Giugno 25th, 2021 Riccardo Fucile
“ABUSO E PARTICOLARE CRUDELTA'”
Derek Chauvin, il 45enne ex agente di polizia che il 25 maggio 2020 uccise George Floyd a Minneapolis inginocchiandosi sul suo collo per 9 minuti consecutivi, è stato condannato a 22 anni e mezzo di carcere. I rappresentanti dell’accusa avevano chiesto 30 anni.
Pronunciando la sentenza, il giudice della Contea di Hennepin Peter Cahill ha spiegato che alla decisione è allegato un memorandum di 22 pagine con le motivazioni. La pena irrogata è di 10 anni superiore a quella suggerita dalle linee guida per casi simili, una scelta – ha spiegato Cahill rivolgendosi all’ex agente – “dovuta al suo abuso di una posizione di fiducia e autorità, e anche alla particolare crudeltà” mostrata nei confronti di Floyd.
“La mia scelta non è basata sulle emozioni e non vuole inviare alcun messaggio“, ha precisato il giudice, pur riconoscendo il turbamento che l’omicidio del 47enne afroamericano aveva causato nella comunità.
“È stato un episodio doloroso per tutta la Contea di Hennepin, per lo Stato del Minnesota e per l’intero Paese“, ha detto.
I lamenti di Floyd (“I can’t breathe“, “non respiro”) mentre moriva soffocato dal peso di Chauvin avevano dato il via alla maggiore protesta di massa contro la violenza razziale vista negli ultimi decenni. Il gesto del ginocchio puntato a terra, da allora, è diventato un simbolo antirazzista adottato movimento Black Lives Matter.
In chiusura del dibattimento, i familiari di George hanno ricordato il dolore vissuto per la sua morte e chiesto il massimo della pena. “Non ci servono altre ramanzine al colpevole, ci siamo già passati”, ha dichiarato in lacrime Terrence, uno dei fratelli di George.
La figlia di 7 anni, Gianna, ha parlato in un video proiettato in aula, dicendo che, se potesse dire ancora dire qualcosa al papà, sarebbe “Ti voglio bene e mi manchi“. “Riconosco e sento mia la vostra sofferenza”, ha commentato il giudice.
(da agenzie)
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Giugno 25th, 2021 Riccardo Fucile
SPIAZZATI DALL’AUSTRIA CHE SI INGINOCCHIERA’ TUTTA… MANCINI: “IO SONO PER LA LIBERTA'”
Dopo l’annuncio di un commento in merito alla decisione degli Azzurri sull’aderire
o meno tutti al gesto di inginocchiarsi contro il razzismo a Euro 2020, il capitano in pectore della Nazionale italiana Leonardo Bonucci ha dato qualche dettaglio sulla questione.
«Quando torniamo in hotel abbiamo una riunione tutti insieme, ne parleremo stasera e decideremo cosa fare», ha detto il difensore juventino ai giornalisti durante la conferenza stampa alla vigilia del match a Wembley tra Italia e Austria.
Alle dichiarazioni di Bonucci è seguito anche il commento di Roberto Mancini, che ha preferito non sbilanciarsi sul gesto nato dopo le iniziative del movimento Black Lives Matters. «Inginocchiarsi domani prima della partita con l’Austria? Non vorrei parlarne e comunque io sono per la libertà», ha risposto il commissario tecnico.
Inginocchiarsi è «un segnale chiaro», invece, per David Alaba, terzino austriaco in forza al Bayern – prossimo al trasferimento al Real Madrid – e giocatore più rappresentativo della selezione alpina. Che per stessa conferma del calciatore si inginocchierà in occasione della sfida contro gli Azzurri. Come precisato dallo stesso traduttore in sede di conferenza stampa, le dichiarazioni di Alaba non arrivano in seguito a una scelta della federcalcio austriaca: la selezione infatti non si era mai inginocchiata fino alle intenzioni dichiarate dal calciatore. «Siamo tutti d’accordo», ha affermato il giocatore nato a Vienna da madre filippina e padre nigeriano, «questo è un segnale per attirare l’attenzione di tutti su questo argomento. Sicuramente si parla di più di razzismo ed è qualcosa di positivo».
(da Open)
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Giugno 25th, 2021 Riccardo Fucile
IL PARTITO UNICO E’ IL “PACCO” CHE IL CAVALIERE VUOLE RIFILARE A SALVINI
Povero Salvini: ci manca solo che dopo tutta questa fatica per fare il partito unico gli piazzino Giancarlo Giorgetti come candidato premier nel 2023.
Già, perché è proprio questo il timore che comincia a serpeggiare dalle parti del Capitano leghista ovvero che Silvio Berlusconi non lo voglia vedere presidente del Consiglio (così come non lo vedrebbe bene Gianni Letta) e che al momento opportuno dopo essersi caricato tutta Forza Italia sulle spalle, il sire di Arcore gli chieda il lasciapassare per Giorgetti premier a Palazzo Chigi, uomo decisamente più gradito di quanto non lo sia mai stato Salvini ma soprattutto apprezzatissimo Oltretevere (chiedere a Santa Marta, please, dove il buon Matteo non è mai riuscito nemmeno ad avere una photo opportunity da mettere su Facebook) e cosa ancora più importante apprezzatissimo da colui che potrebbe essere il prossimo presidente della Repubblica e quindi conferirgli l’eventuale incarico di governo, Mario Draghi.
Per farla breve Salvini comincia a sospettare che la fusione “fredda e in fretta” serva solo a lasciarlo relegato al partito (ancorché unico) vita natural durante senza mai fargli assaporare l’ebbrezza del potere vero, quello della presidenza del Consiglio.
Perché poi, in Forza Italia, il Cavalier Berlusconi sta già stilando il cronoprogramma della nuova “federazione” che ad un certo punto dovrebbe partire anche senza Giorgia Meloni.
La start up è prevista dopo le comunali di ottobre quando si comincerà a ragionare sulla stesura di un manifesto e ci si dedicherà ad un maggior coordinamento parlamentare tra le forze del centrodestra di governo ma la fase fondamentale sarà nell’estate del prossimo anno: ad Arcore stanno persino ipotizzando di tenere un’assise fondativa del nuovo partito. Giusto in tempo per preparare la volata in vista delle elezioni del 2023.
(da TPI)
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Giugno 25th, 2021 Riccardo Fucile
BRUGNARO (CHE CI METTE I SOLDI) VUOLE FARE IL LEADER, MALUMORE TRA I SEGUACI DI TOTI
Coraggio Italia, forza politica nascente fondata dall’accoppiata Toti-Brugnaro a fine
maggio che ambisce a rappresentare liberali e moderati cercando di erodere consensi a Forza Italia, per il momento arranca.
La realtà racconta di una creatura già attraversata da fibrillazioni legate alla leadership e alle poltrone, e affossata nei sondaggi che, nella migliore delle ipotesi, restano inchiodati a poco sopra l’1 per cento. Lo indicano le rilevazioni di Bidimedia e di Swg per La7.
E lo conferma a Tag43 Federico Benini, presidente di Winpoll. «Coraggio Italia incontra le stesse difficoltà di altre iniziative simili del passato, come Noi per l’Italia (di Maurizio Lupi, Lorenzo Cesa e Flavio Tosi, ndr)», spiega Benini. «È l’esempio che non c’è spazio per progetti caratterizzati dall’etichetta di moderati. A maggior ragione se manca un leader riconoscibile su base nazionale».
E dire che, per Coraggio Italia, gli aspiranti leader sono ben due, il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, e il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti.
Il progetto però è in affanno: appena si è formato il gruppo alla Camera, sono esplosi i primi malumori. Il nodo principale è la leadership.
Brugnaro, infatti, chiede “pieni poteri”, come riferisce a Tag43 una fonte parlamentare che conosce le dinamiche interne. Al di fuori della battuta di salviniana memoria, il sindaco di Venezia vuole guidare il progetto senza troppi lacciuoli. Il motivo? Ci mette i soldi. O, meglio, rivendica di portare avanti la raccolta fondi. Non stupisce.
Del resto Brugnaro è il perfetto modello di imprenditore veneto. Fondatore di Umana, holding di 23 aziende che spaziano dai servizi all’edilizia con un fatturato nel 2019 di 700 milioni, è stato presidente di Confindustria Venezia.
Non solo: possiede dal 2006 la squadra di basket Reyer Venezia Mestre di cui ha lasciato la presidenza dopo l’elezione a sindaco. Un osso duro per il giornalista Toti che, nei piani del sindaco della Serenissima, dovrebbe accontentarsi di un ruolo secondario.
Non è un caso che le fonti interpellate da Tag43 parlino già di Brugnaro come «presidente». E pazienza se le cariche non sono state ancora assegnate.
I totiani abbozzano: «prima lo Statuto»
Spiega un deputato che cerca di minimizzare le tensioni: «Lo Statuto vedrà la luce nei prossimi 7-10 giorni, così da sapere come sarà strutturato il partito sia al livello nazionale che su quello regionale. Sarà predisposto un programma condiviso da tutti. Nelle riunioni dei giorni scorsi c’è stata una grande intesa sugli obiettivi».
Eppure, come detto, non c’è alcuna esitazione nell’indicare chi sarà la guida: il sindaco di Venezia, il «presidente», appunto.
Una posizione che non viene condivisa dai “totiani”, i parlamentari che avevano aderito al suo primo progetto politico, ribattezzato Cambiamo!, che aveva preso forma già alla Camera e al Senato sotto forma di componente. In questo caso la versione è diversa: «È chiaro che ci sono due leader, al momento niente è stato predefinito rispetto alla dirigenza. Vedremo dopo l’approvazione dello Statuto», raccontano.
In Coraggio Italia ex forzisti di peso e ex M5s
Oltre al duo Brugnaro-Toti, in Coraggio Italia ci sono altri volti legati al primo berlusconismo, uniti ad alcuni fuoriusciti dal Movimento 5 stelle. Su tutti spiccano il senatore Paolo Romani, ex ministro dello Sviluppo economico con Silvio Berlusconi e grande tessitore delle trame forziste, e il deputato Emilio Carelli, giornalista ex direttore di SkyTg, approdato in Parlamento con i grillini.
Il capogruppo alla Camera è invece Marco Marin, ex schermidore, eletto a Montecitorio con Forza Italia già nella scorsa legislatura. Il leader della componente al Senato è invece Gaetano Quagliariello, senatore di lungo corso: è dal 2006 a Palazzo Madama. Il suo nome fu inserito, nel 2013, anche tra i saggi individuati dall’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per un progetto di riforma della Costituzione. Dopo gli anni con gli azzurri, Quagliariello ha aderito al Nuovo centrodestra lanciato da Angelino Alfano, lasciandolo in seguito per navigare in altre piccole formazioni di centro.
All’interno di Coraggio Italia non sfuggono le presenze della senatrice Mariarosaria Rossi, un tempo fedelissima del Cavaliere, così come la deputata Micaela Biancofiore, una delle pasionarie del forzismo fin dalla prima ora.
Un altro veterano del centrodestra è Osvaldo Napoli, da sempre legato a Berlusconi, oggi alla Camera eletto proprio nelle liste di Forza Italia.
Di lui si ricorda anche il “finto arresto” subito da parte dei manifestanti del Movimento dei Forconi, quando paradossalmente non era nemmeno parlamentare. Ma in Coraggio Italia non ci sono solo ex azzurri. Nel gruppo alla Camera trova spazio Marco Rizzone, espulso del Movimento 5 stelle per il caso dei “furbetti del bonus” (i parlamentari che hanno richiesto i 600 euro per il Covid). Il deputato aveva abbracciato la causa di Bruno Tabacci, ora è stato politicamente sedotto da Toti e Brugnaro. Altri ex grillini passati nel progetto di Brugnaro e Toti sono Matteo Dall’Osso, che era già andato in Forza Italia dopo pochi mesi di legislatura, Carlo Ugo De Girolamo e Fabio Berardini.
I malumori si allargano alle seconde linee
E proprio tra le seconde linee crescono ulteriori malumori. A Tag43 riferiscono di tensioni per l’elezione del segretario di presidenza alla Camera (incarico che spetta ai gruppi): alla fine l’ha spuntata Giorgio Silli, pratese, che in questa legislatura ha cambiato varie componenti politiche, preferito a Cosimo Sibilia, altro ex berlusconiano di lungo corso e presidente della Lega Nazionale Dilettanti di calcio.
Si vocifera che Sibilia ambisse al ruolo all’interno dell’ufficio di presidenza a Montecitorio, anche in virtù dell’esperienza maturata nei Palazzi. Ma le cose sono andate diversamente.
(da tag43.it)
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Giugno 25th, 2021 Riccardo Fucile
PONTIERI AL LAVORO: “TROVARE UNA SINTESI”
“Ma quindi è davvero finita, si ritira?”, ”è game over?”, “e ora che succede?”. Nelle chat pentastellate è l’ora del panico.
Il possibile passo indietro di Giuseppe Conte – ipotesi divenuta sempre più concreta dopo lo ‘show’ di Beppe Grillo alla Camera – rischia di creare un vero e proprio terremoto all’interno del Movimento 5 Stelle.
Un M5S diviso, spaccato in due: da una parte i parlamentari rimasti fedeli al garante, dall’altra i ‘contiani’ pronti a seguire l’ex presidente del Consiglio qualora quest’ultimo dovesse dar vita a un suo nuovo partito.
I pontieri sono al lavoro per evitare lo strappo. I big del Movimento, compreso Luigi DI Maio, sono tutti a favore della leaderhip di Conte, si sottolinea in ambienti pentastellati, e hanno avviato un pressing sia con Beppe che con l’ex premier perché si trovi un punto di caduta.
Per il fondatore del movimento il ruolo del garante è fondamentale, per Conte una diarchia netta sarebbe ostica e insostenibile. Da qui l’obiettivo di arrivare ad una “sinesi” tra le due posizioni per consentire l’avvio del nuovo corso.
L’ex premier potrebbe avere nelle prossime ore una serie di contatti con i gruppi parlamentari M5s in una giornata che in molti all’interno del movimento definiscono “interlocutoria”.
Già nei giorni scorsi, quando sulla stampa erano rimbalzate le indiscrezioni su una nuova forza politica di Conte, molti eletti si erano detti pronti a lasciare il Movimento 5 Stelle per imbarcarsi in una nuova avventura ‘contiana’.
Tanto più che in una nuova creatura politica verrebbe meno il problema, non di poco conto, del vincolo dei due mandati. Intanto tra il garante e l’ex premier è sceso il gelo. La telefonata tra i due, nella serata di ieri, non è stata risolutiva, come in molti speravano. E oggi Grillo ha lasciato la Capitale senza che ci fosse un incontro con Conte.
Anche in ambienti vicini al fondatore del M5S c’è la consapevolezza che una rottura porterebbe a una emorragia di parlamentari.
Già in molti, indipendentemente dalla leadership, erano a un passo dall’addio: una ventina di eletti, prevalentemente deputati, convinti di non avere un futuro nel Movimento. Se il muro tra Grillo e Conte non dovesse venire giù, nei gruppi parlamentari il rischio di un ‘liberi tutti’ diverrebbe quasi una certezza.
(da Huffingtonpost)
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Giugno 25th, 2021 Riccardo Fucile
CONTE A UN PASSO DALL’ADDIO
Si sarebbe dovuto fermare nella Capitale almeno fino a domani e invece questa
mattina, arrabbiato come non mai, a bordo della sua auto, ha lasciato Roma per tornare a casa.
Beppe Grillo non si aspettava che Giuseppe Conte facesse trapelare in maniera così dirompente che avrebbe intenzione di dire addio al progetto di rifondazione del Movimento 5 Stelle.
E dal lato dell’ex premier questa mattina il mood è sempre lo stesso, si continua a dire che la “situazione è irrecuperabile”.
Addirittura girano voci di un probabile addio dell’avvocato del popolo. Così il Garante ha deciso che nelle prossime ore i contatti con colui che a febbraio scorso aveva designato come leader in pectore saranno solo via telefono o via mail in questa giornata interlocutoria.
Che si arrivi o meno alla rottura definitiva lo si vedrà alla prova dei fatti. Per adesso i più all’interno del mondo pentastellato continuano a scommettere sul fatto che alla fine un compromesso si troverà. Che in questa lotta di potere, che si è instaurata tra Grillo e Conte, si riuscirà a trovare un difficile equilibrio secondo il quale Grillo resterà il Garante del Movimento coinvolto nelle decisioni, e non solo informato come invece avrebbe voluto l’ex premier.
E dal canto suo Conte sarà il capo politico che gestirà il partito. È una matassa di cavilli legali, ancora difficile da sbrogliare. Ma non impossibile, nonostante i nervi siano tesissimi dopo le parole utilizzate ieri da Grillo di fronte ai parlamentari.
Per citarne solo alcune: “Conte ha scritto uno Statuto in avvocatese, io sono il Garante, non sono un coglione. Ha bisogno di me”. Poi però ha anche concesso un’apertura sul limite dei due mandati: “La pensiamo in maniera diversa, ma decideranno gli iscritti”.
A tarda sera i due si sono sentiti, a riprova del fatto che i canali non si sono interrotti del tutto. E se Grillo ha esagerato nel parlare con i deputati, ha utilizzato toni diversi di fronte ai senatori che restano lo zoccolo duro dell’ex premier: “Non voglio indebolire ma rafforzare Conte, perché è il suo momento”.
Parole che però non sono bastate a Conte che, da avvocato esperto di concordati, sta provando in questa trattativa ad ottenere il più possibile. Mandare all’esterno il messaggio in cui viene paventato il suo addio al progetto M5s, fa parte di questa strategia. In fondo, solo pochi giorni fa, era stata diffusa la notizia che l’ex premier sarebbe pronto a creare una sua lista, ipotesi che ha fatto imbufalire Grillo che ieri gli ha risposto per le rime.
La giornata è delicata. Il webinar in programma in Senato sulla sostenibilità e inclusione, al quale avrebbero dovuto partecipare Conte, Di Maio e Castelli, è saltato perché non affatto il momento di farsi vedere in pubblico e certamente l’umore non è quello giusto. L’ex premier ha disdetto anche l’intervista a Sky, mentre potrebbe tenere una conferenza stampa nei prossimi giorni.
In tutto questo caos si inserisce Davide Casaleggio, tornato a parlare di Movimento 5 Stelle facendo asse con Grillo: “Le idee di Conte – dice – non mi sono ancora chiare e non ho capito perché abbia tenuto segreto questo statuto. Non è con uno statuto che si fa un Movimento. Sembra piuttosto un partito del ’900”. Che poi è il timore che ha Grillo, cioè che Conte voglia trasformare M5s nella vecchia Dc. E farà di tutto affinché ciò non avvenga. Per trovare una soluzione Grillo si è dato altri quattro giorni di tempo.
(da agenzie)
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Giugno 25th, 2021 Riccardo Fucile
IL TITOLARE DELL’HOTEL AROS, NELLA RIVIERA ROMAGNOLA: “RISPETTARE LE LEGGI NON DOVREBBE ESSERE UN OPTIONAL”
“Abbiamo fatto questa scelta: sostanzialmente, seguire le leggi. Che poi, onestamente, non dovrebbe suscitare scalpore, dovrebbe essere la normalità. Invece è così: sfruttare i dipendenti, farli lavorare in nero, sono cose date per scontate”.
La notizia è che fa notizia. Daniele Ciavatti, insieme al fratello Maurizio, gestisce quello che è stato reputato il “primo hotel etico” della Riviera. Il loro hotel Aros di Torre Pedrera, frazione di Rimini del litorale nord, è stato l’unico a ottenere la certificazione della start up Ethicjobs, che ha sottoposto i suoi dipendenti a un questionario anonimo, per valutare il loro benessere lavorativo.
I 10 lavoratori stagionali impegnati nella struttura – provenienti da Albania, Cuba, Senegal e Italia – hanno un regolare contratto, lavorano massimo 40 ore a settimana, ricevono un compenso equo, hanno il giorno libero ed eventuali straordinari sono regolarmente pagati in busta paga.
Dovrebbe essere la norma, diventa l’eccezione, degna di un attestato che li distingua dai colleghi che adottano un approccio differente. “In molti altri alberghi questo non succede, soprattutto per i lavoratori stagionali: vengono fissate delle cifre che hanno poca rilevanza rispetto al contratto nazionale, vengono elargiti pagamenti in nero” racconta Daniele ad Huffpost, “Il personale lavora 10-11 ore al giorno, non ha un giorno di riposo. A Rimini è molto frequente, ma non solo qui. Nel settore del turismo il problema è diffuso”.
Anche per questo si fatica sempre più a trovare personale disposto allo sfruttamento. Per i fratelli Ciavatti non è così: i dipendenti non sono mai mancati e, a giudicare dalle risposte date al questionario, sono soddisfatti della loro esperienza e del trattamento ricevuto.
La start up Ethicjobs, racconta il Corriere, 3 anni fa propose agli hotel della Riviera la possibilità di ottenere questa certificazione. Nessuno aderì all’iniziativa – “Questo la dice lunga su tante cose” – a parte l’Aros di Torre Pedrera. L’hotel, con 27 stanze a due passi dal mare, non ha avuto timore a sottoporsi al giudizio, certo dei propri principi.
“Abbiamo fatto questa scelta perché ci sembra doverosa”, spiega Daniele, “Rispettare le leggi non dovrebbe essere un optional. Da noi c’è un utilizzo razionale delle risorse umane, che ci permette anche un’ottima organizzazione. Se a un dipendente che lavora 40 ore chiedo di farne 3 di straordinario, naturalmente pagate in buste paga, sarà ben disponibile. Se la stessa richiesta viene posta a chi lavora 12 ore al giorno, diventa ingestibile”.
(da agenzie)
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Giugno 25th, 2021 Riccardo Fucile
IL GIOVANE DI ORIGINE DEL MALI AVEVA LAVORATO TUTTO IL GIORNO CON UNA TEMPERATURA SUPERIORE AI 40 GRADI
Un ragazzo di 27 anni originario del Mali e residente a Eboli, Camara Fantamadi, è
morto in seguito a un malore mentre percorreva in bicicletta la strada provinciale che collega Tuturano a Brindisi: è successo giovedì pomeriggio, intorno alle 18.
A quanto ricostruito, il giovane aveva lavorato nei campi per molte ore. Si sta verificando se il malore possa essere la conseguenza della fatica e del forte caldo nel Brindisino, dove le temperature hanno superato i 40 gradi.
I soccorsi sono stati chiamati da un passante che ha visto il ragazzo accasciarsi a bordo strada.
Sul posto sono poi intervenuti gli agenti della polizia locale che hanno avvertito il magistrato di turno presso la Procura di Brindisi, Giovanni Marino. Il pm ha disposto la restituzione della salma ai familiari.
Da quanto accertato, il 27enne si trovava in Puglia da tre giorni proprio per motivi di lavoro. A Brindisi risiede un fratello, che è stato subito avvertito. Secondo quanto ha riportato La Repubblica Bari, un collega ha detto che il giovane stava bene, solo a fine giornata avrebbe chiesto un po’ d’acqua da gettare sulla testa accaldata. I connazionali stanno organizzando una colletta per riportare Camara nel suo Paese d’origine.
(da agenzie)
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Giugno 25th, 2021 Riccardo Fucile
SE AUTOSTRADE HA POTUTO FARE QUELLO CHE HA VOLUTO E’ PERCHE’ CHI DOVEVA CONTROLLARLA NON L’HA FATTO
Sono 59 le richieste di rinvio a giudizio che la Procura di Genova guidata da Francesco Cozzi è pronta a emettere per il disastro del ponte Morandi, crollato il 14 agosto 2018 uccidendo 43 persone e ferendone in modo grave altre 28.
Tra di loro i passati vertici di Autostrade per l’Italia (l’ex amministratore delegato Giovanni Castellucci, l’ex capo delle manutenzioni Michele Donferri Mitelli e l’ex direttore centrale operativo Paolo Berti), oltre a tecnici e dirigenti di Aspi e della controllata per le manutenzioni Spea e alti funzionari del ministero dei Trasporti e del Provveditorato alle opere pubbliche.
Gli indagati originari erano 71, 69 persone fisiche e le due società Aspi e Spea: dieci posizioni – tecnici con incarichi risalenti nel tempo o ricoperti per periodi limitati – sono state stralciate per ulteriori accertamenti e vanno verso la richiesta d’archiviazione.
“Il momento emotivamente più critico – ha dichiarato il procuratore aggiunto Paolo D’Ovidio, che ha coordinato il lavoro dei sostituti Massimo Terrile e Walter Cotugno – è stato il 14 agosto 2018, quando abbiamo ricevuto la notizia. Oggi c’è la massima soddisfazione, con la consapevolezza che i miei colleghi hanno fatto un gran lavoro, sono stati straordinari“.
A fine aprile l’ufficio inquirente aveva inviato gli avvisi di conclusione indagini contestando a vario titolo le fattispecie di disastro aggravato, falso materiale, ideologico e in documenti informatici, crollo doloso, attentato alla sicurezza dei trasporti, omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, omicidio colposo plurimo, lesioni personali colpose e omicidio stradale.
Ad alcuni degli imputati, emerge adesso dalle richieste di rinvio a giudizio, è contestata la colpa cosciente, cioè la consapevolezza di aver tenuto un comportamento caratterizzzato da negligenza, imprudenza o imperizia. I tecnici e dirigenti imputati – scrivevano nell’avviso i pm – omettevano “di adoperarsi affinché sul viadotto fossero eseguite attività di diagnosi del degrado (…) ed installati impianti idonei a prevenire il cedimento dei tiranti, nonché sistemi di monitoraggio idonei a consentire un costante e adeguato controllo del suo comportamento, e in particolare affinché si procedesse sugli stralli della pila 9 a interventi che, se realizzati, avrebbero impedito con certezza il crollo“.
I funzionari ministeriali, invece, sono accusati di falso per aver espresso, da componenti del Comitato tecnico-amministrativo del Provveditorato alle opere pubbliche, “parere positivo” sul progetto di retrofitting (rafforzamento) dei sistemi bilanciati delle pile 9 (quella crollata) e 10, presentato da Spea nel 2018.
Mentre, secondo i pm, avrebbero dovuto agire “affinché le informazioni e le valutazioni sulle condizioni di grave ammaloramento della struttura” descritte dall’ingegner Antonio Brencich – che parlava, in un documento informale, di “uno stato di degrado impressionante, addirittura con la rottura di alcuni dei cavi metallici degli stralli”, uno “stato generale di degrado del calcestruzzo e delle armature dell’impalcato”, “un pessimo stato di conservazione” e una “incredibile pessima prestazione” del manufatto – “fossero riportate all’interno del parere ufficiale e fossero tempestivamente comunicate agli organi pubblici competenti affinché quella situazione di evidente rischio fosse resa pubblica e il transito veicolare fosse immediatamente interdetto“.
(da agenzie)
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