Aprile 29th, 2021 Riccardo Fucile
LA CARICA SPETTA ALL’OPPOSIZIONE, MA A LEGA NON VUOLE MOLLARE LA POLTRONA A FRATELLI D’ITALIA
“Credo che i presidenti delle Camere debbano intervenire per sciogliere il Comitato parlamentare di sicurezza e tentare una soluzione” all’attuale stallo. A dirlo è il senatore di Forza Italia, Elio Vito che di recente si è dimesso dal Copasir.
Attualmente a guidare la commissione di garanzia è Raffaele Volpi, parlamentare della Lega ma, con la nascita del governo Draghi di cui il partito di Matteo Salvini è uno degli azionisti di maggioranza, la presidenza viene reclamata da Fratelli d’Italia, rimasta all’opposizione.
Vito parla nel corso di una conferenza stampa organizzata da alcuni costituzionalisti promotori di una lettera aperta rivolta ai presidenti di Senato e Camera, Maria Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico, per sollecitare il rinnovo dell’ufficio di presidenza del Copasir.
Dagli iniziali 37 si è arrivati a 51 fra costituzionalisti, giuristi e politologi. Tra loro i presidenti emeriti della Corte costituzionale, Antonio Baldassare e Valerio Onida.
Il 6 aprile Fico e Casellati hanno messo nero su bianco, in una lettera congiunta, la loro decisione. Nessun intervento da parte loro per imporre dimissioni, revocare i componenti, sciogliere la commissione o considerarla decaduta.
I presidenti dei due rami del Parlamento si sono rivolti proprio a FdI spiegando che un’eventuale soluzione – e cioè che la presidenza del Copasir passi di mano – può essere risolta solo con “accordi tra le forze politiche”.
Ma a dar ragione alla richiesta del partito di Giorgia Meloni, che insiste perché Fico e Casellati intervengano nuovamente questa volta per azzerare il Copasir e determinare le dimissioni del presidente, ci sarebbero alcuni precedenti evocati nel corso della conferenza stampa.
Il primo caso è quello dell’ottobre 1974 quando il presidente della Camera Sandro Pertini revocò la Giunta delle Elezioni per la sua ‘’inoperatività”.
Il secondo risale agli anni Ottanta quando fu istituita una commissione d’inchiesta sulla strage di via Fani, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, e alcuni deputati e senatori sollevarono una questione sulla incompatibilità della presenza di un membro.
Il presidente della commissione di allora, di fronte all’annuncio di dimissioni di alcuni componenti, si rese conto che la commissione non era più in condizione di operare.
Furono i presidenti Nilde Iotti e Amintore Fanfani a intervenire e sciogliere la commissione, che fu ricostituita dopo 20 giorni con alcuni aggiustamenti. Infine il caso del gennaio 2009, quando i presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani, sciolsero la Commissione di vigilanza Rai per consentire alle forze di opposizione di eleggere un presidente da loro indicato al posto di Riccardo Villari che non intendeva dimettersi.
“Rispetto a tre settimane fa, quando i presidenti scrissero la lettera, ci sono state novità: si sono dimessi Vito e il vicepresidente Urso. Pertanto il Copasir è impossibilitato a operare”, insiste il vicepresidente della Camera, ed esponente di FdI, Fabio Rampelli. Meloni, non sapendo più a quale santo votarsi, giorni fa ha invocato l’intervento del Colle.
(da agenzie)
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Aprile 29th, 2021 Riccardo Fucile
I MESSAGGI WATHSAPP AI COLLEGHI DEL CARROCCIO: “POSSO USARE LA TUA CARTA DI CREDITO?”
L’account Whatsapp del presidente del Copasir Raffaele Volpi (Lega) è stato
hackerato. Questa mattina alcuni sms equivoci sono partiti dal servizio di messaggistica dell’esponente leghista, messaggi in cui veniva chiesto ai riceventi di condividere la carta di credito via Whatsapp.
Volpi, raggiunto telefonicamente dall’Adnkronos, ha spiegato di aver denunciato immediatamente l’accaduto alla Polizia postale.
Il Copasir è il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica è un organo del Parlamento della Repubblica Italiana che esercita il controllo parlamentare sull’operato dei servizi segreti italiani.
Il messaggio-truffa ha questo testo: “Buongiorno, ho comprato da internet ma la mia carta di credito è scaduta. Posso usare la tua e ti faccio bonifico”. Si tratta di una truffa molto diffusa, che consiste nell’inviare messaggi a pioggia a tutti i contatti di un’utenza sperando che qualcuno ci caschi e ordini i pagamenti per fare un favore al (falso) amico.
Si tratta di un tentativo di truffa avvenuto attraverso una delle applicazioni più utilizzate sugli smartphone e diventata strumento preferito dagli hacker. Lo staff del deputato leghista – che gestisce i dossier più delicati della Repubblica – ha però subito precisato: “Non rispondete, è un fake”.
Attualmente Volpi è al centro di una polemica politica per il suo ruolo al Copasir. Di norma quella poltrona va all’opposizione e per questo, quando il governo Conte-Bis ha giurato, la carica se l’è presa la Lega.
Ma adesso che il Carroccio sta nella maggioranza che sostiene il governo Draghi, Fratelli d’Italia ha rivendicato a più riprese la carica, mentre Giorgia Meloni ha polemizzato in più occasioni con Matteo Salvini. Ma per ora Volpi rimane in carica. Anche se il Capitano ha invitato i membri del comitato a dimettersi tutti. Ma finora l’unico a mollare è stato Adolfo Urso.
(da agenzie)
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Aprile 29th, 2021 Riccardo Fucile
LE GRANDI MANOVRE PER IL QUIRINALE
La bomba l’ha sganciata due giorni fa Paolo Mieli sul Corsera. Parlando di maggioranza Ursula (Pd, M5S e FI che nel luglio 2019 sostennero Von der Leyen), a un certo punto scrive: “Se Salvini entrerà in urto con Draghi, Enrico Letta otterrà che si spalanchi la via per la riconquista, nel nome di Ursula, del cuore di Berlusconi. Cui potrebbe miracolosamente toccare in sorte di essere indicato, dall’intera sinistra, come il nuovo punto di riferimento fortissimo di tutte le forze progressiste”.
Potrebbe davvero, dunque, il Caimano ambire al Quirinale? L’ipotesi appare fantascienza pura. L’unico a crederci è il diretto interessato. Il quale, raccontano fonti azzurre, ci spera con una certa convinzione ed è anche per questo che sta tentando di allontanare il più possibile la sentenza sul Ruby-ter grazie al suo ricovero al San Raffaele.
L’ipotesi è comunque da scartare non solo perché, quando se ne accenna, non si trova nemmeno un dem che la confermi (“Berlusconi al Colle con i nostri voti non ci andrà mai”, dicono), ma di mezzo ci sono pure i 5 Stelle. Che, pur tra le mille difficoltà di queste ore, mai e poi mai potrebbero appoggiare Berlusconi al Colle.
Allora perché Mieli ne parla? La risposta, conversando con esponenti dem e azzurri, è che si voglia benedire il ritorno della maggioranza Ursula proprio in vista (Berlusconi a parte) del grande gioco per il Quirinale.
Corrispondenze d’amorosi sensi tra i due partiti, da quando governano insieme, se ne sono viste. Tanto da far dire a Enrico Letta, in tv, che “ci troviamo meglio coi ministri forzisti che con quelli dei nostri alleati”. “Il Pd non ha più pregiudizi su di noi”, gli ha risposto Elio Vito. Nel governo, poi, le interlocuzioni sono quotidiane. Dario Franceschini e Mara Carfagna hanno molto collaborato su alcuni dossier del Pnrr. La ministra per il Sud ha un buon rapporto anche col suo predecessore, Giuseppe Provenzano (il passaggio di consegne tra i due viene definito “cordialissimo”).
Franceschini e Lorenzo Guerini in cdm fanno spesso sponda con Mariastella Gelmini e Renato Brunetta. Ma le interlocuzioni si dipanano pure a livello più basso. Debora Serracchiani, capogruppo dem a Montecitorio, per esempio, interloquisce spesso col pari grado azzurro Roberto Occhiuto. “C’è un confronto formale e governativo, ma da qui a dire che è scoppiato l’amore…”, raffredda gli animi, però, il forzista Andrea Ruggieri.
Poi c’è Letta (che con lo zio Gianni ha sempre parlato, seguendone a volte i consigli). Il segretario ha messo Salvini nel mirino perché, si sa, avere un “nemico” su cui sparare fa bene ai sondaggi. Così l’ex premier continua a buttargli petardi tra i piedi: lo ius soli, il ddl Zan, la foto con la felpa Open Arms, la legge sul fine vita in arrivo.
Salvini, fiutando la trappola, s’imbullona ancor di più all’esecutivo e dopo ogni polemica si affretta sempre a ribadire la sua “massima fiducia in Draghi”. “Non farò questo favore alla sinistra, resto nel governo per contare”, ha ripetuto pure ieri.
Ma, anche con la Lega al governo, è sul Quirinale che la maggioranza Ursula potrebbe tornare a manifestarsi. Su chi, però, è un’incognita.
Di sicuro, fa sapere un forzista, “non potremo mai votare uno dei nemici storici di Berlusconi, come Prodi”. Su tutti gli altri nomi (Franceschini compreso), si può trattare. Con o senza Salvini.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Aprile 29th, 2021 Riccardo Fucile
UNO STIPENDIO DI 10.000 EURO AL MESE, NONOSTANTE UNA CONDANNA IN 1° GRADO
“Se nella mia condanna c’è l’interdizione? Sinceramente? Non lo ricordo”.
La risposta che non ti aspetti arriva dal nuovo capo della segreteria tecnica del ministero degli Affari regionali, dicastero senza portafoglio ma centrale nei lunghi mesi della pandemia e per le scazzottate governo-regioni sulle restrizioni.
Per l’incarico, Mariastella Gelmini ha scelto un nome alquanto ingombrante: si tratta di Massimo Parisi, ex parlamentare di FI, poi Ala e storico braccio destro di Denis Verdini in Toscana. Insieme calcano da anni aule di giustizia tra condanne e udienze ancora da celebrare.
Parisi era persona di fiducia nonché amministratore nelle società editoriali fondate da Verdini dalla fine degli anni 90, falcidiate poi da fallimenti e inchieste per sovrafatturazioni e indebiti contributi all’Editoria ricevuti dalla Presidenza del Consiglio.
Il 10 giugno li attende il processo d’appello per la bancarotta della Società toscana edizioni (Ste) e relative provvidenze per la stampa che nel 2018 costò loro una condanna a cinque anni. Il 7 luglio compariranno poi davanti alla Corte dei Conti di Firenze per i danni patiti dallo Stato in sede civile, tali – stando all’accusa – da giustificare il sequestro di beni per svariati milioni.
La nomina di natura politica e fiduciaria innesca cortocircuiti a catena tra istituzioni: la Presidenza del Consiglio, salvo passi indietro, si troverà presto a stipendiare con 10mila euro al mese un condannato contro il quale si era costituita nel processo, ottenendo il riconoscimento di risarcimenti e il pagamento delle spese legali.
Il secondo è che la Corte dei Conti dovrà bollinare la regolarità di un incarico a un imputato davanti a una sua procura contabile.
Parisi, raggiunto dal Fatto, non si scompone, risponde malcelando fastidio dal suo ufficio in via della Stamperia a Roma, sede del Dipartimento per gli Affari regionali. “Sono vicende stranote alle cronache giudiziarie. Sono un cittadino innocente e non pregiudicato”, taglia corto perché “io parlo nei processi e non dei processi”. Forse non a torto, visto che quando lo fa ammette candidamente di non ricordare se è stato interdetto dai pubblici uffici come Verdini.
L’amico Denis invece è a casa sua, a Firenze. Causa Covid sta scontando ai domiciliari i sei anni e mezzo inflitti dalla Cassazione per il dissesto della “banchina” di Campi Bisenzio.
Benché in carcere, gli era stato accreditato un ruolo da mediatore nella nascita del governo di larghe intese di Draghi, riedizione del “patto del Nazareno”. Possibile che la chiamata del sodale Parisi abbia seguito questa via.
Il ministro Gelmini è legata a entrambi da un antico rapporto di amicizia e collaborazione come onorevoli e coordinatori regionali di Forza Italia in Toscana e Lombardia.
Ha sempre profetizzato l’innocenza dell’ex plenipotenziario, anche mentre veniva tradotto in carcere. Professione di garantismo estesa d’ufficio allo storico braccio destro. “Confermo la scelta – dice al Fatto – è un collaboratore prezioso, la sua condanna non è definitiva”.
Della nomina non si ha traccia, il decreto sarà pubblicato entro 90 giorni. “Non è pronto, se però scopre quali saranno i miei compensi me lo faccia sapere, le sarò grato”, dice lui.
L’epilogo è alquanto incerto. Salvo rinvii, dovrebbe celebrarsi l’udienza alla Corte dei Conti che a Parisi contesta 1,5 milioni di euro di contributi indebitamente percepiti. Nelle more di quella, un magistrato della stessa Corte dovrà esprimersi sulla regolarità della nomina, interdizione compresa. Neppure il presunto interdetto, per sua stessa ammissione, ne ha memoria. E il ministro?
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 29th, 2021 Riccardo Fucile
“IL CICLO DELLA VENDETTA E’ FINITO, ARRIVA IL CICLO DELLA GIUSTIZIA, IL PARLAMENTO ITALIANO VOTI LA LEGGE SUL’AMNISTIA VOLTANDO PAGINA”
Come era già accaduto nel 2008 – quando la Francia aveva concesso
l’estradizione in Italia della ex brigatista Marina Petrella scatendando manifestazioni a Parigi fino al passo indietro del governo – gli intellettuali francesi sono scesi in campo in difesa dei terroristi italiani riparati oltralpe. L
o hanno fatto con una lettera collettiva e pubblica indirizzata al presidente Emmanuel Macron: tra i firmatari c’è anche Valeria Bruni Tedeschi, l’attrice e regista italiana naturalizzata francese e sorella di Carla Bruni Sarkozy.
Nella lettera appello, pubblicata oggi su Libération, ricordano lo spirito della Dottrina Mitterand, in base alla quale “gli attivisti italiani di estrema sinistra impegnati nella violenza politica negli anni ’70 sono stati accolti nel nostro Paese con l’espressa condizione di abbandonare ogni attività illegale”. Una decisione presa da un presidente su cui, a parere dei firmatari, “non si può tornare indietro nel tempo o cambiare gli eventi”.
“Quarant’anni fa – scrivono – diverse decine di persone sono uscite dalla clandestinità, hanno deposto le armi, hanno fatto esaminare i loro fascicoli dalle massime autorità dei servizi di intelligence, polizia e giustizia francesi: la loro permanenza in Francia è stata accettata, poi formalizzata dal rilascio dei permessi di soggiorno”.
“Alcuni – continua l’appello – si sono sposati, creando così coppie con doppia nazionalità, molti hanno avuto figli che ora sono cittadini francesi, a volte nipoti, anche loro francesi. Hanno contribuito alla ricchezza nazionale attraverso il loro lavoro per diversi decenni, alcuni sono stati persino impiegati dallo Stato francese. Tutti hanno mantenuto il loro impegno a rinunciare alla violenza”.
Gli intellettuali ricordano che si tratta di “persone che hanno oggi tra i 65 e gli 80 anni” con tutti gli acciacchi legati alla loro età, e sostengono che “alcuni in Italia li usano come comodi spaventapasseri per scopi politici interni che non ci riguardano. La loro campagna equivale ad accusare decine di funzionari dei nostri servizi amministrativi, la polizia, la giustizia e l’amministrazione della Repubblica francese di avere, per quarant’anni, protetto degli assassini”.
“Nell’agosto 2019 – scrivono – l’Italia ha ratificato la Convenzione europea sull’estradizione tra Stati membri dell’Unione Europea, che era stata attenta a non firmare dal 1996. Questa iniziativa aveva come unico obiettivo l’annullamento delle decisioni francesi relative a queste persone. Secondo le nostre norme legali, i fascicoli in questione sono tutti prescritti e non possono dar luogo ad estradizioni a distanza di quaranta o addirittura cinquant’anni dal fatto. Assimilare le persone accolte dalla Repubblica francese ai nazisti nascosti da una dittatura in Medio Oriente è mostrare un relativismo che può solo rallegrare i negazionisti”.
Citano l’Orestea di Eschilo, che “vaga in esilio braccato dalle dee della vendetta” dopo avere ucciso la madre, ma che disse: “Non sono più un supplicante con mani impure: la mia macchia si è cancellata a contatto con gli uomini che mi hanno accolto nelle loro case o che ho incontrato per strada”. Il tempo e l’esilio hanno “un potere purificatore”, insomma, e “alla fine dell’opera Atena prende una decisione più simile a un’amnistia che a un’assoluzione. Il ciclo della vendetta è finito, arriva il ciclo della giustizia”.
Ma la vendetta, sostengono, “è tornata all’ordine del giorno” perché “è uno strumento per manipolare l’opinione e disturbare la coscienza”, mentre “l’estrema destra italiana, responsabile dei due terzi dei morti degli anni di piombo, osa parlare a nome delle vittime”.
“Signor Presidente – è la chiosa finale dell’appello degli intellettuali – probabilmente ci vorrebbe Atena per convincere il Parlamento italiano ad approvare la tanto attesa legge sull’amnistia, che permetterebbe alla società italiana di voltare pagina e guardare al futuro”. Ma occorre, a loro parere, “mantenere l’impegno della Francia verso gli esiliati italiani, i loro figli, le loro famiglie francesi. La decisione di estradarli non può essere una questione tecnica. E’ una questione politica. La ragione e l’umanesimo sono alla base delle nostre democrazie, non è bene aggiungere inutilmente l’infelicità all’infelicità”.
L’invito, dunque, è a Macron: “Puoi citare ai tuoi interlocutori transalpini questo verso che Eschilo una volta mise in bocca ad Atena: ‘Vuoi passare per giusto piuttosto che agire giustamente'”.
Ecco l’elenco dei firmatari: Agnès B., Jean-Christophe Bailly, Charles Berling, Irène Bonnaud, Nicolas Bouchaud, Valéria Bruni-Tedeschi, Olivier Cadiot, Sylvain Creuzevault, Georges Didi-Huberman, Valérie Dréville, Annie Ernaux, Costa-Gavras, Jean-Luc Godard, Alain Guiraudie, Célia Houdart, Matthias Langhoff, Edouard Louis, Philippe Mangeot, Maguy Marin, Gérard Mordillat, Stanislas Nordey, Olivier Neveux, Yves Pagès, Hervé Pierre, Ernest Pignon-Ernest, Denis Podalydès, Adeline Rosenstein, Jean-François Sivadier, Eric Vuillard, Sophie Wahnich, Martin Winckler.
(da agenzie)
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Aprile 29th, 2021 Riccardo Fucile
IN ATTESA DELL’ESTRADIZIONE GIUSTAMENTE SCARCERATI GLI EX TERRORISTI
I principali protagonisti degli Anni di Piombo hanno più o meno tutti, seppur con varie sfumature, bollato la cattura degli ex terroristi in Francia come “vendetta di Stato”. Sergio Segio, fondatore di Prima Linea ossia uno dei gruppi che negli anni 70 ha abbracciato la lotta armata, ha parlato di “volontà vendicativa postuma da parte delle istituzioni”.
Oreste Scalzone, cofondatore di Potere Operaio, è andato anche oltre: “Questa è più di una vendetta, ormai siamo alla damnatio memoriae”.
Quanto sia strumentale e partigiana questa posizione lo si è capito oggi, quando le agenzie hanno battuto la notizia che nessuno di questi ex terroristi, ormai avanti negli anni e alcuni anche malati, stasera passerà la notte in carcere.
Tutti e nove (il decimo è ancora latitante) dormiranno a casa, visto che la magistratura francese ha giustamente accordato loro vari gradi di libertà, dal semplice obbligo di firma ai domiciliari. E’ la prova regina che non c’è brama di vendetta ma sete di giustizia.
A chi stamattina si è ironicamente chiesto “E adesso che ve ne fate?”, si può rispondere senza ironia che intanto non li si manda in carcere. Sicuramente non lo farà la Francia, molto difficilmente lo farà l’Italia, chi per età e chi per malattia. Ed è giusto che sia così, si badi bene, anche perché non c’è nessuna esigenza di custodia cautelare visto che si sa chi sono, cosa hanno fatto e non c’è rischio di reiterazione del reato.
La giustizia francese ha infatti mostrato quella umanità che peraltro anche tanti parenti delle vittime, ormai a 40-50 anni dai fatti, condividono, a volte assieme a un altro sentimento tanto nobile quanto connesso all’amore e cioè il perdono. Il perdono che per esempio rivendica Gemma Capra, vedova del commissario Calabresi, che “non è una debolezza, ma una forza che ti fa volare alto”.
E quando non c’è il perdono c’è comunque spesso il sentimento di pietà, intesa come disposizione d’animo a sentirsi solidali con chi soffre. Qui ci viene in aiuto Mario Calabresi, figlio di Gemma e del commissario Luigi, che a caldo ha subito messo le cose in chiaro: “Sul piano personale, come mia madre e i miei fratelli, non riesco a provare alcuna soddisfazione, l’idea che un uomo anziano e molto malato vada in galera non è di alcun risarcimento per noi”.
Anche perché, come in questo caso, la giustizia non si può ridurre a brandello di carne da dare in pasto a un popolo affamato di rancore e odio. La giustizia invece è intrinsecamente l’idea di un mondo migliore, dove chi sbaglia è giusto che paghi, laddove la pena non è un fine ma uno strumento per capire e superare l’errore, o comunque è un modo per onorare il nostro contratto sociale. E i contratti si onorano sempre, anche dopo 40-50 anni. Pacta sunt servanda.
Così la stessa umanità che viene assicurata agli ex terroristi arrestati forse dovrebbe essere data in cambio da questi ultimi agli stessi familiari delle vittime, e più in generale all’intera comunità nazionale, con un semplice gesto, quello della verità.
Una verità parziale ovviamente, nel senso di parte, su quello che avvenne davvero in quegli anni, e in quanto tale ovviamente né esaustiva né oggettiva, ma fondamentale per poi arrivare prima o poi a una verità di categoria superiore, quella con la v maiuscola, la verità storica. Perché solo allora si potrà chiudere una stagione di contrapposizione frontale in una reale riconciliazione nazionale, in cui a dominare finalmente sarà la pietas, stavolta intesa in senso latino ovvero quella virtù, considerata parte della giustizia, per cui si tributa la debita reverenza e rispetto ai congiunti, ai proprî concittadini e al proprio prossimo in generale.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 29th, 2021 Riccardo Fucile
MANCA DI MARZIO CHE IL 10 MAGGIO SARA’ PRESCRITTO… L’ITER PER LE ESTRADIZIONI DURERA’ ALMENO DUE ANNI
I 9 ex terroristi italiani arrestati ieri in Francia rientreranno tutti a casa entro
questa sera. Lo apprende l’Ansa da fonti dell’inchiesta.
Per ognuno di loro, il giudice ha deciso vari gradi di libertà vigilata, che vanno dall’obbligo di firma all’obbligo di essere presenti in casa in certi orari. Secondo quanto scrive Repubblica sono già stati scarcerati due di loro, Enzo Calvitti e Sergio Tornaghi.
Ed è già in libertà vigilata anche Raffaele Ventura. La sua fuga, così come quella di Luigi Bergamin, è durata poco.
Ancora irreperibile Maurizio Di Marzio, per il quale la prescrizione della pena – che è la ragione dell’accelerazione degli arresti – è in calendario per il 10 maggio. Di Marzio partecipò al tentativo di sequestro del vicequestore Nicola Simone, insieme a Giovanni Alimonti, anche lui arrestato. Deve scontare ancora 5 anni. Se non si costituirà entro il 10 maggio e le forze dell’ordine non lo troveranno, scatterà la prescrizione della pena. Sarà, dunque, definitivamente libero.
Bergamin e Ventura, invece, si sono presentati spontaneamente al magistrato competente. Il primo, ex militante dei Proletari Armati per il Comunismo, si è costituito in mattinata. Poche ore dopo si è consegnato anche il secondo. L’ex membro delle Formazioni Comuniste Combattenti è andato alla Corte d’Appello di Parigi poche ore dopo, con il suo avvocato.
Bergamin oggi ha 72 anni ed è originario della provincia di Padova. È stato condannato a 16 anni e 11 mesi di reclusione per aver ideato l’omicidio del maresciallo Antonio Santoro, capo degli agenti di polizia penitenziaria ucciso a Udine il 6 giugno 1978 da Cesare Battisti, e quello dell’agente della Digos di Milano Andrea Campagna. I suoi avvocati sostengono che non è scappato, ma semplicemente al momento dell’arresto non era in casa. “Quando ha saputo” che era ricercato, dicono, “ha deciso di costituirsi”.
Ventura, invece, deve scontare una pena di 24 anni e 4 mesi per l’omicidio dell’agente di polizia Antonio Custra, ucciso nel maggio del 1977 a Milano. I suoi legali francesi fanno sapere che è stato immediatamente rimesso in libertà vigilata, “sotto controllo giudiziario”.
Nella nota, i legali Jean-Pierre Mignard e Pierre-Emmanuel Biard, sottolineano che Ventura, “di professione regista, non è mai stato membro delle BR ma del movimento di estrema sinistra Autonomia Operaia che non ha mai previsto la lotta armata né attentati contro le persone. Ha sempre negato i fatti che gli vengono imputati. Di conseguenza, rifiuta la sua estradizione”.
La lunga strada per le estradizioni
Ma quali saranno i prossimi step? Sarà chiara la decisione sulla libertà vigilata, che dovrebbe essere concessa a tutti.
Fonti dell’inchiesta, sentite dall’Ansa, fanno sapere che almeno per alcuni di loro si propende per provvedimenti alternativi alla detenzione
Determinante per questa decisione sarà la valutazione sulla salute degli arrestati. Sono tutti in età avanzata e molti di loro hanno problemi di salute. Particolarmente delicata la posizione di Giorgio Pietrostefani, Marina Petrella e Giovanni Alimonti.
Il primo, tra i fondatori di Lotta Continua e condannato per l’omicidio Calabresi, ha quasi 80 anni, ha subìto un trapianto di fegato e ha altri problemi di salute. La Petrella, già nel 2008 fu salvata dall’estradizione dopo uno sciopero della fame che ne mise a rischio la vita. Alimonti, invece, vive con la moglie che è molto malata.
Una volta stabilite le misure cautelari, la procuratrice generale della corte d’Appello di Parigi, Catherine Champrenault, chiederà loro se accettano l’estradizione chiesta dall’Italia. Quasi scontato che tutti diranno di no.
Spetterà quindi alla magistrata decidere. A quel punto, se riterrà che ci sono i presupposti per estradarli, saranno incardinati dei processi veri e propri.
Gli iter giudiziari si svolgeranno nei prossimi mesi – singolarmente – nella Chambre de l’Instruction, con il rito tradizionale: quindi con la presenza di un avvocato, la possibilità di proporre eccezioni e chiedere rinvii, oltre che con esame delle condizioni in cui si svolse il processo che li ha condannati in Italia.
Una volta che la Chambre avrà preso una decisione, la persona interessata potrà fare ricorso in Cassazione.
Alla fine, toccherà al primo ministro firmare un decreto di estradizione, che però potrà essere a sua volta impugnato per un ricorso amministrativo davanti al Consiglio di stato. Non ci sarà, insomma, niente di immediato. Nessuno degli arrestati, insomma, tornerà in Italia presto.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 29th, 2021 Riccardo Fucile
I LEGAMI CON GLI UOMINI VICINI AI CLAN ROM E LA NOMINA A DIRIGENTE DELL’UGL DI SIMONE DI MARCANTONIO
Claudio Durigon, attuale sottosegretario al Tesoro del governo Draghi, viene eletto in Parlamento nel 2018 nella lista della Lega quando era ancora vicepresidente del sindacato Ugl.
Anche grazie alla discesa in campo del sindacalista, il partito di Matteo Salvini per la prima volta registra un boom nel Comune di Latina, tradizionalmente vicino alla destra ma mai leghista.
Da quel momento il sud Pontino diventa la roccaforte di Salvini nel Lazio, nel complesso di una trasformazione che porta la Lega a diventare una forza di respiro nazionale.
Nei mesi di preparazione alle urne, Durigon sceglie e nomina come responsabile della campagna elettorale il giovane Andrea Fanti.
Investito dalla carica di responsabile delle sedi del partito di tutta la provincia di Latina, è Fanti che coordina e tiene i contatti con quanti vogliono contribuire al successo delle liste della Lega.
Il nome di Andrea Fanti viene fatto al pool antimafia della procura di Roma da uno dei pentiti che sta facendo tremare la politica, Agostino Riccardo, che lo accusa di aver pagato una mazzetta da cinquemila euro per dei favori in occasione di una vecchia competizione elettorale. Circostanza che Fanti smentisce, ma che è tuttora all’attenzione dei magistrati.
Quello che però è certo è che Andrea Fanti è molto amico di Simone di Marcantonio, un altro giovane imprenditore di Latina a capo della Gestione & Soluzioni.
Il nome di Simone Di Marcantonio compare in diverse inchieste su cui stanno lavorando gli inquirenti. Tra queste c’è quella della Dda romana “Alba Pontina” che ha svelato le infiltrazioni mafiose nelle elezioni amministrative del 2016 nel basso Lazio. Un testimone ha raccontato alla polizia di essere stato avvicinato da Di Marcantonio mentre si recava alle urne e di aver ricevuto un’offerta da 50 euro in cambio di un voto per il candidato della destra.
Ma non solo. Secondo la Dda, attraverso la società Ride Srl, Di Marcantonio sarebbe uno dei prestanome di Sergio Gangemi, personaggio noto alle cronache giudiziarie perché già condannato a 9 anni in primo grado dalla procura di Velletri per estorsione con metodo mafioso.
Che Di Marcantonio e Gangemi fossero amici, dentro e fuori i bar, non era un mistero per nessuno in città. Così come era nota ai più anche la vicinanza di Gangemi all’omonima famiglia ‘ndranghetista.
Lo spessore criminale di Gangemi si capisce bene dalle immagini di sorveglianza che riprendono la spedizione punitiva che ha organizzato nei confronti di una vittima di estorsione ad Aprilia: in due a volto coperto sparano una raffica di colpi contro il cancello della vittima.
Di Marcantonio compare in diverse iniziative elettorali della Lega di Salvini nel Pontino. Il contributo che Di Marcantonio ha portato a Durigon deve essere stato abbastanza importante visto che il neo deputato appena arriva a Montecitorio, come ultimo atto prima di dimettersi dalla carica di vicepresidente Ugl, lo nomina dirigente sindacale per le partite Iva nel Lazio.
Il ruolo di Di Marcantonio rispetto a queste vicende giudiziarie è ancora tutto da chiarire da parte dei pm. Rimane la domanda su quanto sia opportuno che un onorevole si circondi di persone tanto chiacchierate e le inviti all’interno del ministero del Lavoro dove ricopre la carica di sottosegretario
Oltre a Di Marcantonio, tra le persone che Fanti presenta a Durigon c’è anche l’imprenditore di successo Luciano Iannotta, titolare della Italy Glass ed ex presidente di Confartigianato Latina. Coinvolto nell’inchiesta della Dda “Dirty Glass”, nel settembre 2020 Iannotta è stato arrestato dalla mobile di Latina perché accusato di mantenere i rapporti del mondo di mezzo tra l’imprenditoria pontina e i clan.
A suo carico pendono pesanti accuse come corruzione, estorsione e detenzione di armi. Nelle pagine dell’ordinanza della procura si legge addirittura di un sequestro di persona ai danni di un funzionario pubblico.
A preoccupare i magistrati ci sono in particolar modo le relazioni pericolose che Iannotta era riuscito a costruire con i poliziotti e gli uomini della guardia di finanza diventati sue talpe all’interno del sistema che lo indagava. Tra questi anche Alessandro Sessa, il colonnello dei carabinieri già coinvolto nel caso Consip.
Grazie alle rivelazioni di una fonte protetta, siamo in grado di ricostruire che anche Iannotta si sarebbe adoperato attivamente per agevolare l’ingresso in politica di Durigon offrendogli un appartamento nel centro di Latina nel palazzo “Pegasol” come base per il comitato elettorale.
Tra gli eventi che collegano Durigon a Iannotta ci sono anche le serate di apertura e chiusura della campagna elettorale delle politiche che l’onorevole aveva organizzato al locale “Chalet” sulla via del Lido di Latina. Il ristorante era infatti gestito da uno dei sodali dell’imprenditore oggi al centro delle indagini.
(da Fanpage)
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Aprile 29th, 2021 Riccardo Fucile
“SALVINI CHE PARLA SEMPRE OGGI NON HA NIENTE DA DIRE?”
Dopo le rivelazioni dell’inchiesta Follow the money di Fanpage.it, arrivano le
reazioni della politica.
Parlamentari ed esponenti dei partiti chiedono le dimissioni del sottosegretario all’Economia, Claudio Durigon, protagonista della prima puntata dell’inchiesta.
Il deputato leghista, coordinatore del partito di Matteo Salvini nel Lazio, parlando con il suo interlocutore dice di non essere preoccupato per i risvolti del caso dei 49 milioni perché è stata proprio la Lega a nominare il generale della Guardia di finanza che sta conducendo le indagini.
E ora, dopo l’interrogazione parlamentare che presenterà il deputato Colletti, anche altri esponenti si aggiungono al coro che chiede le immediate dimissioni di Durigon.
“Il quadro che emerge dal video e da queste affermazioni è sconvolgente perché getta un’ombra su come sta procedendo l’inchiesta sulla Lega e rivela dei condizionamenti esterni che ci sarebbero sulle indagini che coinvolgono il partito di Salvini”, scrive su Facebook il vicepresidente del Parlamento europeo ed eurodeputato del Movimento 5 Stelle Fabio Massimo Castaldo.
Ancora più dura la reazione di Gianluca Ferrara, vicepresidente del gruppo parlamentare pentastellato al Senato, che attacca: “Questa è la Lega! Durigon dimettiti”.
La deputata grillina Valentina Corneli rilancia: “E questi vorrebbero mettere le mani su Roma? No grazie! Roma non sarà più ‘ladrona’, come voi”.
Un’altra deputata del Movimento 5 Stelle, Carmela Grippa, attacca direttamente il segretario della Lega: “Salvini non ha niente da dire? Adesso qualcuno dia delle spiegazioni”.
Il senatore grillino Andrea Cioffi aggiunge: “Ciò che emerge è a dir poco vergognoso”.
Il vicepresidente del gruppo parlamentare pentastellato alla Camera, Francesco Silvestri, tuona: “Siamo di fronte a una situazione che lascia senza parole vista anche l’assurdità di questa storia che ha già danneggiato notevolmente la collettività”.
Il senatore Vincenzo Maurizio Santangelo rilancia: “Gravissima ammissione del sottosegretario Durigon rivelata da questo servizio shock di Fanpage.it”.
Ironizza Alessandro Di Battista: “Durigon fa parte del governo dei migliori”. Il deputato ex Movimento 5 Stelle, Giuseppe D’Ambrosio, chiede di fare luce su quanto rivelato dall’inchiesta, perché “sarebbe gravissimo, in quanto parliamo di uno dei partiti al governo e di un sottosegretario del governo Draghi”.
Un’altra ex pentastellata, la deputata Yana Ehm, scrive che “è inaccettabile che un sottosegretario al governo faccia affermazioni di quel tipo su incarichi da dare e su indagini in corso” e chiede “che si accertino i legami che lui millanta e quanto ci sia di vero sulla nomina in questione”. Claudio Durigon è “il braccio destro di Salvini, dovrebbe dimettersi, altro che migliore”. Le fa eco la deputata Jessica Costanzo: “Io penso che le dimissioni sarebbero dovute”.
(da agenzie)
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