Aprile 26th, 2021 Riccardo Fucile
ALTRO CHE VITTIMA DEL COVID, NON PAGAVA L’AFFITTO, I FORNITORI E NEANCHE I DIPENDENTI: LE TESTIMONIANZE A LE IENE SMASCHERANO IL BLUFF
In ginocchio e con le mani giunte. L’immagine della ristoratrice Chiara Dalmazio è diventata uno dei simboli delle proteste dei giorni scorsi di quanti sono andati a Roma a chiedere che bar e ristoranti potessero riaprire.
Nei video diventati anche piuttosto virali, c’è lei che urla, e che dice che – prima del covid – avesse due locali, entrambi chiusi in pochi mesi a causa delle restrizioni per la pandemia.
Aveva tanto colpito chi l’ha vista, che era stata aperta anche una raccolta fondi destinata alla donna, per aiutarla a rialzarsi.
Ma, c’è un ma abbastanza grande.
Le Iene, dopo l’arrivo di alcune segnalazioni e commenti che etichettavano Chiara Dalmazio come una bugiarda, ha deciso di verificare: “Non è vero che ha chiuso per il covid, è tre anni che è chiuso”, e poi altre frasi, per far capire che, in ogni caso, non fosse proprio una persona da erigere a esempio.
Aveva detto durante la protesta: “Io avevo due ristoranti e bar chiusi tutti e due in nove mesi, a Empoli e uno a Cerreto Guidi”.
Sui social però qualcuno ha detto che non fosse così, e ha scritto: “Il bar a Cerreto è chiuso da quasi due anni e non per il Covid. E il bar delle piscine gli è stato tolto perché non pagava l’affitto”.
E ancora, gli abitanti vicino agli ex locali della donna, parlando con l’inviata delle Iene: “Ho visto tante persone che ci lavoravano piangere, purtroppo”; “Lei da qualsiasi posto è venuta via, è venuta via perché ha fatto una buca. Ma non c’era il Covid”; “Non pagava l’affitto, i fornitori, non pagava nessuno”.
E c’è anche qualcuno dei suoi ex dipendenti che da lei aspetta alcuni pagamenti arretrati, come Elisa, che racconta di dover ricevere ancora 5mila euro da due anni.
Lei non è l’unica, e anzi. Sono diverse le donne che lamentano di aver lavorato per Chiara Dalmazio e che dicono di non essere state pagate.
Lei risponde dicendo che non ha i soldi per sé, figurarsi per le altre (dipendenti).
E la domanda diventa: è giusto che che Chiara Dalmazio sia il simbolo delle ristoratrici e dei ristoratori (onesti) che sono stati piegati dal covid?
(da NextQuotidiano”)
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Aprile 26th, 2021 Riccardo Fucile
ABBATTERE EVASIONE FISCALE, ASSUNZIONI ALL’AGENZIA DELLE ENTRATE, NO SALARIO MINIMO, ASL AFFIDATE A COMPETENTI NON A NOMINE POLITICHE, MENO REGOLE PER APPALTI, MENO BUROCRAZIA… MA IN UN PAESE AD ALTA CORRUZIONE FESTEGGERA’ LA ‘NDRANGHETA
La garanzia che l’Italia farà le riforme l’ha data Mario Draghi a Ursula von der
Leyen. Con quel “garantisco io” che è la cifra di un’esposizione politica imponente e soprattutto determinante per tirare il Recovery plan italiano da 222,1 miliardi fuori dall’operazione di smontaggio che nel frattempo stavano portando avanti i tecnici di Bruxelles.
Ma la missione salvifica di Draghi ha anche una contropartita. E si capisce chiaramente se si confronta il testo inviato al Parlamento con la bozza al centro del confronto lungo e nervoso tra Roma e la Commissione europea.
Il disco verde è legato a una corsa tra palazzo Chigi e le Camere: le riforme devono diventare decreti e disegni di legge tra maggio e dicembre, in appena sette mesi, in un 2021 caricato di scadenze nonostante il Recovery ha un orizzonte temporale molto più lungo, fino al 2026.
Il messaggio che arriva dall’Europa dice che la parola data da Draghi conta, anzi è stato l’elemento risolutivo, e per questo dopo una no stop di 48 ore si è arrivati a quello che palazzo Chigi per primo ha rivendicato come “un accordo politico”.
Ma il messaggio dice anche che il Governo non solo ha dovuto riscrivere la tabella di marcia delle riforme, ma anche fornire rassicurazioni sui contenuti, in alcuni casi riscrivendoli per rassicurare Bruxelles sul fatto che la direzione politica concordata non cambierà e anzi sarà vincolata a impegni presi prima, non cambiati in corsa.
La contropartita, tra l’altro, genera un’appendice rischiosa per Draghi e più in generale per la sorte dei soldi del Recovery. La garanzia del premier deve necessariamente reggersi sull’unità e sul lavoro del Parlamento.
Ora è evidente che il Recovery non è il coprifuoco e che i partiti, quindi, non solleveranno problemi sui soldi, meglio non con l’intensità che usano quando ad esempio c’è da scrivere la legge di bilancio.
Ma le riforme sono un’altra cosa e il Recovery sono prima le riforme e poi i 222,1 miliardi, non il contrario.
Le riforme, soprattutto, toccano temi come la giustizia, la concorrenza, le tasse, ancora gli appalti e la Pubblica amministrazione.
Ogni volta che un governo si è avvicinato a questi temi il più delle volte è finito tutto prima di iniziare.
E le riforme, come quella del fisco, più in generale quelle definite organiche, non sono state mai fatte.
Al Parlamento è chiesto ora un cambio di passo, nel ritmo e nella qualità del lavoro, e la tabella di marcia riscritta da Bruxelles ha un sottotitolo definito: niente soldi se il lavoro non ingrana.
Il fisco, la riforma più contestata da Bruxelles. Revisione Irpef calibrata sull’equilibrio dei conti entro luglio. Assunzioni all’Agenzia dell’Entrate
È stata la riforma su cui Bruxelles ha insistito di più. Sia per i tempi, da dettagliare, sia per i contenuti. L’ultima versione del Recovery dice che la riforma del fisco dovrà arrivare in Parlamento, sotto forma di legge delega, entro il 31 luglio.
L’accento più forte dopo l’interlocuzione con Bruxelles è quello sul contrasto all’evasione: più personale e nuove professionalità all’Agenzia delle Entrate per il controllo fiscale in Italia e all’estero con 2.000 assunzioni che si aggiungono al concorso pubblico bandito per 4.113 posti.
Ritornando alla riforma del fisco la direzione è quella di rivedere l’Irpef, ma non solo preservando la progressività dell’imposta. Bisognerà fare tutto nel rispetto dell’equilibrio dei conti pubblici. Quindi niente riforme onerose.
Più trasparenza per le nomine nella sanità, troppa discrezionalità
In materia di concorrenza si parla anche di sanità. E c’è una sollecitazione, in ambito regionale, quindi a livello delle Asl, di “introdurre modalità e criteri più trasparenti nel sistema di accreditamento. Ma il passaggio più forte è quello sulla necessità di intervenire sulle norme che regolano le nomine dei dirigenti ospedalieri.
C’è una valutazione tecnica da parte di una commissione composta da medici, ma c’è anche “un’eccessiva discrezionalità” in capo “ai direttori delle Aziende sanitarie locali nella scelta definitiva dei primari”.
Per molti altri profili, si legge nel testo, “la legislazione in materia sanitaria attribuisce poteri discrezionali eccessivamente ampi nella nomina di personale delle Asl e nella gestione dei servizi da rendere al pubblico”.
Subito il decreto Semplificazioni, entro la prima settimana di maggio
Il Governo aveva indicato un generico “dopo l’invio del Piano” alla Commissione europea, ma la stessa Commissione ha chiesto che il decreto Semplificazioni sia approvato dal Consiglio dei ministri entro la prima settimana di maggio. Subito. Con una conversione in legge che quindi dovrà avvenire entro metà luglio. Ma anche tutti gli altri interventi che devono semplificare le norme e agire soprattutto sulla riorganizzazione e la digitalizzazione della Pa devono essere approvati entro quest’anno. Gli interventi si chiamano leggi ordinarie, leggi di delegazione legislativa e relativi decreti delegati. Strumenti che il Parlamento solitamente maneggia nell’arco temporale di molti mesi e che quando sono di origine governativa sono viziati da tempi di gestazione che a volte durano anche anni. Non è un caso che quando si lega una riforma a una legge delega, la prima considerazione che viene fatta, dentro e fuori il Parlamento, è: non si farà o si farà chissà quando.
Il monitoraggio “costante” del Governo, le semplificazioni al ministero della Pa di Brunetta. Stop all’Unità centrale di semplificazione a palazzo Chigi
“La semplificazione amministrativa e normativa richiede un impegno sistematico, che va ben al di là dei tempi e dei contenuti del PNRR”, si legge nel testo del Piano italiano. Il cervellone sarà il Dipartimento della Funzione pubblica guidato da Renato Brunetta che sarà potenziato in termini di personale. Così come il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, la struttura di supporto al presidente del Consiglio nella funzione di coordinamento dell’attività normativa del Governo. Ma a differenza dell’ultima bozza non ci sarà l’Unità centrale di semplificazione a palazzo Chigi.
Controlli antimafia, tempi contingentati per l’aggiudicazione degli appalti, meno stazioni appaltanti. La normativa speciale fino al 2023
L’ultima bozza parlava di un generico “rafforzamento” delle semplificazioni previste nel decreto approvato l’anno scorso dal governo Conte e solo per quelle relative al termine massimo per l’aggiudicazione di un appalto. Il testo inviato dal Parlamento, invece, prevede una proroga dell’efficacia della normativa speciale fino al 2023. La direzione è doppia: da una parte più verifiche antimafia e protocolli di legalità, dall’altra la limitazione della responsabilità per danno erariale ai casi in cui la produzione del danno è “dolosamente voluta dal soggetto che ha agito”. Ma anche l’individuazione di un termine massimo per l’aggiudicazione degli appalti, con una riduzione dei tempi tra la pubblicazione del bando e l’aggiudicazione, oltre a misure per contenere i tempi di esecuzione degli stessi appalti. Queste ultime azioni vanno nella direzione di legare gli appalti a un numero minore dei cosiddetti lacci e lacciuoli. Tra l’altro altri provvedimenti che si possono inquadrare in questa direzione, come la riduzione del numero delle stazioni appaltanti, sono misure urgenti che possono, anzi devono, essere messe in campo subito, senza un provvedimento legislativo.
Meno regole per gli appalti, modello Germania. Le misure in un decreto da approvare entro maggio
Per gli appalti ci saranno misure a regime – e il modello a cui guardare è la Germania – ma anche misure urgenti. Anche qui i tempi sono stringenti: le misure urgenti andranno adottate con un decreto che il Governo è chiamato ad approvare entro maggio. Le misure a regime, invece saranno varate utilizzando il disegno di legge delega: andrà presentato in Parlamento entro il 31 dicembre e i decreti legislativi collegati andranno adottati entro nove mesi dall’entrate in vigore della legge delega. Nella vecchia bozza, invece, non era precisato il timing delle misure urgenti: si parlava genericamente di un decreto che sarebbe stato approvato dopo la trasmissione del Recovery a Bruxelles.
Cosa dovrà fare la legge delega spiega il cambio di passo sugli appalti. Dovrà ridurre le norme, ma soprattutto recepire le direttive europee, quelle che semplificano le autorizzazioni e velocizzano la progettazione di opere pubbliche, piccole e grandi, ma anche l’avvio dei cantieri. Tra le azioni di semplificazione figura la riduzione dei documenti da presentare per partecipare a un bando, ma anche l’individuazione puntuale dei casi nei quali è possibile ricorrere alla procedura negoziata senza la pubblicazione precedente di un bando. Ancora prevedere casi in cui le stazioni appaltanti possono legare l’aggiudicazione degli appalti solamente al criterio del prezzo o del costo inteso come criterio del prezzo più basso o del massimo ribasso d’asta.
Autorizzazioni ambientali più veloci a maggio. Se restano come quelle di oggi ci vorranno 100 anni per raggiungere gli obiettivi sul fotovoltaico
Quello che non va lo scrive il Governo. Le norme vigenti sulla Via, la Valutazione di impatto ambientale, “prevedono procedure di durata troppo lunga e ostacolano la realizzazione di infrastrutture e di altri interventi sul territorio”. Ma senza le valutazioni ambientali non si possono fare le opere pubbliche né spingere gli investimenti privati, a iniziare da quelli per le rinnovabili. Il ministero dell’Ambiente ha fatto una simulazione di come la burocrazia sta mettendo a rischio i target dei prossimi anni: i tempi medi per la conclusione dei procedimenti di Via sono di oltre due anni, con punte quasi di sei anni, mentre per la verifica di assoggettabilità alla Via sono necessari 11 mesi, quasi un anno. Se le cose non cambiano l’Italia impiegherà 24 anni per centrare gli obiettivi della produzione di energia da fonte eolica e ben 100 per il raggiungimento dei target per il fotovoltaico. Anche in questo caso si è parlato da un decreto da approvare “dopo la trasmissione del Pnrr” a Bruxelles a un timing più dettagliato: le misure urgenti sempre a maggio, quelle a regime con un disegno di legge delega da presentare in Parlamento entro fine anno e con i decreti legislativi da adottare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge delega.
A maggio anche il decreto per semplificare le norme del superbonus al 110%
I partiti, 5 stelle in primis, hanno spinto per la proroga del superbonus al 110 per cento. Il ministro dell’Economia Daniele Franco ha assicurato che i soldi necessari arriveranno in autunno con la manovra, ma prima c’è un altro problema. Il superbonus è incastrato in una serie di norme che rendono complessa anche solo la richiesta di usufruire dell’agevolazione. Il decreto legge per cancellare gli ostacoli burocratici sarà approvato, anche questo, entro maggio.
Le norme sulla concorrenza in due tempi.
Legge annuale approvata in Parlamento entro luglio, altre norme legate agli sviluppi della pandemia
La legge annuale sulla concorrenza sarà presentata in Parlamento entro luglio, mentre altre norme arriveranno negli anni successivi, quando lo consentirà il superamento delle criticità create dalla pandemia. Si riducono anche i tempi per il disegno di legge sugli incentivi per le imprese che operano al Sud: la presentazione del disegno di legge alle Camere entro il 30 giugno (prima era entro il 30 settembre).
Salta il salario minimo legale, in arrivo un ammortizzatore sociale per i lavoratori autonomi
Nella versione del Recovery inviata al Parlamento non figura più il salario minimo legale. Confermata invece la riforma degli ammortizzatori sociali: tutti avranno la cassa integrazione che sarà modulata sulla base delle dimensioni dell’impresa e tenendo conto delle caratteristiche del settore in cui operano. La novità è “un sistema di tutele” per i lavoratori autonomi.
Occhio alla spesa.
Il potenziamento del Tesoro per la revisione e la valutazione
Capitolo 1.3.10: Rafforzare le misure di revisione e valutazione della spesa. Ci sarà un ulteriore rafforzamento del ruolo del ministero dell’Economia, anche attraverso il potenziamento delle strutture esistenti, per le tre fasi del processo di spesa: valutazione ex ante delle proposte, monitoraggio sulla loro effettiva implementazione, valutazione ex post dei risultati. “L’obiettivo – si legge nel testo del Recovery – è di rendere maggiormente effettive le proposte di revisione/riprogrammazione della spesa” per una maggiore efficienza della stessa spesa e per trovare soldi necessari anche ad abbattere le tasse.
(da agenzie)
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Aprile 26th, 2021 Riccardo Fucile
RENZI ACCUSAVA CONTE PERCHE’ STANZIAVA “SOLO” 12 MILIARDI, ORA CHE DRAGHI LI HA TAGLIATI A 4,5 NON DICE NULLA?
Solo 4,5 miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) predisposto dal governo Draghi saranno usati per gli obiettivi del “Piano Amaldi“, ovvero per potenziare la ricerca scientifica pubblica.
E, in gran parte, saranno fondi non strutturali.
Una decisione ben lontana dai quasi 12 miliardi promessi dal governo Conte. A denunciarlo su Twitter nei giorni scorsi sono stati diversi esponenti del mondo scientifico, che nei scorsi mesi avevano promosso il piano, a sostegno del quale era stata lanciata una petizione sulla piattaforma Change.org che ha raccolto oltre 30mila firme.
Proprio il piano Amaldi era stato uno dei temi sollevati dal leader di Italia Viva Matteo Renzi quando decise di aprire la crisi di governo che portò alla nascita dell’esecutivo guidato da Mario Draghi.
“Sen. Matteo Renzi, lei il 19 gennaio 2021 ha fatto cadere il governo Conte chiedendo – tra tante altre cose – anche l’implementazione integrale del Piano Amaldi per la ricerca scientifica”, ha scritto in un tweet pochi giorni fa Federico Ronchetti, fisico dell’Infn (Istituto Nazionale Fisica Nucleare) e promotore della raccolta firme sul piano. “Chiedeva una svolta: ora la chiediamo noi a Lei. Dov’è il Piano Amaldi? Ora o mai più”. Ma dall’ex premier per ora non è arrivata risposta.
Cos’è il piano Amaldi
Il Piano Amaldi prende il nome da Ugo Amaldi, fisico del Cern (Organizzazione europea per la ricerca nucleare) e presidente emerito Fondazione Tera, ed è una proposta per utilizzare i finanziamenti del Recovery Plan per rilanciare la ricerca pubblica italiana a livello internazionale.
Amaldi aveva esposto la sua proposta in un pamphlet contenuto nel saggio a più firme “Pandemia e Resilienza. Persona, comunità e modelli di sviluppo dopo la Covid-19”, pubblicato dalla Consulta scientifica del Cortile dei Gentili. In seguito, insieme ad altri scienziati, aveva esposto la proposta in una lettera al presidente della Commissione Cultura del Senato.
Il piano sottolinea la “situazione del tutto insoddisfacente degli investimenti italiani in ricerca pubblica” e ribadiva come l’Italia spendesse troppo poco per la ricerca scientifica in confronto agli altri Paesi europei. Per sopperire alla situazione, gli scienziati chiedevano investimenti in cinque anni, fino al 2026, nella ricerca pubblica. Secondo prestigiosi scienziati italiani, come Luciano Maiani, Giorgio Parisi e Alberto Mantovani, servivano almeno 15 miliardi, che avrebbero dovuto sostenere la ricerca di base e non essere orientati al mondo delle imprese.
L’iniziativa si era trasformata in un hashtag su Twitter che ha raccolto consensi dalla comunità scientifica e anche da alcuni esponenti politici, tra cui il leader di Azione Carlo Calenda, la ministra per il Sud Mara Carfagna e il sottosegretario agli Affari Esteri Benedetto della Vedova.
La bozza del Recovery Plan approvata il 12 gennaio 2021 dal governo Conte menzionava esplicitamente il Piano Amaldi e destinava alla ricerca 11,77 miliardi di euro. Invece, nel testo del Pnrr che verrà presentato oggi in Parlamento non viene menzionato esplicitamente il piano. I fondi destinati alla ricerca di base e a quella applicata non sono stati aumentati in modo netto e non sono stati resi strutturali.
“L’Italia affossa il Piano Amaldi che con un investimento in ricerca dell’1% del Pil promette una crescita del 3%. In USA Joe Biden investe 250 miliardi in ricerca e trasferimento tecnologico. Cambiano le facce ma i fatti non ci sono, sottolinea sempre su Twitter Federico Ronchetti, che aggiunge: “Con il Piano Amaldi chiedevamo 20 miliardi in sei anni. Poi Manfredi ne ha promessi 15. Alla ministra Messa ne sono stati chiesti 12. Quanti ce ne danno? 4,5 e nemmeno strutturali. 4,5 miliardi su 230. Il Piano Amaldi omeopatico”.
“Se l’Italia non ha capito l’importanza della ricerca neanche nel momento in cui la scienza ci ha letteralmente salvato la vita e ci ha impedito di entrare in un cupo medioevo, allora non c’è più speranza”, ha commentato su Twitter Roberto Burioni.
(da TPI)
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Aprile 26th, 2021 Riccardo Fucile
“RIAPERTURE PREMATURE, PREOCCUPA LA SCUOLA: IN UN MESE AUMENTANTI I CONTAGI DEGLI STUDENTI DEL 25%”
“La mia previsione è che nel giro di tre, cinque settimane saremo costretti a
richiudere”. Parte da qui Giovanni Sebastiani nell’analisi dello scenario epidemiologico presente e futuro.
E indica come esempio quanto sta succedendo a Bolzano – “si è riaperto prima, il numero dei contagi ha smesso prima di diminuire e ci sono segni iniziali di aumento, come per i ricoveri in terapia intensiva”.
Oggi l’Italia prova a ripartire, è il giorno delle riaperture. Il matematico dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo “Mauro Picone” del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Iac) non esita a definirle “premature”.
“Più di tutto – spiega – mi preoccupa la scuola. Si è dimostrato che, in seguito al ritorno degli studenti in presenza, l’Rt aumenta del 25% in 4 settimane, come ha ammesso anche l’Istituto Superiore di Sanità. Inoltre, a differenza di quanto avveniva l’anno scorso, oggi la trasmissione del virus coinvolge anche i bambini di età inferiore a 10 anni”. E infatti, aggiunge Sebastiani, “a gennaio la prima ad essere ripartita è stata la curva degli under 10”.
Insomma, pur con le incertezze dei modelli matematici da mettere nel conto, i numeri dell’Italia sconsigliavano di allentare le restrizioni. “Noi stiamo frenando la discesa dei contagi, entro 7-10 giorni la curva tornerà piatta e poi ricomincerà a salire – aggiunge il matematico del Cnr – Credo che la ripartenza andasse rinviata a fine maggio. In tal modo avremmo completato, somministrando gli 11 milioni di dosi mancanti, la vaccinazione degli ultra70enni, che contribuiscono all’86% della mortalità per Covid”.
Il vaccino, già, l’elemento che differenzia la ripartenza attuale da quella dell’anno passato? Quali effetti può determinare la campagna vaccinale sull’evoluzione del virus nel nostro Paese. Qualche giorno fa il fisico dell’Università di Trento, Roberto Battiston, ha spiegato che “i contagi calano lo stesso grazie ai vaccinati e agli ex malati”.
Per Sebastiani, invece, “stiamo abbattendo la mortalità ma non la circolazione del virus, non come andrebbe fatto almeno” perché “la vaccinazione, così come la stiamo facendo, pur salvaguardando com’è sacrosanto vite umane preziose, non agisce su quanti fanno circolare il virus in modo sostanziale. E poi c’è il problema dei ragazzi”. Ancora una volta, occhi puntati sui numeri.
Al 25 aprile risulta che agli under60, le persone – in Italia sono 42 milioni – che veicolano maggiormente il virus, sono state somministrate 5 milioni e 700mila dosi. Circa 3 milioni e 600mila agli under 50 – 32 milioni e 500mila persone, 2 milioni agli under 40 – 23 milioni e 500mila persone. “Alle persone di età inferiore ai 19 anni, circa 10 milioni e 600mila persone, sono state somministrate circa 30.000 dosi, al di sotto i 16 anni non è stato vaccinato nessuno”.
Insomma, “si può assumere che chi completa la vaccinazione con le due dosi necessarie non trasmette il virus, ma una persona di 70 anni o più quante persone può incontrare, e quindi quante occasioni avrà di trasmettere il virus, rispetto a una persona di età inferiore a 50 anni?”, chiede Sebastiani. Da qui la conclusione che “così non si ferma al momento in modo sostanziale la circolazione del virus”.
Con tutto quello che ne consegue. “Portare avanti la campagna vaccinale in uno scenario come il nostro, caratterizzato da un’alta circolazione del virus, è molto rischioso”, avverte il matematico del Cnr. Per due ragioni. “In primo luogo perché le persone fragili in attesa del vaccino – mi riferisco in particolare agli over70 mancanti – rischiano di essere colpite dal virus prima di essere vaccinate e dunque di morire e poi soprattutto c’è la possibilità che si sviluppino nuove varianti del virus potenzialmente resistenti al vaccino. Da uno studio israeliano sembra che contro la variante indiana il vaccino di Pfizer BioNTech abbia una risposta ridotta degli anticorpi”.
Insomma, guardia alta. Anche perché “la percentuale di positivi sui tamponi è all’8%, lo stesso livello di fine di gennaio”. Anche allora si allentò, si riaprirono le scuole. Per Sebastiani “si perse un’occasione preziosa, perché avremmo potuto far scendere la percentuale al 3% e ripristinare il tracciamento dei positivi. Sarebbe bastato disporre di nuovo per due settimane le restrizioni delle festività natalizie”.
Invece si riaprì, a cominciare dalle scuole. “Per poi reintrodurre le misure quando era ormai troppo tardi e la situazione era ancora una volta sfuggita di mano”, considera il matematico.
E allora oggi che l’Italia riapre, a fronte di uno scenario poco favorevole all’abbassamento della curva, è fondamentale “limitare i danni, puntando sui comportamenti individuali, esortando le persone a rispettare le regole”, va avanti Sebastiani che tiene anche a “sfatare il falso mito che all’aperto non ci si contagi. Basta guardare quello che sta succedendo in India per rendersi conto che non è così, che se non si rispettano determinate condizioni il virus colpisce anche all’aria aperta”.
Da oggi, all’aperto, in zona gialla si può tornare al ristorante. Sebastiani per ora non ci andrà, “o almeno non come la maggior parte delle persone. Quando ci andrò, sarà con una persona sola, al massimo due, sceglierò un giorno infrasettimanale, e un posto in cui potrò rispettare la distanza necessaria dai miei commensali e dagli altri avventori, 2 metri. Inoltre, toglierò la mascherina solo quando mangio o bevo. Comprendo pienamente le esigenze dei ristoratori, con i quali sono solidale e che con altri hanno patito le conseguenze anche economiche dell’epidemia, ma si può sempre scegliere di ordinare il pranzo o la cena al ristorante e poi mangiarle all’aperto, come i picnic degli anni ‘60-‘70 e sempre nel rispetto delle regole anti Covid”.
Perché, sottolinea il matematico del Cnr, “dobbiamo metterci in testa che siamo ancora in una situazione delicata e la nostra vita non è ancora come quella di prima”.
E poi c’è il coprifuoco, per ora mantenuto alle 22. “Per quanto riguarda la questione calda del coprifuoco – conclude Sebastiani – quello che è più importante per me, in primo luogo, è che la regola sia semplice e chiara, senza ambiguità che permettano interpretazioni personali e in secondo luogo che vengano attuate misure efficaci e massive di controllo e repressione”.
(da Huffingtonpost)
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Aprile 26th, 2021 Riccardo Fucile
“LA PRIORITA’ E’ METTERE IN SICUREZZA ANZIANI E FRAGILI”
Le riaperture concesse dal governo Draghi a partire da oggi, con ben 15 regioni in zona gialla, non convincono gli esperti. Complici l’alto numero di contagi e di decessi, in molti ritengono che le decisioni siano state affrettate.
Andrea Crisanti è uno di questi e lancia un nuovo allarme: “Si presenterà un rischio legato all’elevato numero di casi positivi che ci sono ogni giorno. Non ci sono le condizioni per una apertura in sicurezza, come l’Inghilterra. Non sarà come a Londra”, commenta.
“Se apro tutto – domanda il professore ordinario di microbiologia dell’Università di Padova – come si pensa che la gente possa usare precauzioni”.
Non convince, secondo Crisanti, la classifica di chi vaccina di più in Italia: “Questa è una graduatoria – afferma – che risente di propaganda e retorica. E’ più importante seguire la percentuale di persone anziane e fragili vaccinate, elemento importante dal punto di vista della salute pubblica. La priorità deve essere quella di mettere in sicurezza anziani e fragili. Quanto alla scuola – aggiunge – non siamo ancora in grado di identificare, all’interno, un rischio o rischi specifici. Qualsiasi decisione è presa senza sufficienti informazioni scientifiche. Con la Dad si limitano i contagi a condizione che le scuole siano tutte chiuse. Se si lascia l’iniziativa libera alle persone è un altro discorso”.
Quanto al settore turistico in Puglia e all’invito di Emiliano ai pugliesi di trascorrere le vacanze nella regione, Crisanti afferma che “l’approccio turistico alla pandemia deve essere improntato con una politica nazionale. Di fronte alle aperture, è intollerabile che non ci siano regole rispetto agli arrivi in Italia, soprattutto da paesi da cui provengono variabili resistenti al vaccino. Non avere regole è da dilettanti. Se devono venire da noi turisti stranieri, tamponi prima e dopo, in alcuni casi anche quarantena. Chi proviene da Stati dove è presente una particolarità particolarmente pericolosa dovrebbe attenersi alle disposizioni che l’Inghilterra ha stabilito per gli ingressi dall’India: 15 giorni di quarantena ‘vigilata’ in albergo, tampone preventivo, e poi nuovi test dopo due, otto e quattordici giorni”.
Con l’arrivo della bella stagione, conclude il microbiologo, “non si può prevedere un abbassamento dei contagi in estate. Basta vedere quello il caso Brasile, dove non c’è stato alcun beneficio legato alle alte temperature. L’unico elemento positivo che si può individuare viene dal beneficio di stare più all’aperto. Non bisogna fare paragoni con l’estate 2020 – conclude – Sarà una stagione completamente diversa, con maggiore trasmissione dei contagi. Ma c’è un’altra partita doppia e essenziale da giocare, quella di vaccinare più persone possibili e tentare di bloccare l’ingresso dall’estero in Italia di nuove varianti resistenti al vaccino”.
(da agenzie)
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Aprile 26th, 2021 Riccardo Fucile
COME STANNO I CONTAGIATI
“In Veneto abbiamo registrato i primi due casi di variante indiana all’Ulss
Pedemontana di Bassano, si tratta di padre e figlia, rientrati probabilmente dall’India, per cui è stata confermata la variante indiana” ha spiegato Zaia oggi nel corso del punto stampa.
Da parte sua l’assessore alla Sanità Manuela Lanzarin ha spiegato che “sono in isolamento fiduciario a casa, con sintomi ma non gravi”.
Mentre il presidente del Veneto ha anche annunciato che “abbiamo anche due casi in valutazione per una eventuale conferma che si tratti di variante indiana”.
Zaia ha anche spiegato che “Ad oggi un terzo dei Veneti è già vaccinato. Sulle vaccinazioni stiamo galoppando ed abbiamo fatto un bel lavoro, lo ha riconosciuto anche lo stesso commissario Figliuolo”.
A parlare della variante indiana all’Adnkronos Salute è Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma. “Il virus ancora non si è stabilizzato e si modifica – sottolinea Andreoni – e può evidentemente far partire nuove varianti. Dobbiamo tracciare e monitorare per individuarlo in anticipo”.
La comunità indiana in Italia è molto numerosa, cosa occorre fare per evitare che possano diffondersi focolai locali o d’importazione? “Se queste persone sono state in India recentemente o hanno avuto contatti stretti con persone tornate nelle ultime 2-3 settimane – avverte l’infettivologo – nel caso di sintomi occorre che si sottopongano a un tampone, si segnalino alle Asl o al medico di famiglia”.
Sul blocco dei voli dall’India deciso dal ministro della Salute, Roberto Speranza, “ha fatto bene: in questa situazione è una misura necessaria”, osserva Andreoni.
(da agenzie)
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Aprile 26th, 2021 Riccardo Fucile
OBIETTIVO PRIMARIO RECUPERARE LE DOSI PROMESSE
Le ultime perplessità sono evaporate venerdì, nel corso dell’ultima riunione del comitato direttivo della Commissione Europea dove sono rappresentati tutti gli Stati membri. Ultimi a convincersi l’Ungheria e anche la Germania. E così Bruxelles ha deciso di fare causa ad Astrazeneca, accusata di aver violato il contratto firmato il 27 agosto dell’anno scorso per la fornitura di 300 milioni di vaccini anti-covid entro giugno 2021.
La causa è intentata dall’organismo di Palazzo Berlaymont con il sostegno di tutti gli Stati membri, che partecipano formalmente all’azione. Mercoledì si terrà la prima udienza davanti al tribunale di prima istanza di Bruxelles, dove è stata presentata la denuncia. L’obiettivo è recuperare le dosi che mancano all’appello, ma il percorso per raggiungerlo è complicato. Fino alla fine di marzo, l’azienda anglo-svedese ha consegnato solo 30 milioni di dosi a fronte delle 120 milioni pattuite per il primo trimestre.
Ma ormai, dopo il braccio di ferro di quest’inverno, i sospetti denunciati dalla Commissione Europea contro Astrazeneca, accusata di esportare in Gran Bretagna le dosi destinate all’Ue, dopo le lettere di richiamo partite dalla Commissione a marzo e rimaste pressoché senza spiegazioni plausibili, a Bruxelles hanno concluso che per ora non c’è altra via che quella legale per farsi valere. Per ora e forse anche per il futuro, visto che tutti gli indizi lasciano ormai presagire che il futuro è fatto di vaccini Pfizer, con cui la Commissione sta per firmare un terzo contratto per la fornitura di 1 miliardo e 800 milioni di dosi, o comunque è fatto di vaccini a ‘Rna messaggero’, considerato più efficace contro le varianti. Insomma, non sembra esserci posto per Astrazeneca – e forse nemmeno per Johnson&Johnson – nel futuro della campagna vaccinale europea.
L’azione legale avviata venerdì parla di “continue violazioni del contratto” e “mancanza di una strategia credibile da parte dell’azienda per assicurare il rispetto dei tempi di consegna dei vaccini”. Insomma, conflitto aperto, il rapporto con Astrazeneca sembra chiuso. Come pure sembrerebbe affogato in un vicolo cieco di mancanza di frutti il dialogo avviato da Bruxelles con il governo britannico sulle catene di produzione e fornitura dei vaccini, dopo gli scontri dei mesi scorsi.
Adesso c’è l’azione legale. L’obiettivo principale, chiarisce la Commissione, è “assicurare la consegna immediata delle fiale, in linea con il contratto firmato”, ma recuperare le dosi mancanti non è affatto semplice. Perché pur ammettendo che da gennaio l’azienda abbia privilegiato il Regno Unito e sacrificato i patti con l’Ue, il problema è che la capacità produttiva di Astrazeneca si è rivelata scarsa. È anche questo il motivo per cui la compagnia non ha rispettato i patti.
Ad ogni modo, la possibilità che il giudice sequestri le dosi prodotte negli stabilimenti dell’azienda in Europa è una opzione sul tavolo. Ed è questo che ha convinto gli Stati più scettici sull’azione legale: chi non la sostiene, sarebbe rimasto escluso dall’eventuale re-distribuzione delle fiale. Dopo le perplessità iniziali (ce le avevano anche Italia e Francia, ma si sono sciolte già nella giornata di giovedì), tutti i 27 Stati membri si sono risolti a sostenere la causa preparata da Palazzo Berlaymont: proprio per partecipare alla spartizione delle torta di vaccini, se il sequestro andrà a buon fine.
Il primo contenzioso dell’Ue sulla strada della lotta al covid, a quattro mesi dall’inizio di una campagna vaccinale piena di acciacchi, finisce in tribunale. Ai giudici l’ardua sentenza.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 26th, 2021 Riccardo Fucile
SCONFITTO IL CARTELLO DEL CENTRODESTRA
Il Partito socialista (Ps) del primo ministro Edi Rama si avvia a vincere le elezioni
generali in Albania, elezioni seguite da vicino nelle capitali europee e considerate un test chiave nel percorso del piccolo Paese balcanico verso l’adesione all’Ue.
A metà dello scrutinio, i socialisti conquistano il 50,5 % dei voti e 75 seggi sui 140 totali in Parlamento, uno in più del 2017 (quando avevano ottenuto il 48,3% dei voti). I due principali partiti di opposizione, il Partito Democratico e il Movimento per l’integrazione socialista, si sono fermati rispettivamente al 39,2% (56 seggi) e al 7,3% (6 seggi)
Rama – nel 1998 ministro per la cultura, nel 2000 sindaco della capitale Tirana e dal 2013 primo ministro -conquista dunque un terzo mandato, il capo di governo più longevo del post-comunismo, alla guida di un Paese per 12 anni consecutivi: un traguardo che nessuno aveva mai raggiunto da quando l’Albania tenne le sue prime elezioni multipartitiche nel 1991 dopo decenni di governo comunista monopartitico.
I risultati definitivi si sapranno martedì, ma intanto Rama – 56 anni e una passione per la pittura – non ha rivendicato la vittoria ma ha pubblicato sulla sua pagina Facebook una foto con l’alba accompagnata dalla frase, “Che alba a Tirana!”.
Rama aveva chiesto tempo per completare i progetti infrastrutturali interrotti dalla pandemia e per continuare a ricostruire le migliaia di case distrutte dal potente terremoto alla fine del 2019 (una ferita che aveva lasciato 51 morti e decine di migliaia di sfollati)
Potrà poi concludere la campagna di vaccinazioni che dovrebbe consentire di immunizzare, entro la fine di maggio, 500mila dei 2,8 milioni di albanesi e rilanciare l’industria del turismo, che è stata duramente colpita dalla crisi sanitaria.
Domenica sera l’opposizione ha rivendicato la vittoria, ma questa non è una novità: dalla fine del comunismo all’inizio degli anni ’90 in Albania, chi ha perso sempre messo in dubbio i risultati delle elezioni, denunciando frodi e brogli.
Il voto si è svolto senza incidenti, dopo una campagna segnata da insulti personali tra i candidati e che si è ulteriormente deteriorata nell’ultima settimana quando in uno scontro a fuoco tra sostenitori rivali è morta una persona.
Bruxelles, che aveva concesso lo status di candidato nel 2014, ha dato il via libera all’avvio, anche se senza data, dei negoziati per l’adesione dell’Albania e tutti nel Paese si erano impegnati a garantire le riforme necessarie, a partire da quella del sistema giudiziario e la lotta alla criminalità organizzata.
(da agenzie)
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Aprile 26th, 2021 Riccardo Fucile
“I CONTAGI AUMENTERANNO, IL COPRIFUOCO E’ INDISPENSABILE: RIDUCENDO LA MOBILITA’ DIMINUISCE I CONTAGI”
Gran parte dell’Italia comincia a riaprire. Oggi riaprono bar, ristoranti, cinema e teatri, ci si può spostare liberamente tra le Regioni in fascia bianca e gialla e milioni di studenti tornano in classe. Scienziati ed esperti si sono però detti preoccupati dall’allentamento delle restrizioni, con ancora quasi mezzo milione di attualmente positivi e una campagna di vaccinazione che procede a rilento. Abbiamo fatto il punto della situazione con Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe. Ecco cosa ci ha detto.
Molti esponenti della comunità scientifica hanno avvertito sui rischi delle riaperture in queste precise condizioni, lei cosa ne pensa?
Il Decreto Riaperture, con il suo “rischio ragionato” è indubbiamente una decisione politica sul filo del rasoio se guardiamo ai dati della pandemia e alle coperture vaccinali, si affida molto alla responsabilità dei cittadini: chiaramente se le graduali riaperture saranno interpretate come un “liberi tutti”, una nuova impennata dei contagi rischia di bruciare la stagione estiva.
Le polemiche sulle riaperture si sono concentrare specialmente sul coprifuoco, che alla fine è stato mantenuto alle 22. Come giudica questa misura?
È una misura anti-assembramento che, riducendo la mobilità e le interazioni sociali, diminuisce la probabilità del contagio, in particolare tra i più giovani che, oltre ad avere le maggiori occasioni di socialità, saranno gli ultimi ad essere vaccinati. Guida la popolazione a rispettare le regole, anche perché la sua violazione è sanzionata e rispetto ad altre misure per contenere la diffusione del virus è molto semplice da applicare. Personalmente sono favorevole al mantenimento del coprifuoco in questa fase della pandemia
Crede che potremo essere costretti a introdurre nuovamente restrizioni per la stagione estiva?
Al fine di garantire l’irreversibilità delle riaperture, è cruciale che Governo e Regioni elaborino una strategia esplicita e condivisa per arginare la verosimile risalita dei contagi e, soprattutto, un piano di medio-lungo periodo per uscire dalla pandemia che tenga conto, oltre che delle coperture vaccinali, di scenari epidemiologici e criticità mai risolte in 14 mesi di pandemia. Tuttavia, il ritorno al giallo e la riapertura delle scuole determineranno inevitabilmente una risalita dei contagi, solo parzialmente mitigata dalla ridotta probabilità di contagio all’aperto per l’aumento delle temperature che riduce l’effetto aerosol. Peraltro è impossibile in tempi brevi ridurre l’incidenza settimanale dei nuovi casi al di sotto di 50 casi per 100.000 abitanti, soglia massima per riprendere un tracciamento efficace. Infine, la vaccinazione di over 70 e fragili avrà un impatto rilevante nei prossimi mesi su ospedalizzazioni e decessi, ma non sulla circolazione del virus perché la copertura vaccinale della popolazione è ancora esigua. In sintesi, se il sistema per assegnare i colori alle Regioni rimane in vigore, sarà la circolazione del virus e il suo impatto sui servizi ospedalieri a dettare la necessità di nuove restrizioni.
Quando crede che sarà possibile completare la campagna vaccinale, visti i ritardi che ci sono stati e le nuove raccomandazioni su AstraZeneca e Johnson & Johnson?
La macchina organizzativa delle Regioni sta finalmente prendendo il giusto ritmo, ma purtroppo le consegne vengono annunciate con 10-15 giorni di anticipo, per cui non è semplice fare previsioni temporali. Se le forniture continuano con questo ritmo, entro fine maggio dovrebbe avvicinarsi al traguardo la vaccinazione degli over 80, della fascia 70-79 e delle persone fragili. Entro fine giugno la fascia 60-69 dovrebbe ricevere almeno una dose. Sul resto della popolazione, oltre alle forniture dei vaccini, pesa anche il tasso di adesione che non conosciamo.
Il Governo ha annunciato un Pass verde per spostarsi tra le Regioni arancioni e rosse, ma che potrebbe essere utilizzato anche per accedere ad alcuni eventi. Pensa che sarà uno strumento utile?
Difficile predire l’utilità di uno strumento che presenta tre limiti rilevanti. Innanzitutto, l’impossibilità di garantire al 100% la non contagiosità di una persona vaccinata, guarita dall’infezione, o con un tampone negativo, in particolare se antigenico. In secondo luogo, le incertezze sulla legittimità costituzionale dello strumento, oltre che quelle sulla privacy già sollevate dal Garante. Infine, i tempi per l’implementazione della Piattaforma nazionale digital green certificate, un sistema informativo nazionale per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificazioni COVID-19 interoperabili a livello nazionale ed europeo.
(da Fanpage)
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