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MENTRE I RUSSI SOFFRONO LE CONSEGUENZE DELLE SANZIONI, GLI OLIGARCHI SE LA SPASSANO A DUBAI

Marzo 28th, 2022 Riccardo Fucile

LA FESTA ESCLUSIVA ORGANIZZATA NEGLI EMIRATI ARABI DALL’EX GENERO DI PUTIN, KIRILL SHAMALOV, PER I SUOI 40 ANNI… IL MILIARDARIO SI E’ TRASFERITO A DUBAI GIA’ DA UNA SETTIMANA CON LA NUOVA FIDANZATA, FIGLIA DI UN GENERALE DEI SERVIZI SEGRETI, IN ATTESA DELLA FINE DELLA GUERRA

La notizia della festa esclusiva è stata diffusa tramite il canale Telegram VChK-OGPU che ha aggiunto che si trattava di un party «solo per l’élite che e si è svolto in condizioni di maggiore segretezza, visti gli eventi attuali in Ucraina». Un fatto che ha suscitato scalpore in tutta la Russia dove la popolazione è in ginocchio per le sanzioni, l’inflazione fuori controllo e le restrizioni dovute alla guerra.
Kirill Shamalov è un azionista miliardario del gigante petrolchimico russo Sibur ed è uno degli oligarchi russi colpito dalle sanzioni occidentali varate come ritorsione per la Russia a seguito dell’invasione dell’Ucraina.
Il padre di Kirill, Nikolay Shamalov, 72 anni era un dentista durante l’era sovietica ed è uno dei migliori amici del presidente Putin, considerato membro del “cerchio magico”: erano vicini di casa vicino a San Pietroburgo negli anni ’90.
Il giovane miliardario Shamalov aveva sposato la seconda figlia del presidente, Katerina Tikhonova, ballerina di rock’n roll di 35 anni. Dopo la separazione tra i due l’oligarca aveva avuto una relazione con Zhanna Volkova, 44 anni e ora avrebbe una nuova fiamma: Anastasia Zadorina, figlia di un generale dell’FSB.
Secondo quanto riporta il Daily Mirror, la relazione con Anastasia Zadorina sarebbe nata poco dopo il divorzio con Volkova e ora «le fonti dicono che presto ci sarà un matrimonio». Zadorina è figlia del potente colonnello dell’Fsb Mikhail Shekin e si è laureata presso l’Istituto statale di relazioni internazionali di Mosca (MGIMO), un campo di addestramento per futuri alti diplomatici e spie.
Inoltre, è la fondatrice di un marchio di haute couture “AnastasiAZadorina” e del marchio “ZASPORT”, sponsor ufficiale della squadra olimpica russa.
Nelle prime ore della guerra è stata anche autrice di alcune magliette di propaganda patriottica russa in cui si leggeva la scritta: «Topol non ha paura delle sanzioni», riferendosi al missile balistico intercontinentale russo chiamato Topol, e «Sanzioni? Non prendere in giro i miei Iskander».
Se prima dello scoppio della guerra i miliardari russi avevano come principale meta Londra, ora è Dubai il luogo dove lasciarsi andare a una vita nel lusso e a feste
Secondo il canale telegram VChK-OGPU la coppia di super ricchi attende la fine della guerra e di questi tempi difficili «riposandosi sulla spiaggia al mattino e divertendosi al karaoke la sera».
(da agenzie)

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IAN BREMMER: “QUANDO DICE CHE PUTIN NON PUO’ RESTARE AL POTERE, BIDEN RIFLETTE IL PENSIERO DI TUTTI: E’ UN CRIMINALE“

Marzo 28th, 2022 Riccardo Fucile

QUANTE POSSIBILITÀ CI SONO CHE PUTIN SIA ROVESCIATO? NON MOLTE. ESERCITA UN CONTROLLO FERREO SUL GRUPPO DIRIGENTE

Affermando che Putin non può restare al potere, Joe Biden dice una cosa condivisa dai più ma rende anche pressoché impossibile un negoziato col Cremlino. Errore o sortita meditata?
«La frase era fuori dal discorso ufficiale, ma riflette il pensiero profondo del presidente e, francamente, di chiunque abbia a cuore democrazia e libertà», risponde il politologo Ian Bremmer, fondatore e capo di Eurasia. «Come si può tornare a discutere, accogliendolo di nuovo nella comunità internazionale, con un leader che ha attaccato un Paese di 44 milioni di abitanti per nulla minaccioso, e l’ha distrutto massacrando anche la popolazione civile?»
Lei stesso, però, ha notato che ora le possibilità di trattativa sono azzerate o quasi.
«Sì, ma la svolta non è quella di ieri. La partita è cambiata quando Biden ha bollato Putin come un criminale di guerra e il dipartimento di Stato ha subito ribadito questa definizione. La ratifica di un dato di fatto: impossibile negoziare coi massacratori».
Ieri, però, dopo il discorso del presidente, il segretario di Stato, Antony Blinken, si è affrettato a precisare che gli Usa non puntano al regime change in Russia.
«C’è una differenza tra un regime change e lo sforzo di destabilizzare la Russia, che è in atto dall’inizio della guerra con sanzioni economiche che mettono il Paese in ginocchio, misure che colpiscono personalmente i principali esponenti del regime di Mosca e lo sforzo diplomatico di isolare il Cremlino. Di questo sforzo, la constatazione che Putin non può restare al potere è parte integrante, benché estrema. Un regime change presuppone interventi diretti per tentare di rovesciare un intero assetto politico. Non siamo a questo e non è la politica degli Stati Uniti. Soprattutto nei confronti di una potenza nucleare».
Se l’obiettivo è quello di indebolire Putin all’interno del gruppo dirigente del Cremlino favorendo un avvicendamento al vertice, la durezza di Biden non rischia di rafforzare i sentimenti nazionalisti di molti russi, alla base del consenso del quale il presidente ancora gode nel suo Paese?
«È vero, ma Putin godeva già di un ampio consenso popolare da parte dei moltissimi russi che si sentono umiliati da come il loro Paese è stato trattato negli ultimi trent’ anni. Se la domanda è quante possibilità ci sono che Putin sia rovesciato, la risposta è non molte: può accadere, ma, al di là dell’evidente frustrazione e sconcerto per una guerra che sta andando in modo molto diverso dalle previsioni, non vedo segnali di scollamento in un gruppo dirigente su cui il presidente esercita un controllo ferreo».
Si dovrà pur trovare un modo di uscire da questo stallo politico, anche per disinnescare una guerra che rischia sempre di allargarsi oltre i confini dell’Ucraina.
«La realtà con la quale l’Europa deve confrontarsi è che il dividendo della pace della quale ha goduto per tre quarti di secolo si è esaurito. D’ora in poi il confronto tra Russia e Nato sarà molto più duro e instabile. Con tutti i rischi che ciò comporta».
Intanto c’è una guerra da fermare. Se non si negozia con Mosca come se ne esce?
«La guerra finirà perché la Russia l’ha impostata male e gestita peggio. Le sue forze armate sono esauste. Conquistato qualche altro centro strategico al sud, diranno che la prima fase è stata completata con successo. Il che non significa pace, ma congelamento del conflitto».
Per l’Europa, e anche per l’America, un Putin ferito ma non sconfitto può essere ancor più pericoloso. All’Onu temono che Mosca, col suo diritto di veto in Consiglio di sicurezza, comincerà a sabotare tutte le missioni di peacekeeping in giro per il mondo, a cominciare dalla Bosnia dove i separatisti serbi, appoggiati più dal Cremlino che dal governo di Belgrado, sono in fermento.
«Non c’è dubbio che, con un’altra guerra fredda, dovremo prepararci ad affrontare nuove crisi, sarà più difficile spegnere i focolai. Il rischio di una nuova esplosione nei Balcani è molto forte. Ma io temo molto anche la crisi interna che indebolisce gli Stati Uniti. Purtroppo questo Paese è ormai profondamente diviso e i repubblicani sono pronti a fare di tutto per minare Biden e la sua politica estera, quindi il ruolo stesso del Paese nel mondo, se capiscono che questo può far vincere loro le elezioni di midterm e aumentare le loro chance nelle presidenziali del 2024. Questa non è più l’America che dopo gli attentati dell’11 settembre si unì attorno a un presidente che, pure, molti detestavano. È una situazione molto pericolosa. Per tutto l’Occidente, non solo per gli Usa».
L’unica, fioca, luce in un quadro così cupo è che nessuno, comunque, dovrebbe ricorrere agli arsenali nucleari. Ma dopo questa guerra non si moltiplicheranno, dalla Turchia, all’Iran, a Taiwan, le tentazioni di proliferazione nucleare? Sono in tanti a dire che, se dopo la dissoluzione dell’Urss l’Ucraina non avesse dato a Mosca le bombe atomiche che erano sul suo territorio, oggi Putin non l’avrebbe attaccata.
«Taiwan non si doterà dell’atomica: supererebbe una linea rossa che scatenerebbe la reazione di Pechino. Nel resto del mondo le tentazioni aumenteranno sicuramente, soprattutto in Medio Oriente. Molto dipenderà dall’accordo in Iran. È vicino, nonostante i tentativi di sabotaggio dei russi, ma anche il regime di Teheran è diviso».
(da il Corriere della Sera)

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IL MASSACRO DI CIVILI A MARIUPOL POTREBBE SPINGERE LA NATO A RIFORNIRE L’UCRAINA DI SISTEMI ANTIAEREI E ANTICARRO

Marzo 28th, 2022 Riccardo Fucile

IL FATTORE TEMPO È DECISIVO: C’È CHI LO CONSIDERA UN PUNTO A FAVORE DELLA RUSSIA (RISCHIA SOLO SOLDATI, GLI UCRAINI MOLTO DI PIÙ) E CHI INVECE RITIENE CHE IL PANTANO ALLA LUNGA DIA RAGIONE ALLA CAPARBIETÀ DELL’UCRAINA

Il presidente ucraino Zelensky insiste: dateci tank e caccia. Gli Stati Uniti, insieme ai partner, finora hanno resistito. Il premier britannico Johnson lo ha ribadito due giorni fa: farlo è molto complesso. Ma fino a quando lo sarà? L’invio di questo tipo di armi è ritenuto indispensabile dagli ucraini per difendere le proprie posizioni, rimpiazzare le perdite subite – non poche – e tentare di guadagnare posizioni.
I soli missili anti-carro, i Javelin, e quelli portatili anti-aerei, gli Stinger, al massimo permettono un «contenimento», ma non sono in grado di imprimere una svolta. Il pericolo – già evidente – è di una crisi che si trascina mentre la grande resistenza comporta un sacrificio enorme. Ora ad aiutare la richiesta di Kiev potrebbe esserci un fattore evidente, tragico, innegabile. Il massacro di Mariupol, le distruzioni in altre città, i continui bombardamenti – sabato 70, un record – estesi anche a Leopoli sono intollerabili perché coinvolgono sempre di più i civili.
Proprio questa strategia deliberata di Putin può indurre Biden e gli altri leader occidentali a considerare forniture finora negate. La mossa avrebbe tuttavia un peso politico rilevante e dovrebbe mettere in conto la reazione del Cremlino, che ha lanciato minacce di intervento contro questa ipotesi.
Nel fine settimana, però, il ministro della Difesa ucraino Dmytro Kuleba avrebbe dichiarato – secondo l’Afp – che gli Stati Uniti non si oppongono più alla consegna di caccia Mig all’Ucraina da parte della Polonia: «Ora la palla è nel campo di Varsavia».
Passaggio che, se confermato, rappresenterebbe un’evoluzione significativa. In questo conflitto, abbiamo visto come sia stato proprio il campo a determinare alcune decisioni, soprattutto sul fronte delle forniture belliche. Per mobilitarsi in modo massiccio l’Occidente ha aspettato l’assalto dell’Armata, inviando poi decine di migliaia di pezzi anti-carro e anti-aerei: la tenuta degli ucraini li ha convinti che non era un’assistenza tardiva.
L’intelligence Usa, pur capace di prevedere l’assalto, era convinta che i soldati di Zelensky sarebbero stati travolti e lo aveva comunicato alla leadership politica di Washington. Invece l’operazione speciale si è tramutata in una lotta d’attrito.
Ecco quindi che la resistenza potrebbe convincere la Casa Bianca a rivedere l’agenda dando luce verde per materiale importante che permetta agli aggrediti di rendere la vita ancora più ardua all’aggressore.
Il fattore tempo è, per molti, decisivo: c’è chi lo considera un punto a favore della Russia (rischia solo soldati, gli ucraini molto di più) e chi invece ritiene che il pantano alla lunga dia ragione alla caparbietà dell’Ucraina. Molto dipenderà da vittorie e sconfitte sul terreno.
Non c’è dubbio che Kiev abbia bisogno di tanto: cannoni a lunga gittata, radar che permettano di scoprire artiglierie, carri armati, missili terra-terra, velivoli da combattimento, droni d’attacco (in numero maggiore rispetto ai Bayraktar Tb2 turchi), apparati per contrastare caccia a quote alte e medie.
ualcosa è stato promesso, come i sistemi anti-aerei Sa-8 e i S-300 di progettazione sovietica, per utilizzare i quali gli ucraini non hanno bisogno di un lungo addestramento, altro sarebbe arrivato in modo non dichiarato – dicono alcune fonti – ma il «grosso» è ancora da decidere: ci possono essere però problemi di training e di preferenze, essendo mezzi che richiedono conoscenza, preparazione e, ovviamente, disponibilità.
Il punto di fondo resta sempre quello dell’eventuale rappresaglia dello Zar: l’ampliamento dello scudo ucraino da parte dell’Occidente potrebbe essere interpretato da Putin come un atto ostile diretto.
(da Il Corriere della Sera)

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ÉRIC ZEMMOUR HA ARRINGATO LA FOLLA SOTTO LA TOUR EIFFEL CHE URLAVA “MACRON ASSASSINO”, MA NEI SONDAGGI, A DUE SETTIMANE DAL PRIMO TURNO DEL 10 APRILE, È FERMO ALL’11%, DIETRO TUTTI

Marzo 28th, 2022 Riccardo Fucile

UN CALO DOVUTO ANCHE DELLE SUE BATTUTE SUI DISABILI (“BASTA CON L’OSSESSIONE DELL’INCLUSIONE”) E DELL’AMMIRAZIONE PER PUTIN

Éric Zemmour prende toni a metà tra Giovanna d’Arco e il Messia quando si rivolge ai giovani: «Lo racconterete ai vostri figli: un giorno, nel 2022, un uomo ha preso il cammino. Ho ascoltato il mio cuore e l’ho seguito»
Quell’uomo pronto a tutto «perché la Francia resti la Francia», come dicono gli striscioni, è lui, Éric Zemmour, l’ex opinionista del Figaro pluricondannato per incitazione all’odio che ieri ha riempito il Trocadéro di Parigi per cercare di ridare slancio alla sua corsa all’Eliseo.
Il luogo scelto per il comizio decisivo dice molto: sullo sfondo c’è la Tour Eiffel simbolo della Francia nel mondo e poco più lontano ecco il duomo des Invalides, dove è sepolto Napoleone, il grande idolo di Zemmour (l’altro era e forse è ancora Putin).
Il Trocadéro, nel molto borghese XVI arrondissement di Parigi, è una piazza simbolo della destra gollista e Zemmour rivendica subito di averla espugnata: «Sono l’unico vero candidato di destra a queste elezioni», perché Marine Le Pen sarebbe ormai «una socialista» con la sua ossessione per il potere d’acquisto e la difesa delle classi più deboli, e la gollista Valérie Pécresse «una centrista».
Lui, che rifiuta un’etichetta di estrema destra pur ampiamente meritata, è fiero di avere fatto arrivare autobus da tutta la Francia per portare «centomila patrioti» (in realtà sono meno della metà) al Trocadéro.
Una simile adunata era riuscita nel 2012 al presidente uscente Nicolas Sarkozy e nel 2017 all’ex favorito François Fillon: entrambi poi sconfitti (rispettivamente da Hollande e Macron), nonostante l’analogo mare di bandiere tricolori.
Zemmour è in calo nei sondaggi, non hanno aiutato le uscite delle ultime settimane sui disabili («basta con l’ossessione dell’inclusione»), l’ammirazione per Putin («ci vorrebbe uno come lui anche in Francia», diceva poco tempo fa) e l’auspicio che i profughi ucraini rimangano in Polonia «dove stanno sicuramente meglio».
A due settimane dal primo turno del 10 aprile, Zemmour è fermo all’11 per cento delle intenzioni di voto, al quinto posto dietro il grande favorito Macron (28%), Marine Le Pen (20,5%), il candidato della sinistra radicale Jean-Luc Mélenchon (14%) e Valérie Pécresse (11,5%), ma «impossibile non è francese», si legge nell’enorme striscione sotto il palco e «niente e nessuno potrà rubarci questa elezione», ripete Zemmour di fronte ai sostenitori – molti giovani – che gli tributano una devozione assoluta.
L’idea che l’elezione sia già vinta e che qualcuno – i media, il sistema, i politici di professione – stia cercando di sottrarla al popolo è molto trumpiana, come anche lo slogan nazionalista On est chez nous!, questa è casa nostra!, che la folla scandisce quando Zemmour si rivolge agli stranieri e ai musulmani per ribadire che sono loro a doversi adattare alla cultura francese e non il contrario.
Zemmour non ha a disposizione la macchina del partito repubblicano Usa, ma spera di ripetere comunque l’impresa riuscita a Trump nel 2016, ovvero sovvertire ogni pronostico, approfittare del «voto nascosto» non intercettato dai sondaggisti e conquistare la presidenza della Repubblica.
Zemmour ieri non ha cambiato nulla della sua proposta politica – il rimpianto per la Francia che fu da Brigitte Bardot a Louis de Funès, l’ossessione per l’identità francese minacciata dagli stranieri – ma ha rinunciato alla tetra «Z» dei primi manifesti elettorali, che ora ricorderebbe l’ancor più sinistra «Z» dell’invasione russa.
Quando Zemmour evoca le vittime dei criminali e incolpa il lassismo del governo, i suoi sostenitori gridano in coro Macron assassin! Macron assassin!, e lui non li ferma (dirà poi che non aveva compreso lo slogan e condannerà l’accaduto)
Al confronto di Zemmour, Marine Le Pen sembra ormai una specie di pacata e rassicurante Merkel francese, e infatti sale nei sondaggi. Macron ha la vittoria in tasca, ma un eccesso di sicurezza, l’attenzione rivolta soprattutto alla crisi internazionale e poco alla politica interna e una forte astensione potrebbero ridare un po’ di incertezza al secondo turno del 24 aprile.
(da il “Corriere della Sera)

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IL SINDACO DI BUCHA: “STUPRI, FOSSE COMUNI E CADAVERI IN STRADA“

Marzo 28th, 2022 Riccardo Fucile

“RUSSI COME I NAZISTI, MA LI CACCEREMO“

Bucha è occupata ma c’è chi spera che possa arrivare presto una liberazione.
Il sindaco, Anatolii Fedoruk, in una intervista all’Adnkronos parla di orrori da seconda guerra mondiali: stupri, fosse comuni, cadaveri senza sepoltura in pasto ai cani. Una città distrutta.
“Purtroppo Bucha, come anche le confinanti Hostomel e una parte di Irpin sono occupate, ma nella zona continuano a lavorare le forze armate ucraine, la difesa territoriale e i volontari. Ci sono forti combattimenti e quindi noi crediamo nella liberazione” spiega il primo cittadino della località a 30 chilometri a nord ovest di Kiev che da oltre un mese è uno dei fronti più caldi del conflitto.
“La comunità di Bucha – ricorda – è stata tra le prime attaccate perché sul nostro territorio si trova la pista di decollo dell’aeroporto di Hostomel. Questo è il varco di Kiev da cui Putin voleva far scendere le truppe aviotrasportate, per prendersi la capitale, ma siamo riusciti a rovinare il suo piano. A costo delle vite e delle distruzioni, il nemico è stato fermato ai confini di Bucha e Irpin, e non è stata permessa la guerra lampo“.
Per questo il 25 marzo la città – insieme a Irpin, Mykolaiv e Okhtyrka – ha ricevuto dal presidente Zelensky il titolo di “Hero city of Ukraine“. “Un’onorificenza che ci è stata data per il coraggio, per la resistenza e per le sofferenze che il nemico ha portato sul nostro territorio: ormai sono 33 giorni che il nostro popolo difende la propria terra dagli occupanti russi”, rivendica Fedoruk, che insieme ad appena un decimo dei 50mila residenti di Bucha, si trova ancora in città.
E alla domanda su come stia, risponde secco: “In guerra, come tutto il Paese”.
Una guerra che in zona ha colto tutti di sorpresa: “In pochi credevano a un’invasione su vasta scala. Quando l’aeroporto di Hostomel il 24 febbraio è stato attaccato è stato un vero shock per gli abitanti di Bucha. La pista di decollo si trova sul nostro territorio. Vedevamo gli elicotteri sorvolare il parco”.
La risposta della Difesa di Kiev non si è fatta attendere: “Già il 28 febbraio l’esercito ucraino ha iniziato i combattimenti nelle strade di Bucha, distruggendo le colonne dei carri armati degli occupanti”, racconta il sindaco. A quel punto “i russi si sono fermati per qualche giorno mentre aspettavano i rinforzi da Nord: in pratica il nemico, non riuscendo a entrare a Kiev da nord-ovest, è rimasto incastrato nella nostra zona”.
E se negli ultimi giorni giungono notizie di un arretramento delle posizioni dell’esercito russo, il sindaco invita però alla cautela – “la verità è che ci sono continui combattimenti. Ora siamo in una fase intermedia, meglio attendere le informazioni ufficiali sui risultati” – e fa appello all’Occidente: “Chiudete lo spazio aereo. Gli ucraini resistono eroicamente nei combattimenti, ma i lanci dei razzi sull’Ucraina li deve fermare la comunità mondiale”.
“Tutti gli orrori di cui noi abbiamo sentito parlare come di crimini compiuti dai nazisti durante la seconda guerra mondiale ora li vediamo qui a Bucha, dove è in atto un piano del terrore contro la popolazione civile – afferma Fedoruk – È difficile credere che una cosa del genere possa accadere nel XXI secolo”, dice Fedoruk, riferendo di brutali uccisioni di civili, stupri e saccheggi delle case da parte dei soldati russi.
“I russi, col pretesto di cercare i nazisti, irrompono nelle case e le saccheggiano e poi uccidono i civili senza motivo. Il 17 marzo Ruslan Nechyporenko, padre di tre figli, è stato ucciso con un colpo a bruciapelo davanti a suo figlio di 14 anni, con cui stava andando a prendere aiuti umanitari”, racconta il sindaco.
Gli occupanti – prosegue – “stuprano ragazze, feriscono e uccidono i bambini, non hanno pietà neanche per gli anziani. Ai medici non permettono di portare fuori i feriti e prestare soccorso a chi ne ha bisogno”.
A questo si aggiunge la necessità assoluta di beni di prima necessità “Alcune persone hanno perso tutto. Abbiamo un quartiere particolarmente problematico nei pressi della vetreria, dove ci sono decine di famiglie, con molti anziani, che attendono aiuto. Servono medicine, cibo, vestiti, ma consegnare gli aiuti umanitari è molto difficile”.
(da agenzie)

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LO “SCENARIO COREANO“ PER LA FINE DELLA GUERRA: L’OBIETTIVO DI PUTIN

Marzo 28th, 2022 Riccardo Fucile

REFERENDUM TAROCCATO E DIVISIONE DEL PAESE IN DUE

L’Ucraina come le due Coree? L’accusa viene da Kiev, e più precisamente dal capo dell’intelligence militare ucraina Kyrylo Budanov, che ieri in un colloquio con il Guardian ha parlato dell’intenzione da parte della Russia «di dividere l’Ucraina in due per creare una regione controllata da Mosca dopo aver fallito nel prendere il controllo dell’intero Paese».
Uno “scenario coreano” che prevedrebbe la normalizzazione del conflitto secondo il modello utilizzato per la penisola coreana dopo la seconda guerra mondiale. Ovvero quando, come ricorda oggi il Corriere della Sera, i vincitori si accordarono per porre fine a 35 anni di dominio dell’impero giapponese sulla Corea.
Un’annessione in preparazione?
L’area all’epoca fu occupata da Stati Uniti e Unione Sovietica, e divisa tra le due superpotenze in «zone di influenza», Sud e Nord. Il programma era quello di creare un Paese indipendente e indiviso, ma ognuna delle due zone reclamava la sovranità sull’intera penisola. Ne scaturì una guerra, nel 1950, che separò la Corea del Nord da quella del Sud. Il 27 luglio 1953 venne firmato l’armistizio, che creava anche una zona demilitarizzata.
La «linea di demarcazione» fu tracciata seguendo il 38esimo parallelo. Secondo l’intelligence ucraina va in questa direzione l’annuncio di un referendum per unirsi alla Russia fatto dall’autoproclamata Repubblica Popolare di Lugansk. Un’iniziativa partita dal leader separatista Leonid Pasechnik – che poi ha parzialmente corretto il tiro assicurando che per ora non sono in corso preparativi concreti -, ha subito incontrato non solo lo scontato, netto rifiuto delle autorità di Kiev, ma anche qualche dubbio nell’apparato di potere russo.
Ad opporsi pubblicamente è stato Leonid Kalashnikov, presidente della commissione della Duma per gli affari delle ex repubbliche sovietiche, che ha parlato di una consultazione «sconsigliabile» perché «le due repubbliche erano parte dell’Ucraina fino a tempi recenti». «Qualsiasi falso referendum nei territori temporaneamente occupati è giuridicamente insignificante e non avrà conseguenze legali», ha detto ieri il portavoce del ministero degli Esteri ucraino Oleg Nikolenko, dicendosi sicuro che nessun Paese al mondo riconoscerebbe la validità di una tale consultazione.
Ma questo non impedirebbe a Mosca di fare quello che fece nel 2014 con la Crimea. L’ipotesi di indire un referendum è stata ventilata anche per l’indipendenza della regione di Kherson, nel sud del Paese, occupata dalle truppe di Mosca nelle prime battute del conflitto. Gli abitanti di questa città portuale sono scesi in piazza per protestare contro l’occupazione e contro questo progetto.
(da agenzie)

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L’ANALISTA: “VI SPIEGO PERCHE’ PUTIN STA FACENDO FUORI GLI UOMINI DEI SUOI SERVIZI SEGRETI

Marzo 28th, 2022 Riccardo Fucile

GLI APPARATI NON SONO D’ACCORDO CON PUTIN E SI SENTONO VITTIME DEI SUOI ERRORI

L’analista Andrey Soldatov è uno dei massimi esperti dei servizi d’intelligence russi. Ricercatore del Center for European Policy Analysis, insieme a Irina Borogan ha fondato il sito web Agentura.ru, bloccato una settimana fa dall’authority censoria di Mosca.
In un’intervista rilasciata a Repubblica spiega oggi che «Putin ha cambiato le regole del gioco. E lo ha fatto drasticamente. Non aveva mai attaccato pubblicamente i suoi uomini, gli uomini dei servizi».
Invece adesso «ha umiliato pubblicamente il direttore dell’intelligence estera, Svr, Serghej Naryshkin. Due settimane e mezzo dopo, abbiamo saputo di purghe all’interno del dipartimento estero dell’Fsb, un dipartimento cruciale perché è responsabile delle operazioni nell’ex Urss e in Ucraina. Due alti dirigenti sono stati interrogati e messi agli arresti. Dovevano insediare politici filo-Cremlino e hanno fallito. Non c’era sostegno popolare né politico per un’invasione in Ucraina ed era loro compito garantire entrambi».
Li ha accusati di cattiva amministrazione dei fondi: «Perché se spendi soldi per coltivare sostenitori in Ucraina e questi sostenitori non si palesano, vuol dire che hai speso male. Ma la faccenda si sta complicando. Il controspionaggio militare sta indagando su questo dipartimento alla ricerca di traditori. È comprensibile. I servizi occidentali avevano informazioni accurate».
Soldatov spiega nel colloquio con Rosalba Castelletti che «Putin è contrariato, persino arrabbiato, con i protagonisti dell’operazione in Ucraina, e la Guardia nazionale è tra questi. Non è contento dell’operazione, ma crede ancora nella bontà del suo piano originale. E pur di non ammettere colpe, cerca capri espiatori: intelligence errata, sottrazione di fondi, traditori…».
Del piano di invasione dell’Ucraina, secondo all’esperto, erano a conoscenza «quattro o cinque persone al massimo. Il ministro della Difesa Serghej Shojgu, il capo del Consiglio di Sicurezza Patrushev. Jurij Kovalchuk (principale azionista di Rossija Bank, ndr), si dice. E uno o due amici di San Pietroburgo».
Nell’apparato, invece, molti credevano che l’iniziativa «si sarebbe limitata a Lugansk e Donetsk. O che sarebbe stata condotta diversamente. Nell’Fsb c’è un’ossessione per i raid Nato in Jugoslavia del ‘99. Il successo dell’operazione li ha convinti che basti bombardare un Paese per sovvertirne gli equilibri. Pensavano di replicare quel modello. Invece Putin ha fatto diversamente: lanciato raid aerei e mandato truppe di terra. E ha fatto cilecca».
Ma quello che sta succedendo è un sintomo della presenza di crepe nel muro del potere dello Zar: «Quest’operazione è totalmente diversa dal passato. Gli apparati del potere erano tutti d’accordo con l’invasione della Georgia nel 2008 e l’annessione della Crimea nel 2014. Stavolta no. E pensano ci sia solo Putin da incolpare. Non si tratta ancora di crepe o di una resistenza aperta, ma di presa di distanza. Si sentono tutti vittime degli errori di Putin. E stanno opponendo una resistenza passiva. Resta da vedere a che cosa porterà».
(da agenzie)

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I DUE STUDENTI IN FUGA DA KIEV CHE SI VEDONO RIFIUTARE L’ALLOGGIO PERCHE’ NIGERIANI

Marzo 28th, 2022 Riccardo Fucile

LA DENUNCIA DI SUOR ANNA

Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, tantissime persone si sono dette pronte ad accogliere tutti coloro i quali sono stati costretti a lasciare il Paese per fuggire dalle bombe, dai missili e da quel conflitto in cui i civili sono la parte lesa più sensibile e indifesa. L’Italia, in termini di accoglienza, sta facendo la sua parte mostrando quel lato migliore di sé.
Ma la grande bellezza nostrana si infrange sugli scogli del buonsenso, come accaduto a Palermo dove Michael e Meshack, due studenti di origini nigeriane che vivevano a Kyiv non hanno ricevuto un alloggio da quella proprietaria che aveva detto di aver aperto le sue porte a chi sta fuggendo dalla guerra.
La dinamica sembra essere sempre la stessa, quella già narrata da diversi attori politici nel corso degli anni e da chi non ha perso l’occasione per ripropinarla ai suoi elettori anche in questa occasione: bianco sì, nero no. A denunciare l’accaduto è stata Suor Anna Alonzo, che per prima ha accolto Michael e Meshack nella “Casa della Regina di Pace” a Casteldaccia. “Mi ha detto che non voleva ospitava due africani. Due profughi bianchi andavano bene, neri no”.
La donna in questione, dunque, aveva prima aperto le porte della sua seconda casa ai profughi dall’Ucraina. Poi, dopo aver visto che si trattava di ragazzi (studenti) originari dell’Africa ha chiuso quel portone sbattendolo in faccia ai due giovani. Ragazzi che studiavano a Kyiv e cercavano di costruirsi un futuro in Ucraina dopo aver lasciato la Nigeria dove da anni si vive nel terrore del terrorismo e di quei conflitti interni che provocano morte e distruzione
Ma la loro vita è vittima dei conflitti. Perché l’invasione russa dell’Ucraina li ha costretti a un nuovo viaggio. A una nuova meta. E ora Suor Anna Alonzo vuole cercare di riscrivere il loro futuro. In Italia. Vorrebbe trovare a Michael e Meshack un alloggio dove vivere dopo il loro ennesimo lungo viaggio. Poi lo studio. Perché il primo studia Economia e non ci saranno problemi nel prosieguo del suo percorso formativo universitario. Il secondo, invece, studia Medicina e ha già sostenuto 12 esami. Ma in Italia c’è il numero chiuso e quel sogno di diventare medico potrebbe infrangersi con la guerra. Oltre la guerra.
(da NetQuotidiano)

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L’ASSESSORE LEGHISTA CHE PUBBLICA SUI SOCIAL LA “Z” IN SOLIDARIETA’ DEI CRIMINALI DI MOSCA

Marzo 28th, 2022 Riccardo Fucile

ERA GIA’ NOTO PER AVER PARAGONATO LE MISURE ANTI-COVID ALLE LEGGI RAZZIALI CONTRO GLI EBREI

Bufera su Stefano Gizzi, assessore alla Cultura del comune di Ceccano, in provincia di Frosinone, che ha pubblicato sul proprio profilo Facebook la “Z”, simbolo dell’invasione della Russia contro l’Ucraina.
L’assessore ceccanese, oltre a postare l’immagine della “Z” ha voluto esprimere la propria «solidarietà alla Russia, con il Nastro di San Giorgio Vittorioso sul Drago».
Insomma, una vera e propria esaltazione del Cremlino e delle mosse di Vladimir Putin, utilizzando quella dialettica simbolica di questo conflitto che sta mietendo migliaia di vittime tra gli innocenti civili ucraini.
Gizzi, già noto in passato per aver paragonato le restrizioni per i non vaccinati contro il Covid alle leggi razziali contro gli ebrei, è stato subito ripreso dal consigliere regionale del Pd Mauro Buschini: «Questa ennesima dichiarazione di Stefano Gizzi è semplicemente vergognosa. Non è la prima volta che le sue “performance” scadono nell’offesa degli altri, ma questa volta l’assessore del comune di Ceccano deve chiedere scusa. Al popolo Ucraino, alle donne violentate ed uccise, ai bambini terrorizzati, uccisi o abbandonati, a tutti coloro che hanno perso la vita o costretti a fuggire in altri Paesi. Il sindaco del Comune di Ceccano prenda immediatamente le distanze, i ceccanesi non sono questo».
In molti hanno chieste le dimissioni del politico in quota Lega, ma lui sembra non averne alcuna intenzione
Si dimetterà? A quanto pare no. O, almeno, non per sua volontà.
Ora si attendono le reazioni della Lega (partito a cui ha aderito l’assessore) e di tutto il centrodestra.
(da agenzie)

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