Agosto 17th, 2025 Riccardo Fucile
“PER ESSERE MOLTO CHIARI, ESISTEVA GIÀ. NEL 1994 LA RUSSIA AVEVA FIRMATO CHE NON AVREBBE MAI ATTACCATO L’UCRAINA”… “LA PRIMA DELLE GARANZIE DI SICUREZZA PER L’UCRAINA È UN ESERCITO UCRAINO FORTE”
“Penso che il Presidente Putin voglia la pace? La risposta è no. Vuole la capitolazione dell’Ucraina, è quello che ha proposto”. Lo ha detto il presidente francese Emmanuel Macron parlando ai giornalisti dopo la riunione della Coalizione dei volenterosi. “Penso che il Presidente Trump voglia la pace? Sì”, ha aggiunto.”Se oggi non mostriamo fermezza con la Russia stiamo preparando i conflitti di domani” in Ucraina.
Gli europei nella visita di domani a Washington insieme a Volodymyr Zelensky chiederanno a Donald Trump “fino a che punto” intende partecipare alle garanzie di sicurezza per l’Ucraina.
Secondo quanto spiegato da Macron, bisogna capire “chi è disposto a fare cosa” perché “gli ucraini non possono accettare semplici impegni teorici”
Quello delle garanzie di sicurezza per quando la guerra sarà finita è un nodo cruciale: secondo quanto emerso ieri, gli europei e Trump hanno discusso di garanzie di sicurezza per Kiev in ‘stile Nato’ che offrirebbero tutele “tipo articolo 5” ma senza il coinvolgimento della Nato, con il sostegno sia dell’Europa sia degli Stati Uniti. La disponibilità degli Usa a partecipare alle garanzie è stata accolta con favore dagli europei, ma Macron ha precisato adesso che vorrà scendere nei dettagli di questo.
“In un contesto estremamente grave” si gioca “un momento importante del conflitto e per la sicurezza dell’Ucraina” e in questo contesto “l’obiettivo è semplice: ricordare ciò che unisce l’Ucraina, l’Europa e gli Stati Uniti”, cioè che “vogliamo la pace”, indicando “un aggressore”, cioè la Russia.
A Washington si recheranno diversi leader europei, fra cui lo stesso Macron. All’incontro virtuale di oggi, Zelensky si è collegato da Bruxelles insieme alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che sarà anche lei a Washington domani. Macron si è collegato dal forte di Brégançon.
Rispetto a un meccanismo per l’Ucraina come l’articolo 5 della Nato “la questione è di sostanza. E per essere molto chiari, esisteva già”. Trent’anni fa nel “famoso Accordo di Budapest del 1994 la Russia aveva firmato che non avrebbe mai attaccato l’Ucraina”
“Penso che un articolo teorico non sia sufficiente”. “La prima delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina è un esercito ucraino forte”. “Se vogliamo che questa pace duri, deve esserci un esercito ucraino solido e robusto”.
“Non ci possono essere discussioni territoriali sull’Ucraina senza i leader ucraini”. Lo ha ribadito il presidente francese, Emmanuel Macron, parlando con i giornalisti dopo la riunione della cosiddetta coalizione dei volenterosi, che si è tenuta in video-conferenza, che si è tenuta alla vigilia della visita del presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Washington da Donald Trump, a seguito del summit di Ferragosto di Trump con Vladimir Putin in Alaska.
(da agenzie)
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Agosto 17th, 2025 Riccardo Fucile
“IL VERGOGNOSO SUMMIT DI TRUMP E PUTIN È ANDATO PEGGIO DI COME PENSAVAMO. PUTIN VUOLE CONGELARE LE LINEE DI BATTAGLIA, AVERE ULTERIORE TERRITORIO A EST E ASSICURARSI CHE L’UCRAINA NON POSSA PIÙ AUTOGOVERNARSI. TUTTO QUI. E QUESTO ‘PANINO DI MERDA’ È STATO SERVITO A ZELENSKY” … “È DISGUSTOSO CHE TRUMP CERCHI DI SVENDERE PEZZI DELL’UCRAINA, E POI DICA A ZELENSKY: “ADESSO SPETTA A TE CHIUDERE L’ACCORDO”. NO, VAFFANCULO…”
Abbiamo saputo qualcosa in più su ciò che accadeva dietro le quinte al vertice Trump-
Putin, se così lo vogliamo chiamare, in Alaska. E si scopre che è stata una resa ancora più umiliante di quanto sembrasse ieri sera — e già ieri sera sembrava parecchio umiliante.
Quindi ricapitoliamo, per chi se lo fosse perso. C’è stata una
conferenza stampa congiunta, credo. Una conferenza stampa in pieno stile russo dopo l’incontro, in cui ha parlato Putin e subito dopo Trump ieri sera.
La principale conclusione era che si trattava di un clamoroso “nulla di fatto”. Si sono limitati a lodarsi a vicenda. Putin ha vinto solo per il fatto di essere lì, trattato come un pari, con Trump che lo ha elogiato e che ha mentito di nuovo sul cosiddetto “Russia hoax”.
La bufala Russia, Russia, Russia. Certo, questo lo ha reso un po’ più difficile da gestire, ma Putin lo ha capito. Credo che nella sua carriera abbia visto di tutto. Putin ha potuto esporre le sue lamentele sull’Ucraina e sull’Occidente.
Quindi, non c’era nulla di sostanziale e sembrava, fino a venerdì sera, che questo incontro fosse uno zero assoluto, una di quelle riunioni che potevano essere un’email. Da allora, però, abbiamo saputo che cosa è stato discusso dietro le quinte, dove Trump e Putin hanno detto di aver fatto progressi. E non è forse lo scenario peggiore per l’Ucraina, ma ci siamo molto vicini.
È un tradimento totale e vergognoso da parte degli Stati Uniti, da parte di Trump, Rubio e Witkoff.
Trump ha aggiunto l’insulto al danno, e probabilmente la parte più grottesca di tutto questo disastro è arrivata durante la sua intervista con Sean Hannity dopo il vertice. Per capire quanto male Trump abbia trattato Zelensky durante quell’incontro, è importante capire il retroscena che non conoscevamo ieri sera,
cioè cosa aveva chiesto Putin nell’incontro.
Questa informazione arriva dal Financial Times. Quindi grazie a Christopher Miller, Amy McKinnon e Max Seddon per il loro articolo, il cui titolo era: “Putin ha chiesto che l’Ucraina cedesse Donetsk e Luhansk in cambio del congelamento del resto della linea del fronte”. Vi leggo un passaggio.
“Trump ha comunicato le richieste di Putin in un messaggio a Zelensky sul suo volo di ritorno dall’Alaska, oltre che in una telefonata con i leader europei sabato mattina. Li ha esortati a lavorare a un accordo, i cui contorni ricalcano in buona parte ciò che Putin sta chiedendo.
Per contesto: Donetsk e Luhansk sono a est. Attualmente la Russia controlla circa il 70% di Donetsk. Quindi chiederebbe all’Ucraina di cedere aree che in realtà nemmeno controlla.
Trump, rilanciando la propaganda russa, ha riferito che Putin gli aveva detto che ottenere il resto di Donetsk sarebbe stato facile, non un grosso problema, e che la Russia avrebbe potuto farlo quando voleva. È un’assurdità, ovviamente, chiunque segua le notizie sa che Putin prova a occupare Donetsk da oltre dieci anni, e se fosse stato facile lo avrebbe già fatto.
Ancora una volta, anche nei suoi commenti a margine, Trump non fa che rafforzare Putin e rilanciarne i punti di propaganda, demolendo Zelensky. Dunque, Putin vuole Donetsk e Luhansk e, in aggiunta, il congelamento della linea del fronte a sud, nella regione di Kherson e aree circostanti già occupate. E oltre a
questo, Putin vuole ancora una volta “risolvere le cause profonde del conflitto”.
Qui voglio fermarmi un attimo, perché anche tra i commentatori del Bulwark c’è chi ha criticato la mia ironia sulle “cause profonde” della guerra. Alcuni sembrano aver ceduto alla propaganda russa e credono che la guerra sia cominciata perché l’Ucraina stava flirtando troppo con la NATO, o perché l’Occidente aveva troppi armamenti in Europa orientale, o altre sciocchezze. È tutta fandonia.
La vera causa di questa guerra è che Vladimir Putin è un maniaco omicida e megalomane che vuole reingegnerizzare l’URSS, colonizzare i Paesi vicini e prendersi più potere possibile per sé stesso, alimentando il suo ego e l’immagine di “grande leader” che riporta la Russia alla gloria. Punto. Se Putin domani dicesse ai suoi soldati di tornare a casa, la guerra finirebbe. Non c’è altro.
Quello che Putin intende con “cause profonde” è che non vuole più che l’Ucraina abbia un’autonomia di governo. Vuole limitarne le alleanze militari ed economiche con l’Occidente, vuole che i Paesi occidentali ritirino asset militari dalla regione e ottenere garanzie che un futuro leader ucraino eletto liberamente non possa orientare il Paese verso l’Occidente. In sostanza, vuole trasformare l’Ucraina in uno Stato fantoccio della Russia.
È una richiesta assurda e folle. Se Marco Rubio avesse ancora coraggio, gli direbbe: “La nostra richiesta è che tu lasci l’Ucraina
e non ci torni più, e allora forse potrai commerciare il tuo petrolio per non fallire”. Questo dovrebbe essere il piano di partenza.
Ora sappiamo che Putin vuole congelare le linee di battaglia, avere ulteriore territorio a est e assicurarsi che l’Ucraina non possa più autogovernarsi. Tutto qui. E questo “panino di merda” è stato servito a Zelensky.
E torniamo a Trump. Dopo quell’incontro, Trump ha detto che avevano fatto progressi. Progressi su cosa, esattamente? Putin che cosa ha ceduto? Nulla. Trump lo ha chiamato “progresso”. Poi nell’intervista con Hannity ha detto: “Sono stati concordati molti punti, ma non così tanti. Uno o due punti significativi, ma credo si possa arrivare a un accordo. Ora tocca a Zelensky farcela. E anche alle nazioni europee, ma tocca a Zelensky”.
Ora tocca a Zelensky “farcela”? A fare cosa? A consegnare il suo Paese? Vuoi che si prostri come hai fatto prostrare i soldati americani davanti a Putin? Che significa? No. Tocca a te sostenere il nostro alleato, rafforzarlo, perché Putin capisca che non può invadere Paesi liberi a piacimento. È disgustoso che Trump cerchi di svendere pezzi dell’Ucraina e la sua indipendenza, e poi dica a Zelensky: “Adesso spetta a te chiudere l’accordo”. No, vaffanculo.
Siamo tornati al punto dell’incontro nello Studio Ovale, quando Trump e Vance pressavano Zelensky a fare concessioni per permettere a “Donnie” di prendersi un Nobel per la pace.
Pressiamo il nostro alleato, lo umiliamo, lo intimidiamo, mentre vezzeggiamo il nostro nemico, l’aggressore. Questo sta facendo il presunto leader del mondo libero. Patetico.
Il prossimo passo ora è che Zelensky tornerà in America, e ci sarà la cosiddetta “coalizione dei volenterosi”, cioè gli europei che vogliono ancora difendere i propri territori. Intanto Trump manderà suoi surrogati a fare interviste domenica. Poi lunedì pomeriggio Zelensky dovrebbe andare a Washington a incontrare Trump. Chissà se andrà meglio dell’ultima volta.
Trump dice: “Abbiamo dato 350 miliardi, abbiamo dato equipaggiamento militare, siete stati coraggiosi, ma avete usato il nostro equipaggiamento. Senza di noi non ci sarebbe speranza”. Forse c’è da sperare solo perché Trump tende a fare quello che gli dice l’ultima persona con cui ha parlato. Ma la situazione è pessima. Zelensky non ha alternative se non provare.
Insomma, uno spettacolo in Alaska che da “umiliante nulla di fatto” si è trasformato in un tradimento grottesco di tutto ciò che l’America dovrebbe rappresentare. Non troppo diverso da Helsinki 2018, quando Trump disse: “Il presidente Putin ha detto che non è stata la Russia. Io non vedo perché dovrebbe esserlo”.
Eccoci di nuovo lì. Monitoreremo i talk show della domenica per vedere se emergono novità. Se ci saranno sviluppi, io o un mio collega torneremo a parlarne. Grazie a tutti per averci seguito. Dite ai vostri amici: “Fuck Donald Trump”. A presto.
Tim Miller
(da The Bulwark)
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Agosto 17th, 2025 Riccardo Fucile
ANALIZZANDO IL PIL PRO CAPITE DEL 2025, IL KAZAKISTAN SUPERA LA RUSSIA IN PROFONDA CRISI
C’è uno Stato dell’ex Unione Sovietica che, secondo le stime, nel 2025 avrà un Pil pro capite superiore a quello della Russia. Si tratta del Kazakistan. Secondo i dati diffusi dal Fondo monetario internazionale (FMI), il PIL pro capite del Kazakistan sarà pari a 14.770 dollari, mentre la Russia si fermerà a 14.260 dollari.
Analizzando i dati relativi al 2024, la Russia ha registrato un Pil pro capite di 14.790 dollari, dunque in calo dell’1%. Il Kazakistan, invece, nello stesso anno si attestava a 14.150 dollari. Con una stima per il 2025 di 14.770, la crescita prevista sarà del 4,4%.
Se si considerano gli altri Stati ex sovietici, il loro Pil pro capite risulta inferiore rispetto a Russia e Kazakistan. L’Armenia si
attesta a 8.860 dollari; la Moldavia a 8.260; la Bielorussia a 7.880; l’Azerbaigian a 7.600; l’Uzbekistan a 3.510; il Kirghizistan a 2.750, mentre il Tagikistan è fermo a 1.430. In Ucraina, invece, l’indicatore si colloca a 6.260 dollari.
L’economia russa non può ancora definirsi in recessione, ma la crescita rispetto al 2024 è nettamente più bassa. Nel secondo trimestre 2025 si è registrato un rallentamento con un aumento dell’1,1% su base annua, dopo un incremento annuo dell’1,4% nel periodo gennaio-marzo.
Secondo le stime del ministero dello Sviluppo Economico, nella prima metà del 2025 l’economia russa è cresciuta dell’1,2% su base annua. Nello stesso periodo del 2024, invece, la crescita era stata del 4,7% rispetto ai primi sei mesi del 2023.
Il governo russo appare sempre più preoccupato dell’andamento dell’economia. In particolare, le entrate fiscali della Russia risultano oggi molto più ridotte rispetto al passato, creando difficoltà non solo nel raggiungere gli obiettivi socio-economici già fissati, ma anche nel sostenere le spese militari, che negli ultimi anni hanno assorbito oltre un terzo delle risorse pubbliche complessive. Forse anche per questo Putin, per la prima volta, si è mostrato disponibile al dialogo e ad arrivare a una pace duratura con l’Ucraina. La visita in Alaska per incontrare Trump è servita a rilanciare la sua immagine a livello internazionale. Putin potrebbe puntare a un accordo per porre fine alle sanzioni che hanno isolato il Paese dal resto del mondo.
(da Money)
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Agosto 17th, 2025 Riccardo Fucile
“IL TURISMO MONTANO HA REGISTRATO UN FORTE AUMENTO, MA MOLTI NON SONO ATTREZZATI”
L’estate porta ogni anno migliaia di persone a scegliere la montagna come meta di
vacanza o di svago, tra sentieri panoramici, escursioni e arrampicate. Ma insieme al fascino dell’alta quota crescono anche i rischi: piccoli incidenti, cadute e malori che in alcuni casi si rivelano fatali. Secondo gli ultimi dati del Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico (Cnsas), aggiornati al 23 luglio, dall’inizio dell’ondata estiva, il 21 giugno, si contano già 83 vittime, con una media di circa tre decessi al giorno. Un bilancio che, nelle settimane successive, non ha subito rallentamenti, a conferma di quanto sia necessario affrontare con prudenza le attività in montagna, dove la bellezza dei paesaggi si accompagna sempre a condizioni che richiedono attenzione ed esperienza.
Cosa dicono i dati
Ad oggi, si stima che le vittime siano arrivate quasi a quota 100. Proprio stamattina, 17 agosto, è morto un alpinista a causa di una caduta nel massiccio del Monte Bianco. Mentre ieri sera, 16 agosto, il soccorso alpino Valdostano ha svolto un intervento difficile sul Dente del Gigante, sempre sul Monte Bianco, perché un escursionista era rimasto sospeso nel vuoto. «È difficile
fornire un dato aggiornato, ma i nostri interventi non si sono certo fermati in queste ultime settimane, anzi», dichiara Simone Alessandrini del Soccorso Alpino. Secondo quanto emerge dai dati del Cnsas, il 44% delle operazioni di soccorso riguarda escursionisti colpiti da malori o coinvolti in cadute, mentre il restante 56% copre tutte le altre attività di montagna. Il bilancio del soccorso alpino va di pari passo con una denuncia importante: spesso, molti visitatori delle montagne, arrivano impreparati.
L’allarme del soccorso alpino: «Turismo aumentato, ma senza attrezzatura»
«Il turismo montano da 4-5 anni ha registrato un forte aumento, ma non tutti fanno corsi preparatori e i non iscritti al Club Alpino Italiano sono quasi il 90%. Le montagne italiane, da nord a sud, sono quindi affollate da persone che non sono attrezzate per questo tipo di turismo», spiega Alessandrini del Soccorso alpino. «Una grande fetta lo fa solo per potere scattare una foto da postare sui social senza avere le conoscenze tecniche, mi riferisco anche agli itinerari idonei, o banalmente l’abbigliamento adatto. In molti indossano le scarpe sbagliate, le scarpe da ginnastica che si usano in città, o affrontano i sentieri con magliette di cotone, non adatte», aggiunge. «C’è una forma di incoscienza: chi sceglie di salire in pantaloncini, in alcuni casi senza portarsi dietro neanche l’acqua mette a rischio la propria vita», conclude. Una forma di incoscienza che, combinata con
terreni impervi e condizioni meteo variabili, aumenta sensibilmente il rischio di incidenti mortali. Il Cnsas lancia quindi un monito chiaro: la montagna richiede preparazione, rispetto delle regole e consapevolezza dei propri limiti.
(da agenzie)
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Agosto 17th, 2025 Riccardo Fucile
“COLPA DEI GIOVANI, PENSANO CHE NON SERVA LAVORARE”.. NEL LOCALE NON C’E’ PERSONALE E I CLENTI DOPO AVER PRESO DA MANGIARE LASCIANO I SOLDI IN UNA CASSETTA
La nota Osteria Senz’Oste di Valdobbiadene, nelle Colline del Prosecco di Treviso, rischia di chiudere. Fampsa per il suo sistema unico senza personale, dove i clienti si servono da soli e lasciano i soldi in una cassetta, l’osteria ha funzionato per anni, ma negli ultimi tempi è finita nel mirino di razzie e furti.
Il proprietario Cesare De Stefani non nasconde la sua esasperazione: «Non so ancora cosa farò, ma in questo clima non penso che ci siano le condizioni per continuare a tenere aperta un’osteria come la mia», dichiara in un’intervista al Corriere del Veneto. Si dice profondamente «amareggiato» perché «il patto di fiducia con i clienti» che reggeva tutto il sistema sembra ormai spezzato.
«Ho perso il conto delle denunce»
«Ho perso il conto delle denunce. Ogni volta è un colpo al cuore, la violazione di ciò che per me è in parte una casa. Queste razzie fanno male perché non sono furti dettati da fame, non spariscono i prodotti alimentari», racconta De Stefani a colloquio con Milvana Citter.
Per difendersi, ha introdotto telecamere di videosorveglianza, ma i colpi non si sono fermati. «La mia osteria si basa sul principio per cui io mi fido dei clienti e da loro mi aspetto onestà. Questa cosa ha funzionato per tanti anni, senza bisogno di telecamere.
Questo ora è diventato un’utopia perché le generazioni e la società cambiano».
«I responsabili? Ragazzi ventenni»
Secondo De Stefani, i responsabili sarebbero soprattutto ragazzi molto giovani. «Proprio grazie alle telecamere ho scoperto chi sono i ladri che sono spesso giovanissimi, appena ventenni. Questi personaggi, con grande sfrontatezza anche in pieno giorno, forzano le serrature del magazzino per arrivare alla cassa e ai soldi», riferisce. Da qui la sua accusa a una generazione che, a suo dire, non crede più nel lavoro. «Pensano che non serva lavorare. In parte è colpa nostra: per vent’anni abbiamo detto ai giovani: “Se non studi vai a lavorare”, come se il lavoro fosse una punizione. Così abbiamo creato una generazione di gente che non crede nel lavoro e oggi invece di avere idraulici, panettieri o autisti abbiamo quello che abbiamo», denuncia il proprietario.
(da agenzie)
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Agosto 17th, 2025 Riccardo Fucile
PUTIN HA CHIESTO CHE L’EUROPA NON “METTA IL BASTONE TRA LE RUOTE”; IL TYCOON HA DETTO: “ADESSO TOCCA A ZELENSKY, FACCIA UN ACCORDO, LA RUSSIA È POTENTE” … GLI EUROPEI TEMEVANO DI UN’INTESA SULLA PELLE DEGLI UCRAINI, POI IMPOSTA A KIEV.NON È DIPLOMAZIA, È UN RICATTO MAFIOSO
Si è visto subito. Dall’espressione vagamente corrucciata di Donald Trump all’inizio
dei colloqui, dopo i sorrisi di pochi minuti prima accogliendo Vladimir Putin sul tarmac di Anchorage, in sincronizzata coreografia: il maestro dell’arte del “deal” si rendeva conto che il “deal” sarebbe stato difficile. Infatti, non c’è stato.
Il “deal” richiedeva una sola cosa: un accordo per il cessate il fuoco in Ucraina. Tutto il resto poteva accodarsi. Su questo punto Donald Trump sembra essere stato fermo. Magra consolazione per Kiev – e per gli europei che due giorni prima avevano, a tappeto, ripetuto al Presidente americano che la tregua sul campo era la condizione sine qua non per un accordo.
Per il resto, ad Anchorage, Vladimir Putin ha fatto il pieno. Ha detto di essere interessato a far finire la guerra in Ucraina –
sottinteso: alle sue condizioni. Non ha spostato di un millimetro la posizione sulle “cause di fondo” da risolvere prima del cessate il fuoco – non ha mai specificato quali siano, ma sono adombrate nella nozione degli ucraini come “popolo fratello” (sulla pelle di più di un milione di caduti in tre anni fra i due popoli), cioè sottomesso. Sergei Lavrov, signore della diplomazia, non è arrivato in Alaska esibendo tuta con la scritta URSS, in cirillico, per povertà di guardaroba. Messaggio chiarissimo.
Il Presidente russo ha ottenuto molto di più della continuazione della guerra, o “operazione speciale” come continua a chiamarla – certo, molto speciale per i caduti al fronte e i civili bombardati. Innanzitutto, la normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti, per la Russia da sempre l’unico interlocutore che conta, cui si aggiunge oggi Pechino, di sicuro non l’Europa
Il punto principale segnato da Vladimir Putin a suo favore sta tuttavia proprio nella guerra ucraina. Vero, non c’è stato accordo sul cessate il fuoco e Trump ha riconosciuto “no deal”, ma entrambi i leader hanno convenuto nel rilanciare la palla nel campo di Volodymir Zelensky e degli europei.
«Che non mettano il bastone fra le ruote», ha detto Putin. Trump non è stato così duro ma molto esplicito “adesso tocca a Zelensky” negoziare e agli europei prendere le responsabilità. Di cosa? Di convincere il Presidente ucraino ad accettare un patto leonino con Mosca?
L’esito del vertice più temuto da Kiev e dall’Europa era un accordo concordato ad Anchorage sulla pelle ucraina, poi imposto dagli Usa a Zelensky. Donald Trump l’ha abilmente evitato, gli avrebbe creato difficoltà anche con il pubblico americano e il Congresso.
Ma non è molto diverso dire: adesso tocca a Zelensky mettersi d’accordo – con un Putin che continua a non concedere niente. Unico spiraglio: un “ci sarò anch’io” se mi volete, in un incontro trilaterale Putin-Zelensky-Trump. Quando e come lasciati nel vago. E soprattutto senza una parola in proposito del Presidente russo.
Rispetto chi vorrà dare una lettura positiva del vertice come inizio di un percorso diplomatico-negoziale. Può darsi […]. Ma dopo tre anni e mezzo di guerra, ci vorrebbe qualcosa in più di un percorso. Le parole conclusive di Donald Trump, e di Vladimir Putin, lasciano gli europei, oltre che Zelensky, nella pressoché totale incertezza sullo stato della guerra e sui passi che ci si aspettano da loro.
Gli ambasciatori Ue hanno sul tavolo un mezzo buco nell’acqua americano, un quasi en plein russo e un intricato pasticcio fra guerra oggi e, forse, pace domani o dopodomani. Ma, pur a Ferragosto, meglio un vertice enigmatico che una nuova guerra. Accontentiamoci.
(da agenzie)
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Agosto 17th, 2025 Riccardo Fucile
LO RIVELA UN AMPIO STUDIO INTERNAZIONALE CHE HA VALUTATO I CRITERI
Quando si tratta di prendere decisioni complesse, come investire i risparmi familiari o cambiare lavoro, probabilmente tutti ci aspetteremmo che le diverse persone possano fare affidamento su approcci differenti, dando ad esempio ascolto al proprio istinto o ragionando metodicamente con se stesse, oppure confidando il proprio dilemma ad amici o familiari per poi seguire i loro consigli. E invece no.
Di fronte alle scelte importanti, anche le persone di culture profondamente diverse tendono ad agire in modo sorprendentemente simile, affidandosi al proprio giudizio piuttosto che chiedere consiglio. È quanto rivela un nuovo studio internazionale appena pubblicato su Proceedings of the Royal Society B Biological Sciences che ha coinvolto oltre 3.500 persone in 12 diversi Paesi, dai residenti delle frenetiche megalopoli orientali agli abitanti delle città occidentali, fino ai
membri delle più remote comunità amazzoniche, come gli Shipibo-Conibo in Perù e gli abitanti del villagio di Shiwiar in Ecuador.
Nonostante le marcate diversità culturali, i ricercatori hanno riscontrato che le decisioni più complesse vengono tendenzialmente prese in autonomia seguendo approcci di auto-sufficienza (intuizione o riflessione personale), che sono i più comunemente adottati nonché quelli considerati più saggi.
“Il nostro lavoro ha rappresentato il più ampio esperimento sulle preferenze in termini di metodi decisionali nelle diverse culture mai condotto fino ad oggi – hanno spiegato i ricercatori, guidati dagli studiosi dell’Università di Waterloo, in Canada – . Comprendere che anche nelle società interdipendenti la maggior parte delle persone preferisce attenersi alle proprie decisioni, indipendentemente da ciò che dicono gli altri, può aiutare a chiarire i malintesi interculturali e a comprendere che tutti noi sembriamo essere alle prese con dibattiti interni simili”.
La sorprendente conformità dietro le decisioni difficili
Nel prendere decisioni difficili, le persone in tutto il mondo tendono a riflettere da sole, piuttosto che chiedere consiglio agli atri. Anche nelle società in cui i processi decisionali avvengono in comunità, le scelte importanti della maggior parte delle persone sono il frutto di una decisione personale e indipendente da ciò che dicono gli altri.
“Comprendere che questo avviene anche nelle società interdipendenti può aiutare a chiarire i malintesi interculturali e a comprendere che tutti noi siamo alle prese con dibattiti interni
simili – hanno aggiunto gli studiosi – . Sapere che la maggior parte di noi istintivamente ‘fa da sola’ aiuta a spiegare perché spesso ignoriamo i buoni consigli, che si tratti di consigli sulla salute o di pianificazione finanziaria, nonostante le crescenti prove che tali consigli possano aiutarci a prendere decisioni più sagge”.
Secondo il dottor Igor Grossmann, professore presso il Dipartimento di Psicologia di Waterloo e primo autore dello studio, questa consapevolezza “può aiutarci a progettare meglio il lavoro di squadra, lavorando con questa tendenza all’autosufficienza e lasciando che i dipendenti ragionino in privato prima di condividere consigli che potrebbero rifiutare”.
I risultati dello studio ribaltano la convinzione che gli occidentali risolvano i problemi da soli, mentre nel resto del mondo si faccia affidamento sugli altri, mostrando come l’intuizione e l’auto-riflessione siano gli approcci più frequentemente adottati e che l’entità di questa preferenza vari a seconda del livello di valorizzazione dell’indipendenza o dell’interdipendenza in una cultura.
“Il messaggio che vogliamo trasmettere è che tutti noi guardiamo prima dentro di noi, ma le scelte più sagge possono concretizzarsi quando le nostre riflessioni individuali vengono condivise con gli altri – ha precisato il professor Grossmann – . La cultura controlla il volume delle nostre scelte, amplificando la voce interiore nelle società altamente indipendenti e attenuandola in quelle più interdipendenti”.
(da agenzie)
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Agosto 17th, 2025 Riccardo Fucile
LA TRUMPETTA MELONI E IL TEDESCO MERZ ELOGIANO DONALD, MACRON E IL POLACCO TUSK (CHE L’INGERENZA RUSSA LA CONOSCE BENE), SI SMARCANO… IL GUAIO È CHE IL PALLINO È IN MANO A QUEL NARCISO PATOLOGICO DITRUMP, E CI RIMARRÀ
Trump si rivela leader volubile e del tutto inaffidabile. In poche ore in compagnia di
Putin, ha gettato via l’opzione del cessate il fuoco e ora sostiene con la stessa foga la tesi che sia necessario puntare a una rapida pace globale. Che poi è da sempre la posizione dello zar.
Secondo quanto hanno rivelato due diplomatici europei a Steven Erlanger del New York Times , nelle telefonate con i leader europei e con il presidente ucraino Zelensky, il capo della Casa Bianca si è infatti detto favorevole a un piano che prevede la cessione alla Russia dell’intero Donbass, comprese le parti oggi non controllate da Mosca
In cambio Putin offrirebbe una tregua nel resto dell’Ucraina sulle attuali linee di contatto e una promessa scritta di non attaccare nuovamente Kiev o qualunque altro Paese europeo in futuro.
Trump agli alleati avrebbe detto anche che lui e Putin concordano che Kiev abbia bisogno di garanzie di sicurezza dopo l’accordo, ma a fornirle sarebbero gli Usa e non la Nato.
Trump non avrebbe mai accennato a eventuali sanzioni nei confronti di Mosca, come aveva sostenuto sino a pochi giorni fa, né a ulteriori pressioni economiche contro la Russia.
La torsione di Trump ha creato scompiglio dentro il fronte europeo. Dietro l’unità del comunicato congiunto, nel quale i leader dell’Ue e il premier britannico Keir Starmer insistono sulla necessità che «l’Ucraina debba avere garanzie di sicurezza blindate per difendere sovranità e integrità territoriale», emergono infatti preoccupazioni, perplessità e diverse percezioni.
Dietro le quinte ieri c’è stato un grande lavorio diplomatico, iniziato con la riunione straordinaria dei 27 rappresentanti permanenti a Bruxelles, mentre questa mattina Francia, Regno Unito e Germania terranno una riunione della cosiddetta coalizione dei volenterosi. Primo dilemma da sciogliere è se accettare l’invito a partecipare all’incontro di domani a Washington tra Trump e Zelensky, che secondo la Reuters sarebbe stato esteso ad alcuni leader europei.
Di certo c’è grande incertezza nello schieramento europeo sul da farsi. E le diverse letture del vertice di Anchorage sono lì a provarlo. Da un lato, infatti, Giorgia Meloni giudica positivamente lo sviluppo sulle garanzie di sicurezza, ricordando
che riprendono la vecchia proposta italiana di un meccanismo simile a quello previsto dall’articolo 5 del Trattato Nato.
Sullo stesso spartito anche il cancelliere tedesco Merz, secondo il quale «se un accordo di pace avrà successo, varrà più di un cessate il fuoco». Merz propone anche che il prossimo vertice Trump-Putin-Zelensky, ipotizzato dal capo della Casa Bianca, si tenga in Europa.
Dall’altro però, il leader francese Macron invita «a imparare le lezioni degli ultimi 30 anni, in particolare la consolidata propensione della Russia a non mantenere i propri impegni». Mentre secondo il premier polacco Donald Tusk, «oggi è più chiaro che mai che la Russia rispetta solo i forti e che Putin si è di nuovo confermato giocatore scaltro e spietato».
Al cuore dell’indecisione europea è l’assenza di una strategia credibile e degli strumenti politici in grado di fare la differenza per una soluzione del conflitto ucraino, che non premi l’espansionismo neo-imperiale del Cremlino.
Detto altrimenti, oggi l’Europa non può fare a meno della sponda americana, cioè di Donald Trump, un presidente dall’ego smisurato, narciso patologico e fondamentalmente disonesto, non solo intellettualmente
Così il paradosso è che, ognuno con le sue ragioni, tutti — Putin, gli europei e perfino Zelensky — nel rapporto con the Donald seguano lo stesso canovaccio, quello dell’adulazione, della blandizie, della piaggeria. In Alaska, questa imbarazzante competizione l’ha vinta Putin. Ma con Trump non si può mai dire. Nel frattempo, parafrasando Badoglio, la guerra di
aggressione russa continua.
(da Corriere della Sera)
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Agosto 17th, 2025 Riccardo Fucile
“L’EUROPA DEVE DIMOSTRARE DI VOLER DANNEGGIARE LA RUSSIA. IL MODO MIGLIORE SAREBBE CONFISCARE I 200 MILIARDI DI EURO DI RISERVE DELLA BANCA CENTRALE RUSSA, CONGELATI NEI CONTI BANCARI DELL’UE, E CONSEGNARLI ALL’UCRAINA”… LA GERMANIA POTREBBE RIFORNIRE L’UCRAINA CON I MISSILI TAURUS A LUNGA GITTATA, SUBENTRANDO ALL’AMERICA CHE NON INVIA PIÙ ARMI. TUTTI QUANTI POTREBBERO MANDARE MISSILI A CORTO RAGGIO”
Il vertice in Alaska è stato un enorme successo per Vladimir Putin e per l’amore per la teatralità di Donald Trump, ma un potenziale disastro per l’Ucraina e l’Europa. La conseguenza più ovvia è che la Russia non ha preso l’impegno di un cessate il fuoco
Quella più importante è che l’America non ha esercitato alcuna pressione sulla Russia per porre fine alla guerra, malgrado Trump avesse promesso all’Europa che l’avrebbe fatto.
È vero, sono emersi pochi dettagli su quello che è stato discusso, tanto meno concordato, tra il dittatore russo e il presidente americano. Senza dubbio, domani emergeranno ulteriori informazioni, quando il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky volerà a Washington per incontrare Trump e si saprà di più delle conversazioni che entrambi avranno avuto con i leader europei.
Nel frattempo, tuttavia, dovremmo riflettere attentamente e con serietà su due episodi rivelatori e preoccupanti del summit.
Il primo è stato l’arrivo su suolo americano del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, che indossava una felpa sulla quale spiccava la scritta in cirillico “Cccp”, la sigla dell’Unione Sovietica.
Si è trattato di uno spudorato espediente televisivo per affermare che la Russia intende ricostruire l’impero andato perduto quando l’Unione Sovietica collassò nel 1991. La Russia è imperturbabile, compatta e imbaldanzita da questo simbolico momento di trionfo in Alaska, l’ex territorio imperiale russo.
Il secondo si è verificato nel corso di un’intervista che Trump ha rilasciato dopo il summit a Sean Hannity, suo amico leccapiedi di Fox News. In quell’intervista, Trump ha fatto ricadere sull’Ucraina l’onere della ricerca di una via per la pace e ha esposto la sua opinione sincera sul conflitto, sottolineando una volta di più che l’Ucraina è un Paese piccolo alle prese con
quella che ha definito la «macchina da guerra» russa.
Il sottinteso è che Zelensky farebbe bene ad arrendersi adesso, e che l’America non farà niente di concreto per aiutarlo.
Questi episodi rivelano anche che Putin e Trump condividono una medesima visione del mondo, secondo loro costituito da molti Paesi deboli e tre superpotenze per le quali valgono leggi diverse.
È il mondo descritto oltre duemila anni fa dallo storico greco Tucidide, il mondo nel quale «i forti fanno quello che possono, i deboli subiscono quello che devono».
Se questo tipo di realpolitik non è mai scomparso, il punto fondamentale della Carta delle Nazioni Unite del 1945, il corpus del diritto internazionale che ne è nato con gli sforzi collettivi dell’Occidente, è impedire il ricorso alla forza militare e proteggere i Paesi più piccoli da quelli più grandi. Per Trump, l’Occidente è morto.
L’Ucraina, come altri Paesi agli avamposti dell’Europa come la Polonia, gli Stati baltici e la Finlandia, era già consapevole delle ambizioni imperiali russe e della sprezzante visione di Trump riguardo ai Paesi più piccoli.
In ogni caso, per gli altri due gruppi ancora in grado di esercitare pressioni su Trump e sulla guerra in Ucraina, il vertice in Alaska potrebbe rivelarsi un efficace campanello d’allarme.
I due gruppi a cui mi riferisco sono i sostenitori repubblicani di Trump al Congresso degli Stati Uniti e i leader dei Paesi europei più potenti, Germania, Francia, Italia e Gran Bretagna.
Per un misto di lealtà e paura, i repubblicani al Congresso interessati alle sorti dell’Ucraina finora hanno concesso a Trump il beneficio del dubbio. Adesso dovranno scegliere se alzare la voce o restare in silenzio.
A Washington, la reazione iniziale dei repubblicani alla notizie provenienti dall’Alaska è stata abbastanza negativa.
Tuttavia, il deprimente comportamento che hanno tenuto finora nei sette mesi alla presidenza di Trump fa capire che ben presto si azzittiranno.
Le più grandi speranze sono riposte, come sempre, nell’Europa. Da mesi, ormai, la strategia principale degli europei è consistita nel cercare di persuadere Trump a esercitare pressioni su Putin, mentre i militari pianificavano in che modo dare all’Ucraina garanzie per la sicurezza per rafforzare il cessate il fuoco una volta concordato.
Hanno adottato questa strategia per la loro debolezza militare e hanno pagato un prezzo assai salato accettando docilmente i dazi doganali imposti da Trump all’Unione europea e al Regno Unito, invece di cercare di reagire minacciando ritorsioni commerciali.
Adesso, però, gli europei dovranno decidere se questa strategia è definitivamente fallita. L’opzione codarda, ma politicamente più allettante, sarebbe quella di dire che è indispensabile concedere più tempo alla loro strategia.
È arrivato davvero il momento per gli europei di assumere un ruolo di primo piano nel rafforzare la posizione contrattuale dell’Ucraina e costringere la Russia a porre fine a questa guerra. Farlo sarà davvero difficile, perché la debolezza degli europei purtroppo è reale. Gli europei, comunque, hanno a disposizion
gli strumenti per farlo, se solo trovassero il coraggio politico di usarli.
Prima di ogni altra cosa, l’Europa deve dimostrare di voler danneggiare la Russia. Il modo migliore per riuscirci sarebbe procedere alla confisca dei 200 miliardi di euro di riserve della Banca centrale russa, che si stimano essere congelati da tre anni nei conti bancari dell’Ue, e nel consegnare quei fondi all’Ucraina. Questo sì che attirerebbe l’attenzione di Putin e potrebbe perfino fare colpo su Trump, che tanto ama le transazioni.
Contemporaneamente, la Germania potrebbe iniziare a rifornire l’Ucraina con il suo vasto arsenale di missili Taurus a lunga gittata, subentrando così di fatto all’America che non invia più armi. Tutti quanti, inoltre, potrebbero mandare più sistemi missilistici difensivi e missili a corto raggio, anche a costo di restarne privi loro stessi sul breve periodo.
La volontà di assumersi tali rischi e di mettere in luce il bluff degli avversari è una delle cose che contraddistinguono un Paese forte da uno debole, e un leader politico che ha valori da uno che non ne ha. Per l’amor del cielo, Europa, alzati in piedi una buona volta, prima che sia troppo tardi
Bill Emmott
per “La Stampa”
argomento: Politica | Commenta »