Marzo 19th, 2022 Riccardo Fucile
FIGLIO DI UNA SPIA RUSSA, AMMIRATORE DELLE SS
Chi c’è dietro l’ideologia putiniana? Chi orienta le narrazioni storiche, finanche i riferimenti religiosi dello Zar del Cremlino? Questa persona esiste. Il suo nome è Aleksandr Dugin, ll “Rasputin di Putin”.
Ritratto dell’ideologo di Stato
A tratteggiarlo, su Haaretz, è Amit Varshizky, scrittore e storico che al mondo di Putin ha dedicato ricerche e pubblicazioni tra le più documentate oggi in circolazione.
Scrive il professor Varshizky: “Le agenzie di intelligence e spionaggio di tutto il mondo, i leader degli stati, i diplomatici, i commentatori politici e i giornalisti stanno tutti cercando di capire le intenzioni del presidente russo Vladimir Putin e di comprendere lo scopo dell’invasione russa dell’Ucraina. Ma chiunque voglia veramente capire la visione del mondo di Putin e la visione geopolitica che sta alla base delle sue mosse politiche e militari degli ultimi anni, compresa la campagna d’Ucraina, farebbe meglio ad ascoltare le parole di una persona: Aleksandr Dugin.
Soprannominato “il Rasputin di Putin” dai media occidentali, Dugin è oggi il filosofo politico più influente in Russia. È considerato la forza trainante dell’ideologia russa post-sovietica nel XXI secolo e le sue idee sono strumentali nel plasmare l’approccio dell’élite al potere a Mosca.
In Russia è ampiamente considerato il capostipite della “primavera russa” e in Occidente si pensa che abbia un’influenza quasi magica sul Cremlino. Come tale, è l’unico intellettuale il cui ingresso negli Stati Uniti e in Canada è stato vietato a causa del suo coinvolgimento nella crisi ucraina del 2014
Dugin è nato a Mosca nel 1962; suo padre ha servito come colonnello nell’intelligence militare sovietica. Fin da giovane si interessò alle dottrine mistiche, allo spiritualismo e al radicalismo politico. Era membro di associazioni clandestine che si opponevano al dominio sovietico e fondevano idee mistiche con dottrine ultranazionaliste e fasciste.
In questo periodo tradusse anche in russo alcuni degli scritti di Julius Evola, un filosofo ed esoterista italiano che esercitò una grande influenza sui pensatori fascisti e nazisti negli anni venti e trenta.
La critica di Evola al modernismo, e in particolare la sua feroce opposizione all’ordine liberale, all’ethos del progresso e ai valori di libertà e uguaglianza, sarebbe diventata col tempo un fondamento della visione del mondo di Dugin.
Durante questo periodo dissidente, espresse anche la sua ammirazione per le SS adottando per sé un alter ego chiamato Hans Sievers, ispirato alla figura del criminale di guerra Wolfram Sievers, che era il segretario generale dell’Ahnenerbe, un istituto di ricerca nazista che Heinrich Himmler istituì a metà degli anni ’30.
Fondatore del Partito Nazionale Bolscevico
Negli anni ’90, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, Dugin (che ormai aveva conseguito due dottorati, uno in sociologia, l’altro in scienze politiche) fu coinvolto in varie iniziative politiche. Tra gli altri compiti, era un consigliere speciale del Cremlino ed era uno dei fondatori del Partito Nazionale Bolscevico, un gruppo di estrema destra la cui piattaforma fondeva principi bolscevichi e fascisti e chiedeva la creazione di un nuovo impero russo che si sarebbe esteso da Vladivostok a Gibilterra.
Nel 1997, Dugin ha pubblicato “Fondamenti di Geopolitica”, che è diventato un libro di testo chiave per gli studenti dell’Accademia dello Stato Maggiore dell’esercito russo ed è stato visto da alcuni osservatori occidentali come “la versione russa del Destino Manifesto”.
Nel 2001, ha fondato il Partito Eurasia, che si oppone alla globalizzazione e a tutto ciò che essa implica, e ha chiesto la formazione di un blocco anti-americano basato su un’alleanza strategica tra la Russia, gli stati balcanici e il mondo musulmano, in particolare l’Iran.
Dugin ha stretti legami con le élite politiche, economiche e militari della Russia. Ha servito come consigliere di Sergey Yevgenyevich Naryshkin, un ex vice premier e presidente della Duma, che oggi è a capo dei servizi segreti esteri russi.
Dugin è anche molto vicino a Sergei Glazyev, un alto membro della Duma che è stato consigliere economico di Putin. È anche un collaboratore regolare del sito web di ultradestra pubblicato da Konstantin Malofeev, che è considerato un confidente di Putin e ha connessioni con i servizi statali russi e gli organi di intelligence.
Nel corso degli anni, Dugin ha anche coltivato ampi legami con figure governative in Asia e in Europa, acquisendo nel processo uno status speciale, anche se non ufficiale, come mediatore per il Cremlino.
Nel 2014, durante la rivoluzione in Ucraina e l’estromissione del presidente filorusso Viktor Yanukovych, Dugin ha lavorato industriosamente per assistere i separatisti russi ed è stato apertamente critico nei confronti di Putin per non aver invaso l’Ucraina. “La rinascita russa può fermarsi solo a Kiev”, ha dichiarato all’epoca. A seguito di un sanguinoso scontro a Odessa tra ucraini filorussi e filo-occidentali, Dugin disse in un’intervista: “Uccideteli! Uccideteli! Uccideteli!”.
Le sue osservazioni sono state interpretate come un appello al massacro di massa e hanno suscitato una protesta pubblica che ha portato al suo licenziamento dal suo posto di capo del dipartimento di sociologia delle relazioni internazionali all’Università Statale di Mosca.
Le sue idee risuonano ai più alti livelli. Durante l’annessione della Crimea, quella stessa primavera, Putin, parlando alla televisione di stato, fece ripetutamente uso del termine “Novorossiya” (Nuova Russia), che era stato coniato da Dugin nello spirito della terminologia imperialista durante l’era zarista.
Tuttavia, le idee radicali di Dugin non finiscono con le ambizioni imperialiste e le dichiarazioni sulla necessità di ripristinare la “Grande Russia”; egli pretende di proporre un’alternativa culturale, spirituale e morale all’ordine liberale dell’Occidente moderno.
Il suo atteggiamento nei confronti della crisi del liberalismo in Occidente è che si tratta di una questione filosofica, una “crisi metafisica”, nelle sue parole, e il suo progetto intellettuale equivale a un tentativo di forgiare una nuova affinità tra l’era postmoderna e la tradizione.
L’uso della religione
Non attinge solo a considerazioni politiche ma anche ad argomenti filosofici, storici, antropologici e geopolitici, che espone nelle decine di libri che ha pubblicato. Le sue dichiarazioni politiche sono regolarmente condite da una terminologia liturgica e quasi apocalittica, che ha origine nel mondo ortodosso-cristiano-mistico a cui è affezionato. Nei suoi scritti e nelle sue conferenze, Dugin descrive la lotta con l’Occidente come uno scontro tra due civiltà che rappresentano diverse percezioni della verità – diverse idee di umanità – e sposano sistemi di valori reciprocamente contraddittori.
Dal suo punto di vista, la campagna contro l’Occidente non dovrebbe essere vista come una lotta politica nel senso usuale del termine, ma come una battaglia spirituale ed esistenziale per l’anima russa.
Le persone che hanno familiarità con gli scritti dei teorici fascisti e nazional-socialisti del primo quarto del XX secolo identificheranno facilmente le fonti di ispirazione che alimentano il suo pensiero e capiranno perché ci sono alcuni che lo considerano il filosofo più pericoloso del mondo.
Quarta teoria politica
Qual è dunque la dottrina della persona che ha sollecitato una conquista russa dell’Ucraina negli ultimi 20 anni? Dugin si definisce un pluralista anti-globalista e usa spesso il termine “pluversalismo” come alternativa all’”universalismo”, un termine che ha preso in prestito dal giurista nazi-tedesco Carl Schmitt.
Le nazioni, sostiene Dugin, sono entità storiche e organiche: Hanno tradizioni, valori e concezioni distintive del mondo che emergono organicamente nel corso della loro storia. La cultura di una nazione non dovrebbe essere giudicata con i criteri di una cultura diversa, sostiene, e uno stato non deve imporre i suoi valori ad un altro stato. Da qui la sua obiezione al globalismo culturale, politico ed economico guidato dagli Stati Uniti e, come tale, all’occidentalizzazione dell’Ucraina.
La globalizzazione, sostiene, è solo una copertura per l’imperialismo americano, che lui definisce “imperialismo spirituale”, il cui obiettivo è quello di subordinare il mondo intero al sistema di valori liberale e allo stile di vita americano. Quando Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti, Dugin ha dichiarato che è stato il giorno più felice della sua vita: Finalmente un presidente isolazionista era alla Casa Bianca, qualcuno che era contro gli accordi commerciali internazionali e voleva smantellare la Nato.
Ma la dottrina di Dugin, come abbiamo visto, non si limita agli interessi politici o economici. Egli pretende di esporre una rivoluzione concettuale, una visione olistica del mondo che ha implicazioni per tutte le sfere della vita sociale e radica gli assunti di base sulle questioni esistenziali, metafisiche e morali.
La civiltà occidentale, sostiene, è in uno stato di declino e disintegrazione. La ragione: è basata su false fondamenta filosofiche, una visione del mondo spuria la cui genesi risiede nel modernismo, che lui definisce un “errore catastrofico”. Le prove del collasso interno dell’Occidente sono ovunque: dal radicamento del relativismo morale, la politica dell’identità e la correttezza politica, all’aumento dell’individualismo rapace e l’indebolimento della solidarietà sociale, aggravato dall’abbandono della tradizione, della religione e dalla santificazione dell’utilitarismo materiale.
Ma la verità è che il globalismo economico non è altro che un assalto del mondo liberale alle civiltà non occidentali, un tentativo di cancellare le loro culture singolari e i loro valori tradizionali e di subordinarli all’idea di un mondo unipolare governato dagli Stati Uniti.
Il modernismo, sostiene Dugin, non è un periodo storico. È un paradigma di pensiero, un’epistemologia che si basa sull’idea che nulla è sacro, tutto è materiale
Le ancore tradizionali che in passato fornivano accesso al metafisico, al sublime e al sacro sono state sradicate e dimenticate. L’individuo rimane così solitario e alienato, privato di un’esperienza interiore formativa, privo di coscienza storica e disconnesso dall’ambiente sociale.
Le libertà individuali e i diritti umani e civili, che sono presentati come verità universali, sono solo astrazioni artificiali, strumenti ideologici che servono ai gruppi di potere per gettare fumo negli occhi delle masse e preservare il loro dominio economico e politico.
Valori come l’universalismo, l’oggettivismo e il positivismo sono una copertura per un apparato dittatoriale destinato a costruire una coscienza liberale.
In risposta a tutto questo, Dugin propone una nuova teoria politica, una che metta al centro i principi di giustizia sociale, sovranità nazionale e valori tradizionali, e che agisca come un ponte tra il nuovo e il vecchio, tra la ragione e la fede.
Nel 2009, ha pubblicato un trattato, “La quarta teoria politica”, che propone un’alternativa ai tre grandi paradigmi politici della teoria modernista: liberalismo, comunismo e fascismo. Il comunismo, sostiene, ha fallito a causa del suo approccio materialista alla storia, la sua ossessione per le strutture di classe, il suo atteggiamento eretico verso la religione e l’aspettativa errata di un progresso unidirezionale. Il fascismo era destinato al fallimento perché basato sulla supremazia razziale e sul culto dello Stato. Il liberalismo, che poneva l’individuo al centro della vita economica e politica, lasciava le persone deboli e scollegate e minava la società.
La quarta teoria politica propone un percorso che non è stato ancora provato. Invece della classe, dello stato e della razza, o dell’individuo, pone un fondamento diverso per l’idea politica: il concetto di Dasein, la parola tedesca che significa “essere lì” o “essere nel mondo”, che ha origine con il più grande filosofo tedesco del XX secolo, e senza dubbio il più controverso di essi: Martin Heidegger.
Dugin ha scritto 14 volumi su Heidegger – i cui legami con il partito nazista continuano ad offuscare la sua eredità – e vede la sua filosofia come una chiave per superare il modernismo e il mondo materialista che rappresenta.
Secondo lui, questo è il modo per scoprire il nucleo interno e autentico dello spirito russo, che è l’ultimo “altro” dell’Occidente. Come scrive, “Padroneggiare Heidegger è il principale compito strategico del popolo russo e della società russa a breve termine, la chiave del domani russo”.
Dugin applicherebbe le categorie del pensiero heideggeriano al pensiero e al linguaggio russo, e quindi rinnoverebbe l’affinità collettiva dei russi alla radice della loro esistenza: il nucleo interiore primordiale che ha generato il “russismo”, che è stato dimenticato nell’era moderna.
Dugin si oppone al liberalismo, al fascismo e al comunismo perché le tre ideologie sono prodotti salienti del modernismo e si basano sullo stesso paradigma concettuale: credere nel progresso, nello sviluppo, nella crescita lineare, nell’evoluzione, nel miglioramento costante della società, nella modernizzazione.
Di conseguenza, il mito moderno del progresso deve essere soppiantato dal mito premoderno e astorico dell’eterno ritorno.
Quei legami con la Germania pre nazista
Il modello filosofico proposto da Dugin è un tipo di rivoluzionario conservatore che assomiglia alla corrente filosofica che sorse in Germania nel periodo tra le due guerre. Offuscava le distinzioni convenzionali tra destra e sinistra, fondeva elementi progressisti e reazionari, razionali e mistici, e coltivava idee che in seguito trovarono posto nell’ideologia nazionalsocialista.
Secondo Dugin, il rivoluzionarismo conservatore non aspira a rallentare la corsa della storia, come farebbero i conservatori liberali, o a tornare al passato, come i conservatori tradizionali. Il suo scopo, piuttosto, è quello di “estrarre dalla struttura del mondo le radici del male, abolire il tempo come qualità distruttiva della realtà, e così facendo realizzare una sorta di intenzione segreta, parallela e non evidente della Divinità stessa”.
Conoscere il nemico
Due settimane dopo l’invasione russa dell’Ucraina, Dugin ha dichiarato che la guerra (o l’”operazione”, come si è rapidamente corretto, nello spirito della terminologia dettata dal Cremlino) annuncia la fine dell’idea del mondo unipolare che è governato da una sola civiltà. Gli eventi riflettono quindi uno scontro di civiltà: “modernismo contro tradizione, materialismo contro decenza e potenza militare”.
Questa lotta non riguarda la religione, la razza o il nazionalismo, è una lotta geopolitica: “Senza l’Ucraina, la Russia non sarà mai un impero, con l’Ucraina sarà un impero”.
Dalla caduta dell’Unione Sovietica, dice Dugin, la Russia ha cercato di integrarsi nella visione globale ma ha fallito, perché quella visione non è compatibile con la sua vera essenza. La campagna in Ucraina significa quindi una nuova era
Dugin è popolare tra ampi circoli dell’intellighenzia nel mondo non occidentale e risuona anche tra la destra profonda in Occidente, così come tra i gruppi rivoluzionari di sinistra. Tutti coloro che credono nell’importanza dei valori di libertà e democrazia farebbero bene ad ascoltare attentamente ciò che ha da dire.
Il sentimento di repulsione che molti in Occidente condividono – per quanto riguarda la rapacità aziendale, le disparità economiche nella società e la disuguaglianza nella distribuzione delle risorse globali, la distruzione dell’ambiente da parte del consumismo rampante ed edonistico, la sottomissione della vita intellettuale e culturale ad un’economia di mercato iper-capitalista, e tutta una serie di altri mali neoliberali – deve servire come luce di avvertimento e suscitare una vera apprensione per il futuro dell’Occidente liberale.
Perché non è stato molto tempo fa che l’opposizione al liberalismo ha generato potenti reazioni ideologiche la cui attuazione politica ha comportato uccisioni e distruzioni su una scala senza precedenti.
Il filosofo ebreo-tedesco Ernst Cassirer scrisse dopo la Seconda Guerra Mondiale: “Per combattere un nemico devi conoscerlo. Questo è uno dei primi principi di una buona strategia. Conoscerlo non significa solo conoscere i suoi difetti e le sue debolezze; significa conoscere la sua forza. Tutti noi siamo stati soggetti a sottovalutare questa forza. Quando abbiamo sentito parlare per la prima volta dei miti politici li abbiamo trovati così assurdi e incongrui, così fantastici e ridicoli che difficilmente potevamo essere convinti a prenderli sul serio. Ormai è diventato chiaro a tutti noi che questo è stato un grande errore. Non dovremmo commettere lo stesso errore una seconda volta. Dovremmo studiare attentamente l’origine, la struttura, i metodi e le tecniche dei miti politici. Dovremmo vedere l’avversario faccia a faccia per sapere come combatterlo”, conclude lo storico.
Una chiosa finale assolutamente condivisibile.
(da Globalist)
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Marzo 19th, 2022 Riccardo Fucile
ALLA FINE LA LEGA PARE VOTERÀ SÌ AL DECRETO, MA I MALUMORI DEI FILORUSSI DEL CARROCCIO IN PARLAMENTO AUMENTANO
Nella Lega si moltiplicano i malumori sull’invio di armi italiane all’Ucraina, ora che il
decreto è in arrivo al Senato. Il primo a parlare di «difficoltà» nel votare il provvedimento, appena licenziato dalla Camera col sostegno del Carroccio, è Matteo Salvini, che intervistato ieri da Bruno Vespa alla fiera di Verona si è detto convinto che «la soluzione non sia mandare armi».
L’ex ministro dell’Interno, ormai formato pacifista dopo gli anni passati a celebrare Putin, si dice «preoccupato dalla voglia di guerra di qualcuno».
Riferito non al Cremlino, ma ai colleghi di maggioranza che sostengono gli aiuti alla resistenza di Kiev.
Non è l’unico nella Lega a pensarla così. Anche Simone Pillon è dubbioso, ammette: «Concordo con Salvini. Forse più che inviare armi a una delle parti in guerra dovremmo accreditarci con entrambe per negoziare la pace. Il voto? Leggerò con attenzione il decreto e poi deciderò parlandone col capogruppo ».
Dall’entourage di Salvini spiegano che la linea non è cambiata. Che insomma alla fine, nonostante le «difficoltà», voterà sì.
Il deputato Vito Comencini del resto si è detto pronto a partire alla volta del Donbass. Un collega di scranno, Alex Bazzaro, ha contestato perfino le sanzioni economiche alla Russia.
Non è un caso che nel voto di giovedì a Montecitorio il gruppo della Lega sia stato quello con più assenti: 37, oltre il 40% dei deputati. A riprova dei contorcimenti che agitano il sottobosco leghista, ieri il governatore del Veneto, Luca Zaia, pur condannando l’aggressione russa, ha attaccato Biden per avere definito Putin un criminale di guerra. Parole bollate come «non concilianti e inopportune».
(da agenzie)
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Marzo 19th, 2022 Riccardo Fucile
“STA STRUMENTALIZZANDO IL VANGELO. LE VITTIME INNOCENTI NON POSSONO ESSERE GIUSTIFICATE CON PAROLE EVANGELICHE CHE DICONO L’OPPOSTO” … “LA RETORICA RELIGIOSA DEL POTERE E DELLA VIOLENZA È BLASFEMA”
Dopo gli esorcismi fatti da un gruppo di sacerdoti in Ucraina nel tentativo di liberare dal Male il presidente russo Vladimir Putin, adesso arriva anche l’anatema da parte di uno dei più noti teologi: il vescovo di Chieti, monsignor Bruno Forte. Commentando la scelta di Putin di citare nel discorso alla nazione fatto allo stadio di Mosca un passo del Vangelo di Giovanni («Non c’e’ amore piu’ grande di dare la propria vita per i propri amici») a giustificazione della guerra in corso, Forte ha spiegato che si tratta «di un atto sacrilego», una «bestemmia». Una terribile offesa a Dio.
Per l’arcivescovo «il presidente russo è evidente che non riesce piu’ a trovare argomenti per giustificare questa follia, una aggressione ingiustificata e totalmente immorale».
Poi riferisce – in una intervista all’Ansa – di una evidente strumentalizzazione del Vangelo finalizzata ad una auto-giustificazione. Le vittime innocenti che stanno morendo per colpa di questa aggressione non possono essere giustificate con parole evangeliche che dicono l’opposto, l’amore per gli altri e l’amore perfino per i nemici».
Un altra condanna arriva da padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica e spin doctor di Papa Francesco: «La politica non deve usurpare il linguaggio di Gesu’ per giustificare l’odio. La retorica religiosa del potere e della violenza e’ blasfema». Proprio oggi Papa Francesco ha confermato di avere invitato tutti i vescovi del mondo a unirsi nella preghiera per la pace e la consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria, secondo la profezia della Madonna di Fatima.
La celebrazione è prevista per le ore 17 di venerdì 25 marzo, Festa dell’Annunciazione, nella Basilica di San Pietro. Lo stesso atto, lo stesso giorno, sarà compiuto da tutti i vescovi del mondo e dal cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere pontificio, al santuario portoghese di Fatima come inviato del Papa.
La guerra resta un terreno complicato per il Vaticano. Il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, ha raccontato a Vida Nueva, il settimanale spagnolo, di essere rimasto di stucco davanti a questa escalation visto che aveva avuto rassicurazioni di altro genere da parte delle autorità russe.
«Ho vissuto l’inizio della guerra in Ucraina con una certa sorpresa e, allo stesso tempo, con profonda tristezza. Ero a conoscenza delle richieste della Federazione Russa in merito alla sicurezza della regione, ma speravo che rispettassero le promesse, ripetute più volte, anche dai più alti livelli, che non avrebbero invaso l’Ucraina.
Speravo anche che gli intensi contatti diplomatici che vari leader occidentali avevano mantenuto fino a quel momento con il Cremlino potessero produrre un risultato positivo. Allo stesso modo, confidavo nelle dichiarazioni della parte russa secondo cui intendeva non agire in contrasto con le disposizioni degli accordi di Minsk. Successivamente ho pensato che l’invio di truppe russe sarebbe stato limitato ai territori sotto il controllo dei separatisti nel Donbass, e non oltre. In conclusione sì, temevo che la situazione potesse peggiorare, ma non mi aspettavo che raggiungesse le proporzioni attuali. La speranza e il desiderio che ciò che stiamo vivendo oggi non si realizzasse era decisamente più grande di ogni altra paura».
Di fronte ad una aggressione di questo genere, aggiunge il cardinale, vi è sempre «il diritto a difendere la propria vita, il proprio popolo e il proprio Paese». Giustifica moralmente gli aiuti che gli altri paesi europei stanno inviando a Kyev contro l’invasione russa? «L’uso delle armi – ha risposto – non è mai qualcosa di desiderabile, perché comporta sempre un rischio molto alto di togliere la vita alle persone o causare lesioni gravi e terribili danni materiali. Tuttavia – prosegue – il diritto a difendere la propria vita, il proprio popolo e il proprio Paese comporta talvolta anche il triste ricorso alle armi. Allo stesso tempo – afferma ancora Parolin – entrambe le parti devono astenersi dall’uso di armi proibite e rispettare pienamente il diritto umanitario internazionale per proteggere i civili e le persone fuori dal combattimento. D’altra parte, sebbene gli aiuti militari all’Ucraina possano essere comprensibili, la ricerca di una soluzione negoziata».
(da Il Messaggero)
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Marzo 19th, 2022 Riccardo Fucile
ATLETICA, MAHUCHIKH ORO PER L’UCRAINA DOPO UN VIAGGIO IN MEZZO ALLA GUERRA PER RAGGIUNGERE BELGRADO
Gli occhi blu truccati di giallo e le unghie gialle e blu.. 
Yaroslava Mahuchikh porta la bandiera sulle palpebre, sulle dita, sulla divisa e la sventola dopo l’oro del salto in alto preso ai Mondiali indoor. In volo oltre la guerra: «Questa medaglia va ai soldati che lottano per la nostra indipendenza».
Era a casa sua, a Dnipro, il giorno in cui i russi hanno invaso l’Ucraina «e quello è stato il buio, il black out. Mi sono svegliata con due esplosioni. Ho chiamato i genitori, l’allenatore, gli amici e poi è niente… solo attesa e paura».
Niente più allenamenti, nemmeno pensieri sulle competizioni, fino a che la federazione le ha detto che potevano farla partire per questo Mondiale e lei ci ha pensato giusto un attimo poi ha detto sì «voglio rappresentare la mia gente sotto assedio. Fare del mio meglio per il mio Paese».
A Belgrado ha vinto a 2,02, una misura che non credeva di avere nelle gambe e che ha superato con la volontà.
Campionessa del mondo nonostante tutto: i pensieri da domare, la paura, il viaggio durato tre giorni in mezzo alle bombe. Bronzo olimpico a Tokyo, era la favorita prima della guerra ma era anche impossibile sapere in che condizioni sarebbe arrivata qui.
Ora andrà in Germania, «tornare a casa adesso è impossibile ma io sarò presto in Ucraina, un’Ucraina libera».
(da agenzie)
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Marzo 19th, 2022 Riccardo Fucile
LE RAGAZZE GIA’ INQUADRATE L’ANNO PRIMA E LA BALLA SULLE PRESENZE
Dal dubbio di numeri di spettatori effettivamente presenti allo stadio, alla riproposizione di alcune immagini dell’evento del 2021.
Ecco tutte le anomalie nel discorso alla nazione del presidente russo
Il presidente russo Vladimir Putin, anche quest’anno, ha organizzato un concerto-evento per celebrare l’anniversario dell’annessione della Crimea alla Federazione russa, che si è concluso con il tradizionale discorso alla nazione, in cui il presidente russo ha ribadito il massimo impegno e sostegno alle truppe di Mosca nel loro “intervento militare speciale” contro l’Ucraina.
Ma non tutto è filato liscio durante la diffusione dell’evento sul canale Rossiya-24, canale della tv di Stato russa, con il discorso di Putin che, oltre a essere stato costellato da diverse pause, si è improvvisamente interrotto, e al suo posto è stata mandata in onda l’esibizione del cantate russo Oleg Gazmanov.
Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha spiegato all’agenzia RIA Novosti che l’interruzione della trasmissione è stata provocata da un «guasto tecnico al server». Subito dopo l’interruzione del discorso del presidente russo, il monologo è stato ritrasmesso per intero, senza interruzioni né «guasti tecnici». Ma non solo.
I dubbi sul numero di spettatori presenti allo stadio
L’evento si è tenuto presso lo stadio Luzhniki di Mosca davanti a 200mila persone, secondo i dati forniti del ministero dell’Interno russo.
Nello stesso stadio, nel 2018, venne ospitata la finale dei Mondiali di calcio maschile, e ha però una capienza massima ufficiale di circa 81.000 posti a sedere. Dal calcolo della capienza è escluso il parterre, dove però era presente il palco dove si sono esibiti i vari artisti e dal quale Putin ha rivolto il proprio discorso alla nazione. Di conseguenza, risulta difficile che nello stadio possano essere entrate 200 mila persone. Inoltre, secondo le testimonianze raccolte dai giornalisti di Sota all’esterno dello stadio, alcuni partecipanti all’evento hanno spiegato di «essere stati caricati su un autobus» e di «essere stati portati allo stadio».
Le giovani presenti sugli spalti sia nel 2021 sia nel 2022
Durante la trasmissione dell’evento, tra gli spalti dello stadio Luzhniki di Mosca sono però apparse alcune spettatrici che erano presenti anche durante le celebrazioni dell’anniversario dell’annessione della Crimea alla Federazione russa dell’anno scorso.
Ma a colpire non è stata tanto la presenza delle stesse persone, quanto i dubbi legati al loro abbigliamento, perfettamente identico a quello dell’anno precedente.
Questo farebbe pensare a un riutilizzo di alcune riprese delle celebrazioni del 2021 che sarebbero state riutilizzate per la messa in onda delle celebrazioni.
I casi sono principalmente due.
Nel primo si osservano due giovani l’una con una mascherina blu e a fianco un’altra giovane con una felpa rosa, presenti sia all’evento del 2021 (qui il video dell’anno scorso, minuto 0.47), sia al concerto di quest’anno (minuto 55.36 di questo video).
Ma non sono le sole.
Altre due donne, l’una bionda e l’altra mora, con la mascherina e un piumino argentato sono apparse sia nella trasmissione dell’evento del 2021 (in questo video, minuto 4.19), sia in quello del 2022 (qui il video, minuto 55.29).
Essendosi – di fatto – tenuto l’evento, come testimoniato dagli spettatori presenti all’esterno dello stadio, è plausibile l’ipotesi che le immagini degli spalti del 2021 siano state riutilizzate come quella che nel gergo tecnico viene definita “copertura” dalla regia
(da Open)
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Marzo 19th, 2022 Riccardo Fucile
“IMBARAZZATI, GIA’ INTERROTTE LE FORNITURE IN RUSSIA“
Non è passato inosservato il look «made in Italy» di Vladimir Putin durante il suo
discorso alla nazione in occasione dell’anniversario dell’annessione della Crimea alla Federazione russa, sostenendo l’esercito russo contro l’Ucraina.
Il presidente russo si è infatti presentato sul palco allestito nello stadio Luzhniki di Mosca con un maglione a collo alto color crema, il giubbotto antiproietille e sopra una giacca blu scuro da oltre 12mila euro, appartenente a una vecchia collezione di Loro Piana, azienda piemontese leader nella lavorazione del cachemire, e che dal 2013 è di proprietà all’80% della gruppo francese del lusso Lvmh.
L’azienda biellese, per voce dell’imprenditore Pier Luigi Loro Piana, ha voluto prendere nettamente le distanze da quanto accaduto. «È chiaro da che parte abbiamo deciso di stare – ha spiegato all’Ansa Loro Piana -. Il gruppo Lvmh ha interrotto le forniture in Russia e si sta adoperando per aiutare il popolo ucraino attraverso le associazioni impegnate nella solidarietà, con donazioni, coperte e indumenti».
E l’imprenditore biellese ha aggiunto: «Putin dovrebbe riflettere su ciò che sta facendo vivere al popolo ucraino».
In un’intervista a Repubblica, Pier Luigi Loro Piana, che assieme al fratello Sergio guida l’azienda, oltre a ribadire la posizione netta dell’azienda e del gruppo Lvmh a fianco dell’Ucraina ha aggiunto: «Non mi sento colpevole per quella giacca sfoggiata indossata sul palco (da Putin, ndr), credo sia un acquisto che risale a tanto tempo fa, ma credo anche che questi siano argomenti minori rispetto alla tragedia di una guerra: è una questione che crea imbarazzo dal punto di vista umano».
(da agenzie)
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Marzo 19th, 2022 Riccardo Fucile
IL BANANA AVEVA UN COMPLETO DI ARMANI BLU, MENTRE LA “SPOSA” INDOSSAVA UN ABITO BIANCO CASTIGATO IN PIZZO FRANCESE DELLO STILISTA ANTONIO RIVA – IL DISCORSO DEL CAV: “SONO FELICE DI AVERE LE PERSONE A ME CARE QUI CON ME IN QUESTA GIORNATA” (GRANDE ASSENTE IL FIGLIO PIERSILVIO) – TRA GLI INVITATI ANCHE GIGI D’ALESSIO E MATTEO SALVINI
Si è celebrata la festa per l’unione simbolica tra Silvio Berlusconi, 85 anni, leader di Forza Italia, e Marta Fascina, 32 anni, deputata azzurra dal 2018.
Una sessantina gli ospiti invitati a Villa Gernetto, la residenza di Lesmo che ospita l’Università della Libertà, per celebrare un’unione senza vincoli giuridici o civili.
Tra loro gli amici storici del Cavaliere come Fedele Confalonieri, Marcello Dell’Utri, Gianni Letta e Adriano Galliani, ma anche Matteo Salvini, Gigi D’Alessio e Vittorio Sgarbi.
La festa, voluta da Marta Fascina — che da quasi tre anni è la compagna di Berlusconi — compensa un rito reale che sembrava a un passo ma al quale si sono opposti i figli di Berlusconi per ragioni di asse ereditario.
Tutti presenti i figli di Berlusconi tranne Piersilvio, che preferisce tenersi lontano da eventi troppo affollati per paura del contagio da Covid. Gli amici del Cavaliere gli avevano sconsigliato di organizzare la cerimonia nel momento drammatico della guerra in Ucraina, ma poi si sono riuniti tutti intorno all’ex premier.
Duetto Berlusconi -Confalonieri al pianoforte: Confalonieri suona, Berlusconi canta. I brani scelti sono classici della canzone francese, con una concessione finale al dialetto milanese con «O mia bella Madunina». Tra gli ospiti Matteo Salvini e Gigi D’Alessio
«Mi ha fatto un grande regalo ad esserci — dice Berlusconi —. Insieme abbiamo scritto quasi 130 canzoni». Scherza, l’ex premier, ma non troppo mentre scorrono canzoni napoletane. Al tavolo anche Vittorio Sgarbi: «L’ho chiamato ieri per invitarlo perentoriamente alla inaugurazione di una mostra su Canova che faccio il 5 maggio a Possagno. Mi ha risposto “Devi venire tu che nella cappella dove mi sposo c’erano le opere di Canova”». Destino.
Alla cerimonia, accompagnata dalla musica di un violinista, erano presenti, tra gli altri, Gianni Letta con la moglie, Marcello Dell’Utri con la moglie, Fedele Confalonieri, Adriano Galliani con la compagna, Niccolò Ghedini con la moglie e figlio Giuseppe, il medico personale del Cavaliere Alberto Zangrillo, Renato Della Valle, oltre ai parlamentari Licia Ronzulli, Anna Maria Bernini, Antonio Tajani, Valentino Valentini, Vittorio Sgarbi, l’amministratore delegato di Fininvest, Danilo Pellegrino con la compagna, l’ad di Publitalia, Stefano Sala, e il presidente del Consiglio di Vigilanza della Rai, Alberto Barachini. Presenti, naturalmente, anche tutti i parenti di Marta Fascina.
Il matrimonio simbolico è stato celebrato nella piccola cappella di Villa Gernetto. Completo di Armani blu con un mughetto all’occhiello per Berlusconi, mentre Marta Fascina indossa un abito bianco in pizzo francese, con corpetto, mezzo colletto e casta scollatura a V creato dallo stilista Antonio Riva, con un ampio strascico bianco. Di mughetto anche il bouquet della «sposa», in pendant con quello all’occhiello di Berlusconi.
Gli ospiti sono stati accompagnati nel Salone delle feste da un ensemble di viola e tre violini e lì hanno trovato un grande tavolo degli «sposi». L’ex premier, prima che venissero servite le portate, ha ripreso la parola brevemente per saluti e ringraziamenti: «Sono felice di avere le persone a me care qui con me in questa giornata», ha detto. Ieri mattina tutti gli invitati hanno effettuato un tampone molecolare per precauzione.
Per l’occasione Villa Gernetto è stata addobbata a festa: 150 statue fatte disporre da Berlusconi nei giardini all’italiana, giochi d’acqua nelle fontane e getto a forma di torta nella fontana principale. L’aperitivo viene servito nella Sala dei passi perduti, il pranzo nel Salone delle feste.
Preparato del ristorante tristellato «Da Vittorio» il menù per gli ospiti prevede come antipasto mondeghili di vitello al limone con crema di sedano rapa, come primi gnocchetti di ricotta e patate allo zafferano, robiola e pan pepato e paccheri «alla Vittorio», per secondo tagliata di manzo al vino rosso con patata fondente e crema di carote alla cannella. Kermesse di dolci per dessert. Dalla cantina: Aneri Alto Adige Pinot bianco 2020, Aneri Alto Adige Pino Nero 2018, Moscato Passito «Faber» La Cantalupa Monzio Compagnoni.
(da agenzie)
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Marzo 19th, 2022 Riccardo Fucile
CAMBIO DI STRATEGIA DI BIDEN: L’ARGOMENTO AMERICANO È FORTE PERCHÉ FA LEVA SULL’EQUIVALENTE FINANZIARIO DELL’ARMA NUCLEARE: LA SOVERCHIANTE EGEMONIA DEL DOLLARO… LA CINA HA IMMENSI INTERESSI IN OCCIDENTE, NON HA INTERESSE AD APPIATTIRSI SULLE DISSENNATE AZIONI DI PUTIN
C’è stata una correzione di rotta nella strategia americana verso i due grandi rivali, Russia
e Cina. Ancora pochi mesi fa una corrente di realisti della geopolitica consigliava a Joe Biden di ricucire con Vladimir Putin per sottrarlo all’abbraccio cinese. La telefonata di due ore fra il presidente americano e Xi Jinping segnala l’approccio opposto: si cerca un’intesa con la Cina per isolare Mosca. La Casa Bianca non si fa troppe illusioni sull’aiuto di Pechino.
Però spera di spostare Xi su posizioni di neutralità vera, non fasulla. L’argomento americano è forte perché fa leva sull’equivalente finanziario dell’arma nucleare: la soverchiante egemonia del dollaro. Il messaggio di Biden è chiaro. La Cina è una grossa azionista dell’economia globale, ha immensi interessi in Occidente, dove trova i suoi principali sbocchi commerciali. La Pax Americana le ha consentito un trentennio di crescita spettacolare.
Ora l’economia cinese subisce uno choc energetico, un rallentamento della crescita, e una diffidenza sempre più forte presso gli occidentali. Non ha interesse ad appiattirsi sulle dissennate azioni di Putin. Le aziende cinesi subirebbero danni enormi, se i loro affari con la Russia le mettessero nel mirino delle sanzioni occidentali, escludendole dal circuito universale del dollaro.
Xi è consapevole dei rischi che corre. Compie un esercizio di equilibrismo. Cerca di non chiudersi gli accessi all’economia globale. Ma non vuole tradire Putin a cui lo lega un rapporto stretto, cementato dalla comune analisi sulla debolezza dell’Occidente. Più crescono le difficoltà dell’armata russa in Ucraina, più i media di Stato cinesi smorzano i loro appoggi a Putin: forse è un segnale che Xi si sta cautelando.
Nel frattempo la Cina persegue un ordine mondiale alternativo. A cominciare dall’architettura finanziaria. È significativo il negoziato con l’Arabia Saudita, per convincere Riad ad accettare renminbi cinesi invece dei dollari, come pagamento per le forniture di petrolio. Il cammino verso una globalizzazione sino-centrica sarà lungo. La supremazia del dollaro non è soltanto un retaggio del secolo americano, un effetto collaterale della leadership militare ed economica dell’impero calante. Dietro l’accettazione del dollaro c’è l’affidabilità di uno Stato di diritto, la certezza delle regole, l’imparzialità dei tribunali.
I valori dell’Occidente, in questo caso, hanno una funzione rassicurante per tutti gli operatori economici. Il nuovo ordine internazionale che Xi Jinping ha in mente assomiglia a quello di Putin ed è in costruzione da anni. Se partiamo dalla guerra di Cecenia o dall’invasione della Georgia nel 2008, poi l’annessione della Crimea, infine aggiungiamo la distruzione dello Stato di diritto a Hong Kong, il quadro è chiaro. L’aggressione all’Ucraina è la tappa di un’escalation che vede Mosca e Pechino allineate per cambiare le regole del gioco. Già oggi il 30% del Pil mondiale coincide con regimi autoritari: lo zoccolo duro del nuovo ordine globale è consistente. Per l’Impero celeste di cui Xi è l’erede, si tratta di ricostruire sfere d’influenza che la Cina già proiettava oltre le sue frontiere più di duemila anni fa.
Ancor prima che le Vie della Seta prendessero quel nome, una presenza cinese raggiungeva Giappone e Corea, Sud-est asiatico, Oceano Indiano e Corno d’Africa. L’equilibrismo cinese consiste nel tenere un piede nei due mondi: continuare a trarre il massimo beneficio dalla globalizzazione americano-centrica, e intanto costruire quella che la sostituirà. La brutalità di Putin rende più ardua l’acrobazia, gli aut aut americani si fanno più pressanti. Xi non vuol dare per sconfitto il suo compare e alleato. Sulle forniture di armi cinesi all’armata russa?
Dice che sono di routine, non specifiche richieste per massacrare il popolo ucraino. Sull’effetto delle sanzioni occidentali, Pechino ricorda che il regime degli ayatollah in Iran è sopravvissuto ai tentativi di strangolamento economico. L’indebolimento oggettivo di Mosca si trasforma in opportunità. La Cina ha già firmato contratti per 118 miliardi di dollari di gas, ha fatto incetta di cereali russi, e gli investitori di Shanghai si avventano su aziende russe in liquidazione. L’esodo in massa delle multinazionali occidentali da Mosca e San Pietroburgo viene considerato un’opportunità per le loro concorrenti cinesi.
È in atto una colonizzazione che non dispiace a Xi, è la rivincita sul periodo in cui l’Urss dominava e «modernizzava» i compagni maoisti. Negli scambi fra Biden e Xi affiora costantemente una richiesta cinese: l’America smetta di voler cambiare il sistema che governa Pechino.
È uno dei tratti che uniscono Xi a Putin: la certezza che Washington vuole rovesciarli, aizzando «rivoluzioni arancioni» nelle loro popolazioni. Un’analisi equilibrata rivela che si tratta come minimo di esagerazione, con una punta di paranoia. Altra caratteristica che appaia i due autocrati: dopo tanti anni di accentramento del potere e culto della personalità, i due sono circondati di yesmen.
Hanno una corte che li asseconda, chi osa criticare rischia il posto o peggio. In queste circostanze, avvistare e correggere gli errori diventa più difficile. Finora Xi ha sbagliato molto meno di Putin, ma neppure il suo equilibrismo è immune da rischi. Molto dipende da noi. Xi Jinping ha creduto che un attacco nel cuore dell’Europa avrebbe messo a nudo tutte le debolezze dell’Occidente, i suoi dubbi, la sua indecisione. Finora l’Occidente gli ha dato torto, ma i bilanci si fanno nel lungo periodo. Questa leadership cinese è convinta di avere il tempo dalla sua.
(da il Corriere della Sera)
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Marzo 19th, 2022 Riccardo Fucile
LA NOTIZIA HA SCATENATO IL DOLORE E LA RABBIA DEI COLLEGHI, PRIMO SU TUTTI COREOGRAFO RUSSO ALEXEI RATMANSKY, DIRETTORE DEL BALLETTO DEL BOLSHOI DAL 2004 AL 2008: “SONO FURIOSO, È UN DOLORE INSOPPORTABILE”
Piovono fiori e lacrime rabbiose sull’addio ad Artem Datsishin, primo ballerino dell’Opera Nazionale dell’Ucraina, ricoverato in ospedale a Kiev dal 26 febbraio e morto dopo essere stato gravemente ferito dai soldati russi proprio all’inizio delle operazioni militari nella capitale.
Dopo aver combattuto per giorni in agonia nel letto d’ospedale, l’artista si è spento all’età di 43 anni, lasciando dietro di sé un coro di dolore e sdegno che dalla capitale ucraina si è subito riverberato in tutto il mondo.
Tra le voci più critiche, c’è quella del coreografo russo Alexei Ratmansky, direttore del Balletto del Bolshoi dal 2004 al 2008 e dal 2014 artista residente dell’American Ballet di New York, ospite frequente della Scala di Milano con i suoi lavori: «Sono furioso, è un dolore insopportabile», si è sfogato sui social. La notizia della morte di Datsishin, accompagnata da quella del funerale avvenuto ieri mattina, è stata comunicata in forma ufficiale su Facebook dal direttore artistico dell’Opera Nazionale Ucraina, Anatoly Solovyanenko: «È stato ucciso un nostro collega, grande artista, solista di lunga data e uomo meraviglioso».
L’ondata di commozione ha travolto i ballerini della compagnia che hanno fatto a gara per ricordare Datsishin: «Addio, amico mio, non riesco a esprimere il dolore che sento», ha scritto l’amica e collega Tatyana Borovik. Sotto le bombe russe se n’è andato uno dei danzatori più amati della capitale ucraina, noto per lo stile romantico e per la profondità attoriale che hanno reso speciali le sue interpretazioni, dal Lago dei cigni a Lo Schiaccianoci , da La bella addormentata nel bosco a Giselle e Romeo e Giulietta , affrontati con successo non solo in patria ma anche nelle tournée in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone.
Per i suoi meriti, Datsishin aveva ricevuto numerosi riconoscimenti come il Premio Serge Lifar nel 1996 e il Rudolf Nureyev nel 1998: Lifar era ucraino, Nureyev era russo e transfuga dall’Unione Sovietica di Kruscev, due grandi che hanno reso gloria all’Est in Occidente, entrambi direttori e straordinari innovatori del Balletto dell’Opéra di Parigi.
Nella storia del Teatro Nazionale di Kiev – dove la programmazione della stagione si è inchiodata l’8 e 9 febbraio con il balletto Valzer viennese e con l’opera verdiana Rigoletto -, la tecnica di danza è sempre stata una, modellata sul metodo didattico della maestra e teorica dell’era sovietica Agrippina Vaganova, comune ai Paesi dell’Est. Russia e Ucraina sembravano indissolubili, almeno nel balletto. Ora, l’ennesima lacerazione di una guerra fratricida.
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