Aprile 22nd, 2022 Riccardo Fucile
CINQUE NUOVI ARRESTI, GLI ALTRI SONO ESPONENTI DI FORZA NUOVA
Cinque nuove misure eseguite dalla polizia per l’assalto alla Cgil
avvenuto a margine della manifestazione di Piazza del Popolo del 9 ottobre scorso.
In particolare la Digos sta eseguendo un’ordinanza del gip di Roma, su richiesta della procura, che ha disposto misure cautelari personali nei confronti di cinque persone gravemente indiziate di aver preso parte a vario titolo alle violenze.
Tra loro c’è anche Nicola Franzoni, noto per l’appartenenza a movimenti orbitanti nella galassia dei No vax e nell’area dell’estrema destra.
Un obbligo di dimora e un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria dal lunedì al sabato dalle 16 alle 17 per Claudio Toglia, vicino al movimento di estrema destra Forza Nuova e appartenente al gruppo ultras juventino ‘Antichi valori’ e un obbligo di dimora per Alessandro Brugnoli, militante di Forza Nuova.
Riferimenti politici che dovrebbero far fischiare le orecchie a leader nazionali che si interrogavano sulla “matrice” dell’attacco. Gli altri due obblighi di dimora riguardano Mirko Passerini ed Emiliano Esperto.
Tutti gli obblighi di dimora prevedono il divieto di allontanamento dall’abitazione dalle ore 17 alle 22. Le misure si aggiungono alle 25 già precedentemente eseguite nell’ambito della stessa indagine.
Le indagini condotte dalla Digos, con il supporto della Polizia Scientifica, coordinate dalla procura di Roma, hanno permesso, attraverso la visione dei filmati raccolti in diversi ambiti, di cristallizzare inconfutabili indizi di colpevolezza per i reati di devastazione e saccheggio aggravato; violenza e resistenza a pubblico ufficiale aggravata, e nei confronti di Franzoni, destinatario della misura cautelare in carcere, anche di istigazione a disobbedire alle leggi e violazione della misura di prevenzione del divieto di ritorno nel Comune di Roma. L’uomo era già stato accusato di vilipendio e apologia di fascismo nel giugno del 2020.
A gennaio 2021 fu fermato con felpe e striscioni contro Mario Draghi. Pochi giorni dopo, commentando la notizia della morte di David Sassoli, aveva detto in un video pubblicato poi su Telegram: “Dio vede e provvede, una testa di c…. in meno”.
Dall’app attaccava anche ebrei e case farmaceutiche. Durante il governo Conte aveva ottenuto un foglio di via dalla Capitale per due anni a causa di una manifestazione non autorizzata.
(da agenzie)
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Aprile 22nd, 2022 Riccardo Fucile
PARENZO E FORMIGLI: “NON POSSIAMO CHIAMARLA COLLEGA, LEI E’ SOLO UNA PROPAGANDISTA DI PUTIN”… “PER FORTUNA SONO QUI, ALTRIMENTI MI AVREBBE MESSO IL PLUTONIO NELLE MUTANDE”
Tra gli ospiti dell’ultima puntata di PiazzaPulita andata in onda ieri sera, 21 aprile, su La7, Corrado Formigli ha invitato Olga Kurlaeva, giornalista per l’emittente statale Russia 24. La cronista ha rilanciato per filo e per segno la propaganda del Cremlino, discutendo in particolare con il conduttore e con David Parenzo. “Vi ringrazio per avermi invitata – ha detto in collegamento da remoto – così posso trasmettere quella verità che noi tocchiamo con le mani. La Russia è un Paese in cui lavora una enorme quantità di media, abbiamo un’enorme democrazia, di cosa state parlando? La Russia non ha paura della democrazia, Putin lo ha detto molto chiaramente: ‘Allontanate la Nato dalle nostre frontiere, non minacciateci, non mettete le basi’, nessuno gli ha dato retta, per otto anni. Da otto anni in Ucraina c’è una guerra, la cosiddetta operazione militare di distruzione della popolazione del Donbass. Ma non ci avete mai prestato attenzione. Però il buonsenso sta iniziando ad emergere”.
A quel punto Formigli la interrompe: “Lei usa l’espressione ‘operazione militare speciale’ perché in Russia non si può dire ‘guerra’. Ma un Paese che può condannare fino a 15 anni un giornalista per questa cosa le sembra democratico?”.
“Lo sapevo che avrebbe fatto questa domanda – risponde Kurlaeva – è una provocazione. Non c’è una dichiarazione di guerra. E allora di cosa parla”.
“Ma noi qui siamo molto democratici, e facciamo le domande”, ribatte Formigli. “Ci sono persone che sono state condannate a 15 anni?”, ribalta la domanda la cronista ucraina. Formigli: “C’è una legge”. Kurlaeva: “Non c’è questa legge, non esiste”.
A quel punto prende la parola David Parenzo, agitando il libro “La Russia di Putin” di Anna Politkovskaja, giornalista russa uccisa per aver documentato gli orrori delle milizie del Cremlino in Cecenia: “Infatti qualcuno l’avete ucciso, in passato. Cara, mi dispiace chiamarla collega, perché lei è semplicemente la portavoce del Cremlino. Quello che Formigli sta facendo tra qualche anno sarà fondamentale, lei diventerà un reperto storico e diventerà una fonte di informazione per capire cosa fa la propaganda del regime. È come parlare col Cremlino, lei non è una giornalista. Lei è della tv di stato, è una giornalista di Putin”.
“Siamo al 57esimo giorno di guerra – domanda Parenzo – e non mi risulta che gli ucraini abbiano accolto i carri armati di Putin con gli applausi. Se siamo a questo punto e ancora i russi fanno questa fatica nonostante le bombe, i palazzi sventrati, a conquistare pezzi di territorio. Evidentemente l’obiettivo di Putin di essere accolto come un liberatore non è accaduto”.
“Leggete un po’ meno media ucraini, passate a quelli russi, e vedrete quei cittadini che accolgono i russi con i fiori. Provate a sentire informazioni da tutte e due le parti”, replica la cronista.
“Per fortuna sono qui altrimenti mi mette il polonio sulle mutande. Per fortuna non bevo l’acqua negli studi televisivi russi, qui non c’è il polonio”, provoca Parenzo.
Parlando poi con Formigli, Kurlaeva ha negato gli attacchi di Mosca a Mariupol, città ormai ridotta in polvere: “Parlate con i civili, vi diranno che a bombardare è stato il battaglione Azov, che usa la popolazione come scudo”. “Una cosa è il dibattito – replica il conduttore – un’altra è la negazione della realtà”.
(da agenzie)
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Aprile 22nd, 2022 Riccardo Fucile
LA SCENEGGIATA DI DUE CADAVERI CHE CAMMINANO
Il ginocchio che continua ad agitarsi, la mano destra che si aggrappa
al bordo del tavolo, lo sguardo che vaga altrove, sfiorando soltanto di tanto in tanto il volto del ministro della Difesa che gli sta seduto di fronte, stringendo nervosamente in mano il foglietto con il testo che sta leggendo.
Ci vorrebbe un esperto di body language, per capire cosa c’è dietro la scena di Vladimir Putin che ordina a Sergey Shoigu di lasciar perdere l’attacco all’acciaieria di Mariupol, la roccaforte della resistenza ucraina.
Ma anche a uno sguardo non professionale la scena dell’incontro trasmessa dalle tv russe appare contraddittoria, quasi improvvisata: Shoigu, che per recitare un testo semplicissimo inforca gli occhiali e lo legge da un foglietto, Putin che siede rigido fissando il ripiano del tavolo (molto più corto rispetto ai suoi standard), entrambi troppo imbarazzati e poco convinti per trasmettere quello che dovrebbe essere il messaggio del video, di mostrare una leadership russa assertiva e nel pieno controllo della situazione.
Il presidente russo vorrebbe apparire come il comandante in capo aggiornato su tutti i dettagli anche topografici della battaglia di Mariupol, ma il metallo nella sua voce – quello che l’ha reso famoso fin da quanto, ancora aspirante presidente, prometteva di «ammazzare i ceceni anche nel cesso» – risuona soltanto quando ordina di «impedire che voli anche solo una mosca». Un ultimatum che lascia ai militari e civili ucraini una sola alternativa, arrendersi o morire di fame.
Ma il tono del comandante supremo torna subito incerto, anche quando si congratula con Shoigu per aver «liberato» una città dove si sta ancora combattendo ferocemente.
Il Cremlino può stare perdendo sul terreno, ma la sua arma strategica, almeno all’interno della Russia, è la propaganda, e la decisione di mostrare il presidente russo, e di fargli dire che rinuncia all’assalto all’acciaieria Azovstal, non può essere casuale. Resta da capire il vero obiettivo.
Per qualcuno, il bersaglio non è Mariupol, lo scopo vero è mostrare in carne e ossa il ministro Shoigu, che ultimamente tende a sparire dagli schermi, e si parla di una sua caduta in disgrazia.
Oleksiy Arestovich, il consigliere della presidenza ucraina, mette addirittura in dubbio l’autenticità del filmato, e sospetta che l’immagine del ministro fosse stata sovrapposta alle riprese con Putin che parla a una sedia vuota. Aleksandr Nevzorov, storico giornalista pietroburghese oggi in esilio, solitamente informatissimo, preferisce l’ipotesi della volpe con l’uva: sostiene di aver sentito Kalina, uno dei comandanti del battaglione Azov asserragliato nell’acciaieria, che gli ha spiegato che i russi hanno rinunciato all’assalto finale dopo essere stati respinti con perdite.
L’apparente retromarcia del Cremlino – il leader ceceno Ramzan Kadyrov aveva promesso la caduta di Azovstal «per l’ora di pranzo di giovedì», salvo poi allinearsi con il comandante supremo nel sostenere che «tutti gli obiettivi militari erano già stati raggiunti» – potrebbe dunque essere un diversivo mediatico per nascondere un fallimento.
Per Leonid Volkov, il capo del movimento di Alexey Navalny, il problema è più di immagine che di sconfitta militare: «Quando Putin viene fatto parlare pubblicamente in un certo modo, significa che il suo staff ha misurato l’opinione pubblica e ha stabilito cosa deve dire per guadagnare punti», ha scritto sul suo canale Telegram.
La promessa di rinunciare ad assaltare Azovstal è dunque una bugia – come già confermato dalle autorità di Mariupol, dove continuano i bombardamenti – ma «il Putin pacificatore si vende meglio del Putin falco», in una società russa molto meno entusiasta della guerra di quello che la propaganda vorrebbe far credere.
Un cambiamento brusco del personaggio Putin, che forse spiega perché appare così incerto e infastidito in una circostanza mediatica costruita appositamente per mostrarlo come un leader attento e ragionevole, che vuole «proteggere le vite dei soldati e ufficiali». Un messaggio rivolto forse più all’esercito che ai telespettatori: secondo Arestovich, i generali russi ormai si stanno dando al sabotaggio aperto dell’offensiva nel Donbass, dove «sono stati bruciati senza senso truppe d’élite pur di fare rapporto a Putin».
(da la Stampa)
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Aprile 22nd, 2022 Riccardo Fucile
LA CIA IN OGNI CASO AVEVA GIA’ INDIVIDUATO UN EVENTUALE SUCCESSORE: IL PRESIDENTE DEL PARLAMENTO, RUSLAN STEFANCHUK, E POI IL PREMIER, DENYS SMIHAL
C’è un capo di Stato o di governo al mondo con un’agenda internazionale fitta come quella del presidente ucraino Volodymyr Zelensky? Probabilmente no.
Ogni giorno c’è almeno una telefonata istituzionale con i suoi omologhi stranieri, spesso anche la visita ufficiale di qualche leader europeo a Kiev e sempre più di frequente l’invito come oratore virtuale d’eccezione in qualche Parlamento occidentale. Un solo limite: Zelensky non si muove dal suo bunker di guerra.
Lo ha confermato ieri in un’intervista a Mediazona, testata indipendente russa: «Sono pronto ad andare in qualsiasi parte di questo pianeta, ma certamente non ora e non a Mosca».
Qualche giorno fa un cameraman della BBC è entrato nella situation room e ha poi raccontato la paura e il fremito di trovarsi in un luogo in cui tutti i presenti «sanno di essere in ogni momento a rischio». A cominciare da Zelensky. Ma gli appuntamenti internazionali e la processione di leader stranieri rappresentano lo scudo più efficace contro la tentazione russa di farlo fuori.
E non si può escludere che si tratti di un piano preciso, frutto della volontà comune di preservarlo in vita.
Ieri il presidente ucraino ha parlato al telefono con l’omologo sudafricano Cyril Ramaphosa, e soprattutto ha incontrato a Kiev i primi ministri di Spagna e Danimarca, Pedro Sanchez e Mette Frederiksen. Ogni leader si presta a fare il viaggio normalmente in treno, attraversando zone di guerra. Come il premier britannico, Boris Johnson. E prima di lui i presidenti della Commissione e del Consiglio europei, Ursula von der Leyen e Charles Michel. E ancora, il cancelliere austriaco.
Si è detto pronto ad arrivare fino a Kiev per stringere la mano a Zelensky addirittura il presidente Joe Biden, o quanto meno il segretario di Stato Usa, Antony Blinken. Uno scudo diplomatico quotidiano, che rende molto difficile per Putin, se mai ne avesse la tentazione, ordire un attacco killer al grande nemico.
Ieri era l’anniversario di un assassinio eccellente dall’alto, il 21 aprile 1996. Due missili russi a guida laser centrarono il presidente della Repubblica cecena di Ichkeria, Dzochar Dudaev, che aveva commesso l’imprudenza di usare il satellitare per parlare con un deputato liberale della Duma.
La sua chiamata venne intercettata da un aereo da ricognizione e, per esser sicuri di averlo liquidato, i russi fecero anche decollare altri due aerei muniti di missili guidati.
Gli analisti militari concordano che, se Putin volesse, potrebbe distruggere il bunker di Kiev con Zelensky dentro. La sua idea sarebbe però un’altra.
Per il professor Francesco Strazzari, della Scuola Sant’ Anna di Pisa, lo Zar avrebbe preferito ottenere con la pressione militare su Kiev lo sfaldamento del governo ucraino e le dimissioni di Zelensky, o la sua destituzione a opera dei suoi stessi collaboratori.
Oppure un’azione non del tutto riconducibile a Mosca, ma condotta da forze filo-russe non regolari.
L’ASSASSINIO
L’ennesimo piano per assassinare Zelensky, sempre che sia vero, è stato rivelato ieri da Oleksiy Danilov, segretario del Consiglio nazionale di Sicurezza e difesa ucraino, e risalirebbe a un mese prima dell’invasione. Il 3 febbraio, Putin avrebbe chiesto al leader ceceno Kadyrov di eliminare Zelensky attraverso i suoi combattenti paramilitari. Tre i gruppi che sarebbero stati incaricati dell’operazione. Uno, secondo l’Intelligence ucraina, sarebbe stato eliminato dai militari di Kiev. Gli altri due si sarebbero allontanati e si troverebbero a Donetsk e a Mariupol.
È anche interessante che le Intelligence occidentali, in particolare la CIA, abbiano discusso il tema della successione a Zelensky se catturato o ucciso, perché è importante che tutti gli eventuali successori siano pro-Occidente e possano quindi continuare a resistere all’invasione russa.
È stato così individuato il presidente del Parlamento, Ruslan Stefanchuk, e al terzo posto nella successione il premier, Denys Smihal. Preoccupazioni che vengono da lontano, dallo shock per l’esecuzione di Dudaev.
(da agenzie)
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Aprile 22nd, 2022 Riccardo Fucile
“LA PAROLA DEI RUSSI VALE ZERO, SIAMO ABBASTANZA PER RESPINGERE GLI ATTACCHI”
Svyatoslav Palamar, capitano del Battaglione Azov, ha rilasciato
un’intervista alla Bbc dall’acciaieria Azovstal a Mariupol dove si trova assediato dai russi. «Tutti gli edifici nel territorio di Azovstal sono praticamente distrutti», ha detto Palamar, «lanciano bombe pesanti, bombe ‘bunker-buster‘ che causano enorme distruzione. Abbiamo feriti e morti nei bunker. Alcuni civili rimangono intrappolati sotto gli edifici crollati».
Alla domanda su quanti fossero i componenti di Azov ancora nell’acciaieria Palamar ha risposto: «Abbastanza per respingere gli attacchi».
Successivamente però ha anche ammesso che tra i militari ci sono 500 feriti gravi, alcuni dei quali hanno bisogno di interventi urgenti come l’amputazione degli arti.
«Dopo 52 giorni di blocco e pesanti combattimenti, stiamo finendo i medicinali. E poi conserviamo anche i corpi insepolti dei nostri combattenti che dobbiamo seppellire con dignità nel territorio controllato dall’Ucraina», ha detto Palamar.
Che non si fida delle parole di Putin, il quale ha promesso che sarà risparmiata la vita a quelli che si arrendono: «Sappiamo assolutamente che tutte le garanzie, tutte le dichiarazioni della Federazione Russa non valgono nulla». Palamar ha sostenuto che i civili si trovano in aree separate rispetto ai combattenti, in sotterranei che contengono 80-100 persone ciascuno. Gli ingressi ad alcuni bunker sono bloccati da lastre pesanti: «Restiamo in contatto con quei civili che si trovano nelle aree che non possiamo raggiungere. Sappiamo che là ci sono bambini piccoli anche di 3 mesi».
(da agenzie)
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Aprile 22nd, 2022 Riccardo Fucile
IL SURREALE MEETING IN DIRETTA CON MINISTRO DELLA DIFESA SHOIGU SVELA TUTTA LA DEBOLEZZA RUSSA
L’attenzione del mondo questa settimana era tutta puntata su Mariupol, dove i russi e le forze della Repubblica separatista di Donetsk avevano ormai circondato le restanti forze ucraine (vale a dire la 36esima brigata della Marina ucraina ed il reggimento nazionalista Azov) nel sito dell’acciaieria Azovstal dopo una lunga, ma estenuante, avanzata.
La caduta dell’acciaieria – e la totale conquista di Mariupol da parte russa – sembrava ormai questione di ore.
Giovedì 21 aprile a prima mattina, il leader ceceno Ramzan Kadyrov aveva promesso sul suo canale Telegram che Azovstal sarebbe caduta nelle mani russe già entro il primo pomeriggio della stessa giornata.
Ma quando tutto sembrava pronto per la battaglia finale, invece, è arrivata la sorpresa: la TV di Stato russa ha trasmesso le immagini di un incontro che si è tenuto al Cremlino tra il presidente russo Vladimir Putin ed il suo Ministro della Difesa, Sergey Shoigu, nel corso del quale Putin ha chiesto ufficialmente ai militari russi di fermare qualsiasi ulteriore assalto alla acciaieria, definendolo come “inappropriato”.
“Questo è un caso in cui dobbiamo pensare – cioè dobbiamo sempre pensarci, ma in questo caso ancora di più – a salvare la vita e la salute dei nostri soldati e ufficiali. Non è necessario arrampicarsi in queste catacombe e strisciare sottoterra attraverso queste strutture industriali”, ha affermato Putin che ha quindi chiesto di sigillare l’aerea in modo tale che attraverso “non ci passi neppure una mosca”.
Shoigu, da parte sua, ha dichiarato che l’intera Mariupol, ad eccezione dello stabilimento Azovstal, è stata conquistata delle truppe russe e Putin si è congratulato con lui e con “gli eroi che indossano la divisa delle nostre forze armate” per questa presunta vittoria.
Perché Mariupol non si può dire caduta
Le affermazioni di oggi al Cremlino sono state accolte da una parte con ironia e dall’altra con stupore da molti osservatori internazionali, buona parte dei quali non si attendeva questa decisione.
Gli Stati Uniti hanno subito smentito le parole russe: il presidente Joe Biden ha detto in conferenza stampa che è alquanto “discutibile” l’affermazione che la Russia controlli la città assediata dell’Ucraina di Mariupol. “Non ci sono prove che Mariupol sia completamente caduta”, come affermato dal Cremlino.
Ma, a prescindere che i russi abbiano preso o meno il controllo del resto di Mariupol, la decisione di abbandonare l’offensiva da queste parti, rientra in una logica strategica più generale da parte russa. Infatti, come aveva affermato il Pentagono qualche giorno fa, nei combattimenti a Mariupol sono stati impegnati l’equivalente di 12 gruppi di battaglioni tattici (BTG) russi.
In una situazione nella quale il focus principale della strategia di Mosca sta diventando sempre di più il controllo del Donbass, il loro continuo utilizzo a Mariupol lontano dal campo di battaglia principale rappresenta per i russi solo uno spreco di tempo, mezzi e persone lontano dall’obiettivo principale.
Come già indicatoin un altro articolo che ho pubblicato per Fanpage.it, la strategia di Putin per questa fase della guerra è infatti quella di procedere con una manovra a tenaglia proveniente contestualmente da nord (zona di Izyum) e da sud (dalla regione di Donetsk o di Zaporizhzhia) con l’intento di rinchiudere da ovest in una enorme sacca il grosso delle forze ucraine nel Donbass, e poi stringerle in una doppia morsa per costringerle alla resa.
La Russia avrà perciò bisogno di tutte le forze a sua disposizione per quella che si preannuncia una vera e propria battaglia campale nell’est dell’Ucraina, le cui prime avvisaglie si possono già intravedere soprattutto nella regione di Luhansk, dove negli ultimi giorni i russi hanno fatto lente ma continue avanzate nella zona di Popasna e di Kreminna.
Resta ovviamente da vedere in che condizioni siano ridotte queste forze, dopo settimane di duri combattimenti urbani a Mariupol, e quanto sia possibile per il comando russo riposizionarli velocemente
Nonostante le spacconate di Kadyrov – che aveva già preannunciato almeno 26 volte in precedenza la caduta “imminente” di Mariupol nelle settimane precedenti – è evidente che l’avanzata dei reparti russi nei sotterranei di Azovstal sarebbe stata un altro bagno di sangue per l’esercito russo che ha già perso tanti uomini nel tentativo di conquistare la città sul Mar d’Azov, roccaforte del reggimento che porta lo stesso nome.
Inoltre, come ben dimostrato anche dal video che il reggimento Azov ha pubblicato poche ore dopo l’annuncio di Putin (che mostra un tank russo con il simbolo V in fiamme all’interno della città portuale), Mariupol resta territorio molto rischioso per i russi con reparti isolati di combattenti che resistono anche nelle altre parti della città, come ad esempio nella zona del deposito dei tram lontana da Azovstal.
Ciò significa che un contingente di militari, seppure ridotto rispetto ad oggi, dovrà necessariamente continuare ad essere impegnato in città anche nel prossimo futuro e questo ovviamente può rappresentare un problema per i piani del Cremlino.
Inoltre, la città è ormai quasi completamente distrutta, con il 95% degli edifici in rovina, e la sua ricostruzione impegnerà ulteriori sforzi da parte russa in futuro.
Allo stesso tempo, va detto, che la decisione del Cremlino rappresenta una ulteriore ammissione (se ancora fosse necessaria) di una delle principali debolezze dei russi che è diventata sempre più evidente sin dall’inizio della guerra: l’esercito russo è drammaticamente a corto di uomini e mezzi per poter proseguire la guerra in più direzioni.
In particolare, ha seri problemi a combattere in un contesto estremamente difficile come le battaglie urbane casa per casa, o, come in questo caso, nei sotterranei di un immenso impianto industriale; in generale dove non conta più tanto la forza bruta e la superiorità dei mezzi, quanto la voglia di sopravvivere e la motivazione per combattere.
Le parole stesse di Putin (“salvare la vita e la salute dei nostri soldati”) sono una chiara indicazione di tutto questo.°
Un ulteriore aspetto, che non va dimenticato, e che in qualche modo è legato a quanto detto prima, è quello psicologico: dichiarando vittoria anticipatamente Putin intende mostrare al popolo russo che l’”operazione militare speciale” (così come Mosca definisce l’invasione) ha portato già a qualche risultato concreto.
Tra qualche settimana, infatti, in Russia si celebrerà il V-Day (9 maggio) e l’intenzione della propaganda russa è quella di tenere proprio in quel giorno una marcia del cosiddetto ‘Reggimento Immortale’ proprio nella Mariupol “liberata dai nazisti”, come a legare indissolubilmente nell’immaginario popolare ciò che sta succedendo oggi alla Grande Guerra Patriottica di 77 anni fa.
Se a ciò si aggiungono i piani per la creazione di una “Repubblica popolare di Kherson” nell’unica altra grande città finora conquistata dai russi nel sud dell’Ucraina, si possono iniziare ad intravedere i tratti di un possibile congelamento del conflitto su queste posizioni che possa essere spacciato già come una vittoria da parte del Cremlino, a prescindere da cosa accadrà nel resto del Donbass nel prossimo futuro.
Ovviamente, resta da capire se tutto questo basterà, alla lunga, per far accettare ai russi tutti i sacrifici a cui stanno andando incontro, sia a causa delle sanzioni – il cui effetto si farà sentire sempre di più con l’andare del tempo –, che, nel caso di molte famiglie russe, per la perdita diretta dei propri cari in battaglia.
Al momento, nonostante tutto, l’opinione pubblica russa sembra restare fortemente dalla parte del Cremlino anche grazie al martellamento della propaganda della TV di Stato russa che resta la principale fonte di informazioni per buona parte del Paese, soprattutto le vaste zone rurali. Ma se la guerra dovesse andare avanti ancora per molto tempo e senza che siano ottenuti risultati concreti, prima o poi il muro della menzogna potrebbe crollare ed il vento potrebbe cambiare radicalmente.
Questo è con tutta probabilità ciò che spaventa di più in assoluto il Cremlino.
Non meravigliamoci dunque se dovessimo assistere ad ulteriori dichiarazioni premature di vittoria di questo tipo anche nel prossimo futuro.
(da Fanpage)
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Aprile 22nd, 2022 Riccardo Fucile
CHI E’ RIUSCITO A SCAPPARE DALLA CITTA’ RACCONTA DI COMBATTIMENTI ANCORA IN CORSO
Mentre Vladimir Putin a colloquio con il suo ministro della Difesa
Sergei Shoigu annuncia alla nazione la presa di Mariupol, Kyiv e Washington sostengono che la città ucraina non sia ancora caduta e che la resistenza popolare sia ancora in atto.
Dopo aver raggiunto le linee ucraine, 79 profughi della città hanno raccontato di una battaglia ancora in atto, con combattimenti in corso nelle vie del centro, anche al di fuori dal perimetro dell’acciaieria.
“La città è stata liberata dalle forze armate della Federazione russa. I resti della formazione dei nazionalisti si sono rifugiati nella zona industriale dello stabilimento Azovstal”, è il rapporto che Shoigu fa a Putin.
Porre tanta enfasi sull’importanza di Mariupol permette al Cremlino di giustificare ai russi una “vittoria” nel giorno del 9 maggio, giorno della Festa della Vittoria nel 77esimo anniversario della Grande guerra patriottica.
Durante il colloquio si è anche rimarcata la disponibilità di Putin ad aprire corridoi umanitari dal 21 marzo “per l’evacuazione di civili e cittadini stranieri”. L’unico punto non controllato dall’esercito russo o dai suoi alleati della milizia popolare della Repubblica di Donetsk è lo stabilimento Azovstal, dove sarebbero asserragliati i combattenti del battaglione Azov. Il presidente russo ha ordinato di non procedere con un attacco in quell’area: “Considero inappropriata la proposta di assalto alla zona industriale. Ti ordino di cancellare questo progetto”.
Il motivo è “preservare la vita e la salute” di soldati e ufficiali russi
§“Non c’è bisogno di arrampicarsi in queste catacombe e strisciare sottoterra attraverso queste strutture industriali. Quindi, blocca questa zona in modo che non ne esca una mosca”.
I militari ucraini hanno letto questo colloquio come un’implicita ammissione di impotenza, mentre il presidente americano Biden conferma: “Non c’è ancora nessuna prova che sia completamente caduta”, facendo eco alle parole di Michail Vershinin, capo della polizia di Mariupol, ferito e ricoverato proprio all’interno dell’acciaieria: “Le condizioni della resa non sono ancora mature”.
Secondo Daniele Angrisani “l’esercito russo è drammaticamente a corto di uomini e mezzi”, circostanza che non gli permetterebbe di continuare a condurre una guerra in più direzioni, alla quale va aggiunta la difficoltà nel combattere battaglie in contesto urbano: per questo motivo fermare l’avanzata a Mariupol congelando lo spazio intorno all’acciaieria consentirebbe a Putin di respirare e concentrarsi nelle altre aree del Donbass, diventate ormai il principale obiettivo militare da sventolare in patria come vittoria.
(da NextQuotidiano)
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