Luglio 19th, 2024 Riccardo Fucile
AVREBBE FAVORITO GLI INETRESSI DELLA CAMORRA NEL PETROLIO
L’ex presidente della Camera ed esponente della Lega Irene Pivetti ha ricevuto una denuncia per aver favorito gli interessi della camorra nel petrolio. La Dia descrive il ruolo di Pivetti all’interno della mafia romana. Che è una confederazione di clan che vanno dalla ‘ndrangheta a Cosa Nostra passando per le cosche campane. I referenti di Pivetti sono Salvatore Pezzella e Giuseppe Vitaglione. Che sarebbero rappresentanti dei clan Mazzarella e D’Alessandro. Vitaglione è legato anche al figlio di Michele Senese, Vincenzo. Che ha autorizzato insieme a Roberto Marcori ad acquisire una società nel settore degli idrocarburi. Scrive la Dia: «Le indagini hanno dimostrato che Vitaglione (…) è stato favorito dal contributo di Irene Pivetti, ex presidente della Camera».
Gli idrocarburi e il riciclaggio
Il Fatto Quotidiano riporta oggi che Corrado Petito e Roberto Navaro, «in concorso con Pivetti e con la compiacenza di funzionari pubblici corrotti concorrevano a creare le condizioni per favorire le operazioni di riciclaggio, attraverso la produzione di modelli F24 ideologicamente falsi che attestavano il pagamento di accise e Iva dovuti per l’acquisto carburante». La Procura: «A conclusione della riunione si comprenderà (…) che Pivetti ha un ruolo sovraordinato nella trattativa». Tanto che risulta interessata all’esito della riunione e dice a Navaro: «Domani sono a Roma, non è che lei è da quelle parti?». La storia va a intrecciarsi con quella della Only Italia Logistic di cui Pivetti è risultata amministratore unico. Oggetto di una segnalazione sospetta da parte di Bankitalia nel 2019. Che puntava il dito sulle operazioni durante l’emergenza Covid-19
Pivetti e l’uomo legato a Senese
Poi ci sono le conversazioni tra Pivetti Vitaglione. «Il passaggio inquietante, considerato che Vitaglione sta interloquendo con la donna che ha ricoperto la terza carica dello Stato, va individuato quando, senza alcun pudore riferisce il motivo del cambio di atteggiamento dei proprietari del deposito», sostiene la Dia. Vitaglione a Pivetti: «Sono cambiate un poco le carte per il gruppo che sta là sopra, no? Dove io ho fatto pure discussione qui giù a Napoli (…). Io vorrei che lo chiami e dirgli scusate, ma io sono stata a casa di persone serie o di birichini? Però presidente (…) li dovete dovete frustare direttamente avete capito?». Pivetti risponde: «Va bene, io intanto cerco che cosa hanno, dopodiché mi mandi le informazioni, tutte, il numero». Ancora Vitaglione: «Io sono stato chiamato da una famiglia di Napoli, poi Presidente resta tra di noi in quel caso stiamo nel nostro paese e ci siamo confrontati loro chi sono e noi chi siamo».
La replica di Pivetti
Scrive la Dia: «La Pivetti ben consapevole di muoversi in un contesto di criminalità organizzata, non solo conferma nuovamente di aver compreso la delicata situazione, ma condividendo l’intervento ‘mafioso’ della famiglia di Vitaglione, si augura che in quel modo il proprietario della società Nuova Petroli ritorni agli accordi iniziali». l’ex presidente della Camera attraverso il suo legale spiega al Fatto: «Non ho ricevuto alcuna comunicazione giudiziaria, ho dato indicazione al mio legale di prendere contatto con la Procura per verificare se vi sono iscrizioni su di me. Nel caso mi metterò a disposizione del pm».
(da la Repubblica)
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Luglio 19th, 2024 Riccardo Fucile
DOVEVA CAMBIARE LO STATUS QUO NELL’UE, È FINITA NELLA POLVERE… L’ITALIA OTTERRÀ UN BUON PORTAFOGLIO, DI CERTO NON UNO DI PRIMO PIANO, MA IL PAESE SARÀ TAGLIATO FUORI DALLE GRANDI SCELTE
Seduti, con i musi lunghi, mentre alla loro sinistra il resto dell’aula in tripudio regalava la
standing ovation a Ursula von der Leyen. I deputati di Fratelli d’Italia a Strasburgo, guidati a distanza dalla premier Giorgia Meloni, ieri sono riusciti a mettere a segno un capolavoro politico.
Hanno rinforzato la “maggioranza Ursula”, arrivando ad allargare ai Verdi la base democratica ed europeista di Popolari, Socialisti e Liberali che governerà l’Unione per i prossimi cinque anni. E si sono messi nell’angolo: la destra italiana in Europa resta ininfluente. Fuori dai giochi. Naturalmente questo doppio storico risultato la premier e i suoi lo hanno messo a segno in modo del tutto involontario. Subendone il nefasto contraccolpo. Ma quel che più importa, e rammarica, è che a pagare il conto della disastrosa condotta della premier sarà l’Italia, per la prima volta nella storia fuori dai giochi Ue.
Macron e Scholz, per quando azzoppati, hanno portato al bis di von der Leyen e all’allargamento agli ecologisti della maggioranza che dovrà reggere l’onda d’urto di Trump. Orbán,
Le Pen e Salvini si sono invece posizionati all’opposizione, sperando che il tycoon vinca e li riconosca come veri interlocutori politici in Europa dando loro quella patente transatlantica che — oltre al sostegno di Putin — potrebbe finalmente sdoganarli a livello globale.
Meloni è rimasta a metà del guado. Fuori dal vagone di testa della Ue, e dunque meno forte nell’eventuale confronto con Trump, ed esclusa dai trumpiani d’Europa che sperano in una corsia preferenziale per Mar-a-Lago.
Torniamo al 10 giugno, quando al risveglio la premier ha scoperto di essere l’unica leader Ue uscita vittoriosa dalle Europee. I numeri elettorali a Bruxelles contano. Ma la capa del nostro governo, tra attacchi ai diritti al suo G7 e sparate contro i partner, si è fatta estromettere dai negoziati che hanno portato al vertice europeo del 27 giugno in cui si è astenuta — prima volta per l’Italia — sul pacchetto di nomine Ue.
Nemmeno i suoi amiconi, come Orbán, si sono tirati fuori in modo così plateale. Ma Meloni aveva un piano: riunire le ultra destre Ue sotto le insegne del suo Ecr e — sopratutto — far pesare i suoi 24 voti a Strasburgo nella fiducia a Ursula, fino all’ultimo a rischio tra franchi tiratori e gelosie varie.
Le cose non sono andate così: Orbán da un lato, l’Afd dall’altro hanno creato due nuovi gruppi a destra dei Conservatori, rubando loro persino deputati. E Le Pen non ha sfondato in Francia. L’ambiguità di Meloni al tavolo con von der Leyen ha fatto il resto. La premier chiedeva alla tedesca un “riconoscimento politico”, ovvero una ammissione pubblica che la destra italiana era parte dei giochi Ue.
Ursula non poteva darla perché altrimenti avrebbe perso voti a sinistra, sospettando per di più che Giorgia volesse tradirla in Parlamento con un doppio gioco.
Questa ambiguità, il trattare da capo di partito anziché da capo di governo, ha affondato Meloni, spingendo von der Leyen a convincere il suo partito, i Popolari, ad accettare l’abbraccio (finora impensabile) con i Verdi per evitare che saltasse tutto, consegnando al mondo un’Europa non governata nei prossimi mesi. Facendo un bel regalo a Putin e a Trump.
Come spiegare tutto questo agli italiani? Con il tipico vittimismo meloniano. «Von der Leyen si è consegnata ai Verdi, per noi impossibile votarla», ruggiva da Strasburgo Nicola Procaccini, salvo poi affermare — per cercare di mettere una toppa — che FdI punta comunque «a un rapporto costruttivo» con Ursula. Una piroetta impossibile che apre a foschi scenari.
L’Italia otterrà comunque un buon portafoglio nella prossima Commissione Ue — ma di certo non uno di primo piano — tuttavia non grazie al suo governo, bensì per via del peso specifico del Paese.
Che però sarà tagliato fuori dalle grandi scelte nei prossimi — turbolenti — cinque anni. Un danno per l’Italia e per la sua vulnerabile economia.
(da La Repubblica)
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Luglio 19th, 2024 Riccardo Fucile
DENTRO IL GOVERNO C’È IL TERRORE DI UNA RITORSIONE DEI LEADER UE (MACRON, SCHOLZ, TUSK), CHE NON VEDONO L’ORA DI NEGARE CENTRALITÀ ALL’ITALIA – LA DELEGA AL BILANCIO E LA VICEPRESIDENZA SONO SFUMATE: A ROMA POTREBBE FINIRE O LA COESIONE, IL MEDITERRANEO O LA SBUROCRATIZZAZIONE. TUTTA ROBETTA DI SECONDO PIANO
In un angolo di Blenheim Palace, il castello dove nacque Churchill, Giorgia Meloni registra alle cinque di pomeriggio un “clippino” di 49 secondi netti per provare a spiegare perché FdI ha votato contro Ursula von der Leyen, dopo mesi di trattative e svariati giri di elicottero e trasferte persino in Africa a braccetto con la popolare tedesca fresca di bis. Per «coerenza», sostiene la premier. «E non ho ragione di ritenere che la nostra scelta possa compromettere il ruolo che verrà riconosciuto all’Italia nella Commissione»
E tanti «auguri» a Ursula. A poche decine di metri ci sono i giornalisti di mezzo mondo, ma l’imbarazzo è tale che la premier italiana sceglie di starne alla larga.
Meloni spedisce davanti ai cronisti i suoi colonnelli a Strasburgo, Carlo Fidanza e Nicola Procaccini, per sostenere che l’Ursula bis era improponibile, perché «si è consegnata a Verdi e sinistra».
I dioscuri brussellesi di Meloni parlano solo alle tre di pomeriggio. Quando l’emiciclo ha già votato e i collaboratori di von der Leyen hanno già tirato fuori lo spumante dal frigo. Uno dei grandi paradossi della giornata nera della premier è anche questo. FdI non ha comunicato come avrebbe votato su Ursula. L’ha fatto solo a match chiuso. Altra mossa senza precedenti
Dopo settimane di tribolazioni, con la fiamma magica spaccata tra l’ala dura di Giovanbattista Fazzolari e la fazione più trattativista di Raffaele Fitto, Meloni ha deciso solo ieri mattina di virare sul no. Come la Lega di Matteo Salvini, che da mercoledì sera provocava i “Fratelli” indecisi. E all’opposto di Forza Italia, che col vicepremier Antonio Tajani ha provato, fino all’ultimo, a convincere la presidente del Consiglio a non rompere col Ppe
Dentro FI tanti temono che l’Italia possa pagare lo scotto dell’isolamento. Anche sulle deleghe in Commissione. Perché nonostante le dichiarazioni di facciata, preoccupa un possibile declassamento. Pare sfumata la vice-presidenza esecutiva. E forse pure una vicepresidenza semplice, che potrebbe sopravvivere solo con deleghe minori come la Semplificazione o il Mediterraneo. Lo stesso Bilancio, per cui Fitto era il candidato ideale, sembra tornato oggetto di trattative
Von der Leyen poi ieri ha chiesto ai governi di presentare due nomi per ogni posto: un uomo e una donna. Non un candidato secco. Anche se a Palazzo Chigi non considerano questa richiesta un obbligo. In pole resta Fitto, a meno che le deleghe non diventino troppo fiacche. Il clima è questo.
(da agenzie)
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Luglio 19th, 2024 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DEL COMMISSARIO TRONCA: “COSE PARADOSSALI, APPARTAMENTI PAGATI UN DECIMO DEL PREZZO DI MERCATO ATTRAVERSO CONTRATTI DIRETTI AD PERSONAM”
Case di lusso sparse tra Moscova, Brera e Porta Romana affittate a prezzi stracciati.
Appartamenti e attici da centinaia di metri quadri in usufrutto con tariffe di favore a manager, professionisti, funzionari e personaggi noti in città. È gran parte dell’immenso patrimonio immobiliare del Pio Albergo Trivulzio a Milano che, come ha denunciato in Consiglio regionale il commissario straordinario Paolo Tronca, soffre oggi di un buco di 3,7 milioni di canoni d’affitto non pagati.
“Non posso accettare cose paradossali che mi sono balzate agli occhi subito e che continuano a venire fuori”, ha dichiarato in audizione. “Secondo una valutazione fatta da una struttura dell’Agenzia del Territorio ci sono canoni che sono la metà, un terzo, un quarto, un quinto e perfino un decimo di quello che dovrebbero essere. Per esempio, case di pregio pagate 5 mila euro l’anno. Molti contratti sono stati fatti ad personam, è evidente. Sono dati”.
Casi eclatanti, anticipati dall’edizione quotidiana de La Repubblica, come i 19mila euro di canone annuo pagati dal presidente dell’Inter Beppe Marotta per 120 metri quadri nel cuore di Brera: per l’agenzia delle Entrate dovrebbe aggirarsi intorno ai 42mila, più del doppio. Così come Matteo Mangia, figlio del noto avvocato Rocco Mangia, che per 160 metri quadrati in piena area C paga un canone annuo di 13.600 euro (invece dei 54mila dovuti) e l’ex alto funzionario del Viminale che per un appartamento di oltre cento metri quadrati in zona Washington spende all’anno solo 2.500 euro (invece dei 26.680 richiesti).
E ancora un appartamento di 240 metri quadrati in zona Magenta, il cui contratto risulta intestato a nome di un parente di Vito Corrao, ex direttore sanitario del Pio Albergo Trivulzio, che ha poi guidato alcuni dei più importanti ospedali lombardi fino all’ultimo incarico come direttore generale dell’Asst di Lecco: per questo appartamento il canone è di 5.100 euro l’anno, contro un canone di mercato stimato in 80.500 euro.
(da Fanpage)
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Luglio 19th, 2024 Riccardo Fucile
PER 120 METRI QUADRATI NEL CUORE DI BRERA IL CANONE CONCORDATO È DI 19MILA EURO L’ANNO. MA IN QUELLA ZONA L’AFFITTO ANNUO DOVREBBE ESSERE DI ALMENO 42MILA EURO… IL TRIVULZIO, CHE DOVREBBE AFFITTARE IMMOBILI A PERSONE A BASSO REDDITO, È IN PROFONDO ROSSO
C’è anche il presidente dell’Inter Giuseppe Marotta tra gli inquilini illustri, che da anni pagano a Milano un affitto al di sotto del valore di mercato per gli immobili di pregio del Pio Albergo Trivulzio.
I documenti visionati da Repubblica mostrano che in questo caso, per 120 metri quadrati nel cuore di Brera, il canone concordato è di 19 mila euro l’anno. Questo quando, per l’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entrate, l’affitto annuo in una zona del genere e per quella metratura dovrebbe essere di almeno 42 mila euro.
È quel che accade del resto, a Pier Filippo Giuggioli, presidente milanese dell’Unione dei piccoli proprietari, ma che occupa da affittuario un’abitazione del Trivulzio, tanto che è anche nel comitato inquilini dello stabile in cui abita: qui paga un canone di 32.500 euro annui per un appartamento di oltre 200 metri quadrati che sempre secondo l’Osservatorio dovrebbe costarne almeno 72 mila.
Il nome di Giuggioli era già comparso anche negli elenchi degli inquilini del Pat all’epoca di un altro caso di affitti a prezzi di favore, nel 2011.
A pochi passi da Brera, poi, Matteo Mangia, figlio del noto avvocato Rocco Mangia, risulta intestatario di un contratto di affitto per circa 160 metri quadrati per cui paga un canone di 13.600 euro, mentre secondo l’Agenzia delle Entrate il canone di mercato dovrebbe essere di oltre 54 mila euro
Un altro caso riguarda un appartamento di circa 240 metri quadrati in zona Magenta: il contratto risulta a nome di un parente di Vito Corrao, ex direttore sanitario del Pat, che ha poi guidato alcuni dei più importanti ospedali lombardi.
Tronca preferisce non fare nomi sul Pat, ma dalle carte visionate da Repubblica il quadro risulta questo.
«Ribadisco la mia ferma disponibilità ad affrontare tutte le esigenze — ha detto ieri il commissario, in audizione davanti al Consiglio regionale della Lombardia — ma non posso accettare altre cose paradossali, che mi sono balzate agli occhi subito e che continuano a venire fuori. Secondo una valutazione fatta da una struttura dell’Agenzia del Territorio ci sono canoni che sono la metà, un terzo, un quarto, un quinto e perfino un decimo di quello che dovrebbero essere».
(da Dagoreport)
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