magari la sinistra italiana e tutti coloro che hanno sempre taciuto sugli Stati fondamentalisti islamici, dal Qatar all’Arabia Saudita, finalmente si sveglieranno».
A Giorgia Meloni si può ben dire che non c’è bisogno delle Iene: dovrebbe ricordare che gli affari con questi paesi ‘fondamentalisti islamici’ venivano fatti allegramente dal governo del quale lei aveva fatto parte.
Cosa diceva Palazzo Chigi nel 2009
Basta riprendere un articolo basato su un comunicato di palazzo Chigi nel 2009 quando la signora era ministra della gioventù e non sembrava così contraria a fare affari con quei due paesi.
Diceva l’articolo del novembre 2009: “Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è giunto ieri sera a Jeddah, una delle principali città dell’Arabia Saudita, per una visita di due giorni. Il premier si tratterrà fino a domenica, quando partirà alla volta di Doha, capitale del Qatar, per la seconda tappa di questo breve tour nei paesi arabi che – spiegano da palazzo Chigi – mira principalmente a rafforzare quella «diplomazia commerciale» a favore delle imprese italiane su cui il governo Berlusconi punta molto. A Jeddah Berlusconi incontrerà stasera a cena a palazzo Reale il sovrano saudita Adbullah, mentre in giornata incontrerà il ministro della Finanza saudita, Ibrahim al Assaf e poi il principe Naif bin Abdul Aziz, secondo vice primo ministro e ministro degli Interni. Berlusconi sarà accolto a Jeddah dal governatore della Mecca, il principe Khaled Al Faisal e dall’Ambasciatore d’Italia a Riad Eugenio D’Auria. La visita ha come principale obiettivo quello di rafforzare le relazioni economiche bilaterali, con un Paese che – oltre ad essere il più grande produttore di petrolio – offre «straordinarie opportunità » per le imprese italiane.
Ma l’Arabia Saudita, spiegano ancora da palazzo Chigi, è anche un Paese centrale nello scacchiere mediorientale e importante per la stabilità di diverse aree di interesse italiano: Riad ha peso politico nel conflitto israelo-palestinese, in Libano, in Afghanistan e in Iraq ed è dunque «strategica per la sicurezza e la stabilità » dell’intera regione.
Da Jeddah Berlusconi si sposterà , domenica 22, in Qatar. Paese decisamente più piccolo, ma che per palazzo Chigi rappresenta una realtà economica nuova, molto attiva e dinamica, che offre grandi opportunità soprattutto alle piccole e medie imprese italiane, e principalmente nel settore infrastrutturale.
Con Doha c’è anche un’importante partnership economica, testimoniata dalla presenza dell’emiro Sheik Hamad Bin Khalifa Al Thani all’inaugurazione del rigassificatore di Rovigo. Con l’emiro Berlusconi avrà un colloquio nella giornata di lunedì 23, a distanza di pochi giorni dal bilaterale avuto a palazzo Chigi in occasione del vertice della Fao”.
Cosa accadeva quando Meloni taceva
Nel 2009 l’Arabia Saudita non aveva ancora ucciso Khashoggi ma era sotto accusa per i suoi rapporti con il fondamentalismo islamico e la presenza di tanti sauditi finanziati da organizzazioni caritatevoli in Al Qaeda.
Nel 2009 l’Arabia Saudita era come sempre e come ora una monarchia assoluta nella quale non si rispettavano i diritti civili e delle donne e il dissenso veniva represso.
Nel 2009 l’Arabia Saudita finanziava molte scuole coraniche.
Giorgia Meloni, ministra della gioventù, cosa fece per opporsi a quel viaggio? Cosa fecero i suoi amici di partito?
(da Globalist)
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Marzo 11th, 2021 Riccardo Fucile
TRA POCHE ORE SCIOGLIERA’ LA RISERVA
Agibilità politica e un orizzonte abbastanza lungo per cambiare davvero le cose. Ovvero: confronto
interno anche duro ma basta con le logiche correntizie esasperate, e congresso (per la leadership) a tempo debito.
Le quarantott’ore di riflessione che Enrico Letta si è preso per decidere se accettare la segreteria del Pd scadono venerdì mattina.
Ma queste sono le due condizioni “strategiche” già veicolate al gruppo dirigente del Pd, in vista dell’assemblea di domenica. Dove si va verso un sì praticamente unitario: compresa Base Riformista, la corrente di Lorenzo Guerini e Luca Lotti, e probabilmente i Giovani Turchi di Matteo Orfini, oggi fuori dagli organismi dirigenziali.
Esce di scena l’ipotesi di una candidatura femminile — Debora Serracchiani ringrazia le sponsor, ma promuove Letta nel nome dell’”unità ” – mentre la Conferenza delle Donne Dem che si riunisce stasera chiederà che si prosegua nel solco della battaglia per la parità di genere nel partito, con però fiducia nella storia e nella personalità dell’ex premier. Titti Di Salvo: “Saprà raccogliere i temi che abbiamo lanciato”.
Letta è sbarcato a Roma nel primo pomeriggio con un volo da Parigi. Oltre a partecipare a due web-seminari (uno organizzato dall’Arel), si è sentito con Dario Franceschini, principale regista dell’iniziativa di “richiamare in servizio” l’ex premier, con Andrea Orlando, e nelle prossime ore si sentirà con Lorenzo Guerini.
Il ministro della Difesa riunirà i suoi domani pomeriggio, Orfini “fiduciosamente” sabato mattina. Ma al netto di alcuni punti ancora da chiarire prende forma l’intesa complessiva che l’assise dei mille domenica sarà chiamata a votare — telematicamente e rapidamente, senza gran discussione in quanto “seggio elettorale — per insediare il nuovo leader del partito.
La realtà è che lo spartiacque è stato l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi, con la cui “agenda” – europeista, atlantista, ambientalista – Letta è considerato in piena sintonia. Argomento a cui sono sensibili tanto i componenti della squadra Dem di governo, quando il Quirinale.
Dove è molto probabile che lo scioglimento della riserva in senso favorevole sarebbe accolto con sollievo, laddove le dimissioni ex abrupto di Zingaretti avevano suscitato un certo sconcerto.
Sullo sfondo, resta l’irritazione (e la preoccupazione) di quelli che vengono considerati “ex renziani”, come ha dimostrato il battibecco tra l’orlandiano Emanuele Felice e Andrea Romano (che comunque individua in Letta “una figura di indiscutibile autorevolezza e prestigio”). Con l’auspicio che l’ex premier nel suo intervento sigli la “tregua” su questo fronte, con maggior successo di quanto avesse fatto Nicola Zingaretti.
Intanto, il secondo ha scritto al primo una lettera aperta: “Pd centrale da due anni, ma sono tornati i soliti rumori di sottofondo… nessuna proposta politica alternativa, ma un lungo e strisciante lavorio distruttivo… rischiavamo di implodere. Non si poteva andare avanti così”. Ora, scrive il governatore del Lazio, serve un “congresso politico” e un’”assunzione di responsabilità ”: “Enrico soluzione più forte e autorevole per prendere il testimone, la sua forza e autorevolezza sono le migliori garanzie per il rilancio di un Pd con profilo adeguato e competitivo”.
Da parte sua, Letta conosce bene il terreno in cui accinge a muoversi nè sottovaluta le difficoltà . Da un lato ci sono “il Pd nel cuore” e i tanti messaggi di incoraggiamento. Dall’altro, “un’altro mestiere e un’altra vita”: la School of International Affairs di SciencesPo che sotto la sua guida è passata da tredicesima a seconda nel mondo, dopo Harvard.
Ma anche la possibilità di altre cariche internazionali e le controindicazioni del terremotare una quotidianità — stavolta sì — serena.
Non ha nascosto le perplessità ai vari interlocutori: quella che gli chiedono è una sfida difficilissima, che ruota intorno alla stessa sopravvivenza del Pd ma anche del Paese. Il partito perno del governo non può essere “in frantumi” nè “balcanizzato” nella rissa perpetua tra correnti.
Ecco il punto dell’agibilità politica: bisogna fermare le antiche faide, le vecchie ruggini tra ex contrapposti. Se i big non sono disposti — è il succo del ragionamento lettiano — scelgano legittimamente un altro schema.
Questi i ragionamenti che avanzerà in assemblea, dove non chiederà l’unanimità – consapevole che il problema del Pd è proprio l’assenza di discussione sui contenuti — bensì scelte trasparenti, aperte e nette. Una volta tanto.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 11th, 2021 Riccardo Fucile
“NON E’ PIU’ UN PARTITO DI SINISTRA, E’ UN OGGETTO GOVERNISTICO SUBALTERNO A CHIUNQUE LO PORTI AL POTERE, COSI’ COME LA STAMPA CHE ADULA DRAGHI”
Professor Luciano Canfora, lei nel suo ultimo libro Metamorfosi si chiede perchè la sinistra si vergogni delle sue origini e da questa rinuncia alla critica dell’esistente fa discendere l’assenza dell’anima di oggi. Scriviamo l’ultimo capitolo del libro, sull’attuale crisi del Pd.
Ringrazio per questa considerazione delle mie capacità profetiche, cercherò di essere all’altezza. La premessa è già contenuta nella diagnosi fatta in questi giorni da Arturo Parisi. Il Pd è diventato un oggetto subalterno a qualunque interlocutore lo porti al governo.
Game over. Completata la metamorfosi.
Beh. È un oggetto “governistico” che non ha un rapporto con una base intesa non come un mero serbatoio di voti, ma come popolo dentro cui trovare una identità . Credo che il Pd non abbia sezioni, una struttura territoriale degna di questo nome. Ed è la ragione per cui è passata l’idea demenziale che il segretario del partito lo eleggono i passanti attraverso il rituale comico delle primarie. Uno passa e vota… Ma le pare?
Qui arriviamo al nodo di un partito che, parafrasando Gianni Cuperlo, è più forte nel Palazzo che nel paese e che però è riuscito negli ultimi dieci anni a rimanere sempre al governo, pur perdendo le elezioni. Non è la fotografia di una sinistra che si è irrimediabilmente persa?
Non è più un partito di sinistra. Ha sostituito al bagaglio intellettuale e pratico suo caratteristico, una parola priva di senso che diventa un Santo Graal discriminante: l’europeismo. Mi chiedo cosa significhi. Siamo tutti europeisti, ma stai con i lavoratori o con i detentori del capitale? Con gli sfruttati o con chi trae profitto dal lavoro dipendente? Un continente non è un’idea politica, magari lo era nella testa di Altiero Spinelli che diceva “l’Europa, se ci sarà , dovrà essere socialista”. Citano Spinelli ma non hanno letto il Manifesto di Ventotene.
Però europeismo non è un’opzione neutra. È l’opposto del sovranismo che, quella costruzione la metteva in discussione. Si può discutere di un’Europa socialista o conservatrice, ma prima deve esserci l’Europa. O sbaglio?
Sovranismo è una parola inventata e priva di contenuto. Dire che la sovranità nazionale è un disvalore è una stupidaggine. Se una cosa è giusta, anche se la dice un uomo di destra, non cessa di essere giusta. Ad esempio, la difesa della sovranità nazionale di fronte al capitale finanziario non è sbagliata.
Lo ammetto, mi ha fatto saltare la scaletta preparata per questa conversazione. Torniamo all’8 settembre del Pd: occupazione del Nazareno, dirigenti sbandati, Grillo che si candida, Letta richiamato per salvare il salvabile.
Sa cosa mi colpisce, che non si stia parlando per nulla della presa di posizione seria e garbata da parte del presidente della fondazione De Gasperi Domenico Cella il quale ha contestato le procedure attraverso cui è nato il governo Draghi. Governo che senza l’accorrere devoto del Pd non sarebbe mai nato. Il Pd è il portaborse di Draghi.
Prego? Cosa c’è di strano? Il capo dello Stato ha fatto appello un appello alle forze politiche e il Pd, con un certo mal di pancia e senza entusiasmo, lo ha accolto.
La Costituzione prevede l’appello del presidente al Parlamento semmai, non l’appello alle forze politiche. Ripeto: portaborse. L’errore è stato non andare alle Camere e chiedere la fiducia. Non mi dica anche lei che non si poteva votare, perchè si vota in tutto il mondo.
Sono state appena rimandate le amministrative, ma non ci infiliamo in questa discussione. Le chiedo: cosa rappresenta Enrico Letta? Lei lo vede solo come l’esecutore dell’agenda Draghi o l’espressione di un riformismo moderno, capace di dialogare con Draghi, ma anche di ricongiungere riformismo e popolo?
Ho un’ottima considerazione di Letta come studioso, ha avuto un grande successo a Parigi. Persona fine, colta, vittima del bullismo renzismo che il Pd ha ancora dentro di sè. Cosa riesca a fare questo uomo intelligente, colto e molto educato, non lo posso sapere. Temo si troverà alle prese con squali dentro fuori il suo partito. Poi, sa, magari avremo delle sorprese. Nessuno pensava che Mossadeq avrebbe cacciato lo Scià di Persia.
Come si spiega il collasso dopo Draghi? Cioè che proprio il partito che poteva avere più nel Dna questo tipo di soluzione è quello che ne ha pagato maggiormente gli effetti?
Invidio le persone che conoscono il Dna. Perchè lo ha nel Dna? Nel senso che avendo già praticato harakiri ai tempi di Monti è il partito dell’harakiri? Era matematico prevedere che il cittadino che lo ha votato si chiedesse: ma per chi ho votato?
Draghi è una dura necessità . Cogliere, nella necessità , l’opportunità sarebbe il compito della politica. Lei questa opportunità la vede oppure, come parecchi a sinistra, vede solo la preparazione di uno sbocco inevitabile a destra, dopo averla ripulita del sovranismo?
Lo sbocco a destra c’è già stato. Gli unici partiti che crescono sono la Lega e la Meloni che ha superato il Pd nelle intenzioni di voto. Era ovvio che accadesse. Dopo anni di contrapposizione frontale è complicato dire: “Possiamo governare assieme senza problemi”. Se la realtà coincidesse con l’elite non ci sarebbero problemi, ma la società è più grande e funziona diversamente, chiede verità . Dovrebbero uscire da questo circolo autoreferenziale nel quale si sono imbottigliati.
Non pensa che sia un errore lasciare Draghi alla destra?
È un meccanismo mentale già conosciuto, penso agli ultimi cancellieri della Repubblica di Weimar, dal 1930 al 1933 venivano elogiati perchè si riteneva che con loro il partito nazionalsocialista sarebbe stato tenuto a bada. E alla fine? Quei cancellieri consegnarono al capo di quel partito il governo della repubblica. Draghi fa il premier, ha intorno alcuni ministri suoi, altri, per dirla alla De Gaulle, sono la ricreazione. Ma l’unico che interloquisce con Draghi, che va lì a protestare, condizionando, è Salvini, come nel caso delle chiusure.
Tutto questo condizionamento non lo vedo. Proprio sulle chiusure c’è una robusta continuità col governo precedente. E, aggiungo, menomale.
Io vedo che è l’unico interlocutore che parla, in un clima di conformismo mediatico su questo governo.
Ci sono due scuole di pensiero sulla fine dell’esperienza giallorossa. C’è chi vede in quel governo un’esperienza di sinistra che la borghesia ha liquidato utilizzando Renzi per arrivare a un equilibrio moderato. Personalmente ci ho visto poca sinistra e tanto governismo che, alla fine, è imploso su contraddizioni mai sciolte.
Non penso che fosse un governo di sinistra. A me è parso il meno peggio. Per esempio su terreni di cui si parla poco come nel caso del dicastero dell’Interno: almeno non avemmo col Conte 2 nuove situazioni tipo Gregoretti, Carola Rackete. eccetera.
Claudio Petruccioli, in un’intervista al Riformista, critica la subalternità della sinistra in quell’esperienza e il suo essere orfana di Conte, neanche fosse Allende.
Non riesco a seguire questa impostazione perchè non mi piace il metodo consistente nel combattere una posizione altrui rendendola la comica. Se cioè attribuisco ai partiti la visione estatica di Conte uguale ad Allende, posso combatterla ridicolizzandola. Ma non è corretto. La vera subalternità è quella di tutta la stampa italiana di fronte all’attuale premier. Mi viene in mente un articolo della Stampa di Torino del 2 dicembre 34: “Il Duce pratica ogni giorno a Villa Torlonia uno sport: il lunedì marcia ad andatura rapida e cadenzata, il martedì nuota…. E così via”..
La parola più abusata, in questa esperienza, è dopoguerra, evocando l’unità nazionale di allora. Allora però fu una scelta, oggi il frutto del default della politica. Non è un paragone del tutto infondato?
Potremmo farlo rispetto alla guerra dei trent’anni, l’Europa a pezzi… Paragoni della mezza cultura che non sa come cavarsela. Amico mio, è qualunquismo parlare di default. Non ha fallito la politica, ci sono state precise responsabilità di qualcuno, cioè Renzi.
Le chiedo: il Pd ha ancora un senso o sono venuti meno i presupposti per cui è nato?
Basta ricordarsi come è nato il “partito a vocazione maggioritaria” come lo definì Veltroni. Che vuol dire? Che il Padreterno ha detto: sarai grande? Che Jahvè sul Sinai ha detto all’autoproclamato Mosè “porterai il popolo alla salvezza”?. È nato da una abdicazione completa, basta vedere il Pantheon di partenza con Norberto Bobbio, John Fitzgerald Kennedy e Martin Luther King. Il decadimento è frutto, tra l’altro, di quella scelta autolesionistica.
Vado ancora più diretto: questo partito è riformabile o è come l’Urss, irriformabile in attesa che precipiti un evento esterno?
Bella domanda. Qualche mese fa forse avrei detto: forse è ancora riformabile. Ora lo penso molto meno.
Dia un consiglio a Letta.
Di non cadere nell’errore commesso la volta precedente. Di non fidarsi di coloro che lo vogliono rassicurare.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 11th, 2021 Riccardo Fucile
L’ASSE TRA I DUE: DALLA DC AL SALVATAGGIO DEL PD RENZIANO DA MAFIA CAPITALE, FINO ALLA NORMA BOCCIATA DALLA CONSULTA
Matteo Renzi e Franco Gabrielli sono entrati in sintonia quando il primo ha rivitalizzato i residui
della corrente morotea per rottamare il Pd e nominare Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, storico appartenente alla cosiddetta sinistra Dc sotto l’egida di Ciriaco De Mita: la stessa di cui fu militante negli anni ’80 il neo-nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai Servizi segreti.
Prima di entrare in Polizia, infatti, Gabrielli era il segretario giovanile della Dc di Massa, lanciato come promettente segretario politico, in qualità di capo staff del gruppo di Renzo Lusetti (non a caso traghettatore della Margherita nel Pd), di cui facevano parte anche Dario Franceschini e Angelino Alfano (poi entrambi ministri del Governo Renzi).
In quel periodo Gabrielli si legò a doppio filo, in particolare, a Simone Guerrini, che sostituì Lusetti alla guida dei giovani della Dc. Lusetti — una carriera in Finmeccanica — è attuale ascoltatissimo consigliere presso il Quirinale, direttore dell’Ufficio di Segreteria del Presidente della Repubblica ed è considerato il vero e proprio braccio destro di Sergio Mattarella.
La comunione di intenti (entrambi ferventi cattolici) si rafforza quando nel 2015 il premier Renzi, su proposta di Alfano, nomina Prefetto di Roma Gabrielli, il quale si rende protagonista di tre circostanze che, nel 2016, ne determinano la nomina a Capo della Polizia (direttore generale della Pubblica sicurezza).
Da Prefetto della Capitale, innanzitutto Gabrielli esautora di fatto il sindaco Marino (“ci sentiamo tra un’immersione e l’altra”, ironizzò sulle vacanze fuori Roma del primo cittadino), troppo ostile ai piani di Renzi e del suo fedele Matteo Orfini, presidente di quel Pd che rischiava di essere travolto politicamente dallo scandalo “Mondo di mezzo” (alias “Mafia Capitale”). Quello stesso Pd che il sindaco Marino — fervente, anche se un po’ maldestro, oppositore del “Mondo di mezzo” — voleva rifondare, ma ai danni del gruppo del premier.
Gabrielli in quei mesi è anche autore della famosa relazione in cui propone ad Alfano e Renzi (compiacenti) di non commissariare la Capitale, come indicato dalla commissione prefettizia, bensì solo il X Municipio di Ostia, così anche salvando l’establishment del Pd caro a Renzi.
Ma il Prefetto è anche l’unica Autorità di pubblica sicurezza presente in sede quando si tiene lo scandaloso funerale show del boss Casamonica che tiene in ostaggio Roma, con ulteriore grave danno per la credibilità istituzionale.
Nel frattempo Renzi fa varare dal governo, nel Dlgs 177/2016 contenente “Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato”, una norma tanto nascosta nelle pieghe del decreto quanto “sovversiva” dell’ordinamento costituzionale, con particolare riferimento al principi di divisione dei poteri e di salvaguardia del segreto investigativo.
L’articolo 18 comma 5 del suddetto decreto, insidiosamente fuori contesto rispetto alla delega del Parlamento, sancisce infatti che “il Capo della Polizia e i vertici delle altre Forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del Codice di procedura penale”.
Una norma che Gabrielli si affretta ad attuare, immediatamente vergando e firmando di proprio pugno due circolari monstre per complessive 10 pagine fitte-fitte di ciò che appare da subito come uno strafalcione giuridico-costituzionale a carattere “sovversivo” (nel significato estensivo del termine, come ciò che tende a rivoluzionare e a sconvolgere uno stato di cose esistente). Tanto da determinare l’insorgere di procuratori capo della Repubblica di punta e del Csm, che nella circostanza viene pure così apostrofato dal Capo della Polizia: “Io servo lo Stato, non il Governo. Sul segreto delle indagini il Csm mi ha offeso”.
Parole gravi, indice di scarso equilibrio o peggio di “bipolarismo istituzionale”, soprattutto perchè espresse in modo violento nel momento in cui è pure esploso il caso Consip in cui sono coinvolti anche sodali e familiari di Renzi, nonchè il Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Tullio Del Sette, poi condannato in primo grado a 10 mesi per rivelazione del segreto d’ufficio e favoreggiamento per aver informato il presidente della Consip sulle indagini in corso.
Tutto ciò ha delle conseguenze ancor più gravi: a seguito del caso dei fratelli Occhionero — arrestati per aver messo a rischio la riservatezza/sicurezza di alte cariche dello Stato (compreso Renzi) all’insaputa di Gabrielli, il Capo della Polizia per ritorsione rimuove “tout court” e sanziona il responsabile dell’indagine, sino al giorno prima considerato un “superpoliziotto”, nonchè direttore del Servizio di Polizia Postale e delle comunicazioni e del Cnaipic (Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche).
L’alto dirigente, però, fa ricorso al Tar del Lazio, che annulla il decreto firmato da Gabrielli. Ma il Capo della Polizia non ottempera alla sentenza: i giudici gli ordinano quindi di eseguirla, cancellando la sanzione inflitta all’alto dirigente per non aver informato dell’indagine in corso il Capo della Polizia, e condannando pure alle spese Gabrielli per complessivi 2.500 euro più oneri accessori, anche per aver violato il giudicato.
Non contento, Gabrielli impugna le pronunce del Tar al Consiglio di Stato, ove tutto si blocca: nel frattempo, infatti, la Corte Costituzionale con sentenza n.229/2018 ha dichiarato illegittima la norma fortemente voluta da Renzi e violentemente attuata da Gabrielli.
Proprio leggendo le motivazioni della Suprema Corte si percepisce la gravità del contesto sinora descritto: “Un vero e proprio conflitto tra poteri dello Stato” tale da “pregiudicare immediatamente le attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria requirente (…) prevedendo in capo agli appartenenti alla Polizia giudiziaria, e a beneficio dei superiori gerarchici di quest’ultimi, obblighi informativi sulle notizie di reato, ponendo quindi le relative informazioni nella disponibilità di una ‘scala gerarchica’ che conduce potenzialmente fino ai vertici del potere esecutivo”.
Mentre dalle conclusioni della Corte si acclara il carattere “sovversivo” del comportamento assunto dal duo Renzi-Gabrielli: “Il coordinamento informativo e quello organizzativo non coincidono con quello investigativo. Si tratta di funzioni diverse, che la legislazione ordinaria non può confondere o sovrapporre, a prezzo di violare il sistema costituzionale”.
(da TPI)
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Marzo 11th, 2021 Riccardo Fucile
“IL PD DEVE TORNARE IL PARTITO DELLA GIUSTIZIA SOCIALE”
Senatrice Cirinnà , il cambio di passo non si vede. I ristori sono fermi a dicembre. Il Recovery Plan è sparito dai radar. Si rincorre la pandemia con più incertezze di prima. Di un nuovo piano di vaccinazioni non se ne sa niente…
La mia opinione è che il Governo Conte era un ottimo governo – dice la senatrice del Pd rispondendo all’Agenzia SprayNews -. Questo è ritenuto il governo dei migliori. Il Governo Conte era il governo degli ottimi. Quindi, non c’è nessuna differenza. Quindi, tutti quelli che hanno criticato il Governo Conte ragionino e si rendano conto che chiunque, compreso chi ritiene di essere il migliore, davanti a una cosa che nessuno aveva mai affrontato, come una pandemia mondiale, possa avere incertezze e ritrovarsi in situazioni che non sa da che parte prendere. E non cambiano le cose se a occuparsene è un grande generale o un grande manager. In questo senso, non vedo una grande differenza fra Domenico Arcuri e il Generale che è stato messo al suo posto.
I ristori nel frattempo sono fermi a dicembre. Eppure, per fare solo un esempio, le palestre e le piscine non mi sembra abbiano mai riaperto…
Voglio parlare chiaro, come è mia abitudine. I ristori non sono arrivati solo perchè si è aperta la crisi di governo. Altrimenti sarebbero arrivati in tempo, come i ristori uno, due, tre, quattro e cinque, che io ho tutti votato. Detto questo, chi ha bisogno di soldi bussi alla porta di Italia Viva.
Rimpiange il Governo Conte?
Assolutamente sì. In che cosa sono migliori quelli che ci sono adesso? Per ora in niente. Quando arriva un nuovo governo, arrivano nuovi Capi di Gabinetto e tante persone che devono prima orientarsi. Io ho un’infinita fiducia in tutti i ministri e, in particolare, nei miei ministri. So che Andrea Orlando e Dario Franceschini sono persone ultra competenti. Mi auguro che anche i migliori si diano una mossa.
Nicola Zingaretti ha detto di vergognarsi di un partito che pensa solo alle poltrone. Che effetto le hanno fatto le sue parole?
Penso che il Pd sia un partito devastato da lotte fratricide, il cui apice è la poltrona sulla quale il fratricida si va a sedere. Il punto vero, però, è un altro.
E quale sarebbe questo punto vero?
La rotta. Il punto vero è aver smarrito la carta nautica su cui segnare il percorso e la tua identità . Noi abbiamo un pezzo di Pd che tira verso il centro, un pezzo di Pd che vuole rimanere saldamente a sinistra. E’ evidente che queste diverse posizioni, che afferiscono ai tuoi ideali e ai tuoi valori, finiscono per devastarti. E’ bene che si faccia a tempo debito un Congresso, ma io voglio un Congresso vero, un congresso di mazzate dove, anche a costo di subire altre separazioni e altre scissioni, si dica con chiarezza che cosa è il Pd e dove vuole andare. Per me questo è il nodo da sciogliere. Il resto non esiste.
Quale è l’approdo che si augura? Un Pd fusione e sintesi di molte anime diverse o il ripristino dell’orgoglioso partito della sinistra?
Auspico un grande partito democratico, che abbia al suo interno il pluralismo, ma che nel contempo sia capace di non fare sconti sui valori. Per me il primo valore è abolire ogni discriminazione. Abolire ogni diversità . Abolire ogni ingiustizia sociale. Far ripartire l’ascensore sociale. Una come me, figlia di impiegati della piccola borghesia romana, non sarebbe mai arrivata dove è arrivata, se non ci fosse stato un ascensore sociale. I miei genitori mi hanno fatto studiare e laureare. Poi, forse, un po’ intelligente lo ero e piano piano sono riuscita a realizzarmi senza dovere fare per forza l’impiegata alle Poste. Detto questo, è qui che si gioca la scommessa della globalizzazione da una parte e della pandemia dall’altra. Far ripartire dalla base i valori della grande sinistra storica, che c’è in tutta Europa. Purtroppo il capitalismo ci ha inferto grossi colpi, ma sul piano delle ingiustizie sociali abbiamo molto ancora da dire e possiamo riaprire un grande fronte di lotta.
Nel Pd attuale ci sono anche i cattolici democratici, i liberal democratici e i riformisti…
Sui cattolici democratici non ho nulla da dire. Ho lavorato fianco a fianco con molti di loro in Senato. Hanno votato la legge sulle unioni civili. Il problema non sono loro, ma le politiche neoliberiste, che hanno a che fare soprattutto con il mondo dell’impresa e con il mondo del lavoro. E’ chiaro che lì c’è una dicotomia fortissima. Io per senso di responsabilità ho alla fine votato a favore dell’abolizione dell’articolo 18, ma ricordo bene che sino all’ultimo momento non avrei voluto votarla. E così tante altre norme che abbiamo approvato proprio perchè la parte più liberista del Pd a quell’epoca governava il partito. Questa è una strada sbagliata. Non è questa la vocazione del partito della sinistra democratica e laica di questo Paese.
Quindi, dalla confusione de ne esce solo con un Congresso?
Se ne esce con un Congresso a tempo debito. Se Enrico Letta accetta di prendere il posto di Zingaretti e vuole arrivare a scadenza nel 2023, va benissimo. Faremo il Congresso nel 2023. Non c’è un problema di tempi. C’è un problema di modalità . C’è un problema di verità . Il problema è fare un Congresso vero. Nel frattempo, potremmo anticiparlo con un Congresso per temi e cominciare a ragionare. Nessuno ci impedisce di fare un Congresso tutto online, rispettando le nostre regole, ma senza muovere le carte. Senza mettere in discussione Letta. Un Congresso solo sui temi e sugli ideali. Se Letta ci farà vivere il più tranquillamente possibile questa fase drammatica, in cui il Governo Draghi sta di fatto appiattendo e oscurando un po’ tutti i partiti, noi avremo tutto il tempo necessario per rifondare il partito sui nostri valori e sui nostri ideali. Poi nel 2023 sapremo chi sarà il nostro nuovo condottiero. O condottiera, come io spero vivamente.
Magari lei?
Non lo so. Io mi reputo una formica. Ci sono tanti altri nomi autorevoli.
(da Globalist)
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Marzo 11th, 2021 Riccardo Fucile
CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO E CON SALARI INFERIORI
Se mettiamo in ordine le dichiarazioni pubbliche e le interviste rilasciate negli ultimi giorni da
Carlo Bonomi e il tam tam del giornale di casa, viene fuori il programma completo della Confindustria sul tema del lavoro.
In sintesi estrema, è questo: nonostante siamo ancora nel pieno della pandemia, alle aziende bisogna permettere di licenziare perchè, dice il leader degli industriali, “il blocco dei licenziamenti si sta trasformando in blocco delle assunzioni”. Quindi togliere il divieto darebbe via libera alla nascita di nuovi posti.
Di che tipo? Intanto quelli con contratti precari, per i quali Bonomi chiede di togliere definitivamente l’obbligo di motivarne il ricorso con la causale e i vincoli imposti dal decreto Dignità che ne ha arginato l’esplosione avviata col decreto Poletti del governo Renzi.
E poi con un misto di sgravi fiscali e “solidarietà espansiva”, riducendo cioè l’orario di lavoro e lo stipendio agli attuali dipendenti, così da usare quei risparmi per far entrare i nuovi.
Come tutelare poi quelli mandati a casa? Riformando gli ammortizzatori sociali, rendendo universale la cassa integrazione, senza però specificare su chi dovrebbero ricadere i costi.
La parola d’ordine, quindi, è lasciare le imprese libere di tagliare gli organici e sostituirli con giovani a tempo determinato e, quindi, con salari inferiori.
È ancora aperta la partita del decreto Sostegno, quello che prima si chiamava Ristori e da settimane viene rimandato. Bonomi si inserisce battendo cassa con il decalogo confindustriale, riproponendo lo strano sillogismo per cui, sbloccando i licenziamenti, le imprese assumerebbero.
Il divieto di mettere alla porta dipendenti per ragioni economiche — in tutti gli altri casi è consentito — è in vigore dal 17 marzo 2020 e scadrà a fine mese. L’idea del governo — a maggior ragione con la terza ondata del Covid — è prorogarlo fino al 30 giugno.
Finora ha funzionato per proteggere quantomeno i posti a tempo indeterminato, come confermano i dati Istat, ma non sono mancati i datori che l’hanno ignorato: tra aprile e settembre, infatti, le tabelle Inps segnano comunque 127.330 licenziamenti economici, aumentati soprattutto a fine estate, quando sono stati permessi per cessazione delle attività o con accordi di incentivi all’esodo.
Un numero lontano dagli oltre 343 mila del 2019, ma comunque alto. E se già la diga ha mostrato di avere qualche crepa, aprirla del tutto provocherebbe una catastrofe occupazionale.
Nel 2020, stima la Banca d’Italia, la moratoria ha evitato 700 mila licenziamenti: ambienti sindacali ne prevedono oltre il milione con la fine del divieto in primavera.
È qui che dovrebbe intervenire la riforma — cara anche alla Confindustria — degli ammortizzatori sociali. Quelli disegnati nel 2015 dal Jobs Act hanno dimostrato di lasciare senza protezione una grossa fetta di lavoratori, tanto da rendere necessaria la cassa in deroga.
L’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo aveva affidato a una commissione di esperti la redazione di un piano e il 25 gennaio era pronta a presentarlo alle parti sociali. La caduta del governo ha bloccato tutto, ma il suo successore Andrea Orlando sembra voler proseguire su quella strada: ha promesso ai sindacati una convocazione nei primi di marzo, che però ancora non è arrivata e non si sa quando arriverà . Il nodo sarà individuare chi dovrà pagare le nuove tutele, più o meno generose che siano.
Bonomi glissa sull’argomento, eppure è fondamentale: se in fase iniziale la riforma potrà infatti essere finanziata con la fiscalità generale, subito dopo bisognerà renderla assicurativa, quindi dovrà comportare aumenti contributivi (difficile sia questa la proposta di Confindustria).
Come detto, in cambio della libertà di licenziare, Bonomi promette una staffetta generazionale nelle aziende, ma solo rivedendo (cioè cancellando) il “meccanismo delle causali” del dl Dignità , in parte sospeso causa Covid fino al 31 marzo.
L’altra richiesta è il permesso per le aziende sotto i 250 dipendenti di usare il contratto di espansione: sistema col quale i lavoratori accettano una riduzione di orario e stipendio per favorire gli ingressi di giovani. Ovviamente accompagnato da sgravi: “Va rafforzato il bonus per giovani e donne”. Soldi pubblici, insomma: d’altronde si finisce in “Sussidistan” solo se vanno nelle tasche di poveri e disoccupati, mentre se a beneficiarne sono le imprese va tutto bene.
(da Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 11th, 2021 Riccardo Fucile
LEGATO ALLA CURVA ULTRAS DEL VERONA E’ STATO RINVIATO A GIUDIZIO PER IL GESTO DA AVANSPETTACOLO IN COMUNE
La Lega di Matteo Salvini tessera Andrea Bacciga e fa un’opa all’estrema destra veronese. Il consigliere comunale legato alla curva sud dell’Hellas Verona, già rinviato a giudizio per aver fatto il saluto romano in consiglio comunale, era stato eletto nella lista civica del sindaco Federico Sboarina.
Trentanove anni, avvocato, la sua fede politica legata all’ultradestra è nota. Ma nota era pure la sua vicinanza alla Lega.
La vicenda giudiziaria in cui è rimasto coinvolto nasce proprio da una battaglia politica della Lega veronese, che due anni fa propose due mozioni per lasciare alle associazioni cattoliche più libertà nel contrastare l’aborto libero e gratuito, nonchè l’attuazione di un programma di “sepoltura dei bambini mai nati”, anche senza il consenso della donna coinvolta e a carico della sanità pubblica. In quell’udienza del consiglio comunale, a luglio 2018, si presentarono anche le attiviste dell’associazione “Non una di meno”, pronte a dar vita a una protesta silenziosa e pacifica. Al suo ingresso in aula Bacciga si rivolse alle attiviste facendo il saluto romano. Una vicenda, questa, condannata da Pd e Anpi. Ma il feeling tra Bacciga e la Lega è addirittura antecedente.
Ad agosto 2017, come evidenzia il quotidiano l’Arena, insieme al leghista Vito Comencini si oppose a una mozione proposta dal centrosinistra ma condivisa anche da una parte della maggioranza, che chiedeva una ferma condanna nei confronti dei cori inneggianti il nazismo intonati alla festa dell’Hellas. Sempre con i leghisti di area cattolica aveva poi contestato duramente il disegno di legge Zan-Scalfarotto contro l’omotransfobia e la violenza di genere, bollandola come: “Una legge bavaglio che viola la libertà di pensiero”. L’altro alfiere della mozione era Alberto Zelger, leghista, antiabortista e cattolico radicale, già promotore del congresso delle famiglie tradizionali.
(da agenzie)
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Marzo 11th, 2021 Riccardo Fucile
PER L’ERRORE COMMESSO DOVRA’ RISARCIRE LE SPESE LEGALI
Colpito dalla querelite cronica nei confronti del Fatto Quotidiano e di chiunque nomini invano il
suo nome, Matteo Renzi si sta aggravando. È infatti arrivato all’ultimo stadio: quello di non sapere più a chi sta chiedendo i danni. Confonde le persone. Non si districa tra le omonimie. Spara a casaccio. Sbaglia bersaglio. E il proiettile rimbalza come nei cartoni animati di Willy il Coyote e gli ritorna indietro.
È accaduto in una delle numerose azioni legali intentate contro di noi. Citazione civile nei confronti della società editoriale, del direttore e di tre giornalisti del Fatto. Tra i quali la nostra valida Ilaria Proietti, cronista del settore politico.
Nata nel 1973 e non nel 1974 come l’omonima collega di altra testata che si è vista recapitare a casa la busta verde, gravido presagio di noie legali che tutti preferiremmo evitare. Immaginiamo la scena. Lo stupore. Poi magari la rabbia, chissà , noi ci saremmo arrabbiati di brutto al suo posto.
“Cosa c’entro io col Fatto e con gli articoli oggetto della causa”, si sarà chiesta la signora Ilaria Proietti omonima. Che, correttamente, ha nominato degli avvocati che la traghettassero fuori da questo impiccio immeritato.
A questo punto va aperta una parentesi. L’equivoco non ci sarebbe stato se la citazione fosse stata notificata soltanto alla sede del giornale (e sarebbe stata valida comunque). Renzi però preferisce far notificare ai domicili privati dei giornalisti. Così forse i loro vicini di casa possono assistere alle procedure di consegna della citazione legale.
Parentesi chiusa. E chiuso anche il processo per l’Ilaria Proietti omonima: il giudice ha condannato Renzi a rimborsarle le spese legali sostenute, quantificate in 4.700 euro, da pagare subito.
Una bastonata alla quale i legali dell’ex premier hanno provato invano a sottrarlo con motivazioni davvero singolari: le Ilaria Proietti iscritte all’albo dei giornalisti sono quattro (vero), e quelle che lavorano al Fatto Quotidiano sono due (falso, ce n’è una sola). E allora? Anzi, secondo il giudice proprio le omonimie avrebbero dovuto indurre Renzi a verificare con scrupolo chi stava chiamando in causa. Se guarirà dalla querelite, farà più attenzione la prossima volta.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 11th, 2021 Riccardo Fucile
COME FUNZIONERA’ E QUANDO ARRIVERA’ IL VACCINO MONODOSE
L’Agenzia europea per i medicinali ha dato il via libera al quarto vaccino anti Covid in Ue che, dalle prossime settimane, potrà essere distribuito e utilizzato. Si tratta dello Janssen, il vaccino monodose sperimentato e prodotto dall’azienda statunitense Johnson&Johnson che lo scorso 17 febbraio aveva presentato a Ema i dati necessari alla valutazione del farmaco candidato.
Il Comitato per i medicinali per uso umano (Chmp) oggi ha espresso parere positivo sull’efficacia e la sicurezza del vaccino americano, il primo monodose di cui l’Europa potrà servirsi per tentare di accelerare la campagna di vaccinazione
La fornitura che la Commissione europea si aspetta per i Paesi membri è pari a 200 milioni di dosi entro il 2021. Di queste, 27 milioni saranno destinate all’Italia. Già nel secondo trimestre dell’anno, Johnson&Johnson dovrebbe consegnare 55 milioni di dosi per l’Europa, 7 milioni e 300 mila per l’Italia, ma tempistiche e dosi potrebbero non essere rispettate.
Quanto è efficace?
Il vaccino di J&J utilizza un comune virus del raffreddore, noto come adenovirus di tipo 26, per introdurre le proteine del Coronavirus nelle cellule del corpo e innescare una risposta immunitaria. Nella fase 3 di sperimentazione è stato testato su 43.783 soggetti appartenenti a diverse fasce d’età e differenti Paesi del mondo. Il 44% dei partecipanti proveniva dagli Stati Uniti, il 41% dall’America centrale e meridionale e il 15% dal Sud Africa. L’efficacia media raccolta da questi test portati avanti in parallelo è stata del 66%. Una percentuale che invece è salita all’85% nei casi gravi di infezione, al 100% nella prevenzione dei casi di morte.
Come si somministra?
Il quarto vaccino autorizzato da Ema è un monodose. A differenza dunque degli altri tre vaccini approvati, per lo Janssen sarà sufficiente una sola iniezione, senza la necessità di un richiamo dopo un determinato arco di tempo. A 7 giorni dalla somministrazione della singola dose comincerà la produzione di anticorpi, mentre la protezione completa contro le forme gravi di Covid, pari all’85%, sarà garantita al 28esimo giorno di distanza.
Come si conserva?
Oltre alla singola somministrazione, il vaccino di Johnson&Johnson ha il vantaggio di poter essere conservato a normali temperature di frigorifero: dopo lo scongelamento, sarà sufficiente tenere le dosi in un ambiente dai 2° agli 8°C per una durata di 3 mesi. Da congelate invece le fiale potranno essere conservate a — 20 gradi per 2 anni. Niente a che vedere con i limiti di conservazione a — 70° C del farmaco Pfizer. Proprio come per il vaccino di AstraZeneca, anche lo Janssen verrà destinato all’utilizzo dei medici di base e di tutti gli ambienti non ospedalieri coinvolti nella sempre più urgente vaccinazione di massa.
È efficace contro le varianti?
Le sperimentazioni del vaccino Janssen sono state eseguite anche in Sudafrica e in Brasile nel periodo in cui le varianti del virus si erano già diffuse. I dati dell’ultimo trial hanno registrato un’efficacia media del 66% sia su casi gravi che su forme moderate di contagio provocato dalle mutazioni di Covid-19.
Va bene per tutte le età ?
Il primo vaccino monodose a ricevere il via libera in Europa è stato sperimentato su 45 mila persone dai 18 agli oltre 60 anni di età . Il 41% di questi presentavano una o più patologie croniche come diabete, malattie cardiovascolari e obesità . Alla luce di questi dati e a differenza delle difficoltà iniziali incontrate dal farmaco Astrazeneca per la fascia d’età degli over 55, Janssen potrà quindi essere somministrato senza alcuna limitazione rispetto alle categorie testate durante la sperimentazione. L’azienda ha anche annunciato di voler partire a breve con i test sugli under 18 su cui per ora non si hanno dati. Va da sè che il vaccino autorizzato non sarà al momento utilizzabile su adolescenti e bambini.
Le consegne avverranno in tempo?
Poco meno di tre giorni fa l’agenzia americana Reuters ha diffuso la notizia di possibili difficoltà di Johnson&Johnson nel garantire la fornitura di vaccino anti Covid promessa all’Ue. L’azienda americana avrebbe infatti comunicato alla Commissione di una problemi nella produzione e quindi nella consegna dei 55 milioni di dosi accordate. Mettendo così a rischio anche per l’Italia l’arrivo dei 7 milioni promessi entro giugno.
Subito dopo la fuga di notizie Johnson&Johnson si è preoccupata di smentire con tanto di nota ufficiale: «In linea con il nostro accordo con la Commissione Ue, manteniamo l’impegno a fornire 200 milioni di dosi del vaccino Janssen COVID-19 nel 2021, a partire dal secondo trimestre». La casa farmaceutica ha poi ribadito la complessità della sfida garantendo però l’attivazione di nuovi siti di produzione «nei tempi più rapidi possibili».
Non sarà una rassicurazione però a sciogliere il preoccupante nodo del rischio ritardi. Con un piano vaccinale vittima di continui ritardi da parte di tutte le aziende produttrici finora autorizzate, la notizia del via libera al farmaco Johnson&Johnson viene inevitabilmente già macchiata da un’incertezza non di poco conto. L’elemento che tra tutti non rassicura è il fatto che l’azienda non abbia fornito dati precisi sui tempi di consegna dei diversi lotti, esponendosi nella garanzia dell’unico vincolo ad oggi riconosciuto e cioè quello di fornire il totale delle dosi promesse «entro il secondo trimestre 2021».
L’identico scenario, in buona sostanza, delle condizioni garantite settimane fa anche dalle stesse Pfizer, AstraZeneca e Moderna tutte e tre poi responsabili di grossi ritardi di produzione e consegna. Come se non bastasse, poche ore fa il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato di aver comprato altre 100 milioni di dosi da Johnson&Johnson, promettendo di condividere con il resto del mondo un eventuale disavanzo di dosi. Negli Usa, dove il vaccino Janssen è già stato approvato dall’Fda il 27 febbraio scorso ad uso d’emergenza, dovrebbero dunque arrivare ulteriori dosi dalla stessa azienda che avrebbe comunicato all’Europa difficoltà nella produzione.
Quanto è importante per il piano vaccinale italiano?
L’attuale obiettivo del governo Draghi è quello di vaccinare tutti gli italiani che lo vorranno entro l’estate. Uno scenario ottimistico che il ministro della Salute Roberto Speranza ha dichiarato di poter raggiungere con circa 50 milioni di dosi attese, entro giugno, da parte di tutte e quattro le aziende dei vaccini al momento autorizzati, più quello della tedesca Curevac e del russo Sputnik V, ancora in fase di approvazione. Tra le forniture su cui il Paese al momento conta di più c’è proprio quella del vaccino Janssen che, dopo l’ok dell’Ema, ora dovrà attendere il via libera anche dall’Agenzia italiana del farmaco. Nel piano vaccini che Mario Draghi ha in mente, il farmaco di Johnson & Johnson verrebbe destinato, viste le caratteristiche vantaggiose di conservazione, ai medici di base per incentivare l’urgente accelerazione nella vaccinazione di massa.
Se la bozza del nuovo piano vaccinale venisse confermata, lo Janssen sarebbe centrale per garantire il nuovo criterio di fasce d’età in ordine decrescente pensato dal governo. Escluse le poche categorie prioritarie riconosciute dalla nuova strategia (oltre agli over 80, docenti e forze armate già in atto, solo quella degli estremamente vulnerabili) la vaccinazione di massa partirà con i 79enni. Per arrivare alla copertura promessa di oltre 20 milioni di persone vaccinate entro l’estate e all’immunità di gregge da raggiungere entro l’autunno, i 27 milioni di dosi Janssen saranno una delle principali risorse a cui il Paese si affiderà , nella speranza di vedere rispettati tempi e promesse.
L’altro punto, tutt’altro che secondario, sarà quello di essere in grado di sostenere l’arrivo di una tale quantità di carico. I frigoriferi, si spera, pieni di dosi dovranno essere svuotati in tempi brevi con una capacità logistica finalmente potenziata. Hub, ritmi di somministrazione e personale dovranno concorrere a scongiurare quello che è già successo con le dosi di Astrazeneca, arrivate (in ritardo) su territorio nazionale e, nonostante tutto, rimaste inutilizzate per settimane.
(da agenzie)
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