Agosto 12th, 2025 Riccardo Fucile
IL SACERDOTE TRATTENUTO DALLE AUTORITA’ ISRAELIANE PER NON MEGLIO PRECISATE “RAGIONI DI SICUREZZA NAZIONALE”… DON CAPOVILLA COLPEVOLE DI AVER ESPRESSO CRITICHE AL GOVERNO DI NETANYAHU… IL VERGOGNOSO SILENZIO DEL GOVERNO MELONI
Don Nandino Capovilla è stato rilasciato dalle autorità israeliane dopo essere stato bloccato
all’aeroporto di Tel Aviv. Il sacerdote veneziano ha annunciato la sua liberazione con un post su Facebook: «Sono libero! Mi hanno fatto uscire ora. Restituito cellulare e valigia. Tutto bene. Aspetto che se ne vadano le ultime mie due guardie per scrivervi queste righe. Volo per la Grecia stanotte».
Nel messaggio, don Capovilla è tornato a chiedere sanzioni contro Israele, che considera un regime di apartheid: «Basta una riga per dire che sto bene, mentre le altre vanno usate per chiedere sanzioni allo stato che tra i suoi “errori” bombarda moschee e chiese mentre i suoi orrori si continua a fingere che siano solo esagerazioni».
Il fermo all’aeroporto e le «ragioni di sicurezza nazionale»
Il sacerdote era stato fermato e trattenuto all’aeroporto di Tel Aviv per un «diniego di ingresso», dopo essere arrivato in Israele
con una delegazione guidata dal vescovo Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi. Nel documento di espulsione visionato da Avvenire, le autorità israeliane hanno specificato che don Capovilla sarebbe stato allontanato «il prima possibile» e fino ad allora trattenuto «in un luogo designato».
Il provvedimento è stato preso per non meglio precisate «ragioni di sicurezza nazionale», che il sacerdote avrebbe messo a rischio partecipando a iniziative di sensibilizzazione contro la guerra e per il dialogo tra i due popoli. Se in futuro vorrà tornare in Terra Santa, dovrà presentare una richiesta in anticipo.
Gli amici con i quali ha potuto parlare raccontano che durante i controlli, dopo qualche tempo di attesa, gli è stato dato da firmare senza altre spiegazioni un modulo, «che non ha firmato», nel quale si legge che «non gli è permesso di entrare in Israele»: nel documento, che il Corriere ha potuto vedere, la «ragione del rifiuto» è indicata con la formula «considerazioni relative alla sicurezza pubblica, alla pubblica incolumità o all’ordine pubblico».
Così «la persona sarà allontanata da Israele il prima possibile e fino a quel momento sarà trattenuta in un luogo designato a tale scopo».
Don Capovilla ha dovuto passare il resto della giornata in un locale delle autorità israeliane vicino all’aeroporto («una sorta di cella», dicono gli amici), fino alla tarda serata: «Dopo sette ore di detenzione sono libero!», ha scritto in un messaggio, «restituito cellulare e valigia, tutto bene, dicono che mi fanno volare in Grecia stanotte». Resta da stabilire perché sia accaduto
«Non lo sappiamo, ma pensiamo che sia a causa del libro Sotto il cielo di Gaza che ha appena scritto», spiega l’arcivescovo Ricchiuti, che nel frattempo ha raggiunto Betlemme: «Abbiamo contattato mari e monti ma non c’è stato niente da fare, purtroppo. Noi siamo qui per la nostra campagna di giustizia e di pace, “ponti e non muri”».
Chi è don Nandino Capovilla
Don Nandino Capovilla è un sacerdote veneziano, parroco a Mestre, noto per le sue iniziative in favore dei diritti umani e dei più deboli, sempre improntate alla nonviolenza. Come esponente di Pax Christi, nei 22 mesi di guerra a Gaza non ha mancato di esprimere preoccupazione denunciando gli attacchi sui civili e condannando le operazioni militari «che hanno prodotto una catastrofe umanitaria». Il suo attivismo per la pace e i diritti umani lo ha reso una figura di riferimento nel movimento pacifista italiano, sempre in prima linea nelle iniziative di solidarietà internazionale.
(da agenzie)
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Agosto 12th, 2025 Riccardo Fucile
LA RICERCA DEGLI SCIENZIATI POLITICI PAGE E GILENS MOSTRA CHE UNA CORRISPONDENZA TRA LE OPINIONI DEI CITTADINI E LE POLITICHE EFFETTIVE E’ POSSIBILE SOLO SE CIO’ CHE LA MAGGIORANZA VUOLE COINCIDE CON CIO’ CHE VOGLIONO LE MINORANZE ECONOMICHE
La parola che ben rende l’idea di uno scivolamento delle democrazie costituzionali verso posture autoritarie è “scorciatoia”. Secondo una ricerca empirica del 2014 riconfermata negli anni, gli Stati Uniti sono tecnicamente un’oligarchia. A condurre la ricerca furono Benjamin Page e Martin Gilens, due autorevoli scienziati politici che non sono né massimalisti, né estremisti di sinistra, come i giornalisti italiani amano etichettare coloro che non si limitano a contare i sassi sui quali inciampano.
Page e Gilens sono giunti a questa conclusione utilizzando uno standard democratico piuttosto semplice e minimo: vedere se le preferenze e le convinzioni politiche della maggioranza dei cittadini influenzano effettivamente la politica. La ricerca indica che tale influenza è molto debole. Mostra che una certa corrispondenza tra le opinioni dei cittadini e le politiche effettive è ancora possibile, ma solo se ciò che la maggior parte dei cittadini vuole coincide con ciò che vogliono le minoranze economiche.
Contrariamente all’ideale democratico, la legislazione negli Stati Uniti semplicemente non tiene conto degli interessi, delle opinioni e del ragionamento della maggior parte dei cittadini. Anzi, ne tiene conto solo se queste collimano con le politiche che soddisfano alcune specifiche preferenze. Pertanto, tecnicamente parlando, gli Stati Uniti non sono una democrazia. I cittadini possono manifestare o sottoscrivere migliaia di petizioni online. Nessuno se ne cale, si direbbe nel bel paese. La libertà di parlare c’è (ancora) ma è inefficace. Vale al massimo come prova che esiste.
Le discussioni sul “deficit democratico” sono cominciate in effetti nell’Unione Europea con la crisi economica del 2008. Un
esempio: nelle elezioni del 2015 in Grecia, un partito politico con un programma economico sostenuto dalla maggioranza dei cittadini venne democraticamente eletto, ma invece di attuare il programma, ha finito per riproporre le precedenti politiche di austerità che i cittadini avevano respinto alle urne. Di nuovo: la libertà di esprimere opinioni e indicare preferenze resta inefficace e l’arte di governare è spesso una capitolazione.
La libertà politica democratica non è come quella civile, nel senso che non è sufficiente averla: occorre che provi ai suoi cittadini che è efficace. Diversamente questi rischiano di perdere fiducia nella democrazia e, magari, farsi convincere da leader autoritari che sarebbe meglio lasciare a loro l’onere di opinare e di decidere. La politica è interessata alla realizzabilità e non è solo libero associarsi e parlare. Ci sono problemi che gruppi e classi di persone avvertono e conoscono, e ci sono strategie per dare loro una risposta. In una democrazia questo processo è collettivo e pluralistico, apre cioè l’arena pubblica alla discussione e alla competizione affinché una parte, quella maggioritaria, abbia la possibilità di mettere in atto, o almeno di provarci, quel che ha promesso nel rispetto delle regole costituzionali.
Succede sempre più sistematicamente che le opinioni e le preferenze della maggioranza dei cittadini siano inascoltate, anche se sul loro numero i partiti contano per vincere e governare. Poi, quando sono al governo, fanno sempre più platealmente quel che vogliono, ovvero quel che vuole la parte della società che economicamente conta di più. Dunque, si promette di tagliare le tasse e di rifinanziare la sanità: le due cose non stanno facilmente insieme. Allora, ci si ingegna in una bella strategia mediatica che faccia credere che le due cose stanno
insieme. Le facce dei leader che come i preti sull’altare fanno omelie in solitario quasi ogni giorni ha la funzione del medico che rassicura il bambino malato magari con parole mielose: una sanatoria ricompensa del declino della sanità pubblica, un’opera pubblica faraonica darà lavoro a molti.
Un’altra strategia è quella di creare tempeste di sabbia con il ventilatore: il carovita morde le vacanze degli italiani e l’eco della stampa orienta l’opinione verso i bagnini. I quali sono certamente esosi (non dovunque) ma una stampa seria dovrebbe chiedersi chi sono gli italiani che vanno verso le spiagge libere (sempre più rare).
Forse il turismo di massa non regge all’inflazione, ai salari da fame, alla precarizzazione. E forse lo stesso ceto medio, nonostante i regalini dei condoni, alla fine si trova a scartare il ristorante per un McDonald’s. Poi, una volta che la sabbia si sarà posata, arriverà l’omelia della presidente del consiglio che racconterà la favola bella del paese che va a gonfie vele, e se non lo vediamo è a causa di chi dall’opposizione solleva dubbi. Guai ai dubbi nel paese dove tutto va per il meglio.
Nadia Urbinati
(da editorialedomani.it)
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Agosto 12th, 2025 Riccardo Fucile
IL FENOMENO RIGUARDA ANCHE I PICCOLI CENTRI, NON SOLO LE GRANDI CITTA’
Dal 2020 a oggi, nella sola città di Roma, hanno chiuso 15mila negozi. È l’allarme lanciato
dal presidente di Confartigianato, Andrea Rotondo, che si basa su un’analisi dei dati di Infocamere. Dai 63.158 del 2020, si è infatti passati a 48.629 esercizi commerciali, con una perdita pari al 23% che ha coinvolto tutti i settori, a esclusione della grande distribuzione e del commercio digitale.
Particolarmente colpiti i negozi di prodotti per uso domestico (diminuiti di oltre la metà), di prodotti per l’illuminazione (calati del 40%) e quelli di bigiotteria (36%). In fatto di perdita di negozi commerciali, la situazione romana risulta una delle
peggiori del Paese, ma non è isolata: anche città come Milano e Firenze continuano a perdere negozi, e in generale in tutta Italia il numero delle attività del settore è in calo da anni.
Il numero dei negozi della capitale è in calo da tempo, e viaggia a un ritmo ben più sostenuto di quello delle altre città. «Si assiste ormai da anni ad una vera e propria desertificazione commerciale dei territori urbani», ha detto Andrea Rotondo. «È un’emergenza da affrontare».
Rotondo riporta i dati di Infocamere, che mostrano un calo nella quasi totalità dei negozi commerciali romani: se si analizzano i settori merceologici, dal 2020 al 2025, Roma ha visto un calo del 53% dei prodotti per uso domestico, del 34% degli ambulanti, del 29% dei venditori di prodotti culturali, del 26% dei negozi di cosmetica, del 24% del settore arredamento, del 23% in fatto di abbigliamento, del 19% dei negozi di ferramenta, del 14% di gioiellerie, del 12% di informatica e telefonia, e dell’11% nell’alimentare. Crescono notevolmente, invece, il commercio digitale (del 29%) e le medie e grandi strutture (del 14%), e registrano un leggero aumento anche medicinali (1,60%) e materiali edili (1,33%). Lo scenario, insomma, è quello di crisi per la quasi totalità del settore commerciale, e prevalentemente per i piccoli commercianti.
Nella sua analisi dei dati, ripresa dal Corriere Roma, Rotondo si concentra sui cali registrati dalla capitale, sottolineando come i dati della città risultino ben più alti di quelli di altri grandi centri. A fine 2024, Roma è stata individuata come provincia con il maggior numero di chiusure anche dal sito di elaborazione statistica Truenumbers. La capitale ha registrato il 7,37% delle chiusure totali, seguita da Napoli con il 7,12% e Milano con il 4,66%. Le province con il maggior numero di cessazioni per
100.000 abitanti sono state invece Cagliari con 120,77, Caserta con 95,97 e Savona con 94.91. In generale, in tutto il Paese il numero delle attività commerciali è in forte decrescita da anni. Nel Belpaese, dopo il picco del 2015, il numero dei negozi di vendita al dettaglio è sceso a ritmo sostenuto, tanto che nel 2024 si contavano 131.197 attività in meno rispetto a dieci anni prima, pari a un calo del 15% del totale. La situazione colpisce particolarmente i piccoli centri, tanto che 206 Comuni sono privi di qualsiasi attività commerciale. A questi si aggiungono altri 219 Comuni che malgrado abbiano negozi commerciali, risultano privi di negozi di genere alimentare. In Italia, soltanto il 44% della popolazione italiana può accedere a un panificio entro 15 minuti, il 35% a una pescheria, il 60% a un fruttivendolo.
(da lindipendente.online)
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Agosto 12th, 2025 Riccardo Fucile
L’ULTIMO OSTACOLO RESTA VINCENZO DE LUCA, CHE CHIEDE DI NOMINARE IL FIGLIO, PIERO, SEGRETARIO DEL PD REGIONALE. MA ELLY NON CEDE…IN PUGLIA, EMILIANO È INDIGESTO A ANTONIO DECARO PER LA VECCHIA STORIELLA DELL’INCONTRO CON LA SORELLA DEL BOSS CAPRIATI, “PADRINO” DI BARI VECCHIA, RACCONTATA DAL GOVERNATORE URBI ET ORBI
A dispetto delle scaramucce di pubblica propaganda, utili a tenere il punto con le rispettive basi, l’accordo tra Elly Schlein e Giuseppe Conte è fatto. Pd e M5s saranno uniti in tutte le Regioni al voto d’autunno.
Oltre a Toscana e Marche, dove Conte, alzato il ditino, ha fatto sudare alla segretaria dem il via libera a Giani e Ricci, c’è l’ok anche per la Calabria, e per la Campania, che è quella che conta davvero
Nella regione governata dal forzista Occhiuto, Elly ha ceduto volentieri a Conte il candidato: sarà Pasquale Tridico, ex presidente dell’Inps e “volto” del reddito di cittadinanza (fu lui a implementarlo e introdurlo).
Non avendo alcuna chance di vittoria, i dem sono stati ben disposti a mandarlo a schiantarsi. Ma l’economista, che si è trasferito nel bengodi di Bruxelles, come parlamentare europeo, sarà disposto a sacrificarsi per una causa persa?
A Napoli, l’unica casella che manca per convincere De Luca a dare l’ok definitivo al grillino Roberto Fico, riguarda il figlio dello “Sceriffo di Salerno”, Piero, che il governatore uscente vuole come segretario regionale del Partito democratico.
De Luca senior, che ha già intascato la presidenza dell’assemblea regionale per lui e l’assessorato alla Sanità per un suo fedelissimo, terrà duro fino alla fine, e con il passare del tempo appare sempre più improbabile che Elly Schlein rifiuti: l’accordo si troverà, anche se la segretaria avrebbe preferito un altro nome.
Del resto, il repulisti in Campania fu uno dei primi atti politici della segretaria appena varcata la soglia del Nazareno: Elly silurò Piero De Luca (era vicecapogruppo alla Camera del Pd) e commissariò il partito in Regione, un atto ostile proprio contro De Luca, spedendo il bergamasco Antonio Misiani a tentare di “bonificarlo”.
Ma depurare il Pd da un sistema di potere consolidato da anni, se non impossibile, è controproducente.
E Vincenzo De Luca sa bene come far valere la sua forza. Lo si è visto con la questione del Teatro San Carlo di Napoli, che ha fatto incazzare pure il mite sindaco, Gaetano Manfredi. La decisione di Riccardo Realfonzo, l’uomo di De Luca nel board, di votare insieme ai rappresentati del ministero della Cultura di Giuli, per indicare Fulvio Macciardi come sovrintendente, è un messaggio chiaro da parte del Governatore a Elly: se fai la furbetta, ti ritrovi in una strada piena di botole che si aprono sotto i tuoi piedi
E la Puglia? Nel tacco dello Stivale, la questione, più che politica, è personale. Antonio Decaro, infatti, sta mettendo in discussione la sua candidatura, data per certa, pur di non avere tra le palle l’ingombrante Michele Emiliano, un tipino in possesso di un potere ben radicato sul territorio pugliese.
Da dove arriva questa ostilità, visto che l’ex sindaco di Bari era un “apostolo” dell’ex magistrato con la passione per il buon cibo e le belle signore?
Il rapporto si incrinò il 23 marzo 2024, nel pieno della bufera per l’inchiesta sulle infiltrazioni mafiose e voto di scambio alle elezioni comunali di Bari del 2019.
Durante un comizio nel quartiere di Bari Vecchia, Michele Emiliano raccontò un vecchio episodio. Sostenne di aver accompagnato Decaro, poco prima minacciato, a casa della sorella del boss Antonio Capriati, dicendole: “vedi che questo ingegnere, è assessore mio, e deve lavorare”. Una sorta di lasciapassare per permettere a Decaro di fare il suo lavoro. Lì per lì, Decaro abbozzò ma poi smentì la ricostruzione e di essere mai stato a casa della sorella del boss. Anche quest’ultima negò qualsiasi contatto con il 55enne ex sindaco.
Un’uscita che per Decaro ha rappresentato un tradimento imperdonabile: ora che Emiliano si vuole candidare a tutti i costi come consigliere, l’europarlamentare (con un bottino di mezzo milione di voti) vuole evitarlo come la peste.
Sa bene che se Emiliano entra in consiglio, sarà lui a comandare. I dirigenti dem le hanno provate tutte per far retrocedere l’attuale Presidente di Regione. Elly, priva di palle com’è, ha tentato di convincere Giuseppe Conte a intervenire su Emiliano.
Ma Peppiniello ha risposto di non poter fare nulla, nonostante il funambolico populista Emiliano rischia di portare via voti ai grillini. “Sono in debito con lui”, è stata la risposta del capo del M5s: fu infatti Emiliano a trascinare il Movimento 5 Stelle per la prima volta nella giunta regionale pugliese
(da Dagoreport)
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Agosto 12th, 2025 Riccardo Fucile
FERRAGOSTO E’ UNA PROVA DI RESISTENZA ANCHE PER IL PORTAFOGLIO
Quest’anno, a causa dei costi, non tutti sono riusciti a sostenere le spese per partire, molti
hanno rinunciato o hanno optato per vacanze alternative. Secondo l’Istat, nel 2024 circa il 30% delle famiglie con uno o due figli non ha potuto permettersi nemmeno qualche giorno di villeggiatura, una percentuale che rischia di crescere ulteriormente.
Emblematica la situazione nelle spiagge che tra giugno e luglio si sono riempite solo nel weekend, anche perché per un ombrellone e due lettini ormai si è arrivati a cifre folli, tra i 40 e i 70 euro al giorno. Il bilancio degli operatori del settore è di un calo medio delle presenze negli stabilimenti tra il 20 e il 30%. E di conseguenza consumi ridotti al minimo per i servizi di bar, ristoranti, noleggio attrezzature.
Colpa del caro ombrellone, puntano il dito i consumatori che parlano di una sorta di «legge del contrappasso», dice Massimiliano Dona dell’Unc. C’è l’idea che molti gestori abbiano alzato i listini per tentare di massimizzare il profitto prima di perdere la concessione balneare, visto che a settembre 2027 scatteranno le gare.
Assobalneari risponde alle critiche ricordando che «esistono stabilimenti per tutte le tasche. Il problema è il caro vita che ha ridotto il potere d’acquisto, non bisogna scaricare le responsabilità sulle imprese», è il loro ragionamento.
Il Codacons ha stilato anche una lista dei servizi di lusso in spiaggia: dalla tenda imperiale del Twiga da 1.500 euro al giorno alla zona exclusive da 940 euro del Cinque Vele Beach Club di Pescoluse per il 16 agosto. Ma il salasso non riguarda solo i lidi. A luglio sono cresciuti di quasi il 4% i costi di piscine, palestre e ristoranti; mentre, denuncia l’Unione nazionale consumatori, i prezzi di villaggi, campeggi e ostelli sono saliti addirittura del 16%.
Sul fronte trasporti bisogna ricordare che dal 1° gennaio 2025 sono scattati gli aumenti delle tariffe lungo la rete di Autostrade per l’Italia: +1,8% su 2.800 chilometri, una percentuale in linea con il tasso d’inflazione programmato.
I prezzi alla pompa dei carburanti, a quanto risulta all’Osservatorio del ministero delle Imprese e del Made in Italy, sono sostanzialmente stabili verso l’alto, con qualche piccolo rialzo o ribasso diversificato tra le aziende di distribuzione. La benzina self service si attesta in media a 1,715 euro al litro; il diesel a 1,651 mentre il “servito” arriva rispettivamente a 1,859 e 1,794 euro al litro. Il Gpl segna 0,698 euro al litro e il metano 1,431 euro.
I biglietti dei voli sono in costante risalita da mesi. L’Unc rileva un rincaro minimo a luglio del 7%, ma alcune rotte hanno subito un’impennata. Secondo Cirium, società specializzata nell’analisi del settore aeronautico, in Italia gli aumenti estivi vanno da un massimo del 48% per un biglietto economy per la Danimarca al +7% per Grecia e l’Irlanda, passando per il +36% della Spagna e il +10% del Portogallo.
E al rientro, l’ultima voce di spesa per le famiglie: i libri scolastici. Per la scuola media si spendono 355 euro, per le superiori si arriva a 553 euro.
La vacanza resta un sogno di evasione dal lavoro e dagli impegni quotidiani, ma, visti i costi, il relax è ormai un privilegio, non più un diritto.
(da agenzie)
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