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VANNACCI SI CANDIDERA’ CON LA LEGA: FINALMENTE HA TROVATO L’AMBIENTE DEGNO DI LUI

Gennaio 6th, 2024 Riccardo Fucile

LA LEGA HA PURE COMMISSIONATO UN SONDAGGIO E LO CANDIDERA’ NEL COLLEGIO DELL’ITALIA CENTRALE

Si fanno sempre più insistenti i rumors sulla candidatura alle Europee con la Lega del generale Roberto Vannacci.
A quanto apprende l’agenzia AdnKronos da fonti informate, l’inserimento del suo nome nelle liste del Carroccio è estremamente probabile, se non addirittura già deciso: nello specifico, l’attuale capo delle Forze operative terrestri dell’esercito – autore del discusso best-seller Il mondo al contrario, colmo di tesi omofobe e retrograde – dovrebbe correre nel collegio dell’Italia centrale, che comprende Toscana, Umbria, Lazio e Marche.
Secondo un retroscena di Repubblica, il segretario leghista Matteo Salvini – principale sponsor della candidatura – ha persino chiesto un sondaggio riservato per stimare il peso elettorale della presenza di Vannacci in lista.
Qualche settimana fa, però, il partito aveva smentito rispondendo a un servizio di Report: “È totalmente falso, temiamo che la vostra fonte sia la stessa di tante altre inchieste fantasiose finite nel nulla”. Durante la conferenza stampa di fine anno, alla premier Giorgia Meloni era stato chiesto invece di un’eventuale corsa del militare con Fratelli d’Italia: “Non ho letto il suo libro. Comunque non mi sto occupando delle candidature”, aveva risposto.
(da La Stampa)

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IL SINDACO DI MODENA REVOCA LA SALA CIVICA AL CONVEGNO DEI FILORUSSI: “IN CONTRASTO CON I VALORI DI LIBERTA’, DEMOCRAZIA E GIUSTIZIA”

Gennaio 6th, 2024 Riccardo Fucile

L’EVENTO DI PROPAGANDA SU MARIUPOL SE LO DOVRANNO FARE IN QUALCHE FOGNA

È diventato un caso politico l’evento di una mostra-conferenza sulla «ricostruzione» della città ucraina di Mariupol previsto in una sala civica di Modena. Appuntamento organizzato dall’associazione Russia Emilia-Romagna e da più parti additato come dichiaratamente filo-russo. L’evento ora rischia di non svolgersi più o almeno di traslocare visto che il sindaco dem della città emiliana proporrà la revoca della sala.
Tutto è cominciato nei giorni scorsi con le prime polemiche per la mostra-conferenza in calendario il prossimo 20 gennaio in una sala civica della città di Modena. Nel presentare l’evento – «Mariupol. La rinascita dopo la guerra» – gli organizzatori hanno definito Mariupol la «città-simbolo della rivolta popolare del Donbass contro la giunta di Kiev» e ancora, «città martire dell’occupazione banderista (i nazionalisti ucraini, ndr) durata otto anni» che «affronta ora un veloce processo di ricostruzione sotto l’egida delle istituzioni della Federazione Russa di cui è divenuta parte integrante».
L’obiettivo era «presentare al pubblico modenese i risultati della nuova amministrazione cittadina dopo la liberazione definitiva nella primavera del 2022, con la resa del battaglione Azov».
Tra i primi a esprimere rimostranze il senatore Pd Filippo Sensi che su X si era detto profondamente «offeso» che una associazione filo-russa potesse «fare la sua propaganda su Mariupol» in una sala civica.
«Aberrante» aveva commentato la vicenda Azione Modena.
I Radicali italiani per il 20 gennaio hanno organizzato una contro manifestazione in piazza. Perfino l’ambasciata ucraina a Roma era intervenuta, sottolineando che il ministero degli Affari Esteri d’Ucraina «considera questo evento una provocazione russa» e dando notizia di una «richiesta ufficiale di cancellazione dell’evento».
Il sindaco, il dem Gian Carlo Muzzarelli, che da subito aveva smorzato i toni respingendo «ogni tentativo di strumentalizzazione dell’appuntamento», oggi sostanzialmente annuncia che si va verso una revoca del noleggio della sala.
È questo che il primo cittadino proporrà alla giunta martedì prossimo. L’evento comunque non godeva del patrocinio del Comune. «Le informazioni che stanno emergendo nel dibattito nazionale», spiega, «offrono elementi di riflessione non disponibili quando gli uffici hanno preso in esame la domanda, pur presentata nel rispetto del regolamento comunale. Il profilo di alcuni dei relatori, come evidenziato dagli organi d’informazione, non è sempre coerente con l’impegno sottoscritto a rispettare i valori sanciti dalla Costituzione e dalla Repubblica italiana e, segnatamente, il divieto di professare e/o praticare ideologie e comportamenti fascisti e razzisti. È emerso chiaramente», aggiunge, «che l’iniziativa si presta a diventare una manifestazione di aperto sostegno alla guerra d’invasione della Russia e quindi in contrasto con l’articolo 3 dello Statuto comunale che, invece, si pone come obiettivo la promozione della piena affermazione dei valori di giustizia, di libertà, di democrazia e di pace».
(da agenzie)

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TENGO FAMIGLIA: IL CRIMINALE CECENO KADYROV OFFRE LA LIBERTA’ AI SUOI PRIGIONIERI UCRAINI IN CAMBIO DELLA REVOCA DELLE SANZIONI ALLA SUA FAMIGLIA, AI SUOI AEREI E AI SUOI CAVALLI

Gennaio 6th, 2024 Riccardo Fucile

LA SORTITA DEL CIALTRONE NON E’ STATA PRESA BENE DA MOSCA

Tengo famiglia”, sembra essere il messaggio di Kadyrov. Il capo della Cecenia, Ramzan Kadyrov, si è offerto di rilasciare i soldati catturati delle forze armate ucraine in cambio della revoca delle sanzioni contro i membri della sua famiglia.
Secondo la TASS il capo ceceno lo ha detto durante una visita alle forze dell’ordine, a Grozny, dove è arrivato un ex ispettore delle Nazioni Unite per monitorare l’eliminazione delle armi di distruzione di massa irachene.
“Abbiamo prigionieri catturati nelle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. Consegno al nostro ospite. Se tolgono le sanzioni a mia madre, alle mie figlie, allora consegneremo queste persone”, ha detto Kadyrov, citato dall’agenzia.
La sortita di Kadyrov non è stata presa bene a Mosca. Che il capo ceceno proceda in libertà, quasi “scavalcando” il Cremlino, non è cosa piaciuta agli osservatori presenti alle esternazioni del leader ceceno, apparentemente fedelissimo di Putin.
La TASS afferma che a Ritter è stato mostrato un video degli ucraini catturati, e nel video si ribadiva che se le sanzioni fossero state revocate ai parenti di Kadyrov, ai suoi aerei e ai suoi cavalli, 20 soldati ucraini sarebbero tornati a casa.
La stessa TASS ha fatto notare che la proposta di Kadyrov è stata condannata da alcuni “corrispondenti militari” russi. “La cosa negativa è che ancora una volta in Russia ci sono tentativi di essere al di sopra dello Stato, apertamente e in modo dimostrativo”, ha scritto, ad esempio, il “corrispondente militare” Yuriy Kotenok. Mentre Aleksandr Kots, un “corrispondente militare” della Komsomolskaya Pravda, ha detto apertamente che Kadyrov “ha avviato una sorta di dubbia contrattazione”.
Ha tagliato corto Voenkor Irina Kuksenkova di Channel One. La corrispondente ha commentato così la proposta del capo della Cecenia: “Ormai, nulla mi sorprende o mi indigna…”
(da Globalist)

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GIANFRANCO FINI: “POZZOLO? UN BALENGO, LO ALLONTANAI DA AN PERCHE’ ERA UN VIOLENTO ESTREMISTA VERBALE”

Gennaio 6th, 2024 Riccardo Fucile

L’EX PRESIDENTE DI AN: “NON FU NECESSARIO ESPELLERLO, LO ACCOMPAGNAMMO ALLA PORTA”

Emanuele Pozzolo, il deputato di Fdi finito nei guai per il colpo partito dalla sua pistola la notte di Capodanno, “quando ero presidente di An, lo allontanammo, senza nemmeno espellerlo, dalla federazione di Vercelli perché era un violento estremista verbale. Il suo caso non finì sulla mia scrivania, ma se ne occupò Donato Lamorte, capo della mia segreteria politica. Capimmo che era un balengo, come si dice in Piemonte, e lo accompagnammo alla porta: via, andare”. A raccontarlo è Gianfranco Fini, in un’intervista a Il Foglio.
A chi gli domanda se in Fdi ci sia un problema diffuso di classe dirigente, “c’è sempre quel vecchio proverbio – risponde – dell’albero che quando cade fa più rumore della foresta che cresce. Tra il goliardico e l’approssimativo i casi sono pochi. I parlamentari di Meloni sono circa 150: finora quelli, diciamo, irregolari saranno cinque o sei”.
(da Huffingtonpost)
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MELONI VUOLE METTERE IN RIGA SALVINI SU TRE DOSSIER: SOLINAS, BALNEARI E COMMISSIONE UE

Gennaio 6th, 2024 Riccardo Fucile

“SE LA LEGA VUOLE USCIRE DALLA COALIZIONE E’ LIBERA DI FARLO”

“Se la Lega vuole uscire dalla coalizione, è libera di farlo”. Le feste sono finite nel centrodestra. Letteralmente. Dopo i convenevoli ruotati attorno alla conferenza stampa di fine anno, Giorgia Meloni a difendere Matteo Salvini dalle ombre dell’inchiesta Verdini, il segretario della Lega solerte a far filtrare la “piena sintonia” con la presidente del Consiglio, sull’Epifania si addensano nuvoloni neri.
Le prossime settimane si prospettano come frizzanti, ben che vada, per la maggioranza di governo. Si annusa sempre più nitidamente il clima elettorale, la competizione a destra di giorno in giorno si fa più stringente, Meloni sa di non poter sbagliare un colpo. Palazzo Chigi regala quella visibilità che permetterà di fatto alla premier di non fare un comizio ed essere comunque la leader più mediaticamente esposta.
Di converso tuttavia, quella stessa posizione amplificherà qualunque passo falso possa arrivare da qui ai prossimi mesi. E non importa di chi sarà la colpa, se meloniana o degli alleati, è alla soglia della stanza dei bottoni che verrà presentato il conto elettorale.
La minaccia di cui sopra arriva da Cagliari, ma la battaglia infuria a Roma. Giovedì una riunione fiume in terra sarda ha sancito lo strappo. Non sarà l’uscente Christian Solinas il candidato presidente in Sardegna, ma il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu. Fuori la Lega per interposto Partito sardo d’Azione, dentro Fratelli d’Italia.
Salvini è andato su tutte le furie. Lo smacco sarebbe sonoro, tanto più che Solinas è il presidente uscente, un solo mandato alle spalle e quindi senza la tagliola del limite dei mandati. È stato Andrea Crippa, il vicesegretario che sempre più da voce a quel che il segretario del Carroccio pensa, a alzare il tiro della polemica: “Discutiamo Solinas? Allora riapriamo i giochi in tutte le altre Regioni”. Il riferimento nemmeno troppo velato è all’Abruzzo di Marco Marsilio, fedelissimo della premier, sul quale fino ad oggi nessuno aveva avuto da ridire.
A linea dura della Lega ha risposto la linea durissima di Fdi. Volete Solinas? Quella è la porta, in bocca al lupo, il senso di Antonella Zedda, coordinatrice del partito in Sardegna: “La vicenda è chiusa, non ci sono altri passaggi da fare”.
Parole tombali, stracci che volano tra i colonnelli, perché se si parlassero così tra i leader si arriverebbe sull’orlo di una crisi. “Discutiamo per trovare una soluzione comune”, ha minimizzato Meloni durante la conferenza stampa di fine anno. Sono almeno due mesi che la presidente del Consiglio ha di fatto deciso di cambiare cavallo nell’isola. Una tensione che è affiorata nelle cronache, muovendosi carsica e aprendo una voragine attorno alla quale i protagonisti danzano attentissimi a non cadere.
“Ma li vedono i sondaggi? Con Solinas ci schiantiamo”, quasi urla un dirigente di Fdi raggiunto al telefono. Questo è uno dei motivi per cui a via della Scrofa si è posto il veto al presidente uscente. Le rilevazioni delle intenzioni di voto lo danno lontano ben che vada più di dieci punti dalla sfidante, i sondaggi interni fatti da Fratelli d’Italia fotografano al contrario un Truzzu ben più competitivo. “Vogliamo regalare noi la prima vittoria in una Regione all’alleanza tra Pd e M5s?”, continua polemico il meloniano. È una delle considerazioni che ha mosso la leader a dare il via libera al sindaco di Cagliari.
Ce n’è un’altra. Oltre la Sardegna sono quattro i presidenti in ballo, il traino delle elezioni europee mette il vento in poppa ai candidati del centrodestra, ma solo uno è di Fdi, il già citato Marsilio. Confermare lo schema uscente significherebbe riconfermare la Lega anche in Umbria e Forza Italia in Molise e in Piemonte. Uno schema due-due-uno che penalizzerebbe il partito di maggioranza relativa, non fotografando gli attuali rapporti di forza. Fonti di via della Scrofa spiegano che non è in agenda nessun incontro tra i leader, ma dal Carroccio spingono per un faccia a faccia chiarificatore.
Meloni è decisa a imporre le proprie scelte in questo mix di governo e campagna elettorale che richiede a suo avviso fermezza nell’essere gestito.
Un altro fronte destinato ad aprirsi già a gennaio è quello dei balneari. Salvini ha già fatto ampiamente sapere di essere indisponibile a toccare le concessioni di chi attualmente le possiede. Nonostante una procedura d’infrazione aperta a Bruxelles, nonostante il duro richiamo di Sergio Mattarella sulla legge che allunga le licenze degli ambulanti di dodici anni. Il segnale è arrivato nell’ultimo decreto canoni, varato proprio dal ministro delle Infrastrutture. “C’è un taglio del 4,5%” ai canoni già irrisori se confrontati all’indotto”, denuncia il deputato di +Europa Riccardo Magi. Meloni al contrario è desiderosa di eliminare una volta per tutte la spada di Damocle che pende sull’esecutivo, per nulla intenzionata ad arrivare allo strappo con l’Ue.
Nel cassetto è pronto il piano di Raffaele Fitto. Se la trattativa che punta alla non scarsità della “risorsa spiagge” naufragherà, come è del tutto probabile che succeda, il ministro con delega al Pnrr prospetta gare per tutti, favorendo gli attuali concessionari con punteggi più alti nei bandi di concorso e indennizzi nel caso perdessero la gara. Una transizione soft verso la direttiva Bolkenstein, della quale la Lega non vuole sentir parlare.
Ma il tema dei rapporti europei è assai sentito dalla premier, che vuole giocare da protagonista nella complicata partita a scacchi della prossima Commissione. Meloni ha già messo in chiaro le cose: mai un’alleanza con la sinistra, questione ben diversa sul voto per il governo del continente, dove occorre un accordo tra tutti i paesi sui nomi dei commissari e che non può veder sfilarsi i partiti al potere in Italia, a meno che non si verifichino imponderabili cataclismi.
Insomma sì a un voto a un candidato comune anche con i socialisti, come potrebbe essere quello sul bis di Ursula von Der Leyen. Andò allo stesso modo con i 5 stelle, proprio quando guidavano il governo insieme alla Lega, e il Carroccio si infuriò a tal punto che fu uno degli inneschi della caduta del primo governo Conte.
La premier infatti non vuole rimanere tagliata fuori dal tavolo che conta: a cascata i dividendi vengono incassati anche negli incarichi parlamentari chiave, senza contare l’assurdità di un partito del premier che esprime un suo esponente nel governo continentale (proprio Fitto è sempre in pole position) e non lo vota. Sono ragionamenti molto simili a quelli che in Francia si tengono al quartier generale di Marine Le Pen. Che, pur condividendo lo stesso gruppo con la Lega, nel futuro risiko sembra voler adottare un approccio più simile a quello di Meloni. Un terreno di confronto che potrebbe essere fruttifero, e che sta mettendo in allarme i dirigenti del Carroccio. Le feste per il centrodestra sono davvero finite.
(da Huffingotnpost)

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REMUZZI, IL DIRETTORE DEL MARIO NEGRI: “A CHE SERVE TAGLIARE IL CUNEO FISCALE SE LA GENTE NON PUO’ PAGARE LE MEDICINE? LA POVERTA’ E’ LA PRIMA CAUSA DI MALATTIA”

Gennaio 6th, 2024 Riccardo Fucile

GLI STANZIAMENTI STATALI PRO CAPITE PER LA SANITA’ PUBBLICA: GERMANIA 6.000 DOLLARI, FRANCIA 3.500, ITALIA 2.500

“Certamente gli stanziamenti del governo Meloni per la sanità pubblica sono troppo pochi, però siamo tutti focalizzati sugli scarsi finanziamenti. Il problema principale invece è un altro ed è culturale: noi dobbiamo capire e sforzarci di far capire che il Servizio Sanitario Nazionale è una fonte di stabilità economica e sociale. E io sono personalmente angosciato dal fatto di non essere riuscito a far comprendere questo”. Sono le parole pronunciate ai microfoni di 24 Mattino, su Radio24, da Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, analizzando e commentando le prospettive della sanità pubblica italiana nel 2024.
Il nefrologo sottolinea la necessità di più fondi, di più governance ma soprattutto di più consapevolezza dell’importanza della sanità pubblica: “Sicuramente non credo che si possa andare avanti con un sistema sanitario pubblico così sotto-finanziato. Pensate che in dollari noi spendiamo pro capite 2.500 dollari, i francesi 3.500, i tedeschi 6.000. Quindi, non è possibile avere un sistema sanitario competitivo con una spesa così piccola. Tuttavia, il problema maggiore in Italia è la difficoltà a far capire quanto sia importante il Servizio Sanitario Nazionale per il benessere di un paese – spiega – Una sanità pubblica funzionante moltiplica le risorse, perché ogni medico assunto poi trascina dietro assunzioni in tanti altri campi. Ed è una chiave per ridurre la povertà. Se andiamo verso la povertà, la gente si ammala e si innesca un circolo vizioso dal quale si rischia di non uscire più. Non c’è altra soluzione se non il servizio sanitario pubblico. Di questo si sono resi conto persino gli Usa dopo il Covid”.
Remuzzi aggiunge: “Una sanità pubblica funzionante aiuta anche la ricerca scientifica e contiene la fuga dei medici all’estero. Abbiamo bisogno di un servizio sanitario pubblico che coniughi medicina clinica e ricerca scientifica e che sia all’altezza della tecnologia di oggi, cosa che è possibile col Pnrr. Un altro punto di forza del Ssn è dato dalle case della salute, con cui si riesce a stare davvero vicino alla gente. Ma ci sono da qualche parte, non dappertutto.”.
Il medico spiega che nelle case di salute, presenti in alcune città della Lombardia, della Toscana, dl Piemonte e dell’Emilia Romagna, sono garantiti servizi come l’assistenza infermieristica a domicilio e la possibilità di fare prelievi, radiografie, ecografie: “Le case della salute funzionano benissimo in alcune zone e possono funzionare ovunque. Ed è possibile realizzarle dappertutto. Ogni giorno in queste case ci sono mediamente 800 accessi di pazienti, evitando così il sovraccarico dei Pronto Soccorso. Ma bisogna entrare nell’ordine delle idee di governare il sistema. E allo stato attuale – osserva – non c’è nessuno che si è preso a cuore questo, che è il problema più grande che abbiamo. Discutere tutti i giorni del taglio del cuneo fiscale non serve a niente se poi la gente non può pagare le medicine. Il piccolo vantaggio che uno ha dal taglio del cuneo fiscale o dal salario minimo sparisce perché poi deve comprare medicine costosissime”.
Altra criticità sollevata dal professore è la fuga dei medici all’estero perché pagati di più: “Vanno sicuramente aumentati gli stipendi di medici e soprattutto di infermieri, ma non è una gran cosa che l’unica motivazione di trasferimento sia quella dei soldi. Il nostro è un mestiere diverso dagli altri e richiede dedizione per i cittadini e per le persone più vicine. Trovo molto brutto che uno faccia il medico da noi e poi vada a curare le persone degli Emirati Arabi per guadagnare di più. Mi sembra, insomma, che dietro non ci sia alcun ideale”.
E ricorda il vero senso della sanità pubblica: “Quando è stato fondato il Servizio Sanitario Nazionale il 23 dicembre del 1945, si dicevano cose fantastiche del tipo: noi ci vogliamo occupare della salute fisica e psichiatrica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni sociali e secondo modalità per cui sia garantita l’uguaglianza dei cittadini. Dove è finito tutto questo? – prosegue – Oggi le persone del Sud devono venire al Nord per curarsi perché c’è questa idea che al Nord ti curano meglio. E non è vero o comunque non è sempre vero. Se continuiamo a perpetrare questa discrepanza tra i soldi disponibili al Nord e quelli disponibili al Sud, non risolveremo mai il problema. Non è accettabile questa cosa per chi ci governa”.
Infine, Remuzzi ribadisce il suo no all’intramoenia, come ha spiegato in più occasioni: “Va assolutamente tolta, perché molto probabilmente non rispetta neppure la Costituzione. Non bisogna girare attorno al problema, serve un ministro che la elimini, anche se si tratta di una decisione impopolare”.
(da Il Fatto Quotidiano)

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DOPO L’INCHIESTA DI “REPUBBLICA” SULLE “OMBRE NERE” NEL FOOTBALL AMERICANO IN ITALIA, IL PRESIDENTE DELLA FEDERAZIONE, LEOLUCA ORLANDO, INTERVIENE: “CONDANNO GLI ATTEGGIMENTI CHE INNEGGIANO O ESPRIMONO CONDIVISIONE DEL FASCISMO”

Gennaio 6th, 2024 Riccardo Fucile

SI DIMETTE IL VICEPRESIDENTE, FABIO TORTOSA, EX POLIZIOTTO DEL MASSACRO DEL G8, QUELLO DI “CARLO GIULIANI FA SCHIFO ANCHE I VERMI”… TRA COACH CON CROCI CELTICHE AL COLLO, SALUTI ROMANI, SIMBOLI FASCISTI E NAZISTI SUGLI STEMMI, L’ESTREMA DESTRA DILAGA NELLA PALLA OVALE

Terremoto ai vertici della Federazione italiana American Football dopo l’inchiesta di “Repubblica” sulle ombre nere nell’ambiente delle nazionali di football americano e di flag football.
Nelle stesse ore in cui il presidente federale Leoluca Orlando ha dichiarato a nome del Consiglio federale “rifiuto, condanna e massima intransigenza” nei confronti di “atteggiamenti che possano inneggiare o esprimere condivisione del fascismo, della violenza e della discriminazione”, il vicepresidente vicario della Fidaf, Fabio Tortosa, ha annunciato le sue dimissioni “da tutti gli incarichi a me assegnati in seno alla Fidaf”.
L’ex poliziotto del G8 di Genova ha comunicato la sua decisione via social da quello stesso profilo “Giorgio Chinaglia Ostia” con il quale – come rivelato da Repubblica – il dimissionario Tortosa aveva inviato decine di messaggi di insulti e intimidatori a tesserati della Federazione, coi quali era evidentemente in disaccordo.
Nel suo lungo e polemico post, tra vittimismo e nuovi attacchi scomposti agli “organi di stampa” (questo giornale, reo di avere condotto un’inchiesta a lui evidentemente sgradita, ndr) Tortosa parla di “gogna mediatica”, di “beceri e pretestuosi attacchi alla sua persona” e di “accuse farneticanti” ai “danni del nostro sport”.
Ovviamente non smentisce nulla di quanto riportato nell’inchiesta sui saluti fascisti e sulle “esuberanze” nostalgiche di coach, team manager, atleti. Ma comunica il passo indietro e la “personale presa di posizione” “al fine di “tutelare l’integrità della nostra Federazione”.
Orlando nel suo intervento dopo la nostra inchiesta, pur non nominandolo direttamente, sembra aveva puntato l’indice proprio contro Fabio Tortosa. Queste le parole cn cui il numero 1 Fidaf ribadisce massimo rigore nei riguardi di “dirigenti Fidaf che sui social e verso la stampa assumano toni ed espressioni che esprimono intolleranza e il rifiuto ad un dialogo sereno e di civile confronto”.
Un ingrandimento che ha portato a galla diversi casi imbarazzanti – per usare un eufemismo: atleti azzurri minorenni immortalati mentre fanno il saluto romano durante un ritiro a Cecina; team manager che pubblicano fieri quelle immagini in rete; coach della nazionale maggiore che salutano col braccio teso in campo al termine dell’inno di Mameli ai campionati europei in Svezia; allenatori che sfoggiano croci celtiche al collo; episodi sempre legati a esibizioni di simboli fascisti frettolosamente e curiosamente archiviati dalla procura federale; grida naziste da parte degli atleti di alcuni club di football americano di Roma; massimi dirigenti che pubblicano messaggi social offensivi e intimidatori indirizzati a altri tesserati.
E’ il caso, quest’ultimo, del vicepresidente vicario della Fidaf, Fabio Tortosa, ex poliziotto coinvolto nel massacro all’interno della scuola Diaz al G8 di Genova (“Carlo Giuliani è uno che fa schifo anche ai vermi”).
L’uomo che dovrà giudicare gli episodi emersi – alcuni dei quali già oggetto di indagine e di procedimento disciplinare – è il Procuratore federale Stefano Palazzi. Al quale Orlando esprime “piena fiducia” certo che con il suo operato “garantirà il rispetto di regole di comportamento applicando ogni conseguente determinazione”.
Insomma: se si sta alle parole di Leoluca Orlando e al suo tempestivo intervento, è evidente che la Fidaf ha voluto correre subito ai ripari. Se davvero ci sarà tolleranza zero nei confronti di nostalgici, cuori neri e dirigenti dai modi a dir poco bruschi, staremo a vedere. Certamente è questo l’auspicio.
(da La Repubblica)

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L’INTELLIGENCE USA IN ALLARME PER IL CASO VERDINI-HUAWEI

Gennaio 6th, 2024 Riccardo Fucile

IL COLOSSO CINESE AVEVA INGAGGIATO LA SOCIETA’ DI VERDINI PER FARE ATTIVITA’ DI LOBBYING IN ITALIA… GLI INCONTRI CON MINISTRI, SOTTOSEGRETARI E MANAGER HANNO MESSO IN ALLARME I SERVIZI SEGRETI

Un affare di sicurezza nazionale, che preoccupa e non poco l’intelligence americana e italiana. Non è, dunque, solo una storia di lobby e affari quella degli incontri tra Huawei e rappresentanti di governo, istituzioni e grandi aziende procacciati dai Verdini, che con la loro società di consulenza (ora sotto inchiesta della procura di Roma) avevano ottenuto l’incarico dal colosso cinese delle telecomunicazioni.
Questa è anche una vicenda che fa riaffiorare i sospetti che negli ultimi anni hanno avvolto Huawei per via dei suoi legami con il governo della Repubblica popolare. Domani ha raccontato degli incontri che – prima e dopo le elezioni del 2022 – Huawei ha ottenuto o cercato di ottenere con diversi esponenti del nuovo esecutivo. Nella lista ci sono gli incontri con il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e con un altro leghista, il sottosegretario all’Economia Federico Freni. Ci sono anche due pezzi da novanta di Fratelli d’Italia: il presidente del Senato Ignazio La Russa, che ha incontrato Tommaso Verdini prima dell’elezione a seconda carica dello Stato; e hanno tentato anche con il ministro della Difesa Guido Crosetto, che a questo giornale ha detto di non averli «mai visti».
Le riunioni servivano a Huawei per conoscere gli esponenti del nuovo esecutivo, date le posizioni fortemente filo statunitensi dei partiti della maggioranza. Ad aver declinato bruscamente sono stati il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alessio Butti. Alle nostre domande, Huawei ha deciso di non rispondere. La questione però supera i confini della politica, e interessa, appunto, la sicurezza del paese.
SAPERE È POTERE
I legami tra Huawei e il governo cinese hanno riempito pagine e pagine di rapporti delle intelligence occidentali. Del resto il nostro paese non è nuovo a eventi che hanno attirato l’attenzione degli 007 alleati: Domani aveva raccontato della diplomazia parallela condotta da Salvini sulla guerra in Ucraina che incontrò in segreto l’ambasciatore russo a Roma. All’epoca la Lega faceva parte del governo Draghi, che però non era stato avvertito. Un episodio che fece scattare il livello di allerta nei servizi segreti. Peraltro il protagonista, cioè Salvini, è a capo di un partito filorusso e coinvolti nella trattativa del Metropol, ossia il tentativo di ottenere un finanziamento russo per le elezioni europee del 2019.
L’intelligence americana e italiana sa bene che negli anni della creazione delle infrastrutture per la rete 5G Huawei ha cercato di inserirsi cercando sponde e appoggi. Più recentemente, ha invece cercato di affievolire il ricorso al golden power. Non solo: per quanto a conoscenza di Domani, le attività di lobbying e di ricerca informazioni condotte erano in particolar modo rivolte a conoscere i nomi delle persone all’interno degli apparati dello Stato coinvolte nella stesura delle prescrizioni sui progetti delle reti 5G presentate dagli operatori delle telecomunicazioni stranieri. Il motivo? «Sapere è potere», si limita a dire una fonte autorevole e qualificata a conoscenza della vicenda. Quanto emerso fino a ora potrebbe essere solo l’inizio di una storia molto più complessa, che potrebbe creare qualche grana all’azienda e ai dirigenti coinvolti.
Il rapporto Verdini-Huawei nasce nel 2019. L’interfaccia con i lobbisti indagati era Eduardo Perone, ex direttore acquisti di Tim, entrato in azienda nel 2018 come vicepresidente. Domani ha chiesto un commento a Huawei e a Perone, che non hanno voluto rispondere. Proprio nel 2019, il Dipartimento per le informazioni per la sicurezza aveva lanciato un allarme nella sua relazione al parlamento sulle «aggressive strategie di penetrazione del mercato perseguite da player stranieri pure attraverso […] attività di lobbying/networking». Non si fa il nome del colosso cinese, ma quello era l’anno della firma del Memorandum sulla Via della Seta del governo Cinque stelle-Lega con la Cina.
Sempre nel 2019 la Cia aveva accusato Huawei di ricevere finanziamenti dal governo, dall’esercito e dai servizi di intelligence cinesi. L’anno precedente, dati questi sospetti, gli Stati Uniti avevano estromesso Huawei dalla realizzazione della rete 5G. Da allora aumentano gli alert, che coinvolgono anche il nostro Copasir, il comitato parlamentare sulla sicurezza della Repubblica, che più volte si è occupato di Huawei esprimendo preoccupazioni. Proprio per diradarle la società cinese si sarebbe rivolta alle società di Verdini.
A quei tempi i soci della Inver erano Tommaso e Francesca Verdini, compagna del vice premier Matteo Salvini, che ha venduto le quote nell’estate del 2021 poco prima dell’inizio dell’inchiesta della finanza. Prima che Francesca Verdini lasciasse la società, la Inver ha realizzato l’incontro – raccontato da Domani – con l’allora ad di Tim Luigi Gubitosi. Successivo è l’incontro con l’ex direttore della Agenzia per la cybersicurezza Roberto Baldoni: con lui si è parlato di un’iniziativa di sensibilizzazione che Huawei avrebbe voluto realizzare nelle scuole con il patrocinio di Acn. Molto infastidito dalla richiesta, Baldoni avrebbe nettamente rifiutato.
Tutto ciò che riguarda i rapporti dello Stato con l’azienda è questione classificata per motivi di sicurezza. Emergono invece dalle carte dell’inchiesta della procura di Roma le relazioni tra i suoi dirigenti e i Verdini. Relazioni che continuano anche dopo le perquisizioni dell’estate 2022, con un uomo di Huawei che avrebbe fatto sapere ai Verdini che la società aveva aperto una «compliance interna, operando una valutazione del contratto in essere con Inver». Per aggirare l’ostacolo, quindi, gli propone di passare il contratto da 10mila euro al mese, più bonus, a un’altra società indicata dai Verdini. E così è stato. Così i Verdini hanno continuato ad arricchirsi assicurando a Huawei incontri con i vertici dello Stato. Incontri che hanno creato una certa preoccupazione nell’intelligence italiana e americana. Per la facilità con cui in Italia si può incrociare un ministro. Soprattutto se è cliente di un brand familiare chiamato Verdini.
(da editorialedomani.it)

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LE TASSE REALI CHE SI PAGANO IN ITALIA SONO DEL 47.4%, SUPERIORI DI 5 PUNTI AL DATO UFFICIALE

Gennaio 6th, 2024 Riccardo Fucile

LO RIVELA L’UFFICIO STUDI DELLA CGIA DI MESTRE

Nel 2023 i contribuenti italiani fedeli al fisco hanno subito una pressione fiscale reale del 47,4 per cento: quasi 5 punti in piu’ rispetto al dato ufficiale, che l’anno scorso si e’ attestato al 42,5 per cento. A dirlo e’ l’Ufficio studi della Cgia.
Perché questa differenza?
Il nostro Pil, come del resto quello di molti altri Paesi dell’Unione Europea, comprende anche gli effetti dell’economia non osservata il cui contributo alle casse dello Stato è per definizione nullo. Pertanto, alla luce del fatto che la pressione fiscale e’ data dal rapporto tra le entrate fiscali e il Pil, se da quest’ultimo storniamo la componente riconducibile al sommerso, il peso del fisco in capo ai contribuenti onesti sale inevitabilmente, consegnandoci un carico fiscale reale per il 2023 del 47,4 per cento. Si tratta di un livello di 4,9 punti superiore a quello ufficiale che, invece, si è attestato al 42,5 per cento.
Meno tasse ma pochi se ne sono accorti
Nel 2023 il prelievo fiscale e’ finalmente sceso: rispetto all’anno precedente la pressione fiscale e’ diminuita di 0,2 punti percentuali, grazie alla rimodulazione delle aliquote e degli scaglioni dell’Irpef e al modesto aumento del Pil. Analogamente, anche nel 2024 il peso complessivo delle tasse e dei contributi sulla ricchezza prodotta nel Paese dovrebbe scendere. Tuttavia, è verosimile ritenere che la gran parte degli italiani, purtroppo, non se ne sia accorta, poiché allo stesso tempo, è cresciuto il costo delle bollette, della Tari, dei ticket sanitari, dei pedaggi autostradali, dei servizi postali, dei trasporti, etc. Insomma, se le tasse sono diminuite, il peso delle tariffe invece è salito creando un effetto distorsivo. In sintesi, i contribuenti non hanno potuto beneficiare pienamente della diminuzione della pressione fiscale perché, nel frattempo, sono aumentate le tariffe che, a differenza delle tasse, statisticamente non vengono incluse tra le voci che compongono le entrate fiscali.
Ecco perché la pressione fiscale è al 47,4%
Nel 2021 (ultimo dato disponibile) l’economia non osservata ammontava a 192 miliardi di euro (pari all’11,7 per cento del valore aggiunto nazionale), di cui 173,8 miliardi erano attribuibili al sommerso economico e altri 18,2 alle attivià’ illegali. Nei dati riportati in questa news, l’Ufficio studi della Cgia ha ipotizzato, prudenzialmente, che l’incidenza dell’economia sommersa e delle attività illegali sul Pil nel biennio 2022-2023 non abbia subito alcuna variazione rispetto al dato 2021.
I calcoli del Mef
Ribadendo che la pressione fiscale ufficiale e’ data dal rapporto tra le entrate fiscali e il Pil, se dalla ricchezza del Paese scorporiamo la quota riconducibile all’economia non osservata che non apporta gettito alle casse dello Stato, il Prodotto interno lordo diminuisce (quindi si riduce il valore del denominatore), facendo aumentare il risultato che emerge dal rapporto tra il gettito fiscale e il Pil. L’Ufficio studi della Cgia tiene comunque a precisare che la pressione fiscale ufficiale calcolata anche dal ministero dell’Economia e delle Finanze (nel 2023 al 42,5 per cento) rispetta fedelmente le disposizioni metodologiche previste dall’Eurostat.
Le stime sull’evasione
Nei giorni scorsi è stato aggiornato il report sull’economia sommersa e sull’evasione fiscale e contributiva presente in Italia. I dati del ministero stimano in 83,6 miliardi il tax gap presente nel Paese. Sebbene il mancato gettito rispetto agli anni precedenti sia in calo, la tipologia di imposta maggiormente soggetta ad evasione in Italia rimane l’Irpef dei lavoratori autonomi, per un importo pari a 30 miliardi di euro che corrisponde ad una propensione al gap nell’imposta del 67,2 per cento. Questo vuol dire che, secondo i tecnici del Mef, i lavoratori autonomi versano solo un terzo dell’Irpef che teoricamente dovrebbero pagare all’erario
Senza entrare nel merito della metodologia di calcolo utilizzata che, a nostro avviso, appare alquanto discutibile, ci limitiamo a dimostrare l'”inattendibilità” di questo risultato mediante alcune semplici considerazioni. Secondo le dichiarazioni dei redditi dei lavoratori autonomi in contabilità semplificata del Nord (praticamente artigiani e commercianti), nell’anno di imposta 2021 gli stessi hanno dichiarato mediamente 33 mila euro lordi. Segnaliamo che oltre il 70 per cento di queste partite Iva e’ composto dal solo titolare dell’azienda (in altre parole lavora da solo). Bene. Se, come sostiene il Mef, queste attività evadono poco più del 67 per cento dell’Irpef, quanto dovrebbero dichiarare se fossero rispettosi delle richieste dell’erario? Il 115 per cento in più, vale a dire poco più di 73 mila euro all’anno. Ora, come possono “raggiungere” nella realtà una soglia di reddito cosi’ elevata se la stragrande maggioranza lavora da solo, quindi è poco più di un lavoratore dipendente, e al massimo può lavorare 10 ore al giorno, senza contare che durante questo nastro orario deve rapportarsi anche con i clienti, con i fornitori, con altre aziende, con il commercialista, con la banca, con l’assicurazione e come tutti i comuni mortali, puo’ infortunarsi, ammalarsi, prendersi delle ferie, etc., etc.?
La stima sull’evasione non include i “minimi”
Ovviamente, nessuno può nascondere che anche tra i lavoratori autonomi ci siano delle sacche di evasione che vanno assolutamente contrastate. Tuttavia, le stime messe a punto dal MEF non convincono, anche alla luce del fatto che l’analisi non include il tax gap riconducibile agli autonomi esclusi dal pagamento dell’Irap. Vale a dire quelli che hanno scelto il regime fiscale dei “minimi”, una buona parte delle imprese agricole, i professionisti privi di autonoma organizzazione e il settore dei servizi domestici. Complessivamente stiamo parlando di ben oltre la meta’ dei lavoratori indipendenti presente nel nostro Paese (circa 2,5 milioni). Ebbene, se fosse considerata anche l’evasione di questi ultimi, che picco toccherebbe l’evasione del cosiddetto popolo delle partite Iva? Appare pertanto evidente che i dati presentati dal Mef nei giorni scorsi siano poco “attendibili”.
(da agenzie)

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