Agosto 24th, 2025 Riccardo Fucile
GIORNO DELL’INDIPENDENZA DELL’UCRAINA, IL MESSAGGIO DI ZELENSKY ALLA NAZIONE
In occasione della Festa dell’Indipendenza, Zelensky ha registrato un
videomessaggio rivolto al popolo ucraino: «Un giorno, la distanza tra gli ucraini scomparirà e saremo di nuovo insieme come un’unica famiglia, come un unico Paese. È solo questione di tempo. E l’Ucraina crede di poterlo raggiungere: raggiungere la pace, la pace in tutto il suo territorio. L’Ucraina ne è capace», sono le prime parole del leader.
«Quando sentiamo ogni giorno dal nemico: “Non esiste uno Stato, una nazione”, ogni giorno dimostriamo il contrario, dimostriamo che gli ucraini esistono e che gli ucraini rimarranno su questa terra».
Zelensky non rinuncia a dare una spallata al presidente russo Vladimir Putin: «Un’Ucraina unita non sarà mai più costretta nella storia a quella vergogna che i russi chiamano compromesso. Abbiamo bisogno di una pace giusta. Quale sarà il nostro futuro solo noi possiamo deciderlo, e il mondo lo sa. Il mondo lo rispetta. Rispetta l’Ucraina, percepisce l’Ucraina come un suo pari».
Bandiere ucraine sventolano nei territori conquistati
In occasione della Giornata della Bandiera nazionale, le truppe ucraine hanno issato simboli blu-gialli nei villaggi russi sotto controllo. I soldati del battaglione ‘Rugby Team’ della 129ma brigata hanno piazzato le bandiere a Gornal e Guyevo, nella regione di Kursk. «Ora sventolano su Gornal e Guyevo, come segno di invincibilità, come promemoria per il nemico: l’Ucraina non dimentica mai e si riprende ciò che le appartiene», ha dichiarato la brigata su Facebook. Un gesto simbolico che sottolinea la presenza ucraina nei territori di etnia ucraina oltre confine.
Attacchi simultanei su territorio russo lontano dal fronte
Caos negli aeroporti: chiusi quelli di Mosca e San Pietroburgo
Gli attacchi con droni hanno provocato la chiusura temporanea di numerosi aeroporti russi, inclusi quelli delle due principali città del paese. L’aeroporto Pulkovo di San Pietroburgo ha deviato oltre 30 voli su scali alternativi, mentre più di 50 collegamenti hanno subito ritardi. Le compagnie aeree Aeroflot, Rossiya e Pobeda hanno dovuto rivedere i propri orari. Anche gli aeroporti di Nizhny Novgorod, Tambov, Samara, Nizhny Kama, Izhevsk, Ulyanovsk, Kirov, Kazan e Penza hanno temporaneamente sospeso le operazioni, dimostrando come gli attacchi ucraini stiano influenzando la vita civile russa ben oltre le zone di combattimento.
(da agenzie)
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Agosto 24th, 2025 Riccardo Fucile
LO RIVELA UN SONDAGGIO DEL QUOTIDIANO CENTRISTA ISRAELIANO “MAARIV”… MA PER IL PREMIER L’ OFFENSIVA MILITARE SU GAZA, CON CONSEGUENTE MASSACRO DI PALESTINESI, È L’UNICO MODO PER RIMANERE INCOLLATO ALLA POLTRONA
L’82% degli israeliani vuole un accordo che ponga fine al conflitto nella Striscia di Gaza. E il 62% è convinto che il governo Netanyahu abbia perso la fiducia della maggioranza della popolazione. Lo rivela un sondaggio del quotidiano centrista israeliano Maariv.
L’offensiva militare su Gaza City, la “capitale della Striscia”, sembra inarrestabile. I carri armati delle Forze di difesa israeliane (Idf) sono entrati ieri mattina nel quartiere di Sabra. Anche ieri il bilancio di vittime e feriti è stato drammatico: almeno 51 persone, secondo l’emittente Al Jazeera, sono decedute sotto i bombardamenti e i tiri di artiglieria pesante. Tra di loro otto bambini
In un’enclave ormai in gran parte sprofondata nella carestia, 16 delle vittime di ieri sono decedute mentre erano in fila per ricevere aiuti alimentari. Il capo dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa), Philippe Lazzarini, ha sottolineato che «è ora» che il governo israeliano smetta di negare «la carestia che ha creato a Gaza, ogni ora conta».
Appello caduto nel vuoto. Dopo aver aperto il valico di Kerem Shalom e aver consentito l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza per quattro settimane consecutive, ieri le autorità israeliane hanno chiuso questo passaggio tra Egitto e Striscia di Gaza.
Intanto, sul fronte interno, il governo di Benjamin Netanyahu è in difficoltà. Il 62% degli israeliani crede che il governo di Benjamin Netanyahu abbia perso la fiducia della maggioranza della popolazione di Israele e l’82% è favorevole un accordo che ponga fine al conflitto nella Striscia di Gaza.
È quanto emerge da un sondaggio pubblicato dal giornale Maariv, che rivela come il 46% delle persone intervistate voglia il governo firmi un accordo complessivo che ponga fine alla guerra a Gaza. Per il sondaggio, realizzato da Panel4All tra il 20 e il 21 agosto scorsi, sono state interpellate 509 persone. Margine di errore al 4,4%.
Lo scontento verso l’operazione militare continua a manifestarsi su strade e piazze: decine di migliaia di manifestanti si sono radunati in Piazza degli Ostaggi e in Begin Road, chiedendo la restituzione degli ostaggi tenuti da Hamas. I manifestanti di Begin Road hanno acceso un falò sull’asfalto ed entrambi i luoghi sono stati tappezzati con foto degli ostaggi.
(da agenzie)
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Agosto 24th, 2025 Riccardo Fucile
“DALLA SICILIA ARRIVANO ALCUNE CERTEZZE: PER ANDARE IN TRENO DA CATANIA-PALERMO SI IMPIEGANO 5 ORE E 48 MINUTI PER 213 KM; DA TRAPANI A MESSINA 7 ORE E 47 MINUTI PER 267 KM (E NON POSSO EVITARE DI RICORDARVI CHE SALVINI È IL MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI)
I siciliani hanno visto tutto. Sanno tutto. E anche i calabresi. Nessuno di loro
dimentica che i leghisti, a Pontida, per anni, hanno immaginato di annetterli al continente africano. Un po’ scherzavano, è vero; un po’ – però – dicevano sul serio.
Adesso, comunque, Matteo Salvini dimostra che l’idea è un’altra, il progetto – soprattutto – è un altro: vuole costruire un Ponte sullo Stretto. È noto che, ad oggi, il costo finale dell’opera dovrebbe aggirarsi intorno ai 13,5 miliardi di euro.
Una cifra enorme che scatena una domanda inevitabile: quel ponte è opportuno? Salvini ne fa, secondo alcuni, una faccenda politica. Propaganda? Forse. Non ci sono prove. Abbiamo, diciamo, altre certezze.
Per andare in treno da Catania a Palermo (213 km) occorrono 5 ore e 48 minuti. Da Trapani a Messina (267 km) si impiegano 7 ore e 47 minuti. Il viaggio della madre di un mio amico, poche settimane fa, è però durato 9 ore e 10. Per capirci: quasi lo stesso tempo che ci vuole per andare in aereo dall’isola a New York. Per non tediarvi, evito di indugiare sulle condizioni di ferrovie e strade in Calabria.
Ma non posso evitare di ricordarvi che Salvini è il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Non è un’opinione, ma sono fatti, circostanze, è cronaca se dico che la circolazione su rotaia, in Italia, è in condizioni drammatiche e che il giudizio negativo dei siciliani e dei calabresi si salda con quello del resto degli italiani.
Mi fermo qui. E ripropongo la domanda: spendere tanti soldi per quel ponte è opportuno? Vi prego di non intasarmi la casella mail ricordando la prolungata agonia della sanità in Sicilia e
Calabria, con medici eroici e ospedali che ormai nemmeno più a Kabul. Conosco bene la situazione, ma volevo parlare solo dei trasporti. Quanto invece al gigantesco e terrificante rischio sismico (sullo Stretto la terra continua a tremare), lasciamo stare: Salvini lo considera un seccante, fazioso dettaglio.
Fabrizio Roncone
(da il Corriere della Sera)
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Agosto 24th, 2025 Riccardo Fucile
IL 15% DEI BAMBINI TRA I SEI MESI E I CINQUE ANNI È DENUTRITO, A GAZA, UN ABITANTE SU TRE NON RIESCE A PROCURARSI IL CIBO PER GIORNI, ED È SEMPRE PIÙ FREQUENTE CHE I GENITORI NON MANGINO PER LASCIARE IL CIBO AI LORO FIGLI … DAL 7 OTTOBRE 2023, NETANYAHU HA DISTRUTTO I TERRENI AGRICOLI DELLA STRISCIA, VIETATO L’UTILIZZO DEI PESCHERECCI E RIDOTTO L’AFFLUSSO DI CIBO
Come specie umana ci siamo svincolati dall’ansia per i raccolti o le scorte. Abbiamo cibo in eccesso e ingrassiamo. Per questo l’annuncio di carestia a Gaza fa rumore. Mentre sembriamo assuefatti ai morti dilaniati dalle bombe, il cibo usato come arma smuove ancora le coscienze. Che cosa dice il rapporto sulla Integrated Food Security Phase Classification (Ipc) diffuso da 21 tra agenzie Onu e private? Come e perché Israele cerca di confutarlo?
Per la prima volta in Medio Oriente è in corso una carestia, denunciano le più prestigiose agenzie umanitarie del mondo. Succede a Gaza a causa della guerra, della distruzione delle infrastrutture, delle ripetute deportazioni degli abitanti e, soprattutto, della decisione israeliana di ostacolare l’afflusso alimentare nella Striscia. Si tratta quindi di una «carestia artificiale», costruita dalla volontà dell’uomo. Israele nega. «È una vergognosa bugia — dice il primo ministro Benjamin Netanyahu —, frutto della propaganda di Hamas».
Nel rapporto datato 22 agosto sulla Sicurezza alimentare nella Striscia (Ipc) si afferma che più di mezzo milione di gazawi sono al livello 5 di allarme, cioè carestia conclamata. Soffrono la fame e rischiano la morte per cause evitabili. Le famiglie con insufficiente accesso al cibo sono raddoppiate rispetto a maggio con punte più alte del 20% a Gaza City. In base alla circonferenza del braccio, risulta che il 15% dei bambini da 6 mesi a 5 anni soffre di malnutrizione acuta, se si considera il rapporto tra peso e altezza la percentuale raddoppia.
Entro fine settembre saranno a livello 5 altre 100 mila persone. Arriveranno a livello 4 oltre un milione di gazawi e a livello 3 circa 400 mila. In tutta la Striscia un abitante su tre non è riuscito a procurarsi cibo per giornate intere e i genitori saltano dei pasti a favore dei figli.
Secondo il rapporto a metà agosto morivano già per fame 6 persone al giorno tra bambini e adulti. Il ministero della Salute di Gaza ne ha contati a ieri 281 di cui 114 bambini. Il rapporto Ipc ammette di non poter verificare i numeri, ma conclude che è «ragionevole» considerarli corretti e che, con misure indipendenti, sarebbero più alti
Questo perché la causa della morte non è sempre identificabile direttamente con la fame. Più spesso è l’interazione con altre malattie ad essere fatale. Muoiono bambini, malati, donne incinte e in allattamento perché indeboliti dalla mancanza di cibo. Un sintomo sono le nascite premature: una su 5 a causa dell’inedia della madre.
Come Israele nega l’accesso alla Striscia ai giornalisti, così pone severe restrizioni agli operatori umanitari e minaccia di cancellare il permesso di lavoro anche solo per dichiarazioni che danneggino la reputazione dello Stato ebraico. Ha quindi gioco facile nel contestare la raccolta dati.
Sono però centinaia i medici e gli infermieri stranieri passati da Gaza in quasi due anni di offensiva israeliana e tutte le testimonianze coincidono: pazienti e collaboratori locali sono sempre più malnutriti, incapaci di reagire alle terapie e persino di cicatrizzare le ferite. Altrettanto numerose le foto (verificate) di bambini pelle e ossa.
Da ottobre 2023 Israele ha di molto ridotto l’afflusso delle merci a Gaza, da marzo a metà maggio 2025 ha vietato ogni ingresso umanitario o commerciale, per quasi due anni ha bombardato e deportato, demolito ospedali e magazzini Onu, tagliato la corrente elettrica, distrutto o reso inaccessibili i terreni agricoli, cancellato il sistema di distribuzione dell’Onu per sostituirlo con uno (Ghf) sotto il suo controllo. Ha persino vietato i pescherecci. Sarebbe anomalo che a Gaza non ci fosse carenza di cibo.
Israele sa che sta violando le raccomandazioni della Corte Internazionale di giustizia per prevenire l’accusa di genocidio. Gli era stato chiesto di garantire piena assistenza umanitaria ai
civili quando le vittime erano 25 mila, ma ora che hanno superato quota 62 mila non l’ha ancora fatto.
(da agenzie)
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Agosto 24th, 2025 Riccardo Fucile
FONTI VICINE A “MAD VLAD”, SOSTENGONO CHE PUTIN CONTINUA A MANTENERE IN PIEDI LE SUE PRETESE MASSIMALISTE SULL’UCRAINA: RINUNCIA AL DONBASS E ALLA NATO, NEUTRALITÀ MILITARE, ZERO TRUPPE STRANIERE
Ieri Volodomyr Zelensky ha tinto di toni più retorici il suo quotidiano messaggio agli
ucraini: «Non lasceremo la nostra terra agli occupanti». L’ex generale Kellogg lo incontrerà oggi per parlare delle garanzie per la sicurezza che per Kiev continuano a esse
Kellogg è tra i maggiori esperti di Ucraina nell’entourage di Trump, ma Putin lo ritiene troppo filoucraino e ha chiesto che venisse escluso dalla delegazione del tête-á-tête con il presidente americano in Alaska.
Dagli Stati Uniti, Trump ha dato segnali sempre più contrastanti sulle possibili garanzie americane, considerate anche dagli europei le più importanti. Ma una notizia, intanto, è arrivata dalla Cina. Secondo fonti europee citate dalla tedesca Welt, Pechino sarebbe disponibile a inviare truppe di peacekeeping in Ucraina, ma solo su mandato dell’Onu.
Ma in questa fase il pallino non è in mano americana né ucraina, è finito nella metà campo del Cremlino. Che non sembra molto intenzionato a portare avanti i colloqui per la pace.
L’ultima settimana in Ucraina è stata una delle più violente dall’inizio della guerra: nelle ultime ventiquattr’ore la regione di Zaporizhzhia è stata colpita quasi quattrocentocinquanta volte da bombe, droni e missili russi. E sul vertice Putin-Zelensky, da Mosca tutto tace. Ieri il presidente finlandese Alexander Stubb, che è volato a Washington la scorsa settimana con i volenterosi
per il summit alla Casa Bianca, ha detto che considera ormai un incontro tra il presidente russo e quello ucraino «altamente improbabile».
Per un semplice motivo: il Cremlino intende proseguire le ostilità «almeno fino all’autunno» in modo da «massimizzare i suoi guadagni territoriali». E un’agenzia Reuters, citando tre fonti vicine al Cremlino, sostiene che Putin continuerebbe a mantenere in piedi le sue pretese massimaliste all’Ucraina: rinuncia al Donbass e alla Nato, neutralità militare, zero truppe straniere.
In una girandola di contatti, Zelensky ha cercato ieri di esercitare la sua moral suasion anche sul sud del mondo. Dopo una telefonata con l’influente presidente del Sud Africa, Cyril Ramaphosa, il capo dello Stato ha ribadito la sua disponibilità «a qualsiasi tipo di incontro con il capo della Russia. Tuttavia, vediamo che Mosca sta ancora una volta cercando di prolungare ulteriormente la situazione».
È importante, per Zelensky, che quella parte di mondo «invii segnali pertinenti e spinga la Russia verso la pace». Mentre a Dick Schoof, il premier dei Paesi Bassi atteso a Kiev trattenuto in patria da una crisi politica interna, il presidente ucraino ha ricordato che la «Russia continua a bombardare le nostre città. Interpretiamo tutti i segnali che arrivano da Mosca in questi giorni allo stesso modo»: Putin non vuole la pace.
(da agenzie)
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Agosto 24th, 2025 Riccardo Fucile
GLI STATI UNITI VIETANO ALL’UCRAINA I RAID SU MOSCA: SOLO PUTIN PUO’ BOMBARDARE KIEV, NON SIA MAI CHE SI OFFENDA
Un attacco notturno con drone ucraino ha provocato un incendio nella centrale nucleare russa di Kursk. Le difese aeree russe hanno abbattuto il velivolo, che «è esploso» all’impatto danneggiando un trasformatore ausiliario. L’incendio «è stato domato dai vigili del fuoco», secondo il comunicato ufficiale pubblicato su Telegram dall’operatore della centrale.
L’incidente ha causato una riduzione della capacità di un reattore, ma le autorità assicurano che «il livello di radioattività nel sito della centrale nucleare di Kursk e nell’area circostante non è cambiato e corrisponde ai valori naturali». Non si registrano vittime o feriti, ma l’episodio solleva nuove preoccupazioni sulla sicurezza degli impianti nucleari in zona di guerra.
Attacchi simultanei su territorio russo lontano dal fronte
La campagna di droni ucraini si è estesa oltre le regioni di
confine, raggiungendo aree tradizionalmente considerate sicure. Sul porto di Ust-Luga, vicino a San Pietroburgo, l’intercettazione di 10 droni ha provocato un incendio in un terminal petrolifero del gruppo russo Novatek. Le autorità regionali russe riferiscono di intercettazioni multiple durante la notte, dalla regione del Volga fino alle coste del Mar Baltico. Solo nella regione di Bryansk, le difese aeree hanno abbattuto 21 droni ucraini in una singola notte, secondo il governatore Alexander Bogomaz.
Bandiere ucraine sventolano nei territori conquistati
In occasione della Giornata della Bandiera nazionale, le truppe ucraine hanno issato simboli blu-gialli nei villaggi russi sotto controllo. I soldati del battaglione ‘Rugby Team’ della 129ma brigata hanno piazzato le bandiere a Gornal e Guyevo, nella regione di Kursk. «Ora sventolano su Gornal e Guyevo, come segno di invincibilità, come promemoria per il nemico: l’Ucraina non dimentica mai e si riprende ciò che le appartiene», ha dichiarato la brigata su Facebook. Un gesto simbolico che sottolinea la presenza ucraina nei territori di etnia ucraina oltre confine.
Caos negli aeroporti: chiusi quelli di Mosca e San Pietroburgo
Gli attacchi con droni hanno provocato la chiusura temporanea di numerosi aeroporti russi, inclusi quelli delle due principali città del paese. L’aeroporto Pulkovo di San Pietroburgo ha deviato oltre 30 voli su scali alternativi, mentre più di 50 collegamenti hanno subito ritardi. Le compagnie aeree Aeroflot, Rossiya e Pobeda hanno dovuto rivedere i propri orari. Anche gli aeroporti di Nizhny Novgorod, Tambov, Samara, Nizhny Kama,
Izhevsk, Ulyanovsk, Kirov, Kazan e Penza hanno temporaneamente sospeso le operazioni, dimostrando come gli attacchi ucraini stiano influenzando la vita civile russa ben oltre le zone di combattimento.
Il Pentagono blocca i missili a lungo raggio ucraini
Una svolta significativa arriva dagli Stati Uniti: il Pentagono ha bloccato l’uso di missili a lungo raggio da parte dell’Ucraina per colpire obiettivi in territorio russo. Secondo il Wall Street Journal, una procedura di approvazione ad alto livello impedisce a Kiev di utilizzare gli Atacms dalla tarda primavera. Il processo decisionale dà al capo del Pentagono Pete Hegseth la parola finale sull’impiego di questi sistemi d’arma.
Una mossa che di fatto ribalta la precedente autorizzazione di Joe Biden, che aveva consentito all’Ucraina di colpire all’interno della Russia con i missili americani. Il cambio di strategia potrebbe influenzare significativamente le capacità offensive ucraine nelle prossime settimane.
(da agenzie)
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Agosto 24th, 2025 Riccardo Fucile
A LARIANO, A SUD DI ROMA, FDI RAGGIUNGE IL 40%
Come resistere al fascino discreto del fungo porcino? Col buio che arriva prima e
l’aria che la sera inizia a farsi frizzantina, la prospettiva di un bel risotto al sapor di bosco si fa allettante. Anche per il ministero dell’Agricoltura di Francesco Lollobrigida, che ha appena deciso di presenziare con un certo impegno all’imperdibile Festa del fungo porcino di Lariano, 13 mila abitanti a sud di Roma, prevista dal 10 al 21 settembre. Non una qualunque visita istituzionale, ma uno stand espositivo da 100 metri quadri al costo di 120 mila euro proprio nei locali della sagra. L’equivalente di un ampio trilocale, per intendersi, per promuovere il ministero e partecipare all’evento.
Al ministro Lollobrigida la cosa deve stare particolarmente a cuore, nonostante si tratti di una fiera tutto sommato di provincia. Non soltanto per l’indiscussa centralità (questa sì) del
porcino negli affari del Masaf, ma anche perché i Castelli Romani sono ormai un feudo elettorale per Fratelli d’Italia. Lo dimostrano i numeri. Alle elezioni Politiche del 2022, FdI a livello nazionale prese il 25%, ma a Lariano sfiorò il 38, nonostante il candidato del centrodestra nel collegio uninominale fosse Antonio Tajani, cioè il leader di un altro partito.
Uno scarto positivo rispetto alla media nazionale che quel territorio avrebbe mantenuto anche alle Europee del 2024. Di fronte a una percentuale nazionale del 28% per FdI, già la media nella Regione Lazio si alza al 33%, arrivando ancora più su nei Comuni dei Castelli romani (41% a Lariano, 37 a Velletri). Insomma, vale la pena dare segnali di vicinanza.
E perciò il ministero ci sarà, come già avvenuto negli ultimi due anni quando Lollobrigida visitò gli stand insieme all’assessore regionale Giancarlo Righini. Nel 2024 il Masaf si insediò con un’area espositiva ancor più grande: 120 metri quadri al costo di 135 mila euro. Evidentemente la crisi impone qualche sacrificio, e così quest’anno il ministero è stato costretto a concedere venti metri quadri in meno alle proprie eccellenze
A beneficiare di entrambi gli appalti del Masaf è l’azienda Evolution Trade, scelta attraverso affidamento diretto la settimana di Ferragosto. La società ha sede proprio a Velletri e, stando ai dettagli forniti dall’affidamento del 2024, il servizio che può offrire al ministero è parecchio variegato, con l’allestimento di “un’area istituzionale, un’area seminari, un’area show cooking e degustazione, personalizzazione grafica e realizzazione gadget” e poi ancora “realizzazione materiale informativo” e “manutenzioni” eventuali.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Agosto 24th, 2025 Riccardo Fucile
A BORDO DELLA NAVE ONG CI SONO I DIECI MIGRANTI SALVATI A POCHE MIGLIA DA PANTELLERIA
«Abbiamo appena comunicato al Centro di coordinamento del soccorso marittimo che cambiamo rotta e siamo diretti a Trapani per lo sbarco delle dieci persone» così la nave umanitaria Mediterranea ha scelto di non obbedire all’ordine del Viminale, che le imponeva di raggiungere Genova per lo sbarco di dieci migranti soccorsi nel Canale di Sicilia.
L’equipaggio ha deciso così di non proseguire a Nord, attraversando tutto il Mar Tirreno, bensì di virare verso Est quando si trovava all’altezza del porto siciliano di Trapani. «Sono persone che hanno subito violenze e torture. Costringerle ad altri tre giorni di navigazione è inumano», ha spiegato il capo missione Beppe Caccia.
Le condizioni migranti a bordo
I migranti a bordo sono kurdi di Iran e Iraq, egiziani e siriani, tra cui tre ragazzi di 14, 15 e 16 anni, non accompagnati. Erano stati intercettati a poche miglia da Pantelleria dopo essere partiti dalla Libia. Come avvenuto anche in altri casi, il Viminale ha optato per l’assegnazione di un porto molto lontano dal luogo dei soccorsi: in questo caso, Genova avrebbe significato 600 miglia nautiche in più, circa 1.000 chilometri, e tre giorni di viaggio,
con mare mosso e onde oltre i due metri. Una rotta che, secondo l’equipaggio, avrebbe messo ulteriormente a rischio persone già provate da mesi di detenzione nei centri libici.
Tre morti a Nord della Libia
Intanto, un’altra tragedia si è consumata poche ore dopo: la ong Nadir ha recuperato 60 persone alla deriva a nord della Libia, ma a bordo c’erano anche tre corpi senza vita. La nave sta ora facendo rotta verso Lampedusa. Durante le operazioni, una donna incinta al quarto mese e un minore con gravi ustioni sono stati evacuati con una motovedetta della Guardia costiera, insieme ad altre 12 persone tra cui quattro donne, cinque minori e alcuni familiari dei feriti, poi trasferiti al poliambulatorio dell’isola. Otto superstiti hanno raccontato che, poco prima dell’arrivo dei soccorsi, una donna era caduta in mare: qualcuno ha provato a trattenerla, ma è scomparsa tra le onde. L’imbarcazione su cui viaggiavano, partita da Zuara, in Libia, all’alba di giovedì, stava già imbarcando acqua.
Le reazioni
Sul tema dei porti interviene anche la politica. Oltre Nicola Fratoianni di Avs, che attacca il governo Meloni che «libera e tratta con i guanti bianchi i torturatori e trafficanti come Almasri e poi si dimostra inutilmente feroce con i naufraghi», alza la voce anche il sindaco di Ravenna. Alessandro Barattoni annuncia uno stop agli ingressi nel suo comune dopo l’arrivo della nave Humanity 1: «È la ventiquattresima in due anni e mezzo, ma sarà l’ultima finché il governo non convocherà un tavolo con le città dichiarate porti sicuri per discutere le politiche future». Barattoni sospetta che al momento ci sia un trattamento di favore per i porti delle Marche, dove a breve si voterà per le Regionali: «Io non voglio credere che si possano mettere le elezioni davanti alla vita delle persone, ma non posso non notare che, se fosse vero, questo significherebbe automaticamente un aumento delle navi negli altri porti individuati come sicuri, come il nostro».
(da agenzie)
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Agosto 24th, 2025 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DEL DIRETTORE DEL PARCO NAZIONALE CHE NON PUO’ RENDERE PIU’ CARE LE MULTE… INVADONO LE AREE PROTETTE IGNORANDO I DIVIETI E SE BECCATI PAGANO SOLO 51 EURO, COSI’ CONTINUANO A FARE I CAZZI CHE VOGLIONO… IN FRANCIA CASI SIMILI STANGATI CON 50.000 EURO
La Maddalena, uno degli angoli più belli e fragili del Mediterraneo, è sotto assedio.
Ogni estate decine di yacht, catamarani e gommoni invadono le acque protette, ignorando i divieti e danneggiando la prateria di posidonia, fondamentale per la biodiversità marina. Eppure, chi viene sorpreso rischia una multa ridicola: «51 euro», come fa notare Giulio Plastina, direttore del Parco Nazionale.
Un confronto impietoso con la Francia, scrive il Corriere della Sera, dove lo scorso giugno un catamarano che aveva ancorato in un’area vietata davanti alle isole Riou e Plane è stato multato per 50 mila euro, più 49 mila di risarcimento e indennizzi alle associazioni ambientaliste. Il giudice aveva inflitto la sanzione
nonostante la difesa degli armatori, che hanno tentato di giustificarsi dicendo che «ce lo chiedevano i turisti a bordo».
Le conseguenze ambientali sulla posidonia
Le conseguenze ambientali, spiegano gli esperti, sono devastanti e irreversibili. La posidonia stabilizza i fondali, produce ossigeno e protegge la biodiversità. Ogni ancoraggio scorretto può compromettere anni di equilibrio naturale. Ma in Italia sembra vincere la “tolleranza”: il Parco Nazionale della Maddalena non ha mai ricevuto strumenti adeguati per far rispettare le regole.
Le immagini parlano da sole. Cala Bassa Trinità è un tappeto di tende, sdraio e ombrelloni. Cala Coticcio, Cala Corsara e Cala Spalmatore vedono centinaia di motoscafi e barche l’una accanto all’altra. In quest’ultima, dove giacciono preziosi resti archeologici, è stato avvistato anche lo yacht «La pausa» di Daniela Santanchè e Ignazio La Russa.
Anche Santa Maria è diventata un formicaio, con centinaia di bagnanti scaricati ogni giorno dalle imbarcazioni turistiche, nonostante i limiti imposti nel 2019 dal Piano Utilizzo Litorali del Comune. La Spiaggia Rosa di Budelli è stata chiusa dopo che metà della sabbia era sparita a causa dell’eccessivo calpestamento. Caprera soffre gli ingorghi: fino a 800 auto al giorno senza vie di fuga in caso di incendio.
La presidente del Parco: «Spiagge e isole a rischio, se le perdiamo non le recupereremo»
Rosanna Giudice, presidente del Parco, parla chiaro: «Questo turismo implosivo non può più essere consentito. Occorre agire, tagliare il superfluo per salvare ciò che resta. Le spiagge e l
isole sono a rischio. La terra e le radici dei ginepri emergono dalla sabbia: quello che perdiamo non si recupera». Il Parco copre oltre 20 mila ettari tra terre e mare e ospita sessantatré specie protette, dai gabbiani corsi alle morette tabaccate fino al falco di palude. Ma l’ente non ha autonomia gestionale. I dipendenti possono solo accompagnare i visitatori e segnalare le violazioni alla Capitaneria di Porto o ai Forestali, che spesso non hanno tempo per uscire in mare. La situazione è resa più grave da una flotta di circa 30 mila imbarcazioni che ogni anno frequentano l’area marina.
Gli interessi delle imprese nautiche
Gli interessi economici del turismo nautico si scontrano con quelli ambientali. La Sardegna ospita quasi un quinto dei posti barca italiani, concentrati soprattutto in Gallura. Le grandi imprese nautiche investono milioni, mentre il Parco non può assumere personale, non ha un CDA operativo e deve affrontare procedure burocratiche costose per qualsiasi convenzione. «Siamo come moscerini contro titani», ammette Giulio Plastina, direttore del Parco. Un’altra falla riguarda i pagamenti per l’accesso alle acque protette. L’evasione stimata è tra il 30 e il 35%, con una perdita superiore ai 700 mila euro all’anno. La cifra basterebbe a creare squadre di controllo in grado di far rispettare le regole, tutelare l’ambiente e garantire sicurezza ai turisti e agli abitanti.
La denuncia del Codacons alle Procure competenti
Nelle ultime ore, anche il Codacons ha fatto manifestato interesse nella vicenda. Il coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori
ha annunciato una denuncia formale alle Procure competenti per danneggiamento di beni naturali e per omissione di atti d’ufficio nei confronti della Guardia Costiera. «Le immagini di questi giorni parlano chiaro: fondali e praterie di posidonia distrutti dagli ancoraggi, spiagge sovraffollate, flussi turistici incontrollati. Un vero scempio – ha ribadito in una nota – aggravato dall’assurdità delle sanzioni: in Italia chi viola i divieti paga appena 51 euro, meno di una multa per divieto di sosta, mentre in Francia chi danneggia aree marine protette rischia fino a 100mila euro di multa».
«Inaccettabile sacrificare un patrimonio così fragile e prezioso»
Per l’associazione, infatti, «è inaccettabile che uno dei patrimoni ambientali più fragili e preziosi del Paese venga sacrificato agli interessi del turismo nautico di lusso e all’incapacità delle istituzioni di far rispettare la legge». Per questo, oltre a denunciare i responsabili, il Codacons ha chiesto alla magistratura «di disporre il sequestro delle imbarcazioni sorprese a violare i divieti, unico strumento in grado di garantire un’effettiva dissuasione». Contemporaneamente ha sollecitato il Governo e Parlamento «ad adeguare subito il regime sanzionatorio alle normative europee e a destinare i proventi delle multe e delle tasse ambientali al rafforzamento della vigilanza sul territorio, anche attraverso nuove assunzioni di personale dedicato».
(da agenzie)
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