Gennaio 10th, 2024 Riccardo Fucile
IL SENSO DI RESPONSABILITA’ PER IMPEDIRE CHE I GIOVANI DI SINISTRA E DI DESTRA CONTINUASSERO A SPARARSI PER STRADA… OGGI A DESTRA SOLO FOLKLORE E ARROGANZA, A SINISTRA VECCHI REFRAIN E INCAPACITA’ DI ANALISI
Fu proprio il raid omicida di Acca Larentia del 1978 che creò l’addio di
tanti giovani all’Msi: la generazione dei Mambro e dei Fioravanti lascia il partito e si avvia verso la stagione del terrorismo, la tragica stagione dei Nar e degli altri movimenti eversivi neofascisti.
Da quel momento tra Msi e terrorismo nero le distanze diventano incolmabili, le due parti diventano una nemica dell’altra ed è in quel clima avvelenato che accade qualcosa che ancora oggi stupisce.
Enrico Berlinguer e Giorgio Almirante, avversari politici tutti d’ un pezzo, decidono di vedersi e di parlarsi.
Naturalmente nessuno deve sapere nulla, i rispettivi militanti non capirebbero e tuttavia nella massima segretezza i capi della sinistra e della destra in Parlamento, nel 1978 e nel 1979 si incontrano più volte a quattr’occhi in un ufficio della Camera nei fine settimana, quando i deputati erano nei collegi.
Nessuno può vederli e nessuno li vedrà e infatti per anni non se ne saprà nulla. Per la verità non si è mai saputo cosa esattamente si dissero i due, si è capito soltanto che cercarono di capire come fosse possibile impedire che i giovani di sinistra e di destra continuassero a spararsi per strada, tra l’altro facendo il gioco della Dc, che in quel periodo cavalcava il refrain: “avanti al centro contro gli opposti estremismi”.
Certo, sarebbe velleitario immaginare che le attuali leadership della sinistra e della destra siano capaci, di punto in bianco, di rinunciare al loro lessico e al loro animo settario. Ma il precedente di Berlinguer ed Almirante, chissà perché così dimenticato, restituisce la realtà di una politica antropologicamente diversa dall’attuale, spasmodicamente concentrata sull’”effetto che fa”.
Allora Berlinguer e Almirante, incontrandosi lontano dai riflettori, non pensarono all’apparenza, al ritorno immediato.
Personaggi diversissimi, politicamente e umanamente, riuscirono a capire che per salvare una generazione, valeva la pena correre il rischio che qualcuno li vedesse, che qualcuno sapesse di quei loro incontri.
Così scandalosi e così umani.
(da Huffingtonpost)
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Gennaio 10th, 2024 Riccardo Fucile
MACRON PREPARA LA VENDETTA CONTRO LA DUCETTA, CHE HA OSATO APRIRE LA PORTA A MARINE LE PEN: SBATTERE FUORI L’ITALIA DAL MES E NOMINARE SUBITO DRAGHI COME PRESIDENTE DEL CONSIGLIO EUROPEO… COSÌ, DOPO LE EUROPEE, LA REGINA DELLA GARBATELLA, NON POTENDO DIRE DI NO A “MARIOPIO”, DOVRÀ PUPPARSI UN COMMISSARIO DI SERIE B
La tenuta politica e psicologica della maggioranza di Governo, di
giorno in giorno, si lega sempre più alle elezioni europee del prossimo giugno.
In ballo, ovviamente, non ci sono solo seggi all’Europarlamento, ma dinamiche politiche più complesse, che riguardano la stabilità dell’esecutivo, i rapporti tra i partiti alleati, le ambizioni di Giorgia Meloni in Europa e la considerazione che i partner dell’Ue hanno, e avranno, per l’Italia.
L’ennesimo tribolo lanciato sulla strada di Giorgia Meloni arriva dal suo più acerrimo nemico, cioè Matteo Salvini. Il leader della Lega, in modalità “Capitan Fracassa” (che s’agita e sbraita ma mostra tutta la sua debolezza) ha annunciato di non volersi candidare alle Europee per evitare un impietoso confronto con la sora Giorgia, che, oggi, lo schiaccerebbe. Il segretario del Carroccio non ha mancato di rifilare una stoccata polemica alla “sua” premier: “Non so cosa faranno gli altri leader. Io non mi candido. Resto a fare il ministro dei Trasporti”.
Parole che sono suonate come un ceffone alla smania di Giorgia Meloni di candidarsi. Della serie: ho molto da fare io al ministero, figuriamoci tu a Palazzo Chigi e con la presidenza di turno del G7.
Anche Antonio Tajani ha infilato il dito nella piaga, infilzando la premier sulla sua candidatura all’Europarlamento e chiedendo un “tutti o nessuno”.
La regina della Garbatella se ne impipa, anzi, smania per portare a casa una vittoria schiacciante, che la metta in condizione di dominare la coalizione di centrodestra, mettendo all’angolo sia Forza Italia che la Lega.
Il sogno è un plebiscito che porti Fratelli d’Italia ben oltre il risultato delle politiche, verso la quota d’oro del 32% (nota per gli smemorati: anche Renzi e Salvini portarono a casa risultati eccezionali alle Europee, e poi videro iniziare il loro declino).
A spingere Giorgia Meloni all’all-in con la candidatura è il sottosegretario di Palazzo Chigi e suo braccio destro (e sempre teso), Giovanbattista Fazzolari.
La convinzione dell’ideologo di Colle Oppio è che un’affermazione schiacciante di Fratelli d’Italia rinsaldi la leadership della Meloni e dia un orizzonte di legislatura solido al Governo.
Ma questa convinzione del piffero dimostra che la politica non bisogna solo farla, ma anche capirla. Il plebiscito che sognano a Palazzo Chigi, infatti, non porterebbe nessun concreto vantaggio, nell’immediato, ma soltanto altre rogne.
Qualora Fratelli d’Italia facesse manbassa di voti, spolpando e umiliando Lega e Forza Italia, si ritroverebbe a dover governare con due alleati feriti, e dunque pericolosi: spingere Salvini e Tajani sull’orlo dell’estinzione politica potrebbe avere un effetto disgregante sulla coalizione.
Nel momento in cui i due junior partner non hanno più niente da perdere, allora qualsiasi scenario diventa plausibile. Già circondati da nemici interni che aspettano di far loro la pelle, i due vicepremier rischiano poltrona e carriera, se alle Europee i loro partiti tracollassero.
Un boom elettorale di Fdi, inoltre, non avrebbe automaticamente risvolti positivi in Europa, dove lo scetticismo e la diffidenza nei confronti del governo italiano di destra-centro aumenta con il passare dei mesi. Insomma, una super-affermazione non obbligherebbe i partner europei a una maggiore disponibilità verso la “Floriana di Palazzo Chigi”.
E anche l’aritmetica non depone a favore della Ducetta: portare a casa più seggi nel Parlamento europeo non sposterà gli equilibri, visto che Popolari, Socialisti e Liberali, insieme, hanno già la maggioranza.
Come scrive oggi, sulla “Stampa”, Marco Bresolin: “Arrivano brutte notizie per i progetti politici europei di Giorgia Meloni. Il capogruppo dei liberali, il macroniano Stéphane Séjourné, ha ribadito il “no” di Renew a un’alleanza di centrodestra all’Europarlamento con il Ppe e i Conservatori: ‘È fuori discussione. Dentro Ecr ci sono forze politiche con le quali per noi è impossibile collaborare’. E proprio ieri il leader dei nazionalisti fiamminghi della N-Va – il ministro-presidente delle Fiandre, Jan Jambon – ha annunciato l’intenzione di uscire dal partito guidato da Giorgia Meloni: ‘Dentro Ecr non ci sentiamo più a casa’”.
E se dentro Ecr non si sentono a casa i nazionalisti fiamminghi, figuriamoci quale può essere la considerazione dei popolari tedeschi verso un’aggregazione di mal-destri e nostalgici.
Nel mirino non ci sono solo i neo-franchisti spagnoli di Vox, ma anche certi vecchi arnesi post-missini che ancora gravitano attorno a Fratelli d’Italia.
Al silenzio della premier italiana di fronte ai saluti romani di Acca Larentia fa da contraltare l’affondo di Manfred Weber, presidente del Ppe: “In Europa non c’è posto per il saluto fascista e noi lo condanniamo con la massima fermezza”.
In più, Giorgia Meloni dovrà affrontare il suo principale antagonista in Europa: Emmanuel Macron.
Quando, nei giorni scorsi, la premier ha chiuso all’ipotesi di un dialogo con le svastichelle tedesche di Alternative fur Deutschland, è stata bene attenta a non escludere una possibile alleanza con Marine Le Pen.
Un clamoroso autogol per la premier turbo-atlantista, visto che la valchiria francese ha da sempre un legame speciale con Putin (ha ricevuto più di 9 milioni di euro dalla Russia per finanziare le proprie campagne elettorali).
Non è a conoscenza, la Meloni, della corrispondenza di amorosi sensi tra Le Pen e Putin? Da amica della Nato e di Zelensky, ora vuole dialogare con gli amici di Mosca in Europa? Poteva non sapere, inoltre, che tendere la mano alla leader del Rassemblement National avrebbe mandato su tutte le furie quel virile galletto di Macron?
Il presidente francese, in modalità pazzariella del Moulin Rouge, ha iniziato a scalciare e a preparare la sua “vendetta”.
Macron, da sette anni nel Consiglio europeo, è ormai un navigato manovratore: conosce tutti, ha coltivato relazioni, sa bene come esercitare la sua influenza. Sa anche come “inchiodare” un avversario al muro.
Il corpo contundente con cui colpire l’Italia potrebbe essere il Mes: l’idea del presidente francese, che sarà proposta al prossimo Ecofin del 16 gennaio (i tecnici sono al lavoro per valutarne la fattibilità), è di restituire a Roma i miliardi versati per il Fondo salva Stati (come si legge sul sito di Bankitalia, abbiamo “sottoscritto il capitale del MES per 125,3 miliardi, versandone oltre 14) e creare un Mes a 19, senza l’Italia (che si è autoesclusa, non ratificando il nuovo accordo).
Un altro calcione da assestare a Roma passa per la nomina di Draghi alla Presidenza del Consiglio europeo.
Portare immediatamente “Mariopio” al posto di Charles Michel, che ha deciso di candidarsi al Parlamento Ue (e potrebbe dimettersi a breve) permetterebbe innanzitutto di disinnescare il pasticciaccio di un’eventuale interim di Viktor Orban.
La manovra, però, ha un occhio al post-Europee: con Draghi già in sella, dopo il voto sarà più facile proporne la conferma, e fregare Giorgia Meloni. Con una figura così autorevole, in una poltrona rilevante, sarà facile dire al governo italiano: “Avete già la guida del Consiglio europeo, vi dovete accontentare di un commissario di seconda fascia”.
(da Dagoreport)
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Gennaio 10th, 2024 Riccardo Fucile
ARCELOR È PRONTO A SCENDERE IN MINORANZA, MA VUOLE MANTENERE IL CONTROLLO DELLA GOVERNANCE CON INVITALIA – IL GOVERNO PUNTA ALL’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, CON IL RISCHIO DI UNA GUERRA LEGALE
Era già tutto scritto. La posizione di Arcelor Mittal espressa lunedì
nell’incontro con i ministri italiani era stata già formalizzata in una lettera inviata il 5 dicembre dell’anno scorso da Arcelor Mittal SA, 24-26 Boulevard d’Avranches, Luxembourg. Il documento riservato, che il Sole 24 Ore ha reperito, non è partito da Londra, dunque, il quartiere generale strategico del gruppo controllato dalla famiglia indiana Mittal. Ma dal Lussemburgo, la cassaforte del gruppo.
Perché le contestazioni contenute nella missiva indirizzata al ministro Raffaele Fitto – un mese prima che l’amministratore delegato del gruppo, Aditya Mittal, litigasse a Palazzo Chigi con metà del governo Meloni – hanno una forte connotazione finanziaria. Sia nella querelle sul futuro dell’ex Ilva, sia nella contestazione sul passato operata dal socio privato.
Per esempio, sulla questione dei 320 milioni di euro necessari per togliere Acciaierie d’Italia dalle secche della illiquidità, già si legge nella lettera di oltre un mese fa: «Siamo convinti che la parte di cassa necessaria a colmare il gap finanziario di breve termine dovrebbe essere fornita dalla parte pubblica, in modo da cominciare a ridurre il disequilibrio rispetto al nostro investimento e gli effetti pregiudizievoli della mancanza delle misure di sostegno».
Esattamente quanto ricostruito dalle cronache sull’incontro di ieri l’altro, quando Arcelor Mittal ha detto sì alla ipotesi che l’intero importo da 320 milioni di euro venisse fornito dal socio pubblico e, anche, alla conversione del vecchio finanziamento da 680 milioni in quote di capitale da parte di Invitalia.
Sui soldi, la lettera esprime la convinzione che il socio privato abbia messo molto più denaro del socio pubblico. Una convinzione che, appunto, lunedì è stata alla base del no dei Mittal alla richiesta di partecipare a ulteriori aumenti di capitale, dopo la diluizione al 34%. Si legge infatti nella lettera: «Abbiamo investito in Acciaierie d’Italia in modo asimmetrico. Considerando il nostro investimento da 1,87 miliardi di euro nel capitale e l’importo dei crediti commerciali non pagati, la nostra esposizione finanziaria totale nei confronti di Acciaierie d’Italia supera i due miliardi di euro, quasi il doppio dell’investimento della parte pubblica di 1,08 miliardi».
Molto, se non tutto, era già scritto nella lettera di un mese fa. Sul tema dei diritti di voto si legge: «Arcelor Mittal ha concesso a Invitalia una partecipazione iniziale del 38% e il controllo congiunto di Acciaierie d’Italia».
E, ieri, le fonti italiane prossime ad Arcelor Mittal lamentavano che «la proposta di Invitalia di funding e diluizione al 34% di Arcelor Mittal prevede anche la cessazione del controllo condiviso al 50% tra i due soci. Controllo condiviso del quale invece oggi beneficia Invitalia, detentrice del 38%. Arcelor Mittal si sarebbe aspettata invece di poter continuare a esercitare il ruolo di partner industriale di Invitalia, con il medesimo status di controllo al 50% anche a pesi azionari invertiti». Insomma, quasi una postilla alla lettera di oltre un mese fa.
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2024 Riccardo Fucile
IL PRIMO, CHE CAUSÒ LA ROTTURA CON FEDERICO ZERI, AVVENNE NEL 1984: SGARBI TENTÒ DI USCIRE DAL COURTAULD INSTITUTE DI LONDRA CON UN PREZIOSO LIBRO IN MANO, E FECE SCATTARE L’ANTITACCHEGGIO…IL QUADRO DI AGOSTINO DA LODI CON MAXI-PLUSVALENZA, L’OROLOGIO RUBATO DI ROBERTO LONGHI E L’AUGURIO DI MORTE A ZERI E DANIELA PASTI
Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. E figuriamoci se uno come Vittorio Sgarbi può cedere alle insidie del tempo e mutare pelle. D’altronde il “critico d’urto” è un osso duro, testardo come pochi, è “il classico figlio del farmacista che non ha mai fatto un cazzo” (copyright Aldo Busi).
L’inchiesta, che vede Sgarbi indagato per riciclaggio di beni culturali, riguarda il furto del dipinto di Cutilio Manetti (sparito dal castello di Buriasco nel 2013 e riapparso a Lucca nel 2021 come “inedito” di proprietà dello stesso “Vecchio Sgarbone”) non è il primo spiacevole episodio in cui resta coinvolto il sottosegretario.
Nel suo passato – ah, come ti trapassa il passato! – ci sono altre circostanze incresciose e imbarazzanti.
La più sgradevole ebbe luogo al Courtauld Institute, a Londra, nel 1984. Sgarbi all’epoca andò nella capitale britannica al seguito di Federico Zeri, di cui era assistente. Zeri doveva tenere una importante conferenza e Vittorione avrebbe dovuto presenziare, brigando, come ogni factotum fa, per la buona riuscita dell’intervento.
Invece l’incontinente Sgarbi si ritrovò nei guai: tentò di uscire dal Courtauld Institute, portando con sé un prezioso libro della collezione. Essendo la biblioteca dotata di un sistema di antitaccheggio, il suo passaggio fece squillare l’allarme, e lui fu fermato con il volume in mano… Fu tale l’imbarazzo che, da quel momento, Zeri tagliò i ponti con l’allora giovane assistente, il quale ricambiò con spremute di livore e augurandogli la morte in diretta tv, al Maurizio Costanzo Show.
E poi c’è il caso del famoso quadro di Agostino da Lodi, comprato per otto milioni e rivenduto a Leonardo Mondadori per 220, dopo un abbondante restauro.
In un’altra circostanza, la scrittrice e critica d’arte Anna Banti accusò Vittorio Sgarbi di aver rubato l’orologio d’oro del marito, il critico e storico, Roberto Longhi, diffidandolo dal rimettere piede nella Fondazione intitolata a Longhi.
Di questi e altri prodigi, scrisse Daniela Pasti in un articolo del 23 giugno del 1990 per “la Repubblica”. La giornalista, che aveva osato raccontare le vicissitudini di Sgarbi, fu querelata, e poi assolta, con l’accusa di diffamazione. Anche a lei, come già a Zeri, Sgarbi riservò le sue contumelie augurandole il trapasso.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 10th, 2024 Riccardo Fucile
SECONDO RUMORS, LA MOSSA È IL PRIMO PASSO DEL PROPRIETARIO DI “MSC” PER ENTRARE PREPOTENTEMENTE NEL CAMPO DELL’EDITORIA. E MAGARI PRENDERSI ALTRI PEZZI PREGIATI DALL’EX “GRUPPO ESPRESSO” CHE JOHN ELKANN STA SMANTELLANDO
La voce corre da qualche tempo: l’armatore miliardario Gianluigi
Aponte sarebbe interessato a rilevare lo storico quotidiano genovese Secolo XIX. Il giornale è oggi parte di Gedi – società editoriale guidata dall’erede di casa Agnelli John Elkann, proprietaria di varie testate tra cui Repubblica e La Stampa – a sua volta al centro di forti rumors su possibili vendite di pezzi del gruppo.
E questo potrebbe essere in realtà il vero progetto di Aponte, originario di Sorrento e trapiantato in Svizzera, alla guida di un impero sconfinato che spazia dalle navi alla logistica, passando per treni e aerei: mettere un piede nell’editoria italiana partendo da un giornale locale, per poi eventualmente allargarsi. Magari proprio all’interno di quel gruppo Gedi che, nonostante le più classiche smentite, secondo indiscrezioni di mercato sarebbe aperto a valutare offerte.
Del resto, alla fase di mega concentrazione editoriale seguita alla fusione con il vecchio Gruppo Repubblica-l’Espresso guidato dalla famiglia De Benedetti sono seguite cessioni a catena: La città di Salerno; Il Tirreno; le gazzette emiliane (Gazzetta di Reggio, la Gazzetta di Modena e la Nuova Ferrara); la Nuova Sardegna; i giornali del Nordest (Il Mattino di Padova, La Tribuna di Treviso, La Nuova di Venezia e Mestre, Il Corriere delle Alpi, Il Messaggero Veneto, Il Piccolo, la testata online Nordest Economia).
Uno smantellamento complessivo, di cui è difficile intravedere una vera strategia, che ha investito anche testate storiche come MicroMega e l’Espresso , forse il colpo più forte dal punto di vista simbolico
Se le voci dovessero essere confermate, al panorama dell’informazione italiana si aggiungerebbe dunque l’ennesimo editore “impuro”, talmente di peso da risultare ingombrante: Aponte avrebbe il pregio di essere tra gli imprenditori più liquidi al mondo e il difetto di avere interessi in molti settori.
A cominciare dal porto di Genova, in cui ormai Aponte sembra quasi giocare un ruolo da monopolista: controlla gran parte del traffico crocieristico, con il colosso Msc e la concessione delle stazioni marittime; è socio unico del terminal Bettolo; socio di minoranza nel terminal Rinfuse; è entrato in società con il gruppo armatoriale Messina; si è comprato la storica società Rimorchiatori Riuniti.
Spaziando oltre i confini portuali il gruppo Aponte si è allargato ai treni, acquisendo Italo, e possiede una compagnia di aereo cargo, e un fedelissimo, il manager Alfonso Lavarello, guida oggi l’aeroporto di Genova.
Alcune società di Aponte, inoltre, hanno finanziato la campagna elettorale del governatore ligure Giovanni Toti. Un ulteriore elemento che ha spinto la redazione del Secolo XIX a chiedere chiarimenti sulle indiscrezioni, smentite però in modo categorico dall’azienda. Almeno per ora.
(da il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 10th, 2024 Riccardo Fucile
ALLARME CAMPAGNA VACCINAZIONI, BASSETTI: “UN DISASTRO”
Pronto soccorso in difficoltà e pochissime vaccinazioni. I contagi da influenza stagionale e Covid-19 stanno crescendo velocemente, e così anche la pressione sul sistema sanitario nazionale.
Con la morte in poche ore di due pazienti per infezione da influenza H1N1 all’ospedale San Bortolo di Vicenza, è aumentato anche il livello di allerta, già alto a causa delle numerose infezioni anche tra i bambini e al boom di bronchioliti.
«La campagna vaccinale è stata disastrosa e questi sono i risultati», ha sbottato Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive ospedale San Martino di Genova.
Seguito dalla ConFederazione degli oncologi, cardiologi ed ematologi – Foce, che stigmatizza i bassissimi numeri delle vaccinazioni soprattutto tra i più fragili. Secondo la direzione Sanità del Veneto, dove sono morti due pazienti per l’H1N1 e altri tre si trovano in gravissime condizioni, i ricoveri sono in linea con le stagioni influenzali del periodo pre-pandemico.
Motivo in più per essere critici, sottolinea Bassetti: «È una forma di influenza che conosciamo bene e ogni anno ci sono dei decessi. Nulla di nuovo all’orizzonte, purtroppo abbiamo vaccinato poco quest’anno». Inizialmente si era pensato che i decessi fossero stati causati dall’influenza suina, ma si tratta invece del virus stagionale che circola maggiormente dal 2009, non della sua variante.
Secondo Foce però non possono essere sottovalutate le difficoltà del sistema sanitario delle ultime settimane. L’organizzazione parla di un vero e proprio «caos nei nostri sistemi di emergenza, con molte centinaia di pazienti in attesa di trasferimento in reparti di degenza ordinaria o di terapia intensiva, tempi che possono durare anche diversi giorni». In alcune Regioni i medici sarebbero stati richiamati dalle ferie programmate per rispondere all’aumento dei ricoveri e delle richieste di cure.
La campagna vaccinale
È sempre Foce, nel comunicato, a riportare i numeri sui contagi e sulle vaccinazioni contro il Covid. «Nel 2023, da 40-50 decessi alla settimana a luglio/agosto si è passati a 150 morti a ottobre, a 290 a novembre, a 425 a fine dicembre per arrivare, nel 2024, a 371 in quest’ultima settimana», si legge nella nota.
Secondo la Confederazione di specialisti sono state sottovalutate le conseguenze di una campagna vaccinale troppo blanda, in un momento in cui l’influenza stagionale si è poi dimostrata più contagiosa e aggressiva. «Dall’inizio della campagna autunno-inverno al 4 gennaio 2024, nel nostro Paese sono stati vaccinati appena 1.927.035 cittadini. In particolare il 13,6% degli ultraottantenni, il 10,3% della fascia di età tra 70-79 anni e solo il 4,7% dei cittadini tra i 60-69 anni», prosegue, sottolineando come il crollo abbia riguardato anche la campagna vaccinale contro l’influenza stagionale. Colpa della «mancanza di qualsiasi programmazione ed organizzazione di una campagna vaccinale già difficile. Va evidenziato anche lo spreco di risorse pubbliche, dovuto al mancato utilizzo di enormi quantità di dosi vaccinali già acquistate dallo Stato».
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2024 Riccardo Fucile
“PER ENTRARE NEL GIRO BASTA ANDARE DA UN SIGNORE CHE, PER CIRCA 300 EURO, TI VENDE LA CHIAVETTA USB CON TUTTE LE IMMAGINI”…”VAI IN COPISTERIA E STAMPI QUELLE CHE VUOI”…LE PATACCHE VENGONO RIVENDUTE FINO A 100 EURO L’UNA AI TURISTI
Un acquerello dipinto a mano. Un oggetto per decorare la casa o
l’ufficio e ricordare la bella vacanza trascorsa a Roma. Peccato però che si tratti di una truffa di sedicenti artisti che fanno credere ai turisti di aver realizzato loro quell’opera quando in realtà si tratta semplicemente di banali stampe.
I romani lo sanno da anni, ma chi viene da fuori no. Specialmente i viaggiatori che arrivano da oltre oceano, noti per amare l’arte italiana. Ed è per questo che puntualmente ci cascano, facendo così arricchire i furbetti, a discapito dei veri pittori che lavorano nelle botteghe della Capitale. «In un mese, lavorando poche ore al giorno, si possono guadagnare oltre mille euro» racconta Julio, un 35enne albanese che da anni vive in provincia di Roma. Prima faceva il muratore, ma poi un amico gli ha detto che vendendo i quadretti si guadagnava meglio. E come Julio, in molti hanno fatto la stessa valutazione.
Si tratta principalmente di uomini stranieri. Li trovi ovunque, nelle piazze più frequentate, come la centralissima piazza Navona. Ma anche sul ponte di Castel Sant’Angelo o nelle viette storiche. Posizionano la merce a terra o, i più attrezzati, sugli espositori. Loro si mettono lì vicino, con tanto di colori e pennello, e fanno finta di dipingere, stando ben attenti a non far vedere il disegno che stanno, in teoria, realizzando.
I passanti, incuriositi dalle tante immagini colorate che raffigurano monumenti e scorci di Roma, si avvicinano. E li inizia la trattativa per comprare “l’opera”. «I più piccoli costano 20 euro, poi i prezzi aumentano a seconda delle dimensioni. I più grandi, che sono circa 50×70, li vendo a 100 euro» racconta Claudio, che dall’Est Europa è arrivato a Roma e ora vende i “suoi” dipinti a piazza Navona. Li vende e basta: se gli viene chiesto di riprodurne uno al momento, nonostante abbia lì con lui i colori, dice che in quel momento non può.
Per entrare nel giro «basta andare da un signore racconta Julio che sta spesso a piazza di Spagna. È lui che, per circa 300 euro, ti vende la chiavetta Usb con tutte le immagini. Poi tu vai in copisteria e stampi quelli che vuoi». Il segreto, spiega ancora, è il tipo di carta su cui stampi. Una particolare carta ruvida che assorbe l’inchiostro come se fosse il tocco di un pennello. «Alcuni li stampo direttamente a colori, altri invece in bianco e nero e poi li pitturo io»
(da Il Messaggero)
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Gennaio 10th, 2024 Riccardo Fucile
“E’ ARRIVATO ALLA FESTA “MOLTO ALLEGRO” SE NON “BRILLO”. E A UN CERTO PUNTO HA TIRATO FUORI LA PISTOLA (“LA MOSTRAVA A TUTTI”)…SI ATTENDE L’ESITO DELLO STUB
C’è chi lo ricorda incredulo, sdraiato sul tavolo dove l’avevano fatto adagiare in attesa dell’ambulanza: “Ma perché mi hai sparato?”, diceva Luca Fontana, il ferito dell’incredibile notte di Capodanno dei Fratelli d’Italia biellesi, al deputato Emanuele Pozzolo. Tra i testimoni c’è chi racconta che gli gridava, arrabbiato: “Non mi chiedi neanche scusa?”.
Il parlamentare vercellese non rispondeva. Era “impietrito”, ha detto Luca Zani, avvocato e consigliere comunale FdI a Biella, uno dei partecipanti al veglione di Rosazza. L’aveva organizzato Andrea Delmastro, leader locale del partito e sottosegretario alla Giustizia, nel borgo di montagna dove sua sorella Francesca è sindaca.
La Procura di Biella e i carabinieri stanno ricostruendo il momento dello sparo, il prima e il dopo. Ascoltano e riascoltano i presenti, una trentina di cui 5 o 6 nella sala in cui è partito il colpo che ha ferito Fontana, elettricista 31enne, genero del caposcorta di Delmastro, Pablito Morello, invitato con i familiari.
Lo stesso Delmastro, che al momento dello sparo non c’era, è stato sentito lunedì per 2ore. Pozzolo era giunto alla festa verso l’una, dopo aver brindato in famiglia, “molto allegro” se non “brillo” secondo i testimoni.
E a un certo punto ha tirato fuori la pistola, un minirevolver calibro 22lungo solo 10 centimetri. “La teneva nel palmo della mano e la mostrava ”, è un’altra testimonianza. Morello, dice uno dei presenti, ha cercato di fargliela mettere via ma “non c’è stato il tempo”.
In pochi secondi è partito il colpo. Il porto d’armi dovrebbero revocarglielo. Nessuno ha capito perché Pozzolo abbia detto: “Non sono stato io a sparare”. Non risulta che abbia accusato altri.
(da Fatto Quotidiano)
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Gennaio 10th, 2024 Riccardo Fucile
DAVANTI AI DEPUTATI, DOCENTI ED ESPERTI HANNO EVIDENZIATO LE CRITICHE
Fin dal momento del suo annuncio, il protocollo tra Italia e Albania
sui migranti ha sollevato un forte dibattito. Più di un’osservatore ne ha messo in dubbio la legittimità giuridica e sottolineato i rischi in termini di diritti.
Il progetto prevede di traferire in territorio albanese, quindi fuori dall’Unione europea, una parte dei naufraghi salvati in acque internazionali dalle navi di Marina, Guardia Costiera o altre entità statali italiane. La misura dovrebbe riguardare gli stranieri provenienti da Paesi terzi considerati sicuri, che verranno sottoposti alla procedura accelerata di frontiera, in un un hotspot sotto giurisdizione del nostro governo. Dopodiché, i migranti verranno trasferiti in un centro di permanenza e rimpatrio, sempre dentro i confini del Paese balcanico.
Le differenti posizioni sul tema hanno avuto riflesso nelle audizioni in Commissione Affari Costituzionali alla Camera, dove è in corso la discussione sul disegno di legge di ratifica del protocollo italoalbanese. Davanti ai deputati, si sono confrontati accademici e giuristi, che in prevalenza hanno bocciato il progetto.
Il costituzionalista Alfonso Celotto ha sottolineato come l’accordo può creare discriminazioni in termini di tutele e trattamento, tra i migranti che finiranno in Albania e quelli invece sbarcati in Italia.
Ancora più netta la posizione di Chiara Favilli, docente di Diritto Europeo a Firenze, per cui “è praticamente impossibile garantire nello Stato straniero lo stesso standard dei diritti in materia di asilo riconosciuti a livello nazionale”. Favilli ha ricordato come una proposta simile avanzata nel 2017 dalla Francia fu bocciata dalla Commissione Ue, perché ritenuta né possibile né auspicabile.
Il confronto tra gli studiosi
Di opinione diversa il giurista Mario Savino. La sua tesi è che la giurisdizione italiana sui centri situati in Albania garantirà l’applicazione delle norme nazionali ed europee su migrazione e asilo e quindi “non prefigura una fuga dalla responsabilità, per l’accoglienza e il rimpatrio dei migranti”. Savino ha inoltre evidenziato come, considerata la difficoltà di espandere la rete dei Cpr dentro il nostro Paese, per i veti di Regioni e Comuni, quest’accordo potrebbe contribuire ad assolvere l’obbligo per l’Italia di applicare le procedure accelerate di frontiera, previste da nuovo patto Ue sull’immigrazione.
A Savino ha replicato a distanza Salvatore Currieri, professore di diritto pubblico dell’Università di Enna. Currieri ha definito il protocollo Italia-Albania un modello per l’esternalizzazione dei flussi migratori, che potrebbe configurare anche una forma di respingimento collettivo. A suo giudizio, i centri albanesi non sarebbero aree extraterritoriali soggette a giurisdizione italiana, ma zone di frontiera e di transito, dove potrebbe essere violato il principio di uguaglianza, perché i migranti potrebbero avere un trattamento diverso e godere di diritti di asilo inferiori, rispetto all’Italia.
Per il costituzionalista Mario Esposito invece è sbagliato parlare di esternalizzazione o deportazione. Nella sua analisi, i migranti portati in Albania non vengono allontanati dal territorio italiano, perché nei centri saranno in vigore le nostre leggi in materia migratoria e dunque non c’è nessuna discriminazione, rispetto a chi arriva in Italia. Anche la tutela dei diritti umani non è minacciata, perché si applicherà il diritto italiano, che prevede tutte le garanzie stabilite dal diritto europeo.
Non è vero, la normativa europea sull’asilo si applica sul territorio Ue, non in Paesi terzi, ha ribattuto Stefano Manservisi, della Science Po di Parigi. Lo studioso ha definito il sistema messo in piedi dal nostro Paese come “barocco” perché applicherà un doppio canale, con presupposti giuridici diversi, a seconda che i migranti vengano sbarcati in Italia o in Albania.
Secondo Manservisi, in questo modo il governo italiano sottrae una parte del sistema di gestione dei flussi al supporto europeo, contraddicendo la nostra tradizionale posizione, per cui immigrazione è un problema da affrontare dall’Europa, nel suo complesso. Con una serie di possibili conseguenze: criticità su tempi e modalità dell’esame delle procedure e di detenzione; incertezza sullo status da applicare agli stranieri, a cui è riconosciuta la protezione; espulsioni ancora più difficili, perché da fare senza il supporto di Frontex o altre agenzie europee. “È un mistero quale sia il valore aggiunto di un provvedimento che rischia di isolare ancora di più l’Italia dall’Europa sul tema immigrazione?”, ha concluso il docente.
“Un accordo illegittimo”
Molto critico anche Paolo Bonetti, professore di Diritto Costituzionale alla Bicocca. A suo giudizio, il protocollo Italia-Albania è illegittimo e non andrebbe ratificato, innanzitutto perché la legge europea impedisce di esaminare le richieste di asilo in un territorio diverso da quello del Paese a cui viene presentata la domanda. Il migrante infatti – sostiene Bonetti – ha diritto a rimanere nel territorio dello Stato, mentre la sua richiesta viene vagliata. Quindi, dopo l’identificazione e la raccolta della domanda in Albania, le persone dovrebbero essere portate in Italia e non in un centro di rimpatrio sempre in territorio balcanico. Per lo studioso, inoltre, l’accordo configura una serie di discriminazioni verso gli stranieri, trattenuti nelle strutture albanesi: dalla previsione di procedure specifiche per l’asilo alle violazioni del diritto alla difesa, dal divieto di allontanarsi dai centri alla possibilità di scontare all’interno pene detentive, per chi commette reati durante la permanenza.
Lea Ypi – studiosa di origine albanese e professoressa di teoria politica alla London School of Economics – ha rilevato quattro punti critici. Il primo è politico perché – ha sostenuto – l’accordo rischia di promuovere un approccio bilaterale al problema dell’immigrazione. Questo se replicato da altri Stati Ue finirebbe per penalizzare i Paesi di primo approdo come l’Italia, mettendo in secondo piano la ricerca di soluzioni strutturali, con un impegno comune europeo. Ypi ha sottolineato, poi, come in Albania esista una lunga tradizione di tratta di migranti irregolari, per cui chi viene portato dalle navi italiane nei centri albanesi rischia di rientrare nel nostro Paese “dalla finestra”, per mano della mafia locale. La docente ha infine rilevato la possibilità di ritardi e complicazioni burocratiche nella messa a terra del protocollo, con un conseguente aumento dei costi. E ha chiosato: “Perché spendere tutti questi soldi per un progetto che ha tutti questi problemi?”.
(da Fanpage)
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