Marzo 23rd, 2022 Riccardo Fucile
“I RUSSI SONO SEMPRE VENUTI QUI. HANNO SENTITO SOLO CALORE. SOLO SINCERITÀ. E ADESSO? BOMBE? ARTIGLIERIA? MISSILI CONTRO ODESSA?”… LA RESISTENZA DI MARIUPOL E MYKOLAYIV HA PERMESSO ALLA CITTÀ DI METTERE DA PARTE ARMI, CIBO, MEDICINE E DI DIVENTARE UNA FORTEZZA INESPUGNABILE
«Non ci parliamo dal 24 di febbraio. Siete il nemico, mi ha detto, nell’ultimo messaggio». Soffre Odessa e non solo per i colpi che arrivano dal mare. «Che qui sorga una città e un porto», recita la scritta sotto la statua della zarina Caterina II che indica con la mano sinistra verso lo specchio blu del Mar Nero, ora ricoperta dai sacchi di sabbia.
Correva l’anno 1794 e i russi avanzavano verso occidente. Embrione di quella «grande Russia» che sarebbe stata l’Unione Sovietica. Pochi passi più in là celebre scalinata immortalata da Ejzenstejn ne La corazzata Potemkin è deserta mentre suonano le sirene.
Ha sempre parlato russo Odessa, otto abitanti su dieci. «Oggi però vorrei strapparmi i denti dalla bocca per non doverlo più fare», dice Sergej, davanti all’edicola. Ora è Odesa, con una «s» sola, come la chiamano gli ucraini.
Tatiana e Piotr camminano vicino all’Opera. Pensionati, si tengono per mano mentre il sole del mattino scalda il metallo dei cavalli di Frisia. «Mia cugina vive a Rostov. Dopo che Putin ci ha invaso ha deciso di interrompere ogni rapporto con noi. Ma non importa. Che siano maledetti tutti quanti loro». Strappi, odi.
Ora è tutto tranquillo vicino a quella che fu la Casa dei Sindacati, data alle fiamme nel maggio 2014 dai nazionalisti ucraini. Ma quelle mura che rimasero lì annerite a ricordare il massacro sono una ferita che ancora sanguina in una città solitamente pacifica e dove, fino ad allora, avevano convissuto tutti: russi, ucraini, ebrei, armeni, bulgari, italiani.
Poi, quando il governo filorusso venne sostituito con uno filoeuropeo, militanti comunisti, filo Putin, e separatisti vari si accamparono nell’edificio per protesta: in 48 trovarono la morte, carbonizzati
Cambia il vento a Odessa. Il sindaco Gennadiy Trukhanov fino al 2017 aveva un passaporto russo ed era visto con sospetto dai filo-ucraini. Nelle scorse settimane i suoi video su Facebook hanno espresso lo sgomento di una città intera. «Odessa è sempre stata una città di pace. Un porto dove fare affari, non un luogo in cui morire».
Barats, 73 anni, è uno dei custodi dell’Odessa World Wide Club. Un circolo culturale fondato nel 1990 che riunisce gli abitanti della città sparsi in tutto il mondo: Mosca, San Pietroburgo, New York, Parigi e giù fino all’Australia, come indica la cartina appesa nella sala conferenze del centro.
«Mio figlio vive in Russia, è un attore famoso. E in un discorso pubblico ha supplicato i russi, non ammazzate la mia gente. Quando si è trasferito all’estero per studiare ero felice ma chissà ora, forse non potrò vederlo ma più».
Si spegne il sorriso degli occhi azzurri di Barats mentre racconta. Famiglie divise, dilaniate da una guerra che qui nessuno si aspettava. La tv ora trasmette per lo più in ucraino. Un affronto per i russofoni di Odessa. «Volete entrare nell’Unione Europea e non tutelate noi che siamo la minoranza più forte?», dicevano fino a qualche settimana fa.
Ma ora per le strade della regina del Mar Nero nessuno osa più affrontare l’argomento. Ora è maledetta Russia. «I russi sono sempre venuti a Odessa. Hanno sempre sentito solo calore a Odessa. Solo sincerità. E adesso? Bombe contro Odessa? Artiglieria contro Odessa? Missili contro Odessa?».
La contraerea romba in cielo mentre dalle navi russe salpate da Sebastopoli partono i colpi. «Lo senti questo rumore? È Putin che si vuole vendicare, dice che ci vuole denazificare, è a noi che si riferisce. Ma sta commettendo un crimine. Qui i russi ci sono sempre venuti. Ma in vacanza».
In realtà per lo Zar prendere Odessa vorrebbe dire garantire la contiguità territoriale con la Crimea. Ma il tempo è dalla parte della perla del Mar Nero: in questo mese la resistenza di Mariupol e Mykolayiv, a est, ha permesso alla città di mettere da parte armi, cibo, medicine e di diventare «una fortezza inespugnabile»
Giù alla spiaggia il vento soffia forte e solleva la sabbia delle trincee. Ivan, tenente di Marina, si avvicina alle fortificazioni. Poco più in là, le cabine di legno di quello che era uno stabilimento balneare. «Ora qui ci sono le mine, state attenti dove mettete i piedi».
La settimana scorsa proprio vicino alle fortificazioni hanno arrestato 12 sabotatori filo russi. «Gente che vive qua, due erano ubriachi, uno lo abbiamo ammazzato perché non aveva risposto all’altolà. Ma gli altri li abbiamo portati al fresco», racconta.
Poi tira fuori il telefono. Mostra delle vecchie foto. «Ho combattuto in Cecenia, io. Ho visto l’orrore. Non dimenticherò. E non servirò mai più al loro fianco. Ora li aspetto qui sulla spiaggia».
(da agenzie)
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Marzo 23rd, 2022 Riccardo Fucile
“L’AULA ERA MEZZA VUOTA, QUELL’ASSENZA È LA MANIFESTAZIONE DI MANCANZA DI SOLIDARIETÀ PURE DAVANTI ALL’ORRORE ED È RETORICO CHIEDERSI CHE COSA SUCCEDEREBBE A CIASCUNO DI VOI SE FOSTE CITTADINI RUSSI, PERCHÉ NON CORRERESTE ALCUN RISCHIO. PUTIN AMA IL POPOLO CHE GUARDA GLI ERRORI DEGLI ALTRI”
Loro in Aula non c’erano ad ascoltare l’appello del leader di un Paese europeo che
chiede aiuto perché da 27 ininterrotti giorni Putin sta bombardando, massacrando, riducendo alla fame, e con la prospettiva di ridurre in macerie il suo Paese. Mentre ormai milioni di donne sono in fuga per salvare i loro bambini.
Da liberi cittadini, e liberi deputati e senatori di un Paese libero, possono fare ciò che credono: c’è chi può permettersi di dire che le dittature sanguinarie sono belle, chi pensa che Putin abbia ragione, chi preferisce prendere le distanze da entrambe le parti.
Si chiamano Bianca Laura Granato del gruppo misto, Gabriele Lorenzoni e Vito Petrocelli del M5S, Simone Pillon della Lega, Matteo Dall’Osso e Veronica Giannone di Forza Italia, Pino Cabras e altri 18 del gruppo l’Alternativa, Emanuele Dessì del Partito comunista, Michele Giarrusso e Gianluigi Paragone di Italexit.
Il tempo del dibattito è finito e bisogna prendere una posizione: o condanni l’invasione, oppure l’appoggi
Qual è il messaggio che volete dare ai vostri elettori? Anche per chi fa tanti distinguo rifiutando di ascoltare Zelensky (l’aggredito) è implicito l’appoggio a Putin.
Avete tollerato, senza mai spendere una parola, nemmeno di pietà, verso i giornalisti uccisi dal tiranno, verso gli avversari avvelenati, verso la legge che condanna fino a 15 anni di carcere chi esprime un parere contrario
E oggi quell’assenza in Aula è la manifestazione di mancanza di solidarietà pure davanti all’orrore. Ed è retorico chiedersi che cosa succederebbe a ciascuno di voi se foste cittadini russi, perché non correreste alcun rischio.
Putin ama il popolo che guarda gli errori degli altri, quelli dell’Occidente, da lui definito «l’impero della menzogna», ma dove vengono mandati a studiare i figli dei suoi fedelissimi.
Per Bianca Laura Granato, che non ha esitato a schierarsi a favore di Putin (lo ha dichiarato a Tommaso Labate), immagino che vivere in un Paese come l’Italia sia un inferno. Nessuno eventualmente le impedirebbe di andare a vivere nella dittatura russa. Mentre gli altri, quelli che sono tormentati dai dubbi, stanno dicendo ai loro elettori «calmi, non è detto lo zar sia poi così cattivo».
E tutti quegli altri? L’Aula era mezza vuota, nonostante fosse martedì. Dante gli ignavi li ha messi nell’Antinferno, perché li giudica indegni di meritare sia le gioie del paradiso, sia le pene dell’inferno, proprio perché non si sono mai schierati né a favore del bene, né del male.
Milena Gabanelli
(da Il Corriere della Sera)
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Marzo 23rd, 2022 Riccardo Fucile
CHI E’ ANATOLY CHUBAIS, L’EX VICEPREMIER CHE SI E’ RIBELLATO A PUTIN
Gli oppositori di Vladimir Putin in patria continuano ad aumentare. L’ultimo in ordine di tempo è l’inviato per il clima di Mosca, Anatoly Chubais, che si è dimesso dal suo incarico.
Ha lasciato la Russia e al momento si trova in Turchia. Chubais, 66 anni, finora è il funzionario di più alto livello che ha abbandonato Putin in segno di protesta contro la guerra in Ucraina, come riportato anche dall’agenzia Bloomberg.
Un addio che potrebbe innescare un effetto domino ai vertici della Federazione Russa. Nei giorni scorsi Chubais aveva lanciato un segnale emblematico contro il Cremlino pubblicando una foto dell’ex oppositore del presidente Boris Nemtsov, ucciso nel 2015.
Chubais fu uno dei principali fautori delle privatizzazioni in Russia degli anni Novanta, e ricoprì la carica di vice premier sotto Boris Eltsin. Chubais diede a Putin il suo primo incarico al Cremlino a metà degli anni Novanta e inizialmente accolse con favore la sua ascesa al potere alla fine del decennio. Lo stesso Putin, nel 2020, lo nominò inviato speciale per il clima con l’obiettivo di «raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile».
(da agenzie)
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Marzo 23rd, 2022 Riccardo Fucile
LUI POSTA LA SUA FOTO COME RISPOSTA E IRONIZZA: “SONO STATO L’ULTIMO A SAPERE DELLA MIA MORTE“
Da giorni circola su Facebook la notizia che il cecchino “più letale al mondo”, il canadese
Wali il cui nome completo non viene divulgato per ragioni di sicurezza, sia morto nei pressi di Mariupol, pochi minuti dopo esservi atterrato per combattere al fianco degli ucraini. La notizia è però falsa, e Wali è vivo e vegeto.
Sì, Wali è realmente conosciuto come uno dei cecchini più precisi al mondo.
No, Wali non è morto, come conferma una sua dichiarazione a CBC News e in un’altra a Global News.
Riportiamo uno dei post che hanno diffuso la falsa notizia:
Il cecchino canadese Wali soprannominato il cecchino più mortale del mondo è morto. Ucciso dalle forze speciali russe appena 20 minuti dopo essere entrato in azione a Mariupol, Ucraina. Non troverete traccia sui me(r)dia di regime. Né su Google. Nessuno ne darà notizia ovviamente. (fonte: LR, Geopolitica e News)
La bufala era stata diffusa anche dai media russi, come possiamo vedere dal sito Zavtra.ru in un articolo del 16 marzo 2022.
A distanza di giorni dalla diffusione della presunta notizia, è lo stesso Wali a smentire la sua morte. É sufficiente una ricerca su Google con le parole chiave “Wali sniper” per imbattersi in svariati articoli che smentiscono la notizia della morte del cecchino.
Wali ha detto di «stare bene», di essere «riposato e ben nutrito». Al momento il cecchino si trova nella regione di Kiev. «Sono stato l’ultimo a sapere della mia morte», ha detto Wali a Global News.
(da agenzie)
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Marzo 23rd, 2022 Riccardo Fucile
HA COMBATTUTO ANCHE CONTRO L’ISIS A KABUL
Il nome di Claudio Locatelli in queste ore sta facendo il giro di tutti i siti di informazione e non solo, per via della sua reazione con tanto di espressione blasfema, scaturita da un colpo di mortaio proprio nel mentre si trovava nel bel mezzo di una diretta dall’Ucraina
Ma il suo lavoro, o meglio, la sua “mission”, merita di essere conosciuta al di là di questo video che in brevissimo tempo è ovviamente diventato virale.
Locatelli infatti non è un semplice giornalista, ma è uno di quelli che ha preso davvero sul serio l’espressione “andare oltre l’informazione”, per poterla raccontare.
Claudio Locatelli nasce a Bergamo nel 1988. Il padre, oggi in pensione, è stato un parquettista, la madre invece è proprietaria di un’edicola.
Si stabilisce a Padova, dove intraprende gli studi di Psicologia e Neuroscienze e dove si occupa di coaching sportivo. Contemporaneamente porta avanti anche il suo impegno come giornalista freelance specializzato in aree di conflitto.
Nelle interviste concesse ad altri giornalisti come lui, colpiti dal suo operato, Locatelli si è descritto a volte come un media-attivista altre come un giornalista combattente e vede questo mestiere non come un semplice mezzo per diffondere le notizie, ma per cercare di cambiare le cose in meglio.
C’è un motivo se Claudio Locatelli si definisce “giornalista combattente”. Nel 2017 infatti è entrato nelle unità di protezione popolare curde per contrastare l’Isis.
A Kabul Locatelli non ha solo documentato ciò che stava succedendo con i suoi interessantissimi reportage su Facebook, ma ha anche imbracciato il kalashnikov.
Una volta arrivato sul posto infatti, il giornalista si è reso conto di non poter stare semplicemente a guardare. Non voleva limitarsi a raccontare, ma voleva contribuire a migliorare le cose. Si è quindi sottoposto ad un periodo di addestramento e ha poi combattuto contro i terroristi.
Nel 2020, molto prima del conflitto tra Russia e Ucraina scoppiato ufficialmente il 24 febbraio 2022, Claudio Locatelli si trovava in Bielorussia quando è stato arrestato mentre filmava le proteste cittadine contro le elezioni di Aleksandr Lukashenko.
È stato liberato dopo tre giorni passati, come ha raccontato lui stesso, in prigione a Minsk senza né cibo né acqua.
Locatelli si è dato da fare anche per coprire alcuni avvenimenti che hanno segnato il Paese che gli ha dato i natali, l’Italia, tra cui anche il terribile terremoto che ha colpito Amatrice nel 2016.
Rimanendo sempre fedele alla propria missione di giornalista e attivista, come dicevamo in apertura dell’articolo, Claudio Locatelli è partito per l’Ucraina, per toccare con mano e raccontare l’invasione russa. Il suo impegno ha anche attirato l’interesse di La7 con cui si è più volte collegato dal fronte.
In una delle sue dirette, tutte documentate sui social, Locatelli si è lasciato sfuggire un’espressione blasfema a causa dello spavento per un’esplosione di mortaio. Nell’intento di scusarsi l’ha poi ripetuta, probabilmente ancora teso per via del colpo improvviso. Una reazione sì scomposta, ma più che giustificata dalla situazione sicuramente non facile in cui si trova il giornalista.
(da Open)
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Marzo 23rd, 2022 Riccardo Fucile
UN TIPICO CASO DA TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATORIO
Quella scatenata dalla Russia contro l’Ucraina è una «guerra santa contro l’anticristo e il
satanismo» secondo Aleksandr Dugin, filosofo russo intervistato a Fuori dal coro, il programma su Rete4 condotto da Mario Giordano.
Secondo Dugin, presentato come l’ideologo di Vladimir Putin per la sua vicinanza al partito del presidente russo, il «satanismo» è rappresentato dal «sistema di valori moderno occidentali» che la Russia combatte invadendo l’Ucraina per contrastare: «l’egemonia culturale dell’occidente».
Una posizione sostanzialmente allineata a quella del patriarca di Mosca Kirill, che in un recente sermone aveva detto che la guerra in Ucraina combatteva: «chi sostiene la lobby gay»
Oltre alle questioni “morali”, Dugin sostiene che l’avanzata militare dell’esercito russo sia ancora così lenta per un preciso ordine del Cremlino: «perché le nostre truppe hanno ricevuto l’ordine di non colpire i civili».
Gli obiettivi non militari colpiti dai raid russi però sono all’ordine del giorno, come mostrano i diversi video e le testimonianze che raccontano di intere zone residenziali bombardate. Secondo Dugin però si tratta di attacchi degli stessi ucraini: «I civili sono colpiti dai nazionalisti ucraini per dare la colpa ai russi», come aveva già dichiarato in un’intervista al Il Giornale dello scorso 14 marzo.
A proposito invece della minaccia nucleare, già agitata oggi alla Cnn dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, il filosofo russo è sicuro che: «L’unica potenza mondiale che può scatenare la guerra nucleare sono gli Stati Uniti se decideranno di intervenire nel conflitto», non escludendo quindi che la Russia possa se non debba far ricorso all’atomica. Di certo Dugin non vede possibile una colloquio tra Putin e Volodymyr Zelensky, perché il presidente ucraino: «Non rappresenta nulla», mentre il capo del Cremlino è disposto a parlare solo: «con personaggi che possono decidere».
(da agenzie)
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Marzo 23rd, 2022 Riccardo Fucile
SPEEDO CHIUDE LA SPONSORIZZAZIONE CON EFFETTO IMMEDIATO… DIA L’ESEMPIO, VADA A COMBATTERE PER PUTIN IN PRIMA LINEA, E’ FINITA LA PACCHIA
Il campione olimpico di nuoto Evgeny Rylov non sarà più sponsorizzato dall’azienda di abbigliamento sportivo Speedo, dopo che ha partecipato all’evento di Vladimir Putin allo stadio di Mosca la scorsa settimana.
Il 25enne russo vincitore di due medaglie d’oro alle Olimpiadi di Tokyo è apparso al comizio con la lettera «Z» sulla maglietta, la stessa usata sui carri armati delle truppe russe che stanno invadendo l’Ucraina.
È bastato quel simbolo della propaganda del Cremlino perché la Speedo decidesse di prendere le distanze, mettendo fine alla sponsorizzazione con effetto immediato. Per Rylov però i guai non sono finiti, perché la Federazione internazionale di nuovo, la Fina, ha annunciato l’apertura di un’indagine sulla vicenda, dicendosi: «profondamente rattristata».
(da agenzie)
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Marzo 23rd, 2022 Riccardo Fucile
A PARTIRE DAL DEPUTATO PRO-PUTIN VITO COMENCINI… IL RICONOSCIMENTO ANTE LITTERAM DI CRIMEA, DONETSK E LUGANSK E I TOUR DEL BRACCIO DESTRO DI ZAIA, ROBERTO CIAMBETTI
AVerona, dove è anche consigliere comunale, sabato Comencini ha partecipato a un
incontro pubblico che aveva l’obiettivo di ribaltare le “false informazioni” dei media che “vorrebbero additare nella Federazione russa e nel presidente Putin gli unici responsabili del conflitto” in Ucraina.
Per Comencini la responsabilità dell’invasione dell’Ucraina è dell’occidente, perché “l’operazione militare (sic!) è scattata dopo che la Russia aveva ripetutamente richiesto alla Nato e agli Usa un accordo formale vincolante sulla propria sicurezza strategica”, richieste che per Comencini erano “più che legittime e ragionevoli, alle quali però non è stata data alcuna risposta positiva”
L’invasione, o meglio “l’operazione militare”, è stata una doverosa conseguenza.
Ma per il deputato del partito di Matteo Salvini ci sono anche altre ragioni per stare dalla parte di Putin: “Quello in atto è uno scontro di civiltà tra i valori in cui la nuova Russia post sovietica si riconosce, i millenari valori tradizionali cristiani, e gli anti valori portati avanti dagli Usa di Biden e dalla maggior parte dei governanti europei ormai totalmente scristianizzati”.
Sembrano riecheggiare la parole del patriarca di Mosca Kirill. Ospite d’onore dell’incontro veronese, in collegamento, il deputato della Duma Vitaly Milonov, noto antisemita e omofobo del partito Russia unita di Putin.
L’evento di sabato è stato organizzato dall’“Associazione Veneto-Russia”, nata sul modello di quella Lombardia-Russia fondata da Mr. Metropol Gianluca Savoini, che negli ultimi anni ha dettato la politica filorussa della Liga e di Luca Zaia.
Il Savoini veneto, animatore dell’associazione, è Palmerino Zoccatelli. Zoccatelli è un leghista, tradizionalista cattolico, indipendentista veneto e da due anni responsabile dell’ufficio territoriale a Verona della Repubblica Popolare di Donetsk, uno dei due autoproclamati stati secessionisti dell’Ucraina (l’altro è Luhasnk). Vladimir Putin, che ha finanziato e armato i separatisti filorussi anti Kyiv, ha formalmente riconosciuto le due repubbliche solo il giorno in cui ha annunciato l’invasione dell’Ucraina.
A Verona la Lega ha fatto molto prima: ha riconosciuto Donetsk e Luhansk con due anni di anticipo rispetto al Cremlino.
Altro esponente di spicco dell’Associazione Veneto-Russia è il consigliere regionale Stefano Valdegamberi, eletto a Verona nella lista Zaia. Da anni questo gruppo, che opera nella zona di pertinenza e con il sostegno del vicesegretario federale della Lega Lorenzo Fontana, tiene contatti con le frange più estremiste del nazionalismo panrusso in Ucraina.
Nel 2014, ad esempio, all’indomani della rivoluzione ucraina di Euromaidan, in una conferenza organizzata da Zoccatelli per denunciare i crimini del governo “nazionalista e antirusso” di Kyiv venne invitato come ospite d’onore Oleg Tsarev, un politico filorusso vicino all’ex presidente ucraino deposto Viktor Yanukovich.
Tsarev all’epoca era nella lista delle personalità sanzionate dall’Unione europea in quanto autoproclamato leader della Novorossiya, la federazione delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk. Un elemento di attualità fa inquadrare la rilevanza del personaggio: secondo il Financial Times, che cita fonti di intelligence, nei piani originari dell’“operazione militare speciale” Tsarev era stato individuato da Putin come il fantoccio da mettere al posto di Zelensky per fare dell’Ucraina una seconda Bielorussia.
A partire dal 2014 sono stati numerosi i viaggi della colonna veneta nei territori ucraini contesi con la Russia, ma le gite che hanno prodotto le conseguenze politiche più rilevanti non sono state in Donbas bensì in Crimea.
Nell’aprile del 2016, il consigliere regionale zaiano Stefano Valdegamberi è ospite dell’International Economic Forum di Yalta, l’evento organizzato dal Cremlino per far incontrare politica e affari nella Crimea illegalmente annessa. Valdegamberi torna da Yalta pienamente convertito alla causa putiniana: pochi giorni dopo presenta in Consiglio regionale una risoluzione, poi approvata a larga maggioranza, che chiede di togliere le “inutili sanzioni” alla Russia, di “condannare la politica internazionale dell’Unione europea” e di “riconoscere la volontà espressa dal Parlamento di Crimea e dal popolo mediante un referendum”.
Così il Veneto diventa la prima istituzione del mondo occidentale e democratico – dopo Afghanistan, Cuba, Corea del Nord, Kirghizistan, Nicaragua, Sudan, Siria e Zimbabwe – a riconoscere l’annessione russa della Crimea. E giustamente diventa una notizia rilanciata da tutti i principali media russi, che addirittura mandano inviati e telecamere in Veneto. La posizione dell’avanguardia putiniana veronese diventa poi la linea ufficiale della Lega.
Nei mesi successivi risoluzioni analoghe vengono approvate in Liguria e in Lombardia (presentata dall’attuale capogruppo al Senato Massimiliano Romeo), e mozioni fotocopia vengono presentate dai consiglieri leghisti, stavolta senza successo, in Emilia-Romagna e Toscana. In maniera anche un po’ ridicola.
Claudio Borghi, all’epoca consigliere toscano, copia pari pari il testo veneto sottoponendo al consiglio della Toscana di votare una risoluzione contro le “sanzioni alla Russia che stanno comportando gravi conseguenze all’economia del Veneto”.
La mossa viene comunque apprezzata dal Cremlino: a ottobre 2016 l’ente statale “Business Russia” organizza e paga un nuovo tour in Crimea a un’ampia delegazione dei consiglieri delle regioni che hanno presentato la risoluzione.àù
Tra di loro c’è il numero 2 del Veneto e braccio destro del Doge Luca Zaia, il presidente del Consiglio regionale Roberto Ciambetti che consegna la bandiera con il Leone di San Marco al presidente del parlamento della Crimea Vladimir Konstantinov (all’epoca nella black list dell’Ue), provocando l’ira degli ucraini.
I putiniani veneti vengono invitati a Yalta ogni anno, in delegazioni sempre più ampie di politici e imprenditori interessati a fare affari in una zona però dove è proibito investire per via delle sanzioni: “Purtroppo dobbiamo ricorrere a dei raggiri”, disse candidamente Valdegamberi. Un altro risultato significativo dei putiniani veronesi, che ha prodotto un caso diplomatico, è la revoca della cittadinanza onoraria all’allora presidente ucraino Petro Poroshenko.
L’onorificenza era stata assegnata nel 2016, dall’allora sindaco di Verona Flavio Tosi, dopo il ritrovamento a Odessa e alla restituzione, seppure dopo 7 mesi, delle opere d’arte trafugate nel clamoroso furto al museo di Castelvecchio. Due anni dopo, con la nuova giunta targata Federico Sboarina, su proposta del putiniano Comencini, il comune di Verona decide di revocare la cittadinanza onoraria a Poroshenko citando la “diffusa violazione dei diritti” dell’etnia russa in Donbas (la ragione dell’invasione invocata ora dal Cremlino).
“Burattini di Putin”, fu la dura replica dell’Ambasciata d’Ucraina a quello che appariva solo un “atto provocatorio”. “Questo filoputinismo all’amatriciana è sempre stato contrario gli interessi nazionali”, dice al Foglio Flavio Tosi, ricordando con amarezza quelle vicende, “e ora la Lega lo sta pagando in termini di credibilità e di consenso. Dietro ci sono tanta superficialità e infantilismo, che su questioni che riguardano gli equilibri internazionali non sono attenuanti ma aggravanti. Non vedo però il coraggio di affrontare il tema in maniera chiara”.
Il governatore Zaia si è schierato chiaramente dalla parte dell’Ucraina, ma le dichiarazioni di ora cozzano con gli atti di allora. Per renderle credibili bisogna passare dalle parole ai fatti. Si potrebbe iniziare in tre modi: tagliare i ponti col putinismo alla veronese; approvare una risoluzione che condanni l’annessione illegale della Crimea; ridare la cittadinanza onoraria veronese al presidente dell’Ucraina, se non all’ex Poroshenko va bene anche a quello attuale, Zelensky, che la Lega ha tanto applaudito in Parlamento.
(da “il Foglio”)
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Marzo 23rd, 2022 Riccardo Fucile
“LA RUSSIA E’ MOLTO PIU’ DEMOCRATICA DELL’UNIONE EUROPEA, SE AVESSIMO PUTIN IN ITALIA STAREMMO MOLTO MEGLIO“
“Io credo che la Russia sia molto più democratica dell’Unione europea così come oggi è impostata, farei a cambio vorrei Putin nella metà dei Paesi Europei”: già queste sole parole, pronunciate da Matteo Salvini non più di qualche anno fa, oggi genererebbero quantomeno un’alzata di sopracciglia a chiunque, ascoltandole.
Ed è più o meno quello che è successo al segretario del Partito democratico Enrico Letta ieri sera, ospite di Giovanni Floris a Dimartedì su La7.
Al leader dem è stata mostrata una clip contenente una serie di dichiarazioni pro Putin fatte dal segretario della Lega, che viste oggi – tutte in fila – fanno particolarmente impressione.
“Ritengo che Putin sia una delle persone più lungimiranti attualmente al potere sulla faccia della terra, invece qualcuno ha deciso che Putin è brutto e cattivo”, “Se devo scegliere tra Putin e la Merkel vi lascio la Merkel e mi tengo Putin tutta la vita”, “Le sanzioni economiche adottate nei confronti di Putin sono idiote, il nemico pubblico non è lui”.
E ancora: “Ho letto che secondo il Pd è un dittatore sanguinario, hanno dei problemi”, “Se avessimo un Putin in Italia staremmo sicuramente meglio”.
Matteo Salvini non ha mai nascosto, se non a partire dal 24 febbraio scorso, le sue simpatie per il presidente della Federazione russa.
Prese di posizione che gli sono costate anche diverse figuracce, come quella rimediata in Polonia dal sindaco di Przemysl, città al confine con l’Ucraina, che lo sbeffeggiò sventolandogli in faccia la maglietta col volto del dittatore guerrafondaio che lui stesso aveva indossato in passato al Parlamento europeo.
(da NetQuotidiano)
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