Agosto 11th, 2025 Riccardo Fucile
SE GLI SCONTENTI SONO SPARSI IN MANIERA UNIFORME NELLA PENISOLA, LA FRATTURA È PIU’ EVIDENTE A LIVELLO POLITICO , A SINISTRA NESSUNO VUOLE L’OPERA, MA ANCHE TRA I SOVRANISTI NESSUNO SALTA DI GIOIA
La quota di cittadini che, in Italia, si dice contraria alla realizzazione dello “Stretto di Messina”, davvero molto larga.
Nel complesso, infatti, questo progetto è condiviso solo dal 28% del campione nazionale intervistato da Demos. Meno di 1 italiano su 3. Peraltro, il consenso non raggiunge – e neppure si avvicina alla – la maggioranza in nessuna area del Paese.
Indipendentemente dalla distanza rispetto alla zona interessata. Certo, i più lontani da questa idea sono, in effetti, più lontani anche geograficamente. Nelle regioni del Nord e del Centro Nord, infatti, il grado di approvazione oscilla (poco) fra il 24 e il
28%. Mentre sale leggermente nelle regioni del Centro Sud. E, in misura minore, nel Sud e nelle Isole (appena il 31%), le aree direttamente coinvolte. Non si colgono vere “fratture” territoriali, nelle opinioni dei cittadini.
Invece, la differenza diventa più chiara ed evidente quando si valuta e si osserva lo sguardo “politico” dei cittadini.
In questo caso, infatti, si ri-propongono e ri-producono le distanze note, fra partiti e schieramenti, rispetto al governo.
Gli elettori che esprimono maggiore consenso verso il progetto sono i più vicini alla maggioranza. Anzitutto, alla Lega.
Fra i suoi simpatizzanti, infatti, oltre i due terzi si dicono favorevoli allo Stretto. Comprensibilmente. Perché è il “partito di Salvini”. Il vice presidente del Consiglio. Che ha definito il progetto. E gli offre volto e immagine.
Lo Stretto di Messina potrebbe, dunque, venire superato dal Ponte di Salvini. Che, anche per questo, ottiene un sostegno del 50% anche tra i simpatizzanti degli altri partiti di governo: FdI e Forza Italia. Un consenso analogo fra i sostenitori di Italia Viva. E, in misura minore, di Azione.
Il favore, invece, scende notevolmente nella base di +Europa. E crolla a sinistra. Fra quanti si dicono vicini a M5s, ad Avs. E, soprattutto, al Pd.
L’aspetto che colpisce (almeno, dal mio punto di vista) riguarda il protagonista di questo progetto. Matteo Salvini. Leader di un partito che, in origine, era Lega-to al Nord. O, almeno, ai Nord. Il Nord-Est post-Dc: Liga Veneta. E il Nord-Ovest. Metropolitano. Oggi quella divisione non esiste più. Si è dissolta. Insieme alla Liga (che, in effetti, ancora resiste, trainata da Zaia). E alla Lega Nord. Di Bossi e Maroni. Scomparsa insieme ai leader. Così resta e resiste la Lega nazionale di
Salvini. Che, però, fatica a superare…il Ponte sullo Stretto.
(da agenzie)
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Agosto 11th, 2025 Riccardo Fucile
IN VENETO E PUGLIA IL DERBY È TRA LE COALIZIONI: NELLA REGIONE DI ZAIA, FRATELLI D’ITALIA E LEGA LITIGANO PER IL CANDIDATO, IN QUELLA DI EMILIANO, DECARO NON VUOLE L’INGOMBRANTE GOVERNATORE USCENTE TRA LE PALLE
Valle d’Aosta, Marche, poi Calabria, poi Toscana, poi — chissà se insieme — Puglia,
Campania e Veneto. Il prossimo autunno c’è un voto quasi ogni domenica.
L’opposizione chiede un «election day» ma sa già che non lo otterrà. Il centrodestra ha buon gioco a ricordare che non spetta al governo (ma ai governatori uscenti) stabilire il giorno della «partita». E poi alla maggioranza può andar bene così: in caso di risultati negativi, lo «spezzatino» ne diluisce l’impatto. Al centrosinistra invece converrebbe il contrario: un giorno solo avrebbe amplificato eventuali risultati positivi.
Sempre ammesso poi che le cose stiano ancora come nelle ipotesi — centrodestra sfavorito, centrosinistra favorito
Nel match sulle date ci sono poi anche le convenienze dei singoli governatori.
Dal calabrese Occhiuto che dopo le dimissioni ha voluto urne sprint per spiazzare gli avversari; al toscano Giani che, a proposito di spiazzamenti, durante un dibattito chiedeva allo sfidante Tomasi: «Si vota il 12, ti va bene?». E lui: «Basta saperlo». Per arrivare a Campania, Veneto e Puglia dove, al contrario, conviene andare «lenti» perché i nodi da sciogliere sono imponenti e si chiamano De Luca, Zaia ed Emiliano. E quindi, per ora, niente date.
Tutti in vacanza ma con una scadenza molto stringente: dopo Ferragosto bisogna sciogliere i nodi delle Regionali di autunno. Vale per Giorgia Meloni e tutto il centrodestra, e vale per Elly Schlein e il fronte delle opposizioni. Perché […] per ora la battaglia è tutta interna alle coalizioni.
L’uscita di scena dei tre governatori di lungo corso non ricandidabili per un terzo mandato, il leghista Luca Zaia in Veneto e i dem Vincenzo De Luca e Michele Emiliano, in Campania e Puglia, provoca le maggiori turbolenze.
Per le forze che governano il Paese, si prepara un summit, già prima del rientro a Roma, forse proprio in quella Puglia nella quale Meloni è attesa per un passaggio dopo le vacanze in Grecia.
All’apertura di Matteo Salvini su una lista in nome del «doge», in Veneto, tanti dentro FdI non credono: è un bluff, una lista Zaia non sottrarrebbe posti soltanto agli alleati, farebbe del male anche alla leadership leghista.
Ma poi nessuno scommetterebbe sulla disponibilità della premier, che vanta un primato solidissimo in quella regione, a cedere sia sul candidato sia sui simboli. Come se ne esce? Per ora si tenta di lasciar passare la buriana. Ma al più tardi al raduno di Pontida, il 21 settembre, il candidato dovrà essere sul palco.
E potrebbe essere il giovane vicesegretario del Carroccio, Alberto Stefani, a spuntarla sui Fdi Raffaele Speranzon e Luca De Carlo.
Dall’altro lato della barricata, le incertezze più serie riguardano la Puglia. Da anni il predestinato alla successione di Emiliano è Antonio Decaro, ex sindaco di Bari oggi europarlamentare, in forza di 500 mila preferenze.
Disponibile a tratti e a una condizione: lo stop alle candidature in Consiglio per due ex pesanti come lo stesso Emiliano e Nichi Vendola. Dentro il partito di Schlein si minimizza: «Capricci, cederà». Sul territorio, invece, c’è chi crede che Decaro, convinto che nessuno si accollerà il rischio di cambiare cavallo e far vincere il centrodestra, terrà duro: «Chi ha più da perdere non è Antonio che ha davanti a sé ancora quattro anni a Bruxelles, ma il partito».
E tuttavia Schlein non si schiera contro Emiliano candidato e il governatore uscente fa professioni di fermezza: «Non si dettano condizioni sulle liste». Il braccio di ferro potrebbe concludersi con la rinuncia volontaria di Emiliano, compensato con un incarico di assessore nella giunta Decaro, o un ruolo nel partito. E con il conseguente passo indietro di Vendola, tentato dal tornare tra quei banchi solo per contenere il successore e arcinemico.
Al puzzle per il centrosinistra si è aggiunta la Calabria, dopo le dimissioni di Roberto Occhiuto. Se Pasquale Tridico, del M5S, manterrà la sua indisponibilità a traslocare da Bruxelles, dove si
è trasferito con la famiglia, dovrebbe toccare al pd Giuseppe Falcomatà. Giuseppe Conte, che ha incassato il via libera a Roberto Fico in Campania, non si opporrà.
(da agenzie)
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Agosto 11th, 2025 Riccardo Fucile
TUTTI I CONTRATTI RIGUARDANO ARMAMENTI VECCHI. UN ESEMPIO? IL SISTEMA ANTI-MISSILE PATRIOT, RICHIESTO A GRAN VOCE DA ZELENSKY. PER ORA NON SI SONO VISTI: AL MASSIMO ARRIVERANNO I VETUSTI MISSILI HAWK. E SARANNO GLI EUROPEI A DOVER COLMARE IL VUOTO CREATO DALLO ZIO SAM
Per gli ucraini l’America di Donald Trump è un alleato disarmante, in tutti i sensi. Ha bloccato gli aiuti bellici, interrompendo anche quelli già decretati dall’amministrazione Biden, e poi ha messo a disposizione il minimo indispensabile per impedire il crollo delle difese. Con una condizione molto chiara: niente più regali. Ogni cosa va pagata, e pure a caro prezzo.
Oggi gli ucraini si devono mettere in coda e rispettare la trafila burocratica delle “Foreign Military Sale” di Washington. E non è che a Kiev vengano venduti sistemi potenti o tecnologicamente avanzati che diano una chance di sbaragliare la macchina bellica di Putin.
È esattamente l’opposto: tutti i contratti dell’era Trump riguardano armamenti vecchi. E fa impressione leggere nei comunicati ufficiali del Pentagono la formula standard prevista dai regolamenti americani: «La vendita proposta di questi
equipaggiamenti e del supporto non altererà gli equilibri militari nella regione».
In pratica, si mette nero su bianco che non si vuole correre il rischio che l’Ucraina sconfigga la Russia… Un esempio? Zelensky ha invocato i Patriot – e in particolare l’ultima versione hi-tech che abbatte i missili balistici – per dare uno scudo alle città aggredite dai raid russi. Invece lo scorso 23 luglio il Pentagono ha approvato la cessione di componenti per tenere attivi i vetusti missili contraerei Hawk.
Si tratta di batterie terra-aria entrate in servizio nel 1959 e che gran parte degli eserciti, incluso quello italiano, ha mandato in pensione da decenni: gli americani le hanno ritirate da oltre venti anni.
Sul mercato bellico gli Hawk non hanno più valore; invece la Casa Bianca si farà dare 172 milioni di dollari per trasferire intercettori, veicoli di lancio, manuali, container, pezzi assortiti fatturando persino l’addestramento del personale.
Qualcosa del genere è accaduto con i cingolati Bradley, che nonostante risalgano agli anni Ottanta si sono dimostrati uno dei veicoli da combattimento più validi del conflitto. Il presidente Biden ne ha regalati oltre trecento agli ucraini, che li hanno mandati all’avanguardia nelle situazioni più difficili. Metà sono stati distrutti o danneggiati e gli altri hanno bisogno di venire revisionati: gli Stati Uniti consegneranno ricambi e macchine per le riparazioni, con un conto da 150 milioni di dollari.
La nuova fiera dei profitti prosegue con i cannoni semoventi M109: altri veterani della Guerra Fredda, consegnati in grandi numeri all’Ucraina. Il governo Draghi ha svuotato i depositi dove ne erano stati accatastati un centinaio in attesa della rottamazione, poi messi a posto con finanziamenti del Pentagon
e trasferiti al fronte. Altri Paesi europei hanno fatto lo stesso e novanta sono arrivati dagli Usa.
Ora c’è il problema di sopperire all’attrito delle battaglie ed ecco a luglio l’accordo per “un tagliando” da portare a termine in Europa, affidato dal Pentagono a tre aziende: il costo è di 150 milioni di dollari. Infine, il 5 agosto è stata approvata una commessa simile che riguarderà i cannoni M777 da 155 millimetri: Kiev verserà 203 milioni per ottenere obici di seconda mano e assistenza riparatoria.
I tempi non sono chiari. Solo nel caso dei cannoni M777 il contratto parla di “urgenza” mentre negli altri non si menziona la drammatica condizione delle truppe ucraine impegnate in battaglia su un fronte lungo mille chilometri. Ci vorranno anni invece prima che siano pronti i missili Amraam, di cui è stata autorizzata la vendita all’Ucraina oltre che ad altri alleati: serviranno per i caccia F-16 e anche per le batterie contraeree “Frankenstein”, inventate a Dnipro unendo radar sovietici e intercettori americani.
E i Patriot chiesti con urgenza da Zelensky per proteggere la popolazione dai bombardamenti? Per ora non si sono visti e l’amministrazione Trump non se ne cura: tocca agli europei difendere l’Ucraina e dargli i suoi missili. Gli americani si limiteranno a venderne di nuovi per rimpiazzare le donazioni. Un deal a prova di bomba.
(da Repubblica)
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Agosto 11th, 2025 Riccardo Fucile
IL VELIERO ASTRAL E’ DIRETTO ORA A LAMPEDUSA
L’Ong Open Arms, con il veliero Astral, ha appena soccorso nel Mediterraneo Centrale 51
persone che erano a bordo di una imbarcazione partita da Sfax, in Tunisia, lo scorso 6 agosto. Tra loro ci sono anche 21 minori: 3 bambini piccoli di circa 6 o 7 mesi (una femmina e due maschi) e 18 minori non accompagnati.
Tra gli adulti, 19 uomini e 11 donne, ci sono due ragazze incinte di 4 e 5 mesi. Secondo il referto redatto dal medico di bordo del veliero Astral – fa sapere la ong – le persone soccorse presentavano disidratazione, vertigini e ipotermia generalmente percepita. Molti di loro hanno anche eritemi e ustioni nella zona inguinale a causa della benzina mista a acqua di mare. Le persone soccorse arrivano da Guinea Conakry, Costa d’Avorio, Sierra Leone, Mali e Burkina Faso.
Astral nelle 24 ore precedenti aveva già operato un soccorso di 40 persone che viaggiavano su una imbarcazione simile a quelle su cui si trovavano i 51 migranti e ora si sta dirigendo verso Lampedusa.
Secondo la ong “si stanno riscontrando nuovamente molte partenze dalla Tunisia su imbarcazioni precarie come nel caso di quella di ferro su cui viaggiavano le 51 persone soccorse ieri sera. Sono tantissimi inoltre i minori non accompagnati e bambini di pochi mesi”.
Dopo 4 giorni concluso il viaggio dei naufraghi salvati dalla Life Support di Emergency
Intanto si è concluso un altro soccorso a Savona, questa volta effettuato dalla Life Support di Emergency. È terminati alle 23.15 di ieri sera nel porto ligure lo sbarco delle 146 persone soccorse dalla nave di ricerca e soccorso di Emergency, nel Mediterraneo Centrale. Tra le giornate di mercoledì 6 agosto e giovedì 7 agosto, la nave di Emergency aveva effettuato tre diversi interventi di soccorso. I primi due a altrettante imbarcazioni sovraffollate, inadeguate alla navigazione e con persone in condizioni precarie a bordo: un gommone con 31 persone tra cui una donna incinta e undici minori non accompagnati e un gommone bianco sovraffollato di persone senza giubbotti salvagente con 47 naufraghi di cui tre minori.
L’ultimo soccorso ha visto la nave dell’Ong impegnata con il salvataggio di 69 persone, trasportate da un’imbarcazione in vetroresina sovraffollata, che si è avvicinata alla Life Support a grande velocità e che si è poi affiancata in maniera pericolosa alla nave in corsa, mentre i guidatori incitavano le persone a saltare a bordo della Life Support.
Le operazioni sono state molto complicate poiché nel tentativo di lanciarsi sulla nave alcuni naufraghi sono caduti in acqua, sprovvisti di salvagenti. Uno dei naufraghi è stato evacuato con un elicottero della Guardia Costiera perché versava in condizioni mediche critiche.
“Abbiamo impiegato quattro giorni di navigazione per arrivare al porto di Savona assegnatoci dalle autorità – ha denunciato l’Ong, per bocca di Domenico Pugliese, comandante della Life Support. L’assegnazione di un porto di sbarco così distante dal luogo del salvataggio non solo non tiene conto delle sofferenze delle persone a bordo, ma ci obbliga a restare lontani dalla zona operativa nel Mediterraneo Centrale per molto tempo. Ringraziamo le autorità e i volontari di Savona che ci hanno assistito e hanno permesso che le operazioni di sbarco fossero svolte senza difficoltà”. Alcuni dei naufraghi recuperati nelle tre diverse operazioni di soccorso provenivano dal Sudan, paese in guerra da oltre due anni. Gli altri da Afghanistan, Bangladesh, Burkina Faso, Camerun, Costa d’Avorio, Eritrea, Gambia, Ghana, Guinea, Mali, Nigeria, Senegal, Somalia, paesi afflitti da violenze, povertà, instabilità politica e crisi climatica.
(da Fanpage)
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Agosto 11th, 2025 Riccardo Fucile
“PRIMO: IL SUMMIT SARÀ UN FLOP TOTALE. IL SECONDO: SI ARRIVA A UN CESSATE IL FUOCO TEMPORANEO E POI SI PASSA AI NEGOZIATI DECISIVI IN UN SECONDO MOMENTO. TERZO SCENARIO: TRUMP ESERCITA PRESSIONE SULL’UCRAINA, CON CONCESSIONI DI TERRITORI ALLA RUSSIA, E POTREBBE RICADERE TUTTA LA ‘COLPA DEL MANCATO ACCORDO SU ZELENSKY ’
Lord Kim Darroch, 71 anni, ex national security advisor britannico, ex rappresentante permanente del Regno presso l’Unione Europea e soprattutto ex ambasciatore britannico a Washington. Prima che, nel dicembre 2019, Trump ottenne la sua testa per un leak interno in cui Darroch criticava e attaccava l’operato del presidente.
«Trump e i suoi vogliono fare da soli. Britannici ed europei devono impegnarsi perché in stanza entri almeno Zelensky. Per il resto, l’unica cosa che potranno fare è mandare funzionari al vertice, e cercare di farsi aggiornare…».
«Questi sono vertici che vanno preparati bene nei mesi precedenti, da sherpa e ministri, per assottigliare le differenze prima del momento culminante. Solo così hanno successo. Trump, invece, è imprevedibile, e accentra tutto su di sé. Questo incontro con Putin mi ricorda quello con Kim Jong-un in Corea del Nord nel 2018. Telecamere, fotografi… e poi tutto il vero lavoro e le trattative lasciati ai funzionari in un secondo momento. In ogni caso, ora ci sono tre scenari possibili».
Quali?
«Primo: il summit sarà un flop totale. Il secondo, quello più favorevole agli europei: si arriva a un cessate il fuoco temporaneo, e poi si passa ai negoziati decisivi in un secondo momento».
Realistico?
«Putin pensa di vincere in Ucraina. Ma allo stesso tempo potrebbe essere terrorizzato dalle sanzioni secondarie degli Usa
verso altri Paesi, vedi l’India. Tuttavia, resta la distanza enorme tra le posizioni russe e quelle ucraine. Non vedo come possa essere colmata all’improvviso».
E il terzo scenario?
«Trump esercita tutta la sua pressione sull’Ucraina: concessioni di territori alla Russia, neutralità di Kiev. C’è il rischio che Putin possa persuadere il presidente Usa che questa sia l’unica via possibile, prima di incontrare Zelensky. Sul quale poi potrebbe ricadere tutta la “colpa del mancato accordo”. Spero che non accada mai qualcosa del genere. Ma c’è un precedente».
Quale?
«Il summit proprio tra Trump e Putin a Helsinki, nel 2018, quando il presidente Usa in conferenza stampa smentì le interferenze russe nelle elezioni del 2016 e le stesse agenzie di intelligence americane». «Potrebbe accadere che Trump lo metta all’angolo dicendogli di aver fatto il possibile per convincere Putin, senza successo, per poi accerchiarlo: “Accetta la neutralità e la concessione di territori e in cambio ci sarà la pace. Non potrai vincere mai questa guerra”. A quel punto, tutto sarà nelle mani di Zelensky».
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Agosto 11th, 2025 Riccardo Fucile
“UNA VOLTA SI COMBATTEVA UNA GUERRA IDEOLOGICA: DEMOCRAZIA CONTRO REGIME SOVIETICO. OGGI LA RUSSIA NON È PIÙ COMUNISTA, SEBBENE RESTI UN PAESE AUTORITARIO, MENTRE NEGLI STATI UNITI C’È UNA FORTE LIMITAZIONE DELLA LIBERTÀ”… “I DUE PAESI PRESENTANO UN COMPORTAMENTO MOLTO SIMILE, CON DUE UOMINI SOLI AL COMANDO CHE POSSONO GESTIRE IL POTERE IN BASE ALLE LORO VOLONTÀ”
«Sulla guerra in Ucraina, il presidente russo Vladimir Putin non vuole spingersi oltre una
certa soglia per non avere troppi guai, ma al tempo stesso non ha intenzione di cedere». Per questo il politologo francese Yves Mény parla di un «gioco molto delicato» quando descrive la trattativa in corso tra Washington e Mosca.
Professor Mény, cosa c’è da attendersi dal dialogo tra Trump e Putin?
«Non credo che i tempi siano maturi per vedere Putin fare delle concessioni. Il presidente russo magari potrebbe accettare una ritirata simbolica, per poi smentirsi e fare tutto il contrario qualche giorno dopo».
In che posizione si trova il presidente statunitense?
«Trump è senza dubbio il più potente, ma di certo non è il più intelligente. Lui fa la parte del leone, ma Putin e Netanyahu sono le volpi. Il premier israeliano combatte per la sua incolumità giuridica, mentre il presidente russo è consapevole che in un sistema di potere assoluto o vince o sarà eliminato».
Non c’è più la logica dei due blocchi?
«Esatto, in essa si combatteva anche una guerra ideologica: democrazia contro regime sovietico. Oggi la Russia non è più comunista, sebbene resti un Paese autoritario, mentre gli Stati Uniti sono ancora una democrazia, ma fino ad un certo punto perché c’è una forte limitazione della libertà. Penso ad esempio alla crisi in corso nel Texas e alla volontà di ridisegnare la mappa dei collegi elettorali in vista del Midterm. Le manipolazioni del voto da parte di Mosca sono evidenti, ma anche gli americani sono dei grandi esperti in questo campo»
Vede molte similitudini tra i due Paesi?
«Presentano un comportamento molto simile, con due uomini soli al comando che possono gestire il potere in base alle loro volontà. I due sistemi si somigliano sempre di più, perché gli americani si stanno avvicinando ad un sistema autoritario, mentre le speranze degli Occidentali nel vedere la Russia diventare una democrazia, magari imperfetta, stanno svanendo».
Tra guerre e tensioni commerciali il multilateralismo sembrerebbe essere in serio pericolo.
«Più che a rischio, direi che è quasi morto. Almeno in una parte del mondo. Questo perché uno degli attori principali, gli Stati Uniti, ha deciso di non voler più far parte del sistema[…] Ma questa tendenza era cominciata già prima dell’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump, che adesso sta dando il colpo di grazia con una serie di accordi bilaterali decisi attraverso i dazi»
(da La Stampa)
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Agosto 11th, 2025 Riccardo Fucile
A MAGGIO DUE SPOSINI HANNO “INAUGURATO LA STAGIONE” FACENDO IL BAGNO DENTRO LA FONTANA DI TREVI, POI UNA COPPIA DI TURISTE IN MUTANDE E REGGISENO SI È TUFFATA DENTRO IL FONTANONE DEL GIANICOLO… UN ALTRO COJONE SI E’ “RIFRESCATO” IMMERGENDOSI NEL MONUMENTO APPENA RESTAURATO A PIAZZA BARBERINI E ANCHE LA FONTANA DEL BERNINI A PIAZZA NAVONA E’ STATA DISSACRATA DA ALTRI DUE IDIOTI
Sono state inaugurate da poche settimane o mesi, dopo un intenso periodo di lavori di restauro per renderle nuovamente splendenti. Ed è un attimo che le fontane storiche diventano piscine per turisti convinti, chissà perché, di meritarsi un tuffo nelle acque che sgorgano tra marmi pregiati, delicati, opere dal valore inestimabile per cui sono stati spesi milioni di euro. Così, mai come quest’anno, le multe da parte della polizia locale si sono moltiplicate.
Sì perché tra gli interventi realizzati con il Pnrr e in particolare con i fondi di Caput Mundi, molti riguardano fontane monumentali e di pregio. Tutti ricorderanno i lavori (da oltre 300mila euro) andati avanti per tre mesi all’interno della Fontana di Trevi, capolavoro di Nicola Salvi che nel frattempo è stato
possibile ammirare ancor più da vicino grazie alla realizzazione di una passerella temporanea. Tolta quella e tornata l’acqua, anche i tuffatori hanno letteralmente rimesso piede della fontana. Addirittura una coppia di sposi, consapevoli che avrebbero preso la multa, per festeggiare ha deciso di imbastire una danza nell’acqua vergine.
Il party abusivo degli sposini si è svolto a maggio e non è stato di certo l’unico di questa estate. Anzi, i due perlomeno sono rimasti vestiti, mentre le tre turiste che hanno deciso di tuffarsi e fare un lungo bagno all’interno del fontanone del Gianicolo, sono passate direttamente a una più confortevole tenuta da piscina: mutande e reggiseno.
Ma i tuffatori sono talmente attratti dalle pregiate vasche che non si limitano a utilizzarle solo per un tuffo. È di tre giorni fa l’ennesimo video social in cui, questa volta un uomo, entra in una fontana: quella in piazza della Repubblica. La fontana delle Naiadi realizzata da Mario Rutelli, è stata restaurata con oltre mezzo milione di euro e dopo 240 giorni di lavori è tornata visibile a metà luglio. La persona che ci si è immersa, ha deciso anche di stendere la maglietta bagnata sul bordo di marmo, sotto a cui ha sistemato anche le scarpe da ginnastica.
Ma con ogni probabilità il tuffo capace di far venire i brividi a chi guarda, nonostante i 40 gradi all’ombra di questa estate, è quello nella fontana dei Quattro Fiumi in piazza Navona. Capolavoro barocco di Gian Lorenzo Bernini, la cura con cui è stato restaurato dagli esperti non è stata ripagata da una coppia di turisti che due settimane fa si è immersa, anche se per pochi minuti: giusto il tempo di farsi fare una foto e di utilizzare il monumento come un palcoscenico personale per qualche “mi piace” sui social. Si vedeva invece solo il volto dell’uomo che
invece si è completamente immerso nella fontana di fine ‘800 in largo Cairoli, come fosse una vasca da bagno o una piscina privata.
Così, la polizia locale ha multato ben cinquanta tuffi nelle fontane del Centro Storico di cui oltre la metà avvenuti con l’inizio del caldo: già da fine aprile e inizio maggio. Rispetto ai primi sei mesi dello scorso anno, l’aumento di multe da 450 euro l’una e di ordini di allontanamento è enorme: più 30%.
Una nota a parte, meritano infine le nuove fontane in piazza Pia, su cui i giovani pellegrini arrivati per il Giubileo sono saliti (anche ballando) la sera prima di andare alla messa a Tor Vergata. Di bagni però, non ce ne sono stati. Né durante il Giubileo dei giovani, né mai.
(da agenzie)
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Agosto 11th, 2025 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE SLOVACCO ED EX COMUNISTA FICO: “KIEV PAGHERÀ A CARO PREZZO LA STRATEGIA FALLIMENTARE DELL’OCCIDENTE PER INDEBOLIRE MOSCA
Scomoda un proverbio africano Robert Fico per ribadire — ancora una volta — il suo
dissenso verso la linea pro Ucraina adottata dagli altri Stati Ue, anche perché nociva alla stessa Ucraina, a suo dire.
«Non importa se gli elefanti combattono o si accoppiano, l’erba ne soffre sempre. Indipendentemente dall’esito dei negoziati tra elefanti del 15 agosto, l’erba ne soffrirà. In questo caso,
l’Ucraina», ha esplicitato, a scanso d’equivoci, il capo del governo slovacco in un video diffuso sabato dalla Croazia, dove è in vacanza.
Nel suo intervento, il «piccolo Orbán», come è stato ribattezzato dagli oppositori per le sue posizioni nazionaliste e gradite a Mosca, ha poi chiarito la sua fosca previsione: «Kiev pagherà a caro prezzo la strategia fallimentare dell’Occidente per indebolire Mosca».
Una sorta di tormentone che aveva ripetuto ai giornalisti anche lo scorso giugno, appena uscito da Palazzo Chigi: «Ci sono Paesi nell’Ue che vogliono prolungare la guerra perché pensano che questo sia il modo per danneggiare la Russia» aveva scandito questo leader ex comunista (ai tempi dell’Urss), poi diventato sovranista alleato all’estrema destra, ora spina nel fianco dell’Europa e della Nato.
Due mesi dopo, Fico ha rilanciato, accusando i politici ucraini di essersi lasciati sedurre dall’Occidente e di averne sostenuto la fallimentare strategia di danneggiare la Russia […] Durissima la reazione di Kiev. Il ministero degli Esteri, sul suo sito web, ha definito ieri «deplorevole» che «il capo del governo di un Paese Ue ricorra a una retorica offensiva verso l’Ucraina e il suo popolo»
La diplomazia ucraina esprime sconcerto per il fatto che Fico «non si renda ancora conto delle vere ragioni di questa invasione criminale e del pericolo che comporta la cooperazione con lo Stato aggressore».
(da agenzie)
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Agosto 11th, 2025 Riccardo Fucile
GLI AGENTI DEL SECRET SERVICE HANNO PARALIZZATO LE STRADE ORGANIZZANDO POSTI DI BLOCCO OVUNQUE E LA POLIZIA EFFETTUA PERQUISIZIONI A TAPPETO NELLE CASE… LO SCORSO INVERNO, IL VICE DI TRUMP ERA STATO CONTESTATO MENTRE SCIAVA. POI È STATO FISCHIATO A DISNEYLAND E POI A ROMA
Nel Regno Unito tanti ormai lo chiamano Vacay Vance perché agli occhi dei cittadini britannici il vicepresidente degli Stati Uniti sembra essere sempre in ferie. «Solo negli ultimi cinque mesi — scrive sul Guardian Marina Hyde — JD Vance è stato in vacanza sugli sci, a Disneyland, in kayak in Ohio e ora nelle Cotswolds». Vacanze che non si è mai potuto godere appieno a
causa delle incredibili misure di sicurezza che vengono adottate per proteggerlo ma anche delle proteste che spesso scatena la sua presenza.
Nei giorni scorsi Charlbury, un tranquillo paese di tremila anime nell’Oxfordshire dove l’ex ragazzo degli Appalachi ha deciso di soggiornare con la moglie Usha e i tre figli, è stato trasformato in una fortezza inespugnabile. Posti di blocco ovunque, un eliporto improvvisato, controlli a tappeto nelle abitazioni limitrofe.
Davanti alla villa del Settecento che ospita l’importante famiglia sono stati messi due tendoni, dietro la casa e sul tetto sono ben visibili delle antenne, una delle quali, secondo gli abitanti del posto, avrebbe potuto essere un sistema anti-drone o una torre per le telecomunicazioni che però contrasta la ricezione telefonica altrui.
«Ronza costantemente, ho pensato che se mi fossi avvicinato il segnale sarebbe migliorato, ma niente da fare», si è lamentato un residente. Il disagio è talmente grande che la proprietaria della tenuta, Pippa Hornby, si è sentita in dovere di scusarsi con i vicini: «Mi dispiace tanto per il circo dei prossimi giorni».
Non è la prima volta che il numero due della Casa Bianca incontra dei problemi. Lo scorso marzo aveva dovuto interrompere la settimana bianca a Sugarbush, in Vermont, a causa della folla che si era radunata per protestare contro il trattamento che aveva riservato a Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca. Il mese successivo a Roma sono stati talmente forti i fischi e le urla dei turisti indiavolati che inveivano contro la chiusura in anticipo del Colosseo per la sua visita esclusiva che ha deciso di rinunciare.
Polemiche e proteste anche sull’isola di Nantucket e ancora di più il 2 agosto sul lago Caesar Creek in Ohio dove i servizi
segreti hanno richiesto l’innalzamento del livello dell’acqua per garantire al vicepresidente di fare in sicurezza un giro in kayak per il suo compleanno. Ma forse il momento peggiore è stato il mese scorso a Disneyland, in California, dove la popolazione è ancora scossa per le retate dell’Ice contro gli immigrati clandestini. Al suo arrivo il governatore Gavin Newsom lo ha accolto con un post pungente su X: «Spero che ti goda il tempo in famiglia JD Vance. Le famiglie che stai facendo a pezzi di certo non se lo godranno».
(da agenzie)
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